Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DECANTARE LA FIGLIA DI IEFTE? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Decantare la figlia di Iefte». Il lettore cattolico, che ha posto la questione, voleva vedere in tale glossa una celebrazione religiosa e inesistenti paralleli con le feste in onore all’Eterno. Sebbene gli avessi chiesto l’obiettivo di una tale questione, lui l’ha lasciato inespresso. Eppure in tutta la descrizione della questione, da lui fatta, traspariva l’intento di voler giustificare da una glossa la venerazione religiosa d’oggi verso beati, santi e patroni. Alla luce della nostra analisi letteraria, storica, culturale ed esegetica, tale intento risulta essere come cavar sangue dalle rape.

     Le asserzioni dottrinali devono derivare non da glosse disseminate nei libri storici, ma da chiare incontrovertibili asserzioni teologiche, provenienti dai libri profetici dell’AT e dai libri didattici del NT. Isaia chiedeva retoricamente: «Un popolo non deve interpellare il suo Dio? Si rivolgerà ai morti per i vivi?» (Is 8,19); poi ingiungeva che ci si rivolgesse all’insegnamento biblico della Torà e alla Testimonianza (= Decalogo).

     Nella sacra Scrittura la venerazione religiosa di persone morte porta un solo nome: idolatria.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Davide Forte

2. Pietro Calenzo

3. Salvatore Gallo

4. Salvatore Gallo

5. Salvatore Gallo

6. Antonio Nappo

7. Salvatore Gallo

8. Giuseppe Lo Porto

9. Salvatore Gallo

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Davide Forte}

 

‎■ Contributo: Nicola, grazie del tuo commento. Non ci sono dubbi su quello, che dici: fu una ricorrenza non religiosa, un monito per le vergini d’Israele, ad aver riguardo e rispetto alla fedeltà dei loro genitori, anche quando a nostro parere, crediamo che sbaglino! Da questo episodio storico anche noi impariamo molte cose: ▪ 1. Dobbiamo confidare meglio in Dio, nostro Padre, cioè se è Lui che ci chiama, per risolvere una questione di qualsiasi natura, dobbiamo credere che sarà al nostro fianco fino al compimento della cosa. ▪ 2. Se dobbiamo promettere a Dio qualcosa, deve essere una cosa nostra e non quella, che il fato ci mette davanti. ▪ 3. Mai fare promesse avventate, a cui potremmo venir meno. ▪ 4. Per ultimo, se dobbiamo offrire a Dio qualcosa, dev’essere qualcosa di nostro e non, come in quel caso, qualcosa che certamente Dio non gradì; tuttavia Egli guardò alla sua fedeltà, che fu gradita e pure premiata.

     Certamente, la domanda, che ti è stata posta, aveva un fine insidioso: quello di giustificare le ricorrenze patronali, che i cattolici hanno, ora a favore di uno, poi a quello di un altro. Con queste feste loro sollazzano la carne e niente più. A questi Gesù dovrà rispondere: avete avuto i vostri beni e siete stai saziati. Pace, fratello Nicola. {16-07-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Al centro della nostra attenzione in questo confronto non stano tanto le gesta del valoroso Iefte né le conseguenze del suo maldestro voto per la sua anonima figlia, quanto la glossa dell’autore relativa a tale usanza delle donne della zona di cantare lamenti in onore a lei nell’anniversario della sua morte.

     Non si trattava di una ricorrenza religiosa, essendo limitata alle sole donne e mancando tutti gli elementi tipici delle feste in onore dell’Eterno: i maschi che si recano al santuario centrale, l’assemblea solenne il primo e l’ultimo giorno, i sacrifici, i riti specifici alla ricorrenza, eccetera.

     È fuori dubbio che l’amico cattolico abbia cercato in questa nota marginale un appiglio per giustificare le ricorrenze patronali del cattolicesimo romano. Certo bisogna avere molta fantasia, per proiettare in questa breve glossa tale devozione religiosa.

 

 

2. {Pietro Calenzo}

 

Un uso o una consuetudine ha, anche per la giurisprudenza, un valore definito nello spazio e nel tempo e ha una sua valenza territoriale solo in assenza di qualsiasi altra norma, che la divieti. Ad esempio, anche l’apostolo Paolo parla di un uso, che riporta soltanto una volta, il battesimo per i defunti (uso ripreso da una setta ereticale di frangia come i Mormoni), ma non per confermarlo, ma per attestare una verità scritturale assoluta e superiore, quella della resurrezione dei credenti.

     Nel caso della figliola di Iefte si può affermare, senza dubbio, che delle giovani donne si radunavano ogni anno per quattro giorni presso un determinato posto. Nulla fa pensare che tale raduno dalle radici popolari si sia perpetuato nel tempo, tant’è che questo passo in Giudici è l’unico nella Scrittura, che parla di tale rimembranza, mai perpetuata, e ben distinta dalle feste liturgiche espressamente ordinate dalla Torah in onore dell’Eterno. È un episodio folkloristico locale e non perpetuato nel tempo; è come un breve articolo di cronaca, che racconta per esempio che ogni anno si radunano, in un determinato luogo, dei bersaglieri, per onorare il corpo, una sua vittoria o un atto eroico. Eziologia appunto. Benedizioni nel Signore Gesù Messia. {17-07-2011}

 

 

3. {Salvatore Gallo}

 

Contributo: […] Ti consiglio di andare al testo ebraico e al verbo tanah, che ricorre anche in Giudici 5,11 e in altri libri biblici, ammesso che tu abbia studiato l’ebraico biblico. È lì una delle chiavi risolutive della questione. {16-07-2011}

     Ti manderò lo studio esegeticamente accurato su Giudici 11,39-40. Pace. {17-07-2011}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Finora non è arrivato nulla di quanto prospettato, rispondo quindi a ciò, che c’è, visto che non posso tener aperto un tema all’infinito.

     Di là dal fatto che la traduzione proposta da me è letterale, non ho problemi ad andare a ricontrollare nell’ebraico. Ma ciò non aggiunge o toglie nulla all’intero impianto del ragionamento. Mi fa piacere, quando si preferisce alludere alla mia ignoranza linguistica, dando se stesso per dotto in materia; ciò mi permette solo di spiegare meglio le cose in dettaglio.

     Per prima cosa il verbo tanah II non si trova «in altri libri biblici», come presume il mio competitore, ma solo due volte in tutto l’AT, e cioè in Giudici 5,11; 11,40 nella forma di Piel infinito tanôt. Viene visto un parallelo semantico con šānāh «ripetere» (= aram. tana’).

     Ripropongo la traduzione letteraria di Giudici 11,40: «E divenne un’usanza in Israele: di anno in anno, le figlie d’Israele vanno a decantare la figlia d’Iefte, il Galaadita, per quattro giorni l’anno». Gli studiosi intendono in Giudici 11,40 l’innalzare canti lamentevoli.

     In Giudici 5,11 il testo recita letteralmente: «Più forte dei distributori d’acqua tra gli abbeveratoi, essi decanteranno gli atti di giustizia dell’Eterno, gli atti di giustizia verso gli abitanti [o i capi] in Israele. Allora il popolo dell’Eterno discese alle porte».

     È veramente difficile voler trarre da un verbo, che ricorre solo due volte e solo nello stesso libro, una dottrina particolare, che permetta la celebrazione religiosa di persone defunte, ossia di beati, santi e patroni del cattolicesimo romano.

 

Replica (Salvatore Gallo): Per tua informazione il verbo «tanah» compare eccome in altri libri biblici oltre che nel libro dei Giudici! In Osea 8,9 alla forma Hiphil e in Osea 8,10 e Salmo 8,2 alla forma Qal. Questo è quanto afferma la «Concordanza ebraica dell’AT» di Lisowski, edito dalla Società biblica tedesca. {18-07-2011}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): I versi citati dal mio interlocutore sono ben conosciuti da me, ma non appartengono alla stessa radice verbale tanah II, che come detto ha paralleli semantici con šānāh «ripetere» (= aram. tana’) e ricorre solo in Giudici. Tali versi appartengono alla radice verbale tanah I, di dubbia esistenza per alcuni studiosi, che fanno derivare jite (Os 8,10) e hite (Os 8,9) dalla radice verbale tanan, quindi tutta un’altra cosa. Per tenāh in Salmo 8,2 le cose sono ancora più ingarbugliate, poiché viene fatto derivare dalla radice verbale naah, in corrispondenza con la Settanta, e da altro.

     Inoltre, se si leggono tali brani nelle Bibbie italiane, non ci vuole una particolare competenza linguistica per accorgersi che non hanno nulla in comune con le asserzioni di Giudici 5,11; 11,40. Quindi, perché il mio interlocutore non ha tenuto presente già questo? Non ha letto tali brani per rendersene conto? Anche in italiano abbiamo forme simili nel grafema, che appartengono però a radici verbali differenti; si veda, ad esempio: càpitano, capitàno, capitanò, capitò, capìto.

     Perciò, il mio interlocutore farebbe bene a portare argomenti ben più solidi che quelli linguistici, per i quali ci vuole maggiore competenza. Non basta al riguardo solo una concordanza!

 

 

4. {Salvatore Gallo}

 

Contributo: Nicola, rispondo in parte alla tua ultima replica. La concordanza ebraica di «Bibleworks 7» (WTM, JDP - Groves-Wheeler Westminster Morphology and Lemma Database (WTM) afferma proprio il contrario di quanto hai detto. Sia in Osea 8,9 che in Osea 8,10 il verbo non deriva alla radice verbale tanan come tu dici, ma dalla radice tanah, la stessa di Giudici! {24-07-2011}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Una concordanza non può affermare il contrario di una cosa, visto che è solo l’elenco di versi sotto un certo lemma, senza distinguere le differenti radici verbali. Se in Osea 8,9-10 c’è il verbo «tanah II» come in Giudici, mostrami una sola traduzione in tuo possesso, che traduca tali versi con lo stesso significato di Giudici 5,11 e 11,39-40. Io ho scritto che si trova «tanah I», ossia un’altra radice con un altro significato. Allo stesso modo, se avessimo solo il testo consonantico in italiano, avremmo un «CPT I» (da cui «capìto» da capire) e un «CPT II» (da cui «capitò» da capitare).

     Comunque, mi sono stancato del tuo cavillare e speculare. Gonfiare pulci, per farli apparire elefanti, è solo ideologia. Penso che possiamo chiudere qui questo argomento.

 

Osservazioni (Pietro Calenzo): Caro Salvatore, le pulci quando si gonfiano troppo, fanno boom... e non rimane nulla. {24-07-2011}

 

Replica (Salvatore Gallo): Quale concordanza usi? Io te ne ho citato due. E tu? {24-07-2011}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Non basta usare una concordanza, devi usare un dizionario d’ebraico, in cui viene fatta una differenza fra le diverse radici verbali. In ebraico è un fenomeno ricorrente quello di avere lo stesso grafema consonantico, ma termini che appartengono a radici differenti e che hanno quindi significati differenti.

     Possiamo terminare tale corso d’ebraico?

 

 

5. {Salvatore Gallo}

 

Contributo: Sulla traduzione del Salmo 8,2 le uniche traduzioni compatibili... senza toccare il testo consonantico sono:

     ● 1. TILC: «Canterò la tua gloria più grande dei cieli».

     ● 2. The Complete Jewish Bible dell’ebreo messianico D. Stern: «The fame of your majesty spreads even above the heavens!» La fama della tua maestà si diffonde anche al di sopra dei cieli!»).

     ● 3. Brenton traduce Ia LXX: «For thy magnificence is exalted above the heavens» («Per la tua magnificenza è esaltato [il tuo nome] nei cieli», ossia è celebrato; The English Translation of The Septuagint Version of the Old Testament by Sir Lancelot C. L. Brenton, 1844, 1851, published by Samuel Bagster and Sons).

 

E il senso di Osea è quello riferito alle nazioni come «amanti» d’Israele. Siamo di fronte a un Israele che si prostituisce politicamente e idolatricamente alle nazioni pagane. Le traduzioni non rendono questo aspetto. {24-07-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Non eravamo rimasti a Osea 8,9-10? Dove sta la precisa corrispondenza terminologica come nei brani di Giudici? Le cose che leggo sopra, non chiariscono questo aspetto, che è quello essenziale. Il verbo qui ricorrente è «tanah I» ed è reso da Gesenius in tedesco con «dingen», che corrisponde all’italiano «prendere al servizio, assoldare, corrompere, sedurre».

     Gesenius mette il tanah del Salmo 8,2 sotto «tanah I», che per Wellhausen e Marti provengono da natan. Egli scrive: «È del tutto poco chiaro tenāh in Sal 8,2 (forse naṭah, vedi la LXX...)», ecc. Gulkel pensa a un tunnāh (da tanah II). [Wilhelm Gesenius, Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch über das Alte Testament (Leipzig 1910, 15 Auf.; elaborata da Frantz Buhl), p. 876.]

     In ebraico ci sono varie radici simili, imparentate a volte anche con quelle aramaiche, che sono sinonimiche fra loro; altre radici, invece, pur essendo simili nel grafema, hanno una genesi del tutto differente. Tuttavia, essendo tale brano dei Salmi controverso, non aggiunge nulla di sostanziale al tema di Giudici 11,39-40.

     A me sembra che a Salvatore Gallo piaccia ricamare sulle pulci, gonfiandole a dismisura, nell’intento di coprire gli elefanti testuali evidenti. Per tale gioco inutile e sterile non ho altro tempo da dedicare. Fine della corsa? Speriamo...

 

 

6. {Antonio Nappo}

 

Contributo 1: Ma insomma, che dobbiamo istituire la festa delle donne? Ma già è stato fatto. Qua la gente sta andando all’inferno e non accetta il dono della grazia di Dio a causa di pseudo informazioni e noi pensiamo alle feste? {24-07-2011}

 

Contributo 2: Il credente celebra il nome del Signore, perché ha sperimentato la sua salvezza. Ora, che lo si dica con la radice semantica o senza traduzioni compatibili, la cosa importante è che si celebri il nome del Signore per la sua misericordia. Ringraziato sia il Signore Gesù Cristo perché per mezzo di Lui abbiamo la possibilità di chiamare DIO con il nome di «Abbà - Padre». Salvatore Gallo, lo fai anche tu? {24-07-2011}

 

Osservazioni (Davide Forte): Amici e fratelli, quello che vi racconto ora, è un fatto vero, che fu annotato e raccontato da uno scriba nel 70 d.C. Fuori del tempio i Romani facevano stragi di Ebrei, non risparmiavano né donne e né bambini, uccidevano chiunque non fosse romano. Invece, sacerdoti e scribi erano nelle segrete e scantinati del tempio a scervellarsi di sapere quanti demoni potevano stare su una capocchia di uno spillo, se erano cento o mille. Tutto questo accadeva, mentre Gerusalemme veniva distrutta dal nemico.

     La stessa cosa vedo fare a voi; «scusatemi», giustamente il fratello Antonio Nappo dice: Qui la gente muore senza la grazia di dio; è noi ce né stiamo comodi a fare esegetica a noi stessi. Evitiamo discorsi infruttuosi e diciamo alla gente che tutto quello, che l’uomo non è stato in grado di fare a motivo del peccato, lo ha fatto Gesù e che tutto ci è stato donato, se solo crediamo che Gesù è l’agnello propiziatorio donatoci dal Padre. Gesù ha reso facile questo cammino di fede dicendo: «E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio [il Padre], e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» [Gv 17,3]. Tutto qui! Perdonatemi la mia non è ironia; ma una constatazione di fatto. Pace. {24-07-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Capisco l’approccio evangelistico di Antonio Nappo e di Davide Forte e condivido l’aneddoto proposto, che ci mostra le conseguenze delle speculazioni. Tuttavia, sebbene io cerchi da tempo di fermare Salvatore Gallo in questo suo approccio speculativo, oramai diventato pressoché compulsivo, non posso condividere fino in fondo tale ragionamento.

     Se bastava evangelizzare, Paolo poteva risparmiarsi tutte le sue epistole apologetiche, in cui difende la verità biblica dinanzi a vari estremismi e varie false dottrine. Faccio notare che anche lui evidenziò il dettaglio, ad esempio: «Ora, ad Abramo furono fatte le promesse e alla sua discendenza. Egli non dice: “E alle discendenze”, [quindi] di molte; ma di una [sola]: “E alla tua discendenza”, che è Cristo» (Gal 3,16).

     Se bastava evangelizzare, lo Cristo poteva risparmiarsi di dare alla chiesa «gli uni come missionari [fondatori = apostoli]; e altri, come proclamatori [= profeti]; e altri, come araldi [= evangelisti]; e altri, come curatori d’anime [= pastori] e insegnanti [= dottori]», per equipaggiare i credenti in modo opportuno e farli maturare nel carattere e nel servizio (Ef 4,11ss).

 

 

7. {Salvatore Gallo}

 

Contributo: Inoltre ti sei chiesto che c’entrano gli abbeveratoi con Giudici 5,11? «Lungi dalle grida degli arcieri, là tra gli abbeveratoi, si celebrino gli atti di giustizia del Signore, gli atti di giustizia dei suoi capi in Israele!». Perché gli atti di Giustizia di Jahwè devono essere celebrati tra gli abbeveratoi? Non è forse per il fatto che l’acqua serviva per fare libazioni a Dio? «Poi Samuele disse: “Radunate tutto Israele a Mispa, e io pregherò il Signore per voi”. Ed essi si radunarono a Mispa, attinsero dell’acqua, la sparsero davanti al Signore, digiunarono quel giorno e dissero: “Abbiamo peccato contro il Signore”. E Samuele fu giudice dei figli d’Israele a Mispa» (1 Samuele 7,5-6).

 

Risposta (Nicola Martella): La traduzione letterale di Giudici 5,11 l’ho già indicata sopra nel tema di discussione. Ciò non ha nulla a che vedere con 1 Sm 7,5s. Sembra che Salvatore Gallo non prenda sul serio ciò, che scrivo, e devo ripeterlo qui di nuovo: «Più forte dei distributori d’acqua tra gli abbeveratoi, essi decanteranno gli atti di giustizia dell’Eterno, gli atti di giustizia verso gli abitanti [o i capi] in Israele. Allora il popolo dell’Eterno discese alle porte». Si tratta di una metafora, che mostra il modo di gridare degli Israeliti.

     Un parallelo al riguardo si può trovare in ciò, che Paolo affermò: «Il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo» (1 Ts 4,16). Anche qui si tratta di una metafora, di un paragone sul modo di gridare.

     Ora, vorrei congedarmi da tutti voi su questo tema. Per me basta così, visto che stiamo soltanto «dottamente» rigirando le pulci speculative di Salvatore Gallo, il quale ha solo in mente di trovare improbabili argomenti per la venerazione religiosa di persone defunte; per questo si arrampica sugli specchi, sperando che altri lo seguano. Per quanto mi riguarda vorrei che il tema fosse chiuso. Ora, Salvatore Gallo desisterà? {24-07-2011}

 

Osservazioni (Pietro Calenzo): Caro Nicola, penso che al litigioso Salvatore Gallo si debba consigliare la lettura di qualche tua opera sull’antico Testamento. Se mi permetti, gli consiglierei Radici 1-2; Radici 3-4; Radici 5-6; per altre tue opere e approfondimenti sull’Antico Testamento, gli consiglio di visitare senza fretta il tuo sito «Fede controcorrente», dove abbondano i riferimenti ad altri volumi tematici e di specifici studi approfonditi veterotestamentari. [► Libri] Shalom. {24-07-2011}

 

 

8. {Salvatore Gallo}

 

Contributo: Wilhelm Gesenius, Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch (edizione inglese del 1857; qui), a proposito del verbo tanah afferma:

     ● 1. Non si parla di radici diverse, ma di forme verbali diverse (qal, piel, hiphil,) della stessa radice!

     ● 2. Inoltre fa riferimento a Proverbi 31,31 erroneamente tradotto con: «Datele del frutto delle sue mani», che andrebbe tradotto «Celebratela a causa del frutto delle sue mani». {24-07-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Vedo che l’impulso speculativo di Salvatore Gallo è più forte d’ogni ragionevolezza.

     Gli ho segnalato Wilhelm Gesenius, Hebräisches und aramäisches Handwörterbuch über das Alte Testament (Leipzig 1910, 15 Auf.; elaborata da Frantz Buhl), p. 876. La versione da lui citata, «Gesenius Hebrew Chaldee Lexicon Old Testament», è del 1857, quindi è linguisticamente molto vecchia rispetto a questa, visto che allora la scienza linguistica faceva passi da gigante, essendo agli inizi di una fase rivoluzionaria o «virulenta» in tali studi. A quel tempo venivano scoperti nuovi manoscritti e addirittura nuove lingue. È chiaro che gli studi vanno avanti e che le nuove analisi linguistiche portano aggiornamenti sostanziali rispetto alle vecchie versioni. Quindi, si procuri una versione più aggiornata.

     Non aggiungo nulla su Proverbi 31,31 per non andare fuori tema e per non alimentare ulteriormente l’anelito speculativo del mio interlocutore. Infatti, vedo che tutto ciò sta diventando per lui una vera ossessione o psicosi compulsiva. Il suo intento originale è di accreditare il culto dei defunti, passando per l’analisi speculativa di tanah (I e II), un termine abbastanza raro nell’AT. Quindi si vuole costruire un improbabile elefante ideologico, partendo dalle pulci speculative, che si intende gonfiare a proprio arbitrio. Comincio a preoccuparmi per la sua salute.

 

 

9. {Giuseppe Lo Porto}

 

Ciò che questo lettore vuol fare, è giustificare il culto a Maria. Per quanto mi concerne sapere, quello della figlia di Iefte non è mai stato un culto, ma una specie di festa della donna, che si e andata a smarrire nel passar del tempo. Un culto è quanto si offrono sacrifici a Dio o Jahwè. Se iniziamo a prendere tutte le feste popolari, che si facevano in Israele, e attribuirle al culto di Jahwè, facciamo prima a diventar cattolici. Poiché ogni giorno vi è un santo fatto da mano d’uomo, da festeggiare. Dove sta scritto nella Bibbia che Dio ordina di rendere il culto all’uomo e per giunta morto; basterebbe leggerla questa benedetta Bibbia. Dio non permise al suo popolo di trovare il corpo senza vita di Mosè, perché il popolo lo avrebbero venerato, commettendo peccato d’idolatria. Per cui, se io mi trovassi a discutere con codesto lettore, la mia risposta sarebbe: «Non vi sono scusanti per il peccato, che commettete venerando una morta!». La Bibbia è, quanto a trasparenza, verace e veritiera, candore e purezza, una miniera dal contenuto inestimabile; solo chi la medita e la contempla, riconosce in essa la sapienza di Dio. Pace ai fratelli. {26-07-2011}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Decanta_figlia_Iefte_Sh.htm

18-07-2011; Aggiornamento: 26-07-2011

 

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