Qui di seguito discutiamo l’articolo «Decantare
la figlia di Iefte». Il lettore cattolico, che ha posto la questione,
voleva vedere in tale glossa una celebrazione religiosa e inesistenti
paralleli con le feste in onore all’Eterno. Sebbene gli avessi chiesto
l’obiettivo di una tale questione, lui l’ha lasciato inespresso. Eppure in tutta
la descrizione della questione, da lui fatta, traspariva l’intento di voler
giustificare da una glossa la venerazione religiosa d’oggi verso beati,
santi e patroni. Alla luce della nostra analisi letteraria, storica, culturale
ed esegetica, tale intento risulta essere come cavar sangue dalle rape.
Le asserzioni dottrinali devono derivare non da glosse disseminate nei libri
storici, ma da chiare incontrovertibili asserzioni teologiche, provenienti dai
libri profetici dell’AT e dai libri didattici del NT. Isaia chiedeva
retoricamente: «Un popolo non deve interpellare il suo Dio? Si rivolgerà ai
morti per i vivi?» (Is 8,19); poi ingiungeva che ci si rivolgesse
all’insegnamento biblico della Torà e alla Testimonianza (= Decalogo).
Nella sacra Scrittura la venerazione religiosa di persone morte porta un solo
nome:
idolatria.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster
(E-mail)
Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli
firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito
può dare uno pseudonimo, se richiesto.
I contributi sul tema ▲
(I
contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.
I
contributi attivi hanno uno sfondo bianco)
Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante
1. {Davide
Forte}
▲
■
Contributo: Nicola, grazie del tuo
commento. Non ci sono dubbi su quello, che dici: fu una ricorrenza non
religiosa, un monito per le vergini d’Israele, ad aver riguardo e rispetto
alla fedeltà dei loro genitori, anche quando a nostro parere, crediamo che
sbaglino! Da questo episodio storico anche noi impariamo molte cose: ▪ 1.
Dobbiamo confidare meglio in Dio, nostro Padre, cioè se è Lui che ci chiama, per
risolvere una questione di qualsiasi natura, dobbiamo credere che sarà al nostro
fianco fino al compimento della cosa. ▪ 2. Se dobbiamo promettere a Dio
qualcosa, deve essere una cosa nostra e non quella, che il fato ci mette
davanti. ▪ 3. Mai fare promesse avventate, a cui potremmo venir meno. ▪ 4. Per
ultimo, se dobbiamo offrire a Dio qualcosa, dev’essere qualcosa di nostro e non,
come in quel caso, qualcosa che certamente Dio non gradì; tuttavia Egli guardò
alla sua fedeltà, che fu gradita e pure premiata.
Certamente, la domanda, che ti è stata posta, aveva un fine insidioso:
quello di
giustificare le ricorrenze patronali, che i cattolici hanno, ora a favore di
uno, poi a quello di un altro. Con queste feste loro sollazzano la carne e
niente più. A questi Gesù dovrà rispondere: avete avuto i vostri beni e siete
stai saziati. Pace, fratello Nicola. {16-07-2011}
▬
Risposta (Nicola
Martella): Al centro della nostra attenzione in questo confronto non
stano tanto le gesta del valoroso Iefte né le conseguenze del suo
maldestro voto per la sua anonima figlia, quanto la glossa dell’autore
relativa a tale usanza delle donne della zona di cantare lamenti in onore
a lei nell’anniversario della sua morte.
Non si trattava di una ricorrenza religiosa, essendo limitata alle sole donne e
mancando tutti gli elementi tipici delle feste in onore dell’Eterno: i
maschi che si recano al santuario centrale, l’assemblea solenne il primo e
l’ultimo giorno, i sacrifici, i riti specifici alla ricorrenza, eccetera.
È fuori dubbio che l’amico cattolico abbia cercato in questa nota marginale un
appiglio per giustificare le ricorrenze patronali del cattolicesimo romano.
Certo bisogna avere molta fantasia, per proiettare in questa breve glossa tale
devozione religiosa.
2. {Pietro
Calenzo}
▲
Un uso o una
consuetudine ha, anche per la giurisprudenza, un valore definito nello
spazio e nel tempo e ha una sua valenza territoriale solo in assenza di
qualsiasi altra norma, che la divieti. Ad esempio, anche l’apostolo Paolo parla
di un uso, che riporta soltanto una volta, il battesimo per i defunti
(uso ripreso da una setta ereticale di frangia come i Mormoni), ma non per
confermarlo, ma per attestare una verità scritturale assoluta e superiore,
quella della resurrezione dei credenti.
Nel caso della
figliola di Iefte si può affermare, senza dubbio, che delle giovani donne
si radunavano ogni anno per quattro giorni presso un determinato posto. Nulla fa
pensare che tale raduno dalle radici popolari si sia perpetuato nel
tempo, tant’è che questo passo in Giudici è l’unico nella Scrittura, che parla
di tale rimembranza, mai perpetuata, e ben distinta dalle feste liturgiche
espressamente ordinate dalla Torah in onore dell’Eterno. È un episodio
folkloristico locale e non perpetuato nel tempo; è come un breve articolo di
cronaca, che racconta per esempio che ogni anno si radunano, in un determinato
luogo, dei bersaglieri, per onorare il corpo, una sua vittoria o un atto
eroico. Eziologia appunto. Benedizioni nel Signore Gesù Messia. {17-07-2011}
3. {Salvatore
Gallo}
▲
■
Contributo: […]
Ti consiglio di andare al testo ebraico
e al verbo tanah, che ricorre anche
in Giudici 5,11 e in altri libri biblici, ammesso che tu abbia studiato
l’ebraico biblico. È lì una delle chiavi risolutive della questione.
{16-07-2011}
Ti manderò lo studio esegeticamente accurato su Giudici 11,39-40. Pace.
{17-07-2011}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): Finora non è arrivato nulla di quanto prospettato, rispondo
quindi a ciò, che c’è, visto che non posso tener aperto un tema all’infinito.
Di là dal fatto che la
traduzione proposta da me è letterale, non ho problemi ad andare a ricontrollare
nell’ebraico. Ma ciò non aggiunge o toglie nulla all’intero impianto del
ragionamento. Mi fa piacere, quando si preferisce alludere alla mia ignoranza
linguistica, dando se stesso per dotto in materia; ciò mi permette solo di
spiegare meglio le cose in dettaglio.
Per prima cosa il verbo tanah II non si trova «in altri libri
biblici», come presume il mio competitore, ma solo due volte in tutto l’AT,
e cioè in Giudici 5,11; 11,40 nella forma di Piel infinito tanôt. Viene
visto un parallelo semantico con šānāh «ripetere» (= aram. tana’).
Ripropongo la traduzione letteraria di Giudici 11,40: «E divenne
un’usanza in Israele: di anno in anno, le figlie d’Israele vanno a decantare
la figlia d’Iefte, il Galaadita, per quattro giorni l’anno». Gli studiosi
intendono in Giudici 11,40 l’innalzare canti lamentevoli.
In Giudici 5,11 il testo recita letteralmente: «Più forte dei
distributori d’acqua tra gli abbeveratoi, essi decanteranno gli atti di
giustizia dell’Eterno, gli atti di giustizia verso gli abitanti [o i capi] in
Israele. Allora il popolo dell’Eterno discese alle porte».
È veramente difficile voler trarre da un verbo, che ricorre solo due volte e
solo nello stesso libro, una dottrina particolare, che permetta la
celebrazione religiosa di persone defunte, ossia di beati, santi e patroni del
cattolicesimo romano.
▬
Replica (Salvatore
Gallo): Per tua informazione il verbo «tanah»
compare eccome in altri libri biblici oltre che nel libro dei Giudici! In
Osea 8,9 alla forma Hiphil e in Osea 8,10 e Salmo 8,2 alla
forma Qal. Questo è quanto afferma la «Concordanza ebraica dell’AT» di Lisowski,
edito dalla Società biblica tedesca. {18-07-2011}
▬
Risposta 2
(Nicola Martella): I versi citati dal mio interlocutore sono ben conosciuti da
me, ma non appartengono alla stessa radice verbale tanah
II, che come detto ha paralleli semantici con šānāh «ripetere» (= aram.
tana’) e ricorre solo in Giudici. Tali versi appartengono alla radice
verbale tanah I, di dubbia esistenza per alcuni studiosi, che
fanno derivare jitenû (Os 8,10) e hitenû (Os
8,9) dalla radice verbale tanan, quindi tutta un’altra cosa. Per
tenāh in Salmo 8,2 le cose sono ancora più ingarbugliate,
poiché viene fatto derivare dalla radice verbale naṭah,
in corrispondenza con la Settanta, e da altro.
Inoltre, se si leggono tali brani nelle Bibbie italiane, non ci vuole una
particolare competenza linguistica per accorgersi che non hanno nulla in
comune con le asserzioni di Giudici 5,11; 11,40. Quindi, perché il mio
interlocutore non ha tenuto presente già questo? Non ha letto tali brani per
rendersene conto? Anche in italiano abbiamo forme simili nel grafema, che
appartengono però a radici verbali differenti; si veda, ad esempio: càpitano,
capitàno, capitanò, capitò, capìto.
Perciò, il mio interlocutore farebbe bene a portare argomenti ben più solidi che
quelli linguistici, per i quali ci vuole maggiore competenza. Non basta
al riguardo solo una concordanza!
4. {Salvatore
Gallo}
▲
■
Contributo: Nicola, rispondo in parte alla
tua ultima replica. La concordanza ebraica di «Bibleworks 7» (WTM, JDP -
Groves-Wheeler Westminster Morphology and Lemma Database (WTM) afferma proprio
il contrario di quanto hai detto. Sia in Osea 8,9 che in Osea 8,10 il verbo non
deriva alla radice verbale tanan come tu dici, ma dalla radice
tanah, la stessa di Giudici! {24-07-2011}
▬
Risposta 1 (Nicola Martella): Una
concordanza non può affermare il contrario di una cosa, visto che è solo
l’elenco di versi sotto un certo lemma, senza distinguere le differenti radici
verbali. Se in Osea 8,9-10 c’è il verbo «tanah II» come in Giudici, mostrami
una sola traduzione in tuo possesso, che traduca tali versi con lo stesso
significato di Giudici 5,11 e 11,39-40. Io ho scritto che si trova «tanah I»,
ossia un’altra radice con un altro significato. Allo stesso modo, se avessimo
solo il testo consonantico in italiano, avremmo un «CPT I» (da cui
«capìto» da capire) e un «CPT II» (da cui «capitò» da capitare).
Comunque, mi sono stancato del tuo cavillare e speculare. Gonfiare pulci,
per farli apparire elefanti, è solo ideologia.
Penso che possiamo chiudere qui questo argomento.
▬
Osservazioni
(Pietro Calenzo): Caro Salvatore, le
pulci quando si gonfiano troppo, fanno boom... e non rimane nulla. {24-07-2011}
▬
Replica (Salvatore Gallo): Quale
concordanza usi? Io te ne ho citato due. E tu? {24-07-2011}
▬
Risposta 2 (Nicola Martella): Non basta
usare una concordanza, devi usare un dizionario d’ebraico, in cui viene
fatta una differenza fra le diverse radici verbali. In ebraico è un fenomeno
ricorrente quello di avere lo stesso grafema consonantico, ma termini che
appartengono a radici differenti e che hanno quindi significati
differenti.
Possiamo
terminare tale corso d’ebraico?
5. {Salvatore
Gallo}
▲
■
Contributo: Sulla traduzione del Salmo
8,2 le uniche traduzioni compatibili... senza toccare il testo consonantico
sono:
● 1. TILC: «Canterò
la tua gloria più grande dei cieli».
● 2. The Complete Jewish Bible
dell’ebreo messianico D. Stern: «The fame of your majesty spreads even
above the heavens!» («La fama
della tua maestà si diffonde anche al di sopra dei cieli!»).
● 3. Brenton traduce Ia
LXX: «For thy magnificence is exalted above the heavens» («Per la tua
magnificenza è esaltato [il tuo nome] nei cieli», ossia è celebrato; The
English Translation of The Septuagint Version of the Old Testament by Sir
Lancelot C. L. Brenton, 1844, 1851, published by Samuel Bagster and Sons).
E il senso di Osea
è quello riferito alle nazioni come «amanti» d’Israele. Siamo di fronte a
un Israele che si prostituisce politicamente e idolatricamente
alle nazioni pagane. Le traduzioni non rendono questo aspetto. {24-07-2011}
▬
Risposta (Nicola Martella): Non eravamo
rimasti a Osea 8,9-10? Dove sta la precisa corrispondenza
terminologica come nei brani di Giudici? Le cose che leggo sopra, non
chiariscono questo aspetto, che è quello essenziale. Il verbo qui ricorrente è «tanah
I» ed è reso da Gesenius in tedesco con «dingen», che corrisponde
all’italiano «prendere al servizio, assoldare, corrompere, sedurre».
Gesenius mette il tanah del Salmo 8,2 sotto «tanah I», che per
Wellhausen e Marti provengono da natan. Egli scrive: «È del tutto poco
chiaro tenāh
in Sal 8,2 (forse naṭah, vedi la
LXX...)», ecc. Gulkel pensa a un tunnāh (da tanah II). [Wilhelm
Gesenius, Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch über das Alte Testament
(Leipzig 1910, 15 Auf.; elaborata da Frantz
Buhl), p. 876.]
In ebraico ci sono varie radici simili, imparentate a volte anche con
quelle aramaiche, che sono sinonimiche fra loro; altre radici, invece,
pur essendo simili nel grafema, hanno una genesi del tutto differente.
Tuttavia, essendo tale brano dei Salmi controverso, non aggiunge nulla di
sostanziale al tema di Giudici 11,39-40.
A me sembra che a Salvatore Gallo piaccia ricamare sulle pulci,
gonfiandole a dismisura, nell’intento di coprire gli elefanti testuali evidenti.
Per tale gioco inutile e sterile non ho altro tempo da dedicare.
Fine della corsa? Speriamo...
6. {Antonio
Nappo}
▲
■
Contributo 1:
Ma insomma, che dobbiamo istituire la festa delle donne? Ma già è stato
fatto. Qua la gente sta andando all’inferno e non accetta il dono della
grazia di Dio a causa di pseudo informazioni e noi pensiamo alle feste?
{24-07-2011}
■
Contributo 2: Il credente celebra il
nome del Signore, perché ha sperimentato la sua salvezza. Ora, che lo si
dica con la radice semantica o senza traduzioni compatibili, la cosa importante
è che si celebri il nome del Signore per la sua misericordia. Ringraziato
sia il Signore Gesù Cristo perché per mezzo di Lui abbiamo la possibilità
di chiamare DIO con il nome di «Abbà - Padre». Salvatore Gallo, lo fai
anche tu? {24-07-2011}
▬
Osservazioni (Davide Forte): Amici e
fratelli, quello che vi racconto ora, è un fatto vero, che fu annotato e
raccontato da uno scriba nel 70 d.C. Fuori del tempio i Romani facevano
stragi di Ebrei, non risparmiavano né donne e né bambini, uccidevano
chiunque non fosse romano. Invece, sacerdoti e scribi erano nelle segrete e
scantinati del tempio a scervellarsi di sapere quanti demoni potevano
stare su una capocchia di uno spillo, se erano cento o mille. Tutto
questo accadeva, mentre Gerusalemme veniva distrutta dal nemico.
La stessa cosa vedo fare a voi; «scusatemi», giustamente il fratello Antonio
Nappo dice: Qui la gente muore senza la grazia di dio; è noi ce né stiamo comodi
a fare esegetica a noi stessi. Evitiamo discorsi infruttuosi e diciamo
alla gente che tutto quello, che l’uomo non è stato in grado di fare a motivo
del peccato, lo ha fatto Gesù e che tutto ci è stato donato, se solo
crediamo che Gesù è l’agnello propiziatorio donatoci dal Padre. Gesù ha reso
facile questo cammino di fede dicendo: «E questa è la vita eterna: che
conoscano te, il solo vero Dio [il Padre], e colui che tu hai mandato, Gesù
Cristo» [Gv 17,3]. Tutto qui! Perdonatemi la mia non è ironia; ma una
constatazione di fatto. Pace. {24-07-2011}
▬
Risposta (Nicola Martella): Capisco
l’approccio evangelistico di Antonio Nappo e di Davide Forte e condivido
l’aneddoto proposto, che ci mostra le conseguenze delle speculazioni. Tuttavia,
sebbene io cerchi da tempo di fermare Salvatore Gallo in questo suo approccio
speculativo, oramai diventato pressoché compulsivo, non posso condividere
fino in fondo tale ragionamento.
Se bastava evangelizzare, Paolo poteva risparmiarsi tutte le sue epistole
apologetiche, in cui difende la verità biblica dinanzi a vari estremismi e varie
false dottrine. Faccio notare che anche lui evidenziò il dettaglio, ad esempio:
«Ora, ad Abramo furono fatte le promesse e alla sua discendenza. Egli non
dice: “E alle discendenze”, [quindi] di molte; ma di una [sola]: “E alla tua
discendenza”, che è Cristo» (Gal 3,16).
Se bastava evangelizzare, lo Cristo poteva risparmiarsi di dare alla
chiesa «gli uni come missionari [fondatori = apostoli]; e altri, come
proclamatori [= profeti]; e altri, come araldi [= evangelisti]; e altri, come
curatori d’anime [= pastori] e insegnanti [= dottori]», per equipaggiare i
credenti in modo opportuno e farli maturare nel carattere e nel servizio (Ef
4,11ss).
7. {Salvatore
Gallo}
▲
■
Contributo: Inoltre ti sei chiesto che
c’entrano gli abbeveratoi con Giudici 5,11? «Lungi dalle grida degli
arcieri, là tra gli abbeveratoi, si celebrino gli atti di giustizia del Signore,
gli atti di giustizia dei suoi capi in Israele!». Perché gli atti di
Giustizia di Jahwè devono essere celebrati tra gli abbeveratoi? Non è
forse per il fatto che l’acqua serviva per fare libazioni a Dio? «Poi
Samuele disse: “Radunate tutto Israele a Mispa, e io pregherò il Signore per
voi”. Ed essi si radunarono a Mispa, attinsero dell’acqua, la sparsero davanti
al Signore, digiunarono quel giorno e dissero: “Abbiamo peccato contro il
Signore”. E Samuele fu giudice dei figli d’Israele a Mispa» (1 Samuele
7,5-6).
▬
Risposta (Nicola Martella): La traduzione
letterale di Giudici 5,11 l’ho già indicata sopra nel tema di
discussione. Ciò non ha nulla a che vedere con 1 Sm 7,5s. Sembra che Salvatore
Gallo non prenda sul serio ciò, che scrivo, e devo ripeterlo qui di
nuovo: «Più forte dei distributori d’acqua tra gli abbeveratoi, essi
decanteranno gli atti di giustizia dell’Eterno, gli atti di giustizia verso gli
abitanti [o i capi] in Israele. Allora il popolo dell’Eterno discese alle porte».
Si tratta di una metafora, che mostra il modo di gridare degli Israeliti.
Un parallelo al riguardo si può trovare in ciò, che Paolo affermò: «Il
Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la
tromba di Dio, scenderà dal cielo» (1 Ts 4,16). Anche qui si tratta di
una metafora, di un
paragone sul modo di gridare.
Ora, vorrei congedarmi da tutti voi su questo tema. Per me basta così, visto che
stiamo soltanto «dottamente» rigirando le pulci speculative di Salvatore Gallo,
il quale ha solo in mente di trovare improbabili argomenti per la venerazione
religiosa di persone defunte; per questo si arrampica sugli specchi,
sperando che altri lo seguano. Per quanto mi riguarda
vorrei che il tema fosse chiuso. Ora,
Salvatore Gallo desisterà? {24-07-2011}
▬ Osservazioni (Pietro Calenzo): Caro Nicola,
penso che al litigioso Salvatore Gallo si debba consigliare la lettura di
qualche tua opera sull’antico Testamento. Se mi permetti, gli consiglierei
Radici 1-2;
Radici 3-4;
Radici 5-6; per altre tue opere e approfondimenti sull’Antico
Testamento, gli consiglio di visitare senza fretta il tuo sito «Fede
controcorrente», dove abbondano i riferimenti ad altri volumi tematici e di
specifici studi approfonditi veterotestamentari. [►
Libri] Shalom. {24-07-2011}
8. {Salvatore
Gallo}
▲
■ Contributo: Wilhelm Gesenius,
Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch (edizione inglese del 1857;
qui), a proposito del verbo tanah afferma:
● 1. Non si parla di radici diverse, ma di forme verbali diverse
(qal, piel, hiphil,) della stessa radice!
● 2. Inoltre fa riferimento a Proverbi 31,31
erroneamente tradotto con: «Datele del frutto delle sue mani», che
andrebbe tradotto «Celebratela a causa del frutto delle sue mani». {24-07-2011}
▬
Risposta (Nicola Martella): Vedo che
l’impulso speculativo di Salvatore Gallo è più forte d’ogni ragionevolezza.
Gli ho segnalato Wilhelm Gesenius, Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch
über das Alte Testament (Leipzig 1910, 15 Auf.; elaborata da Frantz Buhl),
p. 876. La versione da lui citata, «Gesenius
Hebrew Chaldee Lexicon Old Testament», è del 1857, quindi è
linguisticamente molto vecchia rispetto a questa, visto che allora la
scienza linguistica faceva passi da gigante, essendo agli inizi di una fase
rivoluzionaria o «virulenta» in tali studi. A quel tempo venivano scoperti
nuovi manoscritti e addirittura nuove lingue. È chiaro che gli studi vanno
avanti e che le nuove analisi linguistiche portano aggiornamenti sostanziali
rispetto alle vecchie versioni. Quindi, si procuri una versione più aggiornata.
Non aggiungo nulla su Proverbi 31,31 per non andare fuori tema e per non
alimentare ulteriormente l’anelito speculativo del mio interlocutore. Infatti,
vedo che tutto ciò sta diventando per lui una vera ossessione o psicosi
compulsiva. Il suo intento originale è di accreditare il culto dei defunti,
passando per l’analisi speculativa di tanah (I e II), un termine
abbastanza raro nell’AT. Quindi si vuole costruire un improbabile elefante
ideologico, partendo dalle pulci speculative, che si intende gonfiare a
proprio arbitrio. Comincio a preoccuparmi per la sua salute.
9. {Giuseppe
Lo Porto}
▲
Ciò che questo
lettore vuol fare, è giustificare il culto a Maria. Per quanto mi
concerne sapere, quello della figlia di Iefte non è mai stato un culto, ma una
specie di festa della donna, che si e andata a smarrire nel passar del
tempo. Un culto è quanto si offrono sacrifici a Dio o Jahwè. Se iniziamo
a prendere tutte le feste popolari, che si facevano in Israele, e attribuirle al
culto di Jahwè, facciamo prima a diventar cattolici. Poiché ogni giorno vi è un
santo fatto da mano d’uomo, da festeggiare. Dove sta scritto nella Bibbia
che Dio ordina di rendere il culto all’uomo e per giunta morto;
basterebbe leggerla questa benedetta Bibbia. Dio non permise al suo popolo di
trovare il corpo senza vita di Mosè, perché il popolo lo avrebbero
venerato, commettendo peccato d’idolatria. Per cui, se io mi trovassi a
discutere con codesto lettore, la mia risposta sarebbe: «Non vi sono scusanti
per il peccato, che commettete venerando una morta!». La Bibbia è,
quanto a trasparenza, verace e veritiera, candore e purezza, una miniera dal
contenuto inestimabile; solo chi la medita e la contempla, riconosce in essa la
sapienza di Dio. Pace ai fratelli. {26-07-2011}
10. {}
▲
11. {}
▲
12. {}
▲
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Decanta_figlia_Iefte_Sh.htm
18-07-2011; Aggiornamento: 26-07-2011 |