1. ENTRIAMO IN TEMA: Avevo
scritto a una credente per farle i complimenti per quanto gestisce in rete.
Ammetto che in quei giorni non mi sarei sognato di dover parlare con qualcuno di
calvinismo e affini. Tuttavia, lei mi fece anche presente di gestire un sito «di
stampo riformato, ciò che nel tuo sito chiami “sovrastrutture dottrinali”, ma
contiene un po’ di tutto riguardo a ciò che concerne il cristianesimo,
l’apologetica, ecc.». {26-07-2010} Spontaneamente ne è nata una discussione, a
cui non ho potuto sottrarmi.
Le risposi quanto segue. Quanto all’essere «riformati», come in altre cose
(carismatici, avventisti, darbysti, giudaisti, ecc.), ho conosciuto chi nutre
pacatamente
le sue convinzioni e chi ne fa un cavallo di battaglia e una discrimina
essenziale e vede me (e altri) come un campo di conquista. Sono abbastanza
«tollerante» verso i primi, ma molto severo verso i secondi, essendo essi
ideologi.
Spontaneamente ne è nato un dialogo interessante con la mia
interlocutrice. Abbiamo concordato la pubblicazione di questo dialogo, usando
per lei uno pseudonimo. Questo confronto palesa abbastanza bene come funziona la
percezione delle cose e il ragionamento di chi vive con una mentalità calvinista
all'interno di una sovrastruttura, basata sulla «doppia predestinazione».
2. DICHIARAZIONI DI MASSIMA
2.1. LE
QUESTIONI POSTE (Sebastiana Ellena, ps.): Caro Nicola, condivido il tuo
punto di vista e forse immagino anche a cosa alludi. Purtroppo sia da una parte
che dall’altra è spesso una battaglia ad averla vinta arminiani contro
calvinisti. A me non piace nemmeno essere denominata calvinista in
riferimento a una persona, un riformatore. Io non sono nemmeno per
l’ipercalvinismo, altrimenti non starei nemmeno a evangelizzare, nonostante
sia convinta che la salvezza dall’inizio alla fine dipenda solo da Dio e non da
noi, provato anche sulla mia pelle con la mia conversione e penso spesso a
quella di Paolo da Tarso. Non sopporto il focalizzarsi sempre su un argomento,
che nei riformati può essere solo la predestinazione. Io credo fermamente nel
TULIP
[= i cinque punti del calvinismo, N.d.R. (cfr.
qui)], ma non per questo voglio divisioni tra i fratelli evangelici, ci sono
già troppe false dottrine da combattere in Italia, principalmente quelle di
cattolici, testimoni di Geova e pentecostali, che sono i più diffusi.
Bisognerebbe soffermarsi di più e focalizzarsi sulla figura di redenzione di
Cristo, sulle conversioni e sulla salvezza per grazia. Non tanto su come questo
avviene, libero o servo arbitrio, ma sul fatto che avviene e basta.
Capire poi il perché e il per come Dio opera, è per noi impossibile. Quindi, qui
bisognerebbe essere elastici da entrambe le parti, e almeno cercare di non
discutere di questo continuamente. Io sul mio blog parlo di tanto in tanto della
sovranità di Dio e dell’elezione, ma non mi piace fossilizzarmi su
quello. Credo che chi arriva e trova solo di quegli argomenti, possa stufarsi o
farsi una idea sbagliata, quindi meglio spiegare gli insegnamenti di Cristo e
ridurre al minimo certi argomenti che possono essere interpretati male, se non
conosciuti bene.
Se fossi stata così estremista, non avrei nemmeno perso tempo nel sito, in cui
tratto le dottrine mariane, tanto la salvezza dipende da Dio e chi se ne importa
dei cattolici; ma Gesù ha detto di predicare per dar la possibilità di
convertirsi agli altri (che per me sono gli eletti e per te sono tutti). […]
Per non parlare poi del liberalismo esteso purtroppo anche in ambito
riformato (i valdesi che hanno perso tutti i principi conservativi della Riforma
e si sono adeguati alle dottrine moderne, ma tu questo già lo saprai). Tu mi
citi anche i pentecostali, beh con quelli sono molto critica e severa e non li
paragono ai Fratelli (con i quali grossomodo il problema è solo quello del
libero arbitrio). […] {26-07-2010}
2.2.
OSSERVAZIONI E OBIEZIONI (Nicola Martella): Ammetto che i confronti fra
arminiani e calvinisti non mi riscaldano per nulla, sia perché non mi
ascrivo a nessuno di questi due fronti, sia perché sono di matrice esegetica e
non dogmatica. Lo stesso dicasi, quindi, di discussioni filosofiche su «libero
arbitrio» e «servo arbitrio»; chi ha relativamente pochi frammenti in
mano, pretende di dire qualcosa di assoluto sull’immenso mosaico
dell’esistenza!? Non ho problemi con la «sovranità di Dio» né con «l’elezione»
(intesa come suo programma, non come fato; Israele ne è l’esempio: eletto
e nel complesso attualmente perduto). Come esegeta sono allergico però a
filosofie dottrinali quali la «doppia predestinazione» o l’ipercalvinismo,
figlie più della cultura islamica di quel tempo che dell’esegesi biblica
contestuale.
Il Signore Gesù ha dato il grande mandato; non è opzionale praticarlo. Se
gli eletti sono coloro che poi si convertono, allora il grande eletto,
Israele, spariglia tale equazione. Da due millenni, se si prescinde da
relativamente poche eccezioni («l’Israele di Dio» o il residuo all’interno delle
chiese a maggioranza gentile), uomini e donne d’intere e molteplici generazioni
hanno rifiutato Gesù quale Messia e sono perduti. Dio non ha abbandonato il suo
programma (elezione d’Israele), ma lo realizzerà con la generazione d’Israele
del tempo della fine. Se tuttavia l’elezione fosse «irresistibile»,
qualcuno deve aver fallito riguardo a Israele; io non penso che sia così, e il
«consiglio» di Dio è un puzzle troppo grande per essere sondato da chi ha
poche tessere in mano, ma pretende lo stesso di poter dire qualcosa di assoluto,
in un modo o in un altro.
Quanto al liberalismo dei riformati, non è da prendere sotto banco, essendo un
fenomeno sempre più vasto nel mondo. Non so come ciò si possa conciliare con la
dottrina (iper-)calvinista dell’elezione; qualche conto potrebbe non tornare. In
ogni modo, sui nostrani Valdesi e sul resto della BMV (Federazione) ho scritto
sul mio sito. [►
Denominazioni (generale), alle voci «Battisti», «Valdesi»]
3. MAGGIORI DELINEAMENTI
3.1. LE
QUESTIONI POSTE (Sebastiana Ellena, ps.): Caro Nicola, […] Per la
teologia riformata non si tratta d’ideologia dal mio punto di vista, ma di
fede al testo e contesto biblico. Mentre trovo l’arminianesimo impregnato
di cultura umanistica e frutto della mente umana. Come vedi pensiamo la stessa
cosa l’uno dell’altro, ma non è un problema questo.
Per quanto riguarda Israele, il popolo eletto, a me i conti tornano
perfettamente, perché l’apostolo Paolo, parlando dei «suoi fratelli di sangue»,
si dimostra dispiaciuto per il fatto di non aver accettato il Messia, ma ammette
che questo è il piano di Dio che ha
volutamente
indurito i loro cuori, come ha sempre fatto con chi ha voluto (Avrò misericordia
di chi avrò misericordia e compassione di chi avrò compassione), affinché la
salvezza si estendesse anche ai Gentili. Ma anche Israele alla fine sarà salvato
perché Dio adempie le sue promesse, con loro ha un patto, il patto di Abramo,
e con noi gentili questo patto è Cristo.
La doppia predestinazione deve esser pur vera, visto che se esiste
un’elezione alla salvezza, di conseguenza vi è anche quella alla perdizione. Non
mi riesce difficile digerire questo concetto (elezione / non elezione), perché
lo trovo ovunque nella Bibbia, supportato da riferimenti biblici e dalla mia
logica, nonché dalla mia esperienza personale. Trovo anche che ad esempio se
preghiamo continuamente affinché una persona si converta e questa non si
converte, la volontà di Dio è che quella persona non è un eletto.
Nonostante questo dobbiamo continuare a pregare fino alla fine, perché nessuno
di noi conosce chi sono gli eletti, ma solo Dio conosce «i suoi». Trovo
che la teologia riformata sia in assoluto la più aderente al testo
biblico.
Nella Bibbia si parla di «eletti alla salvezza», che non vuol dire
assolutamente che Dio preconosceva chi lo avrebbe seguito (che sovranità sarebbe
questa?). Dio ha un piano, e Dio non ha bisogno della nostra cooperazione alla
salvezza, e trovo anche che la grazia irresistibile sia un concetto
perfettamente in armonia con la Bibbia; allo Spirito Santo / a Dio non si
resiste. Noi siamo nel peccato e spiritualmente morti, se non ci mette mano
Dio, che dona la fede (lo dice la Bibbia, «la fede è un dono di Dio» e non si
domanda un dono o la grazia; si parla della cosiddetta chiamata interiore che ha
avuto Paolo, che ho avuto io e tanti altri). Questo concetto di resistere allo
Spirito è assurdo e fa acqua da tutte le parti; «la fede è un dono di Dio e
la salvezza non è per opere, affinché nessuno se ne vanti», e nelle opere è
compresa anche la nostra «volontà» ad avvicinarci a Dio, è pur sempre una nostra
bravura che ci fa meritare la salvezza. L’elezione a salvezza significa proprio
quel che è scritto, che Dio ha scelto alcuni a salvezza; e Cristo sarebbe
morto per molti e non per tutti. Che dirti? È cosi per me.
Ci sarebbero tante cose da dire sulla predestinazione ma non mi sembra il caso
di continuare, visto che la pensiamo diversamente. {27-07-2010}
3.2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI (Nicola Martella): Quanto alla teologia
riformata, io diffido da approcci di «teologia dogmatica», qualunque essi
siano (arminianesimo, calvinismo, ecc.), essendo essi di natura filosofica. Si
veda in merito in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Teologia
biblica e dogmatica: confronti», pp. 252s (i due approcci alla Scrittura a
confronto); «Teologia biblica» (approccio esegetico), pp. 353s; «Teologia
dogmatica», pp. 356s (approccio dottrinale).
Io preferisco l’esegesi contestuale e la «teologia biblica (o
esegetica)», da cui risulta non la «teologia del patto unico» (calvinismo), ma
la «teologia dei patti». Si veda in merito nel
Manuale Teologico dell’Antico Testamento gli articoli:
«I patti e gli altri approcci», pp. 31-53 (un confronto fra la teologia dei patti, quella del patto unico e quella delle
dispensazioni); «Sistemi teologici», pp. 332ss (sintesi parziale dell’articolo
precedente); «Teologia del patto e l’AT», pp. 354ss (analisi della teologia del
patto unico del calvinismo).
Inoltre, l’Europa di quei secoli aveva respirato la cultura islamica proveniente
dalla Spagna (ma anche dai Balcani e da varie zone d’Italia, come la Sicilia);
questo aspetto è stato trattato sul mio sito nell'articolo «
La predestinazione dell’individuo, figlia d’una cultura umanistica» {Nicola Berretta}.
Quanto a
Israele, non posso che dissentire. Esso è il «popolo eletto» e proprio
Israele mostra che la grazia (o l’elezione) non è irresistibile, ma che bisogna
entrare personalmente nel patto, prendendone il giogo dell’ubbidienza. Sono
stati i Giudei a indurire i loro cuori; a ciò si deve l’appello a non farlo (Eb
3,8.15; 4,7). Dio indurisce (definitivamente) i cuori di coloro, che lo
induriscono.
In Giovanni 12 viene detto che i Giudei non credevano che Gesù fosse il
Messia, sebbene egli avesse fatto tanti miracoli in loro presenza (v. 37).
Perciò Giovanni stesso trasse due conclusioni profetiche: ▪ 1. Essi non hanno
creduto (v. 38 causa); ▪ 2. Fu impedito loro di credere, dopo che Dio aveva
indurito i loro cuori (vv. 39s conseguenza). ▪ 3. Nonostante ciò, c’erano coloro
che credettero di nascosto (vv. 42s eccezione). Così anche Paolo fece la
differenza fra il popolo e il residuo. Egli affermò che Dio non ha reietto il
suo popolo (Rm 11,1s); anzi per essere fedele alla «elezione della grazia», ha
lasciato un residuo santo (v. 5). La massa d’Israele, pur essendo eletta, non ha
ottenuto quanto promesso, ma è stata indurita (avendo rifiutato Gesù quale
Messia), ma il residuo ha ottenuto ciò (vv. 7s).
Lo stesso procedimento lo troviamo in altri casi nella Scrittura: il Faraone
indurì il suo cuore e Dio glielo indurì. A distanza di secoli dall’accaduto, i
sacerdoti e gli indovini dissero ai Filistei: «E perché indurireste il cuore
vostro come gli Egiziani e Faraone indurirono il cuore loro?» (1 Sam 6,6).
Così vediamo sia l’azione di Dio (Es 4,21; 7,3; 9,12; 10,20.27; 11,10;
14,4.8.17), sia la responsabilità umana (Es 7,13.22; 8,19; 9,35). Chi cerca la
verità, deve tener presente ambedue gli aspetti.
Comunque, non è mai scritto riguardo agli Israeliti che «Dio che ha
volutamente indurito i loro
cuori… affinché la salvezza si estendesse anche ai Gentili». Questa è
un’asserzione ideologica, non esegetica. È scritto invece: «Per la loro
caduta la salvezza è giunta ai Gentili per provocarli a gelosia» (Rm 11,11).
Qui viene dichiarato semplicemente un fatto storico di causa ed effetto, non che
ciò fosse stato originato da Dio.
Mi meraviglia la seguente asserzione: «Ma anche Israele alla fine sarà salvato
perché Dio adempie le sue promesse, con loro ha un patto, il patto di
Abramo, e
con noi gentili questo patto è Cristo». Questa è una catastrofe teologica.
Nel nuovo patto Dio ha un solo modo di salvare: Cristo e, quindi, per grazia
mediante la fede. Paolo aveva scongiurato «Giudei e Greci a ravvedersi
dinanzi a Dio e a credere nel Signor nostro Gesù Cristo» (At 20,21). E
sebbene Cristo crocifisso fosse per i Giudei uno scandalo e per i Gentili una
pazzia, egli ribadiva che «per quelli, i quali sono chiamati, tanto Giudei
quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor
1,22ss; cfr. 12,13 un «unico corpo»). Essendo Cristo il seme d’Abramo, chi crede
in Lui anche fra i Gentili diventa similmente seme d’Abramo e suo erede (Gal
3,28s).
La doppia predestinazione è una costruzione filosofica, basata sulla
deduzione e non sull’esegesi. I dogmatici pretendono di poter guardare nel
consiglio di Dio; questa è arroganza ideologica. Quando si cerca la verità
riguardo a Dio, bisogna mettere in campo le sue qualità ritenute antitetiche:
amore e verità, misericordia e giustizia, salvezza e giudizio, e così via. Solo
così riusciremo a capirlo in modo verace, senza fare ideologia e renderlo un
idolo dell’umanesimo sentimentalista (solo e tutto amore) o del massimalismo
legalista (solo e tutto giudizio). Lo stesso deve avvenire con l’azione di
Dio verso il mondo: ▪ 1. Dio è formalmente libero di salvare chi vuole,
visto che tutti sono perduti (Mt 10,28; Gv 3,36); ▪ 2. Dio vuole che tutti gli
uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità (1 Tm 2,4); ▪ 3. Dio
ama tutto il mondo e ha dato per esso suo Figlio (Gv 3,16) e in Cristo ha
riconciliato il mondo con sé (2 Cor 5,19); ▪ 4. Nonostante tutto ciò, nessuno
viene salvato d’ufficio, senza entrare nel nuovo patto e senza accettare Gesù
quale Messia, ossia come personale Salvatore e Signore (At 2,38; 3,19; 8,37;
16,31; Rm 10,9s). ▪ Poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé, abbiamo la
promessa che chiunque cerca Cristo, Egli si farà trovare da lui e non lo caccerà
fuori (Gv 6,27-40).
Chi annulla tale tensione, fa ideologia dogmatica; lo stesso vale per chi
polarizza tale vasto spettro in una direzione o nell’altra. Per comprendere
l’azione di Dio verso il mondo, bisogna tener presente tutte le questioni
antitetiche, senza dover necessariamente arrivare a una sintesi.
Non spetta a noi stabilire con una deduzione da falso sillogismo che se
una persona non si converte, sebbene preghiamo continuamente per lei, ella non è
eletta da Dio. Non abbiamo la capacità di verificare tutti gli aspetti del
problema in modo oggettivo e non sappiamo neppure come la cosa andrà veramente a
finire. Fatto sta che «chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvato»
(At 2,21; Rm 10,13). Poche tessere di un grande puzzle non ci permettono di
trarre false conclusioni di comodo; lasciamo che Dio sia Dio.
Quanto al fatto che Dio conosca «i suoi», ciò è vero. Tuttavia, la
questione ha per Paolo due facce della stessa medaglia: «Ma pure il
solido fondamento di Dio rimane
fermo, portando questo sigillo: “Il
Signore conosce quelli che sono suoi”; e: “Si ritragga dall’iniquità
chiunque nomina il nome del
Signore”» (2 Tm 2,19). Anche qui c’è l’aspetto divino e quello umano, che
concorrono a formare quell’unico fondamento. Se abbiamo a che fare con coloro,
che aderiscono alla teologia riformata e si credono «eletti» per dottrina, ma la
cui condotta è peccaminosa, questo principio ci permette di dichiararli come dei
malvagi, che bisogna allontanare dalla comunione dei santi (cfr. 1 Cor 5,11s).
A chi afferma di trovare che «la teologia riformata sia in assoluto la
più aderente al testo biblico», rispondo che sono allergico a tutte le
teologie dogmatiche e riconosco soltanto la «teologia esegetica».
È vero che si parla di «eletti a salvezza» (p.es. 2 Ts 2,13), parlando a
un’intera chiesa, ma non dice quanti essi lo siano né se tutti gli eletti siano
poi salvati. L’elezione è il piano di Dio nella storia e la possibilità
che si possa accedere al suo patto di salvezza; ho già parlato sopra del
pericolo della polarizzazione ideologica e delle falsi deduzioni. Anche in tale
brano si coglie tale tensione, che bisogna lasciare, fra libertà
dell’uomo e arbitrio di Dio. Ci sono coloro che «periscono,
perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere
salvati» (v. 10). Qui non si afferma che non avrebbero potuto aprire il loro
cuore, perché non eletti, ma semplicemente che «non hanno creduto alla
verità, ma si sono compiaciuti nell’iniquità» (v. 12). E siccome hanno agito
così, «Dio manda loro efficacia d’errore cosicché credano alla menzogna,
affinché… siano giudicati» (vv. 11s). Anche qui vediamo il principio: Dio
indurisce coloro che s’induriscono.
L’altro aspetto della medaglia è la gratitudine e la responsabilità
di coloro che Dio ha «eletti a salvezza»; se da una parte, c’è quale attuazione
«la santificazione nello Spirito» (aspetto divino), dall’altra, c’è
l’esercizio della «fede nella verità» (v. 13). Paolo non affermò qui un
automatismo, ma evidenziò la responsabilità come in 2 Tm 2,19. Il piano di Dio è
glorioso (2 Ts 2,14), ma anche la responsabilità è evidente: «Fratelli, state
saldi e ritenete gli insegnamenti» (v. 15). Questa bipolarità o tensione
riguardo all’elezione (quale piano di Dio a salvezza, non come sorte
inesorabile) bisogna lasciarla così com’è, senza cedere alla tentazione di
pericolose sintesi
in un modo o nell’altro.
La teologia dei patti mostra che è sempre e solo Dio a chiamare per la
sua grazia, ma ciò non basta: bisogna anche entrare nel rispettivo patto! Lo
sapeva bene Abramo, che chiese a Dio specifiche garanzie riguardo alle sue
promesse (Gn 15), che Dio adempié mediante una stipulazione formale. Lo sapeva
anche Dio, quando chiese ad Abramo di prendersi le sue responsabilità,
camminando alla sua presenza come uomo integro (Gn 17). Lo sapevano ambedue,
quando Dio affermò che l’ubbidienza di Abramo e della sua progenie avrebbe
permesso a Dio di attuare le sue promesse e di elargire loro i privilegi (cfr.
Gn 26,3ss).
La cosiddetta «grazia irresistibile» è una di quelle etichette dogmatiche
che la teologia biblica non conosce. Che a Dio (o al suo Spirito) non si
resista, è una costruzione mentale possibile soltanto all’interno di una
sovrastruttura ideologica. Se andiamo all’esegesi, prendiamo atto
dell’avvertimento e del lamento di Dio: esiste la possibilità di resistere a Dio
(Lv 26,40), e cioè con la condotta (Lv 26,21.23.27) e non volendo ascoltare la
sua parola (Lv 26,21.27).
Tralascio alcuni aspetti finali, perché contorti. È sintomatico dell’(iper-)
calvinismo quale sovrastruttura dogmatica, asserire cose per deduzione (p.es. «Dio
ha scelto alcuni a salvezza») e non per prova esegetica contestuale, che non
esiste. Poi ci si appella al fatto che Cristo sarebbe «morto per molti e
non per tutti». Purtroppo qui c’è soltanto ignoranza linguistica e culturale
rispetto all’ebraismo. Gli Ebrei dicevano «per i molti / per i tanti» per
significare l’immensurabile quantità; ciò corrispondeva spesso al nostro
tutti. Se così non fosse, la Bibbia si contraddirebbe in punti salienti.
Si noti che in Adamo «i molti
sono morti» e «la grazia di Dio e il dono… hanno abbondato verso i
molti» (Rm 5,15; cfr. Is 53,11
«renderà giusti i molti»); sarebbe un grande errore di sintassi estendere
il primo «molti» a tutti e il secondo ai soli eletti. E questo tanto più che
pochi versi dopo Paolo usò il «tutti»: «Come dunque con una sola
trasgressione la condanna si è estesa a
tutti gli uomini, così, con un solo atto di giustizia la giustificazione
che dà vita s’è estesa a tutti gli uomini»
(Rm 5,18).
Nella stessa lettera di Cristo è detto che è morto per «portare i peccati di
molti» (Eb 9,28) e che «gustasse la morte per tutti» (Eb 2,9).
Similmente Paolo affermò di lui che «uno solo morì per tutti» (2 Cor
5,14). Per Giovanni «egli è propiziazione per i
nostri
peccati; e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di
tutto il mondo» (1 Gv 2,2; cfr.
Rm 5,18).
►
Confronto con una seguace della teologia riformata. Parliamone {Nicola
Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Teologia_riformata-cfr_UnV.htm
22-09-2010; Aggiornamento: 21-11-2010 |