Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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CONFRONTO CON UNA SEGUACE DELLA

TEOLOGIA RIFORMATA. PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Confronto con una seguace della teologia riformata».

     Al posto di un’introduzione, riporto una mia frase, che è piaciuta a qualche lettore: «Quando si cerca la verità riguardo a Dio, bisogna mettere in campo le sue qualità ritenute antitetiche: amore e verità, misericordia e giustizia, salvezza e giudizio, e così via. Solo così riusciremo a capirlo in modo verace, senza fare ideologia e renderlo un idolo dell’umanesimo sentimentalista (solo e tutto amore) o del massimalismo legalista (solo e tutto giudizio). Lo stesso deve avvenire con l’azione di Dio verso il mondo:…». Poi riporto alcuni punti da coniugare insieme, senza polarizzazione su uno specifico e senza arbitrarie sintesi.

     Per l’approfondimento si vedano nel mio «Manuale Teologico dell’Antico Testamento» i seguenti articoli: «I patti e gli altri approcci», pp. 31-53 (un confronto fra la teologia dei patti, quella del patto unico e quella delle dispensazioni); «Sistemi teologici», pp. 332ss (sintesi parziale dell’articolo precedente); «Teologia del patto e l’AT», pp. 354ss (analisi della teologia del patto unico del calvinismo).

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Salvatore Paone

2. Gianni Siena

3. Gaetano Nunnari

4. Nicola Martella

5. Pietro Calenzo

6. Nicola Martella

7. Antonio Capasso

8. Nicola Martella

9. Pietro Calenzo

10. Nicola Martella

11. Gaetano Nunnari

12. Nicola Martella

13. Gabriele Crociani

14. Gianni Siena

15.

16.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Salvatore Paone}

 

«A volte ritornano». Proprio in questi giorni parlavo con un fratello dei «cinque punti del calvinismo». Io personalmente non mi sento ne un calvinista e né un arminiano e nemmeno sono un dogmatico, ma cerco di esaminare le Scritture e trarne il significato contestuale e confrontarlo con esegeti (maggiormente con Nicola Martella). Nel quale riscontro più avvicinamento hai testi neotestamentari.

     Leggendo l’intero articolo nel sito «Fede controcorrente», ho notato un bel confronto pacato, sapendo che tale argomento ha recato divisioni e dispute all’interno di varie chiese, mi è piaciuto una frase di Sebastiana Ellena, che dice: «…ma non per questo voglio divisioni tra i fratelli evangelici, ci sono già troppe false dottrine da combattere in Italia, principalmente quelle di cattolici, testimoni di Geova e pentecostali, che sono i più diffusi. Bisognerebbe soffermarsi di più e focalizzarsi sulla figura di redenzione di Cristo, sulle conversioni e sulla salvezza per grazia. Non tanto su come questo avviene, libero o servo arbitrio, ma sul fatto che avviene e basta».

     Tale parole mi hanno colpito perché tante volte ci soffermiamo su dei punti e ne facciamo una «crociata», solo perché ci piace pensare secondo qualche filosofia dogmatica di qualche «paladino di giustizia».

     Inoltre credo che laddove ci sono dei limiti che (io li chiamo «misteri di Dio»), dovremmo semplicemente credere e accettare. Ciò riguarda in special modo la salvezza, «predestinata» o «non predestinata» che sia.

     Tuttavia, ciò che conta è che tra fratelli ci sia unione, che questi argomenti non siano motivi di polemiche, ma ognuno tenga in mente il grande mandato: evangelizzare a ogni creatura. {19-11-2010}

 

Osservazioni (Nicola Martella): Di là dalle convinzioni di Sebastiana Ellena, penso che gli indistinti calderoni, in cui si mettono insieme «cattolici, testimoni di Geova e pentecostali», non aiutino la verità né il confronto pacato. E questo tanto più che è sorta una nuova classe di pentecostali, che si ritiene riformata; tale fazione, detta dei «pentecostali riformati», è molto militante ed aggressiva. Il paradosso è che essi credano come i calvinisti nella doppia predestinazione e come gli arminiani che la salvezza si perda! In ogni modo, ciò mostra che la realtà può essere molto più complessa delle analisi di alcuni che, per semplificare, creano improbabili accostamenti confessionali, come sopra.

 

 

2. {Gianni Siena}

 

Sulla predestinazione vorrei dire solo poche cose.

     Che Dio abbia creato gli esseri umani in un certo modo e li abbia, conseguentemente, «destinati» all’inferno o al paradiso, cozza contro l’amore di Dio, che dà suo Figlio per tutti e, nel rispetto della volontà individuale, a chiunque crede dà la grazia per essere salvato e il diritto di diventare figlio di Dio.

     Che Dio abbia creato ognuno di noi con determinate tendenze «negative», posso accettarlo, ma non accetto l’idea, che passa sovente, secondo cui Dio avrebbe fatto a priori la scelta di salvare me e mandare (= sic!) all’inferno mia sorella... No, è mostruoso; lungi da Dio una simile intenzione: non sarebbe «Dio»! (Gen 18,17-32).

     Credo nella «predestinazione condizionale». Essa tiene conto del fatto che Dio ci abbia creati a sua immagine e somiglianza, con una libera volontà. Quest’ultima condiziona la scelta che uno fa: io non so se riuscirò a convincere mia sorella a deporre le armi della sua ribellione spirituale, ma ho speranza e prego per lei.

     Detto questo, mi rendo conto che il Vasaio abbia la libertà di trarre dalla stessa creta un vaso da ricoprire d’argento e uno destinato a uso notturno: non sarò io a chiedergli conto del suo agire! Ma c’è anche scritto che è volontà di Dio «che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità» [1 Tm 2,4].

     Se la predestinazione fosse «ineluttabile», chi potrebbe incolpare il peggiore criminale del suo peccato? Per favore, non scherziamo con la giustizia e l’amore di Dio! Non è in discussione la sovranità di Dio, ma le sue priorità: Egli vuole salvarci... tutti! Tuttavia, rispetta la libertà che ci ha dato e ci chiederà conto anche di questa.

     La domanda è se Caino, Giuda iscariota, Hitler e altri personaggi poco simpatici potevano essere salvati? La risposta è «sì»; naturalmente essi non hanno voluto e hanno ricevuto la meritata pena.

     Se solo pensassi, per un momento, che Dio m’ha dato un privilegio e l’ha negato a un mio congiunto, qualche dubbio mi verrebbe: non sull’esistenza di Dio, ma sulla veridicità del «dio», in cui malauguratamente ho creduto. Forse, anzi certamente, avrei dovuto cercare meglio: Cristo non sarebbe la manifestazione umana del Dio vivente e vero! È possibile scoraggiare un’anima, insegnando male la predestinazione ma con la grazia di Dio no!

     Ripeto e concludo: attenzione a cosa insegniamo alle persone. Se uno non accetta la grazia, Dio non è responsabile per il suo andare all’inferno. È una libera scelta conforme all’essere a sua immagine e somiglianza: un giorno qualcuno potrebbe dire a Gesù: «Mi stai mandando all’inferno, ma io non ho mai ricevuto l’annuncio della grazia». Gesù risponderebbe: «L’avresti accettata la grazia?». A Dio non si può mentire. Morire eternamente è, paradossalmente, una libera scelta. Amo pensare che Dio quel giorno ne soffrirà come una perdita; la giustizia non gli fa dimenticare l’amore che ha verso ogni sua creatura.

     Un Dio giusto e onnipotente fa grande impressione e timore... può ogni cosa. Ma ci ha rivelato Se stesso dal suo lato dell’amore: questa è la priorità! Per questo i predestinazionisti «iper» farebbero bene a tacere e a non aprire discussioni su internet: le anime sono preziose agli occhi di Dio.

     Quando Calvino evidenziò la predestinazione, egli stava combattendo contro un errore: il papa con un suo «decreto» poteva mandare in paradiso o all’inferno. Egli affermò, giustamente, che questo potere l’ha solo il Signore.

     Verso coloro che sono sempre ribelli e pronti a contestare la Parola della vita, Paolo mostrò che Dio è troppo grande perché un uomo possa chiedergli conto del suo operare: egli può ogni cosa; non è saggio «discutere» con Colui, che ci ha formati! (Rom 9,19-22).

     Sì, sapendo in anticipo come andranno le cose e le scelte che si faranno, il Signore ha predisposto ogni cosa verso chiunque, nel bene e nel male. Ma Lui non lascia nulla d’intentato per salvare anche chi andrà nel luogo dell’eterna separazione: lo costringe il suo amore.

     Per questo, quando sono interrogato su questo delicato soggetto dottrinale (non mi piace parlarne), rispondo a chi mi domanda che, se vuole, può smentire questo decreto: al tempo di Ester, Assuero non poté cancellare il decreto di sterminio verso i Giudei, secondo la legge medo persiana. Tuttavia, in conformità a questa stessa legge, emise un decreto con il quale autorizzava le «vittime» a salvare la propria vita e a difenderla; sappiamo come andò a finire.

     Dobbiamo morire nell’inferno o essere salvati, credendo in Colui che ci ama e ha dato la sua vita per noi? Ognuno scelga cosa vuol fare. {19-11-2010}

 

 

3. {Gaetano Nunnari}

 

Questo scontro tra calvinisti e arminiani, da quanto ho appreso fino a oggi, da voi in Italia è una questione scottante, per certi versi indigesta e a tratti ridicola. Qui in Svizzera non mi risulta questa profonda idiosincrasia fra i due fronti.

     Io sono di convinzioni calviniste, credo fermamente che sia Dio a cominciare l’opera di ravvedimento nell’uomo, e non l’uomo che fa il primo passo verso Dio.

     Il problema della doppia predestinazione non è a mio avviso un problema o come dice Nicola una sovrastruttura dogmatica, ma trarre dalle Scritture il messaggio chiaro che la salvezza appartiene al nostro Dio.

     Gesù disse: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6,44). Nicola sa benissimo che il verbo usato nel testo greco per «attira» significa letteralmente «trascinato con forza».

     Per quanto riguarda la sorte dei reprobi non trovo proprio corretto dire che Dio li abbia predestinati alla perdizione, perché credo che l’uomo ci vada tranquillamente da solo in perdizione, non ha bisogno dell’aiuto di Dio per perdersi, ma ha senz’altro bisogno dell’opera dello Spirito Santo per credere in Cristo.

     Consideriamo i seguenti versi: «L’adoreranno tutti gli abitanti della terra, i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello, che è stato immolato» (Apocalisse 13,8).

     «La bestia che hai vista era, e non è; essa deve salire dall’abisso e andare in perdizione. Gli abitanti della terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla creazione del mondo, si meraviglieranno vedendo la bestia perché era, e non è, e verrà di nuovo» (Apocalisse 17,8).

     Nessuno può confutare due versi così chiari, e chi marginalizza il fatto, affermando che si trovano scritti in Apocalisse «libro simbolico» pieno di raffigurazioni, significa essere seguaci della sovrastruttura dogmatica calvinofoba. Non c’è molto da aggiungere. Se si usassero gli stessi criteri di valutazione potremmo gettare alle ortiche il buon senso e interpretare come più ci piace l’argomento dei 144.000 in Apocalisse. Tanto è un libro simbolico e allora... vai con la fantasia.

     Ma parliamoci chiaro, il problema del «calvinismo» in Italia esiste a causa d’altro, non perché sia una dottrina non biblica, ma perché in Italia calvinismo fa rima con Bolognesi.

     Fare del calvinismo un cavallo di battaglia lo trovo senz’altro sbagliato. Non è questo lo scopo di un cristiano. Lo scopo di un cristiano è predicare Cristo crocifisso: «Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6,14).

     Certo escludere la sovranità di Dio come fanno molti calvinofobi, ha portato a una evangelizzazione frivola, ridicola e spesso scandalosa. Invece di predicare l’Evangelo e credere nella chiamata di Dio per i suoi eletti, ci si è messi a fare i clown per strada, oppure a fare spettacoli teatrali intrisi di romanticismo, fino a rendere il nostro Salvatore da Signore e Padrone dell’universo a un falso personaggio debole che cerca di commuovere la platea per strappare qualche manina alzata, atta a simboleggiare lo «scegliere» Cristo.

     Non è questo che io trovo nella Bibbia. Io trovo un altro Salvatore, un Salvatore che ha dato la sua vita per le sue pecore e che ha compiuto ogni cosa con onore forza e gloria. Questo è ciò che io credo, e non mi sono mai permesso d’imporre la mia convinzione ad altri. Rispetto chi la pensa differentemente; spesso però il rispetto non è reciproco, e allora dico: «Complimenti a voi per aver fatto da soli la scelta giusta; io invece non sono stato bravo come voi, ho avuto bisogno che Dio aprisse il mio cuore».

     Parlare poi di teologia riformata ascrivendo tutti i calvinisti come riformati è fuorviante, e a volte mi sorge il dubbio che chi lo fa sia in mala fede. Non tutti i calvinisti sono riformati. Essere un riformato significa abbracciare anche altre dottrine, quali il pedobattismo, che io non condivido assolutamente, oppure l’amillenarismo con la teologia della sostituzione, che pure non condivido nella maniera più assoluta.

     Vorrei far presente che le chiese battiste statunitensi, che non si sono svendute al liberalismo teologico, sono per la maggiore proprio le chiese battiste del sud, quelle cioè denominate battiste particolari che sostengono la dottrina della chiamata particolare di Dio. Tanto per fare un nome John McArthur, e chi lo conosce sa che è un teologo convinto premillenarista e un calvinista moderato, attivo nel confutare le false dottrine che dilagano nell’ambiente americano.

     Dice bene Sebastiana Ellena, ps., quando afferma: «Non sopporto il focalizzarsi sempre su un argomento, che nei riformati può essere solo la predestinazione. Io credo fermamente nel TULIP [= i cinque punti del calvinismo, N.d.R.], ma non per questo voglio divisioni tra i fratelli evangelici, ci sono già troppe false dottrine da combattere in Italia, principalmente quelle di cattolici, testimoni di Geova e pentecostali, che sono i più diffusi».

     È senza dubbio ridicolo vedere alcune Assemblee dei Fratelli essere così intransigenti con chi è calvinista (magari pacatamente) e poi fornicare spiritualmente con i movimenti mistici. Ho sentito anche affermare da un fantomatico conduttore che chi è calvinista significa non essere nati di nuovo. Altro che sovrastruttura dogmatica!

     A mio modo d’intendere la cosa, si dovrebbe fare un bel reset, gettarsi il passato alle spalle e coalizzare i movimenti biblici cristocentrici per fronteggiare la deriva gnostica penteocostal-carismatica, il liberalismo teologico, il nepotismo presente nell’ambiente evangelicale, e tutte le altre false dottrine delle religioni pseudo-cristiane e tutto il resto.

     Non dovrebbe essere difficile mettere Cristo nostro Salvatore al centro e combattere collaborando insieme, facendo nostra l’esortazione di Paolo: «Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato» (1 Timoteo 6,12).

     Che Dio ci aiuti ogni giorno nella sua grazia a fare la sua perfetta volontà. {19-11-2010}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Avrei preferito che si discutesse l’articolo in sé, invece di portare una questione a prescindere e tante altre problematiche singolari, che non c’entrano direttamente col tema. Come al solito mi tocca fare molto lavoro per rispondere a «capre e cavoli», introdotti dall’ultimo lettore.

     ■ Parlare di questo argomento come di uno «scontro tra calvinisti e arminiani» è alquanto singolare, come se il mondo dottrinale si dividesse soltanto in queste due categorie. Ciò è alquanto riduttivo; io personalmente non mi identifico né con Calvino, né con Arminio.

 

     ■ Citando, come al solito, Giovanni 6,44, si fa un procedimento tipico dei dogmatici: si toglie un verso dal suo contesto storico e teologico, lo si assolutizza, lo si unisce ad altri versi del genere all’interno di una sovrastruttura e l’ideologia è nata. Poi basta dare ad alcuni termini uno dei tanti significati possibili, e il gioco è fatto. In Giovanni 6 Gesù si rivolse soltanto ai Giudei suoi contemporanei, ossia a coloro che erano già eletti come popolo del patto ma che, nonostante ciò, lo rifiutavano come Messia. Come mostra Giovanni 6ss, essi credevano che essere eletti già bastasse; Gesù rese loro chiaro che si sarebbero perduti nonostante l’elezione, se non credevano che Lui fosse il Messia promesso. «Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché, se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei vostri peccati» (Gv 8,24.44s; cfr. già Gv 3,12s; 5,46s; cfr. ancora Gv 10,36ss). Gesù rese chiaro che essere «figli d’Abramo» (cfr. Gv 8,37-40), quindi eletti, non li salvava di per sé, se non si ravvedevano, non lo riconoscevano come Messia e attraverso di Lui giungessero alla rigenerazione dall’alto e quindi alla salvezza. In tutto ciò essi dovevano arrendersi all’opera del Padre, che voleva attirarli a Gesù come Messia. Questa era una questione storica, dinanzi al quale il giudaismo del tempo fu posto, e ne conosciamo i risultati. Come si vede, bisogna fare esegesi contestuale non indebita versettologia.

 

     ■ Riguardo alla «sorte dei reprobi» c’è una certa incoerenza: da una parte Gaetano crede alla doppia predestinazione (Dio decide a monte chi salvare e chi perdere), dall’altra non trova «proprio corretto dire che Dio li abbia predestinati alla perdizione».

 

     ■ Poi Gaetano ritorna alla conosciuta versettologia, citando Apocalisse 13,8; 17,8 (sono gli stessi versi che mi ha citato altrove e a cui avevo dato una risposta). Egli pensa così di risolvere la questione e di avvalorare il dogma della doppia predestinazione. Fa come chi, avendo dieci tessere di un complicato puzzle, pretenda di sapere qual è l’immagine finale. L’apostolo Giovanni non scrisse tali cose per avvalorare una tale filosofia dottrinale, che egli neppure conosceva. Egli descriveva la resa dei conti finale della storia, adombrando appena un mistero, che lui non approfondisce oltre, e affermando che Dio ha avuto sempre tutto sotto controllo, contrariamente alle accuse di alcuni e ai dubbi degli altri (cfr. 2 Pt 3,3s, Gd 1,4.16ss; cfr. anche 1 Cor 15,12ss).

     Ho mostrato nell’introduzione che su certe cose possiamo accostarci a una verità più oggettiva su Dio e la sua opera, soltanto mettendo in campo le sue qualità antitetiche e l’azione ambivalente di Dio verso il mondo. In caso contrario saremo orbi o da un occhio (lasciando aperto quello fatalista o doppio-predestizionalista) o dall’altro (lasciando aperto quello umanista o antropocentrico), addomesticando così la verità secondo la sovrastruttura dogmatica di riferimento. Sbagliano perciò coloro che negano a Dio il diritto di scegliere chi vuole (seguaci del libero arbitrio spinto ad oltranza); sbagliano anche coloro che negano a Dio il suo diritto di amare l’intero mondo, di averlo riconciliato con sé e di operarsi a favore della salvezza di tutti, desiderandola ardentemente (seguaci del fatalismo cristianizzato e della doppia predestinazione); sbagliano altresì coloro che pensano che Dio salverà tutti gli uomini, senza una loro decisione personale a entrare nel nuovo patto (universalisti); sbagliano infine anche coloro che pensano che l’uomo possa piacere a Dio con le sue opere e salvarsi con i propri meriti (umanisti cristianizzati).

 

     ■ I toni ironici e a tratti sarcastici, che seguono su tale delicato argomento, personalmente non mi sono piaciuti. Anche dare l’impressione di essersi «accaparrati» per sé la sovranità di Dio, suggerendo che altri non la credano e la vivano, è ingiusto e tale atteggiamento rivela un orgoglioso narcisismo di fondo dei calvinisti.

     Io non mi ascrivo né all’arminianesimo (non credo che la salvezza si perda), né al calvinismo (non credo alla doppia predestinazione; la predestinazione biblica è il piano di Dio, non il fato), né ad altri «ismi». Eppure sono contrario all’evangelo a poco prezzo, alle evangelizzazioni farsa, ai mega-show e agli spettacoli pieni di misticismo. Credo di aver scritto in proposito in modo chiaro e inequivocabile.

     Credere alla sovranità di Dio non è una qualità dei soli (iper-) calvinisti; si può vivere in tale sommo timore di un Dio sovrano anche senza aderire all’ideologia di un fatalismo cristianizzato (o doppia predestinazione), che pretende di conoscere il segreto consiglio di Dio.

 

     ■ Quanto al rapporto fra teologia riformata e calvinismo, si può discutere e fare distingui. Tutto dipende da come si intende l’aggettivo «riformato»: che riguarda la Riforma o la teologia riformata. Sta di fatto che la maggior parte dei calvinisti italiani affermano di essere riformati, e viceversa, pur non aderendo o al pedobattismo (molti) o all’amillenarismo (pochissimi). Poi il calvinismo, come tutte le altre posizioni teologiche, ha un vasto spettro (liberali, moderati, radicali).

 

     ■ Non mi farò io avvocato delle Assemblee dei Fratelli (ed è strano vedere qui tale argomento), ma se esse hanno una certa allergia verso i calvinisti, ciò ha motivi storici. Alcuni decenni or sono, un certo credente è tornato dalla Francia, dove ha studiato teologia, e ha cominciato un’opera di persuasione calvinista nelle Assemblee dei Fratelli. I suoi seguaci si sono poi diventati uno strumento di tribolazione, di lacerazione e di spaccature di numerose chiese dal nord al sud dell’Italia. Infine, sono fuoriusciti e hanno costituito un proprio movimento. Usare poi la locuzione «fornicare spiritualmente» è un sarcasmo che non tollero, visto che nella Scrittura intende sempre l’idolatria e l’apostasia; quantunque io non simpatizzi con i «movimenti mistici», non mi permetto di usare un tale linguaggio. Nella stragrande maggioranza le Assemblee dei Fratelli non sono arminiane (non credono che la salvezza si persa), pur credendo alla sovranità di Dio non sono calviniste (non credono nella doppia predestinazione) e, in genere, non hanno rapporti diretti di comunione con i movimenti entusiastici, anzi in genere sono anti-carismaticisti.

 

     ■ Io personalmente non credo alle coalizioni e alle «sante alleanze» contro qualcuno. Credo nei singoli cristiani che vivono in modo cristocentrico e coerente e agiscono, ognuno al suo posto, come sale e luce, come sentinelle e come strumenti di Dio. Io non credo alla collaborazione fra istituzioni, ma solo a quella di credenti coerenti con l’Evangelo e fra chiese bibliche limitrofi. Il resto è pio romanticismo. Gesù chiamò singole persone. Paolo si appellò ai suoi collaboratori o a singole chiese locali.

 

 

5. {Pietro Calenzo}

 

Carissimo Nicola, shalom. Ho letto con molta attenzione il tuo dialogo con la sorella riformata, e concordo con te nell’affermare che cercare di colonizzare altri credenti sotto l’egida riformata (che si differenzia dal puro predestinazionismo, singolarmente inteso), può essere a volte antipatico; ma è altresì verace l’antitesi, che si realizza direi, in fattispecie o casi, molto più numerosi dei primi, e cioè che i condizionalisti, o arminiani, sono in tale ottica (a volte) molto più attivi, dinamici e solerti.

     Ritengo che alcune tesi della sorella riformata, non siano condivisibili allorquando afferma che l’elezione sovrana di Dio, sia condivisibile per logica o per via sperimentale, oltre che chiaramente aderente alla Scrittura. Sui due primi assunti è vero esattamente il contrario. La predestinazione, lungi dall’essere una realtà divina percepibile per analisi o categorie logiche o sperimentali, è a mio avviso condivisibile solamente sottoponendo la nostra spiritualità alla eterna Parola di Dio.

     D’altro canto, carissimo Nicola, non tutto il calvinismo può essere digerito a nutum, poiché l’iniziatore era figlio del suo tempo, ma non dimentichiamo che Calvino (alla pari di Farel, Vinet, Melantone, Zwingli, lo stesso Lutero) procedeva alla restaurazione della centralità univoca di Cristo e della Scrittura, dopo secoli e secoli di oscurantismo teologico apostata ed ereticale.

     Francamente carissimo Nicola, mi sorprende alquanto che tu ponga sullo stesso piano, i massimalisti darbysti, gli eretici avventisti del settimo giorno, i giudaizzanti, carismaticisti e i calvinisti. Consentimi, ben altra pasta sono questi ultimi e il pensiero calviniano (pur non essendo personalmente calvinista, ma predestinazionista). Prova ne è che alcuni dei più biblici difensori dell’ortodossia cristiana, attaccata dal liberalismo, dall’ecumenismo, dal carismaticismo (vedi documenti ECI), dal modernismo barthiano o bultmaniano siano predestinazionisti, come Martyn Lloyd, Jones, Sproul, Spurgeon, Pink, Iones, John Mac Arthur, Warfield, ecc.

     Convengo con te che l’esegetica testuale e non la dogmatica debba essere il faro della nostra conoscenza e attuazione della fede scritturale, ma in estrema sintesi che cosa è la dogmatica, se non una verità scritturale attinta dalla verità immutabile della Scrittura, e per questo professata e creduta? Ti confesso che anche io non apprezzo molto il dogmatismo fine a se stesso, e sovente ne ripudio il senso astratto e a volte settario, esclusivista.

     Ho apprezzato molte delle osservazioni della sorella riformata in difesa della predestinazione. Ho apprezzato anche i tuoi numerosi ed esegetici parallelismi tra gli ebraismi di «molti» e «tutti» con il relativo e scritturale sostegno di numerosi versi della Parola di Dio, il che, carissimo Nicola, hanno ampliato la mia conoscenza, così come i tuoi contributi in altre opere come il «Manuale Teologico dell’Antico Testamento», che consiglio di leggere a tutti. Nondimeno, carissimo e amatissimo Nicola, non posso concordare con la tua valutazione che la dottrina della predestinazione, si regga su «pochi frammenti di un mosaico immenso», basti leggere i primi capitoli della lettera agli Efesini, interi capitoli della lettera ai Romani, interi versi dell’Evangelo di Giovanni, numerosi versi del libro degli Atti, così come evidenti insegnamenti di tale verità sono sparsi in tutte le Scritture.

     Convengo, e concludo, con la tua matura riflessione, che nessuno si deve arrogare la saccenteria spirituale, sia egli condizionalista o calvinista di giudicare in modo spesso pretenzioso qualsiasi figlio di Dio, che sia stato rigenerato dal suo Spirito. Un fraterno abbraccio con il suo amore. Benedizioni in Gesù Messia. {20-11-2010}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Mi sorprende sempre di nuovo quando gli altri mi attribuiscono delle cose, pensando di leggere di là da ciò che ho effettivamente scritto. Mi chiedo dove io abbia posto «sullo stesso piano, i massimalisti darbysti, gli eretici avventisti del settimo giorno, i giudaizzanti, carismaticisti e i calvinisti». Già il termine «eretico» è fuori del mio linguaggio e delle categorie da me valutate. Ho soltanto detto che in ogni posizione ci sono aderenti pacati e altri militanti, che fanno del loro credo particolare la discrimina pei rapporti con gli altri. Io non mi appassiono per le graduatorie, specialmente delle categorie dottrinali, ma valuto le persone a sé secondo la loro onestà intellettuale, la loro moralità personale e il loro approccio alla sacra Scrittura. Ho simpatia per tutti coloro che difendono la verità, evinta da un’esegesi contestuale, di là dall’«ovile» di appartenenza.

     Non concordo con la definizione di «dogmatica» di Pietro. Se essa fosse veramente la quintessenza della verità scritturale, essa sarebbe una soltanto, ma così non è. Di là dalle basi comuni, poi ogni direzione cristiana ne ha una sua. L’approccio esegetico e quello dogmatico sono completamente differenti. Per non ripetermi ancora una volta si vedano nel mio «Manuale Teologico dell’Antico Testamento» i seguenti articoli: «Teologia biblica e dogmatica: confronti», pp. 252s (i due approcci alla Scrittura a confronto); «Teologia biblica» (approccio esegetico), pp. 353s; «Teologia dogmatica», pp. 356s (approccio dottrinale); cfr. pure «Ermeneutica», p. 155 (differenza fra esegesi ed eisegesi); «Versettologia», pp. 378s (come s’arriva a una «dottrina» mediate l’accumulo indifferenziato di versi).

     Lo scopo del confronto non è che tutti debbano concordare con me, ma è — come tu stesso affermi — quello di ampliare la propria conoscenza. Tuttavia, ritengo che, essendo la nostra conoscenza frammentaria riguardo al consiglio segreto di Dio, non si possa dire alcunché di sicuro riguardo a una «doppia predestinazione», che Dio avrebbe attuato a priori. Infatti è scritto che «noi conosciamo in parte e in parte proclamiamo, ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito» (1 Cor 13,9s). Effettivamente ragioniamo come da bambini rispetto alla maggiore età (v. 11). «Poiché ora vediamo come in uno specchio [= rame levigato], in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto» (v. 12).

     Chi sostiene la doppia predestinazione, effettivamente vuole interpretare l’immenso mosaico del consiglio di Dio, partendo dai pochi frammenti, che ha. La predestinazione è il piano divino per la salvezza degli uomini; per questo sono contento e grato che Dio abbia avuto tale piano per la mia vita, mi abbia eletto in Cristo e mi abbia rivolto una santa chiamata. Da ciò però non traggo nessuna facile «dottrina», né tanto meno una filosofia dogmatica a esclusione mediante singolari versettologie indebite, falsi sillogismi o avventurose sintesi. Il mistero risiede in Dio, ed è meglio che sia lì fino alla fine. Il metodo, che ritengo giusto, per appressarci alla verità su Dio e l’opera sua nel mondo, l’ho mostrato all’inizio di questo tema di discussione (e già ripetuto sopra) ed è quello delle antinomie contemporanee e delle qualità antitetiche coesistenti. Ciò ci preserva dalle ideologie umane, qualunque esse siano, prima pensate, poi formulate, enunciate e, quindi, biblicizzate per renderle appetibili.

 

     ■ Nota editoriale: Pietro Calenzo ha precisato quanto segue. Carissimo Nicola, preciso che la definizione ereticale del movimento avventista del settimo giorno, scaturito anche dalle visioni della veggente mistica Helen Gould Harmon White, è personalmente mia. Tengo ad affermare e a sottolineare anche che tale movimento afferma che chi non osserva il sabato, ha il marchio della bestia! Dalla lettura del mio precedente commento può apparire, in effetti, che tale mia convinzione potesse essere attribuita sia al sottoscritto sia al relatore Nicola Martella, in maniera bivalente. Mi dispiace, per questo momentaneo inconveniente, che rettifico con la presente specifica. Ti abbraccio nel nostro Signore Gesù Messia. Benedizioni. {21-11-2010}

 

 

7. {Antonio Capasso}

 

Purtroppo sono molti che fanno l’errore di chi, «avendo dieci tessere di un complicato puzzle, pretenda di sapere qual è l’immagine finale» (Martella). Paolo, parlando di questi argomenti conclude: «Oh profondità delle ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e investigabili le sue vie» (Rom 11,33). Personalmente credo che la Bibbia insegni «questo» e «quello», cioè predestinazione assoluta e responsabilità umana. Questo vale, per me, anche per quel che riguarda la perdita della salvezza (Rom 11,22).

     Noto, molte volte, che coloro che credono nella predestinazione assoluta, si sentono superiori ad altri credenti. Credono di avere una conoscenza speciale e pensano che loro onorino Dio più degli altri e trattano gli altri credenti come bambini spirituali, incapaci di comprendere certe verità scritturali. Questa è la mia esperienza senza voler generalizzare. Pace. {21-11-2010}

 

 

8. {Nicola Martella}

 

Tralasciamo qui la questione della perdita della salvezza, essendo ciò un altro tema, per altro lo abbiamo già abbastanza discusso. [► Soteriologia: Perdita della salvezza]

     Quanto al sentirsi superiori ad altri credenti, non posso che dare ragione ad Antonio rispetto ai calvinisti militanti; anch’io ho fatto tale esperienza. In ogni modo, tale atteggiamento ciò si trova ben distribuito nelle differenti correnti del cristianesimo e riguarda, ad esempio, anche coloro che affermano che gli altri non abbiano lo Spirito Santo, solo perché essi non aderiscono alla glossolalia moderna. Tale atteggiamento riguarda coloro che, secondo i casi, pensano di avere i «sacramenti» giusti praticati nei giorni giusti, la «sana dottrina» più sana degli altri o ministri particolarmente «unti» nelle loro comunità, sebbene poi affermino di ricevere rivelazioni speciali (non per ultimo anche da parte di un pastore defunto). Lo spirito di superiorità può provenire dal massimalismo (orgogliosi di essere radicali) o, al contrario, dal liberalismo (orgogliosi di essere progressisti); senza dimenticare gli «estremisti di centro», che si sentono autorizzati a dare bacchettate a tutti.

     Tornando al tema, è giusto evidenziare che se il NT svelasse tutti i misteri, difficilmente Paolo (Rom 11,33) e altri avrebbero parlato del consiglio imperscrutabile e in investigabile di Dio. La stessa Apocalisse (= rivelazione) tralascia di svelare tutti i misteri (p.es. i sette tuoni). La Scrittura rivela ciò che è necessario (p.es. per la salvezza), non ciò che vorremmo sapere.

 

 

9. {Pietro Calenzo}

 

La Scrittura c’indica anche che le cose occulte (celate) sono solo del Signore, ma Paolo ci dichiara anche che predicava la sapienza di Dio occulta (1 Cor 2,7) e che il mistero che stato occulto per tutti i secoli, è stato rivelato in Cristo (Col 1,26). Naturalmente non tutto l’intero e insondabile pensiero di Dio ci è stato rivelato, noi vediamo ancora come in uno specchio di rame, in parte. Ma ciò specifica anche, che la Parola di Dio c’istruisce che essa è perfetta, completa, ed è pienamente sufficiente per crescere nella sana dottrina e nel buon deposito della fede, per renderci appena compiuti. Almeno questa è la mia personale esperienza. Un fraterno saluto. {21-11-2010}

 

 

10. {Nicola Martella}

 

Si fa sempre male ad assolutizzare parti di versi che, nel loro contesto, sono mirate a una cosa specifica. Questa è una via filosofica e perciò ideologica; l’alternativa e la cura è l’esegesi contestuale.

     La «sapienza di Dio misteriosa e occulta» (1 Cor 2,7), di cui parlava Paolo, era quella che il mondo e i suoi principi non conoscevano (vv. 6.8) e che lui e la sua squadra esponevano fra i cristiani maturi (v. 6). Essi potevano esporla soltanto perché «a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito», il quale «investiga… anche le cose profonde di Dio» (v. 10). Che tale discorso non sia assoluto, ma relativo a Cristo, è mostrato dalla fine del v. 8 e dal fatto che ciò consiste nell’adattare «parole spirituali a cose spirituali» (v. 13) e nel possedere la «mente di Cristo» (v. 16). Per cui, tale «sapienza di Dio misteriosa e occulta», «innanzi i secoli predestinata a nostra gloria» (v. 7), riguarda semplicemente il centro della dottrina cristiana, ossia «Gesù Cristo e lui crocifisso» (v. 2), ed è perciò il «mistero di Cristo», di cui egli parla anche altrove.

     Ogni mistero è tale fino a quando non è svelato. Così è stato per il «mistero di Cristo». Esso non riguardava una dottrina particolare (tanto meno quella della doppia predestinazione), ma Gesù stesso quale mistero, precedentemente nascosto: egli è il Messia! Tale mistero, tenuto lungamente velato nelle «Scritture profetiche» (AT) e quindi precedentemente tenuto occulto, era stato oramai rivelato a quei tempi, tanto che era possibile farlo «conoscere a tutte le nazioni», poiché consisteva semplicemente nella «predicazione di Gesù Cristo» (Rm 16,25s). L’altro aspetto di tale mistero è il fatto che in Cristo i cristiani gentili erano stati fatti eredi con i cristiani giudei, formando insieme un medesimo corpo ed essendo destinatari della stessa promessa (Ef 3,3-7). Perciò, Paolo annunciando la parola di Dio fra i Gentili, svelava loro tale mistero precedentemente tenuto occultato, che riguardava essenzialmente «la ricchezza della gloria di questo mistero fra i Gentili, che è Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,25-28; 4,3 annunziare il mistero di Cristo).

     Per tali motivi, nessuno può riferirsi legittimamente a tale «mistero», riferendolo a una dottrina speciale. Il mistero, di cui Paolo parlò fu ben svelato a lui e mediante lui e riguardava soltanto Cristo. Nella sua Parola Dio non ci ha rivelato tutti i misteri del cosmo e della storia, ma ciò che necessitiamo per la nostra fede e la nostra devozione. Per così dire, nella sua Parola Dio ci ha rivelato la parte superiore dell’iceberg, non tutto esso; ma ciò che ci ha rivelato, basta per la nostra salute salvifica e spirituale. Sulla predestinazione come su altri temi non chiaramente rivelati, bisogna resistere alla tendenza filosofica di dire grandi cose sull’immane puzzle dell’esistenza, partendo dalla poche tessere che si posseggono. La cosa più sana è mettere in campo i fenomeni e le asserzioni antitetiche e trattenere il giudizio finale. Nel caso della predestinazione ciò significa mettere in campo tutti gli aspetti antitetici: il diritto sovrano di Dio, l’amore sovrano di Dio per il mondo, la responsabilità umana, il desiderio di Dio circa la salvezza universale, il suo appello a convertirsi e la minaccia di perdizione in caso di rifiuto, la grazia di Dio, il giudizio finale secondo le opere di ciascuno, e così via. Poiché il mistero rimane, l’umiltà sta nel chinare il capo dinanzi a Dio, grati di aver sperimentato personalmente la salvezza, e prescindere da ogni arbitraria sintesi in una delle possibili direzioni.

 

 

11. {Gaetano Nunnari}

 

Non è mia intenzione creare contese, e dibattiti sterili. Mi sforzerò di fare solo alcune precisazioni, tralasciando le repliche sugli argomenti dottrinali.

     C’è da dire che in genere gli appartenenti al Movimento dei Fratelli si scaldano molto quando qualcuno tende a sostenere convinzioni calviniste. Le stesse sono state sostenute però anche da molti uomini di Dio (alcuni nomi sono stati fatti dal fratello Calenzo). Uomini che hanno fatto epoca e hanno sacrificato la loro vita per amore del Vangelo di Cristo. Tutti dogmatici versettologi, che non sapevano fare esegesi, sottoposti a sovrastrutture dottrinali? Mi pare difficile crederlo.

     In quanto al sarcasmo usato, ribadisco, ricordando a Nicola che anche lui non ci va tanto per la leggera quando si tratta di confutare chi la pensa diversamente da lui su tale punto. Basta leggere i nostri confronti passati su tale tema.

     Adesso farò alcune precisazioni, e poi proprio per non continuare a oltranza, farò silenzio. Su afferma che «parlare di questo argomento come di uno “scontro tra calvinisti e arminiani” è alquanto singolare, come se il mondo dottrinale si dividesse soltanto in queste due categorie. Ciò è alquanto riduttivo; io personalmente non m’identifico né con Calvino, né con Arminio». Come dice Nicola, il mondo dottrinale non si divide soltanto in queste due categorie, ma chi in questo argomento predilige la parte calvinista, viene subito etichettato come versetto logo, che pretende di avere ragione a priori. Rispondo che non è vero. Neanche io m’identifico completamente con Calvino, ma condivido il suo pensiero esposto nel TULIP.

     ■ Riguardo a Giovanni 6,44 evito di replicare per non generare uno sterile ping-pong, ma sia ben chiaro che non condivido la tua esposizione. Faccio notare che lo stesso ragionamento dovrebbe valere quindi anche per Giovanni 3,16ss.

     Riguardo alla sorte dei reprobi non ci vedo nessuna incoerenza. E l’ho già spiegato nel mio intervento precedente.

     ■ Mi viene nuovamente rimproverato di essere un versettologo citando Apocalisse, ma è qui che io vedo poca chiarezza banalizzando dei versi che a mio avviso sono rivelazioni infallibili dello Spirito Santo (fino a prova contraria), se Dio ce le ha messe, non era per banalizzare tale concetto, altrimenti avrebbe sigillato completamente tale mistero (vedi Apocalisse 10,4). Io trovo a mio avviso incoerenza nelle antinomie.

     ■ Riguardo al «dare l’impressione di essersi “accaparrati” per sé la sovranità di Dio, suggerendo che altri non la credano e la vivano, è ingiusto e tale atteggiamento rivela un orgoglioso narcisismo di fondo dei calvinisti»; se era riferito a me personalmente, mi stupisce e dichiaro che ciò non mi appartiene nel modo più assoluto. Nicola, poi dice: «Credere alla sovranità di Dio non è una qualità dei soli (iper-) calvinisti»; anche qui, dunque, se affermi di condividere i cinque punti del TULIP pacatamente, vieni lo stesso automaticamente bollato come ipercalvinista. È difficile per me capire quale sia il confine da non superare per non subire i pregiudizi calvinofobi. Per quanto riguarda l’affermazione che «si può vivere in tale sommo timore di un Dio sovrano anche senza aderire all’ideologia di un fatalismo cristianizzato (o doppia predestinazione), che pretende di conoscere il segreto consiglio di Dio»; aderire al calvinismo non significa pretendere di conoscere il segreto consiglio di Dio. Piuttosto l’umiltà di aver ricevuto in grazia ciò che non si sarebbe mai meritato.

     ■ Per quanto riguarda l’affermazione del fornicare di alcune Assemblee, mi sono rifatto al detto: una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze sono un indizio, tre coincidenze sono una prova. Lo so benissimo che per la maggiore le Chiese dei Fratelli non simpatizzano per gli gnostici moderni, ma ho anche visto che alcuni ricercano volentieri la collaborazione con l’ambiente pentecostal-carismatico, ma pronti a mandare scomuniche e anatemi, se solo si nomina un vocabolo presente nella Bibbia: «predestinazione».

     ■ Neppure io credo alle sante alleanze contro qualcuno; e mi riferivo alla collaborazione comunitaria fra chiese bibliche limitrofe proprio come auspicato da te senza assurde calvinofobie. {21-11-2010}

 

 

12. {Nicola Martella}

 

Non ritengo che Gaetano abbia aggiunto granché a quanto detto precedentemente. Trovo singolare che egli possa parlare «in genere» degli «appartenenti al Movimento dei Fratelli», visto che esso è molto variegato e visto che lui conosce relativamente ben poca cosa delle Assemblee dal nord al sud d’Italia. È singolare che qui si parli di tale movimento, visto che si voleva discutere sul confronto da me avuto con una seguace della teologia riformata.

     Sinceramente, quando si discute di «anti» e «pro» qualcosa (qui anti-calvinismo e filo-calvinismo»), invece di rimanere al merito delle questioni (doppia predestinazione e responsabilità dell’uomo), ritengo tale modo di ragionare soltanto un inutile depistaggio, che fa solo perdere tempo ed energie.

     La versettologia indebita (!) non è caratteristica di un solo movimento, tanto meno dei soli calvinisti, ma è una «gramigna», che si trova in tutte le dominazioni. Essa è sbagliata a prescindere da chi la usa.

     Quando io confuto il pensiero altrui, metto l’enfasi sugli argomenti, evitando la violenza verbale e addirittura certi termini (p.es. ho bandito dal mio linguaggio termini come «eretico, eresia» per descrivere il pensiero altrui). Locuzioni come «fornicazione spirituale» sono del tutto fuori posto.

     Riguardo al TULIPano, io possono condividere singoli punti, ma non tutti; essi si basano su scelte fatte a monte nella contingenza storica del tempo, come risposta all’arbitrio dottrinale del romanesimo. Io preferisco l’esegesi contestuale, che illumina ogni questione, mostrandone varie sfaccettature.

     Quanto a Giovanni 3,16ss, il contesto è ben differente (Nicodemo era affascinato da Gesù ed era disposto a capire; i Giudei di Gv 6ss rifiutavano assolutamente Gesù quale Messia). Inoltre, se si guarda da vicino i vv. 13-21, si noterà che il linguaggio cambia (dalla 1a persona alla 3a); ciò significa che tali versi non erano parte del discorso di Gesù, ma erano una nota teologica di Giovanni (cfr. già Gv 1). Infatti, a differenza dei Sinottici, quello di Giovanni è un Evangelo teologico ed, essendo tale, è pieno di tali commenti teologici. In tali versi è quindi espressa la teologia della prima chiesa.

     Tutto il resto è una ripetizione del contributo precedente, a cui ho dato già risposta.

 

 

13. {Gabriele Crociani}

 

Contributo: Quello che mi rattrista, anche se tu non sei coinvolto in prima persona questa volta, è che ci sono già troppe false dottrine da combattere in Italia, principalmente quelle di cattolici, testimoni di Geova e pentecostali, che sono i più diffusi.

     Posso rispondere a Sebastiana Ellera in privato?

     Se siamo messi così male, per esempio, dovremo applicare Gv 13,35: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri». Non mi sono mai morso la lingua e lo farò ancora nel denunciare pazzie evangeliche e pentecostali... Tuttavia conosciamoci, confrontiamoci, ma costruiamo insieme. {22-11-2010}

 

Risposta (Nicola Martella): Non è possibile rispondere a Sebastiana Ellera in privato, avendo ella scelto che io usassi uno pseudonimo per lei.

     L’amore fraterno e l’amore per la verità (2 Ts 2,10) devono andare insieme. La premessa per «arrivare a un amor fraterno non finto» e per amarsi «l’un l’altro di cuore, intensamente», è necessario purificare le proprie «anime [= persone] con l’ubbidienza alla verità» (1 Pt 1,22).

     Su temi controversi è necessario imparare a presentare il proprio punto di vista col rispetto di quello altrui, sebbene non lo si condivida. Ciò può essere fatto soltanto da credenti maturi. Al confronto non c’è alternativa. Neppure un devozionalismo spiritualista lo è.

 

 

14. {Gianni Siena}

 

Al tempo della Riforma, il papa affermò che poteva mandare all’inferno o in paradiso chiunque, ma Calvino reagì e disse la sua che è certamente condivisibile. Qualche calvinista disse che la «predestinazione» era ineluttabile, ma Arminio reagì dicendo la sua che è ugualmente condivisibile.

     Ad opporre calvinismo e arminianismo c’è una mancata attenzione: su quali piani della dottrina biblica posizionare le due tesi? La predestinazione è chiaramente annunciata da Paolo e non solo da lui. Ma lo stesso Paolo sottolinea la grazia di Dio e l’offerta di essa a tutti gli uomini: Dio vuole essere conosciuto da loro e vuole salvarli. Accettare la grazia, significa fare uso del proprio arbitrio, reso libero dall’azione dello Spirito Santo, relativamente al momento della crisi della conversione. Dio fa «tutto» ma invita l’uomo a scegliere. È un momento in cui, come testimoniano diversi credenti, la «presa» dell’inferno s’avverte con grande violenza.

     Dunque? Mi pare che le cose stiano così, come segue: ▪ 1. Dio, sul piano atemporale, sa tutto e ha disposto tutto. ▪ 2. Dio, sul piano storico, ha mandato Cristo e, per mezzo di lui, lavora per salvare tutti gli uomini da un atroce destino. Anche per questo, sul piano storico, il Signore non può essere accusato di voler mandare qualcuno all’inferno: ha fatto per tutti noi (convertiti e increduli) tutto quello che Lui avrebbe potuto e voluto fare. Sul piano atemporale è vero che Dio dispone a suo piacimento: «Non dipende da chi corre o vuole ma dal Signore che decide» (Rom 9,15).

     Il conflitto ideologico esiste perché Dio, buono e amorevole, si rivela come Colui, al quale non si resiste.

     Ciò che può sembrare lo «scandalo» di un Dio, che prevede (= ha «programmato») la rovina di molti (= inferno pieno di reprobi), dovrebbe far riflettere: Questo è lo stesso Dio, che ha sacrificato il proprio Figlio. (Gv 3,16s). Nessun «dio» ha mai fatto una cosa simile!

     Voglio riproporre all’attenzione del fr. Gaetano Nunnari quanto segue. Myer Perlaman (autore de «Le Dottrine della Bibbia») affronta il tema e, «sorprendentemente» per un pentecostale, non prende una posizione pro arminiana. Egli ricorda due predicatori del passato. Uno era arminiano e scuoteva con un’efficace predicazione le comunità calviniste, eccessivamente sicure della loro «predestinazione», circa la loro responsabilità di non «dormire». L’altro (collaboratore del primo) era calvinista e molto efficace nello scuotere comunità che, riguardo alla salvezza, mettevano molta enfasi sulla libera volontà dell’uomo.

     Dunque, sono grato al Signore per avermi dato un cuore, che lo cercava anche quando non lo conoscevo; e per aver rispettato la mia libertà (anche questo è un suo dono). Per non aver forzato la mia scelta per Lui. Sono contento, in un certo senso, che Egli abbia fatto e predisposto tutto dall’eternità.

     So, dalle numerose accuse documentabili, della faciloneria di diversi ministri pentecostali, nell’annunciare un Vangelo a portata di «chiunque»; le relative «conversioni» documentano la mancata concretezza di esse. Ma anche i calvinisti, di un certo estremo, non scherzano. Se il nome di Charles Taze Russell dice qualcosa egli, a causa del «rigido» insegnamento congregazionalista (= presbiteriano «calvinista»), respinse il cristianesimo e fondò la Torre di Guardia. Estremizzare qualche aspetto della Parola di Dio porta, inevitabilmente, all’errore.

     Che uso fare della «predestinazione» sotto questo cielo? Se uno mi chiede: «È vero che Dio potrebbe avermi predestinato all’inferno?», la mia risposta è: «Se tu “vuoi” questo, è già così; ma se tu ritieni indecente questa cosa, c’è un decreto di Dio che ugualmente ti riguarda: credi in Gesù e passerai dalla morte alla vita!». Non posso pensare che quell’uomo sia capace di salvarsi credendo (= volontà schiava del peccato), ma Dio gli parla (=e lo può salvare) attraverso la Parola predicata o annunciata: questo è il nostro compito.

     Faccio una domanda: «Dio che cosa “vuole”, la perdita o la salvezza di quel “predestinato”?». Equivocando, potrei perdere un’anima ma quell’uomo, se vorrà morire, sarà sua responsabilità.

     Io non sapevo, molti anni fa, della disputa esistente, alcuni mi chiedevano e rispondevo, appunto, che il Signore vuol salvare tutti. Leggendo la Bibbia, ho appreso che non tutti saranno salvati, e poi incontrai lo scoglio della predestinazione: «apparente» più che reale! C’è una volontà di Dio che vuole salvare tutti; c’è una volontà di Dio che punirà i peccatori irriducibili; c’è una volontà di Dio che rispetta la scelta dell’uomo, in questo tempo di grazia e di avvertimenti: non durerà «sempre»!

     C’è una conoscenza anticipata di Dio, che ci riguarda tutti. C’è un piano con decreti e disposizioni già predisposto. C’è anche il Libro della Vita nel quale sono stati già scritti solo i nomi dei redenti (Ap 13,8); ma questo libro è una condanna per coloro, che non hanno il privilegio, o è solamente la dimostrazione della giustizia di Dio?! Per questo accetto la «predestinazione condizionale»: Dio ha preannunciato le cose che avverranno, e il preannuncio suddetto sarà confermato dalle scelte che ognuno farà.

     Dio sarà confermato verace, santo e giusto, quando giudicherà (Sal 51,4). Ma la predestinazione, come insegnata da alcuni (= forse, loro malgrado) e come recepita da altri (= forse, erroneamente), porta alla falsa convinzione che Dio sia «ingiusto»: non è così.

     Nel presente è lasciata a ogni uomo una scelta che implica la libertà di ravvedersi o di perire (Mc 16,16). Sforziamoci di conoscere Dio mentre è vicino e si lascia raggiungere dalle nostre invocazioni; al presente, si può ancora dire «oggi» (Eb 3,13).

     Un giorno l’Inferno sarà pieno di peccatori non ravveduti ma, per qualcuno di loro, dovremo sentire l’angosciosa colpa di non averli avvertiti?

     Davanti a una dottrina che, insegnata male e ammetto, mi sconcerta non poco, preferisco pensare (non a torto: ripenso all’impressione nel sentirla da alcuni... e io sono credente!) che Dio non c’entra con la volontà ribelle degli uomini: anch’io ero come loro, peccatore e ribelle.

     Se qualcuno rimprovera Dio d’averlo fatto «peccatore», forse anch’io avrei questo «diritto», ma nessuno ne può fruire (Rom 9,19s). Proprio per la figura del Creatore, Giudice e Sovrano supremo, in Lui non c’è ingiustizia (Rom 9,14); decide e fa quello che vuole (Rom 9,15).

 

P.S.: Il mio richiamo al fratello Nunnari non è polemico, la lettura della sua lettera m’ha suggerito questa riflessione. Non sono calvinista, ma le cose che dice, le condivido sostanzialmente. Naturalmente, se ritiene, sarò felice di sue ulteriori considerazioni: ha tutta la mia stima e l’affetto in Cristo. {22-11-2010}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Teologia_riformata-cfr_GeR.htm

20-11-2010; Aggiornamento: 28-11-2010

 

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