1. LE QUESTIONI: Un lettore
mi aveva scritto quanto segue: Nicola Martella, vista la sua competenza in
materia di studi biblici, potrebbe gentilmente commentare il verso seguente?
Grazie.
«Di qui venne in Israele l’usanza che le figlie d’Israele vadano
tutti gli anni a celebrare la figlia d’Iefte, il Galaadita, per quattro
giorni» (Giudici 11,39-40). {12-07-2011}
Gli chiesi di spiegami quale fosse il problema, che lui riscontrava in tale
verso. Lui mi rispose come segue: Ovviamente la domanda è posta perché ho
trovato una
singolare analogia con altri passi della Scrittura, dove, però si parla di
celebrare la Pasqua per il Signore o la festa delle Capanne...
sempre per Jahwè. Grazie per la risposta. {Salvatore
Gallo; 12-07-2011}
Avevo letto sulla bacheca del social network, a cui era iscritto, informazioni
che lasciavano intendere una militanza nel cattolicesimo. Gli scrissi che
mi aspettavo che mi chiarisse il motivo di tale curiosità e specialmente
il suo obiettivo reale. Egli mi rispose come segue.
La domanda da me posta, credo che abbia un valore a prescindere da quello, che
tu chiami «il motivo di tale curiosità».... e soprattutto «il mio obiettivo
reale». Provo a chiarire.
■ 1. Mi ha colpito il fatto che la Scrittura riporti semplicemente e
quasi ingenuamente questa notazione.
■ 2. Mi ha colpito il fatto che si celebri una donna morta,
così almeno traduce la Nuova Riveduta.
■ 3. Mi ha colpito il fatto che la motivazione di tale celebrazione sia
religioso; infatti grazie al voto, seppure avventato, fatto da
Iefte, Dio ha salvato Israele.
■ 4. Mi colpisce il fatto che si tratti di una festa annuale,
guarda caso come per le feste in onore a Jahwè, la Pasqua, la festa delle
Capanne, ecc., e per ben 4 giorni di seguito.
■ 5. Mi colpisce il fatto che non si dica: «Ciò era male agli
occhi del Signore», come invece altrove fa la Scrittura e in particolare il
libro dei Giudici (2,11; 3,7; 3,12; 4,1; 6,1; 10,6; ecc.). Non sono usate qui
neppure locuzioni simili indicanti una «presa di distanza» dal fatto
narrato come, per esempio, nell’episodio della statua di Mica, della moglie del
Levita (In quel tempo, non vi era re in Israele; Giudici 8,1; 9,1) oppure nel
caso del rapimento delle mogli per i Beniaminiti. «In quel tempo, non c’era
re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio» (Giudici 21,25).
Beh, credo di aver detto abbastanza. Attendo risposta. A proposito, sono
cattolico o se preferisci «cattolico romano». Spero che per te questo non
sia un problema. Un caro saluto. {Salvatore
Gallo; 14-07-2011}
2. LE RISPOSTE
2.1. ENTRIAMO IN TEMA: Avevo espresso al lettore che non avevo
capito il
vero fine di tale curiosità riguardo a tale glossa folkloristica dell’autore
del libro dei Giudici. Mi sembra che ci siano sostanziali differenze fra
le feste comandate nella Torà e celebrate in onore di Jahwè, il Dio unico e
vero, e le feste popolari. Per di più tale usanza in onore della figlia di Iefte
era soltanto una festa femminile
senza un fine religioso; infatti tale donna anonima non era oggetto di
devozione religiosa. È probabile che questo lettore, essendo cattolico
militante, cerchi una sponda per le numerose
feste patronali e in onore di personaggi religiosi del passato, che la
curia romana ha dichiarato «beati» o «santi». Andiamo per ordine. Una traduzione
letterale la riportiamo sotto (2.3. Paralleli significativi).
2.2. FESTE E USANZE: Possiamo suddividere feste, commemorazioni e
usanze riportate nell’AT come segue:
■ Feste religiose nazionali. Nel mio libro «Šabbât»
(pp. 168s =
Manuale Teologico dell’Antico Testamento, pp. 159ss) riporto in
forma tabellare le feste comandate a Israele nella Torà con nomi italiani
(Pasqua, Azzimi, Primizie, Settimane, Trombe, Espiazione e Capanne), ebraici e
greci, unitamente alle prescrizioni, al significato, eccetera.
■ Le feste
supplementari di commemorazione. Alle feste comandate nella Legge si
aggiunsero, durante il corso della storia, due feste nazionali supplementari per
commemorare eventi storici: ▪ 1. La festa dei Purim (Est 9); ▪ 2. La
festa delle luci (della dedicazione), che non è menzionata nell’AT (fu
introdotta nel 164 a.C., quindi dopo la chiusura del canone con Malachia), ma a
cui si fa accenno negli Evangeli (Gv 10,22), oltre che negli apocrifi.
■ C’erano
feste religiose
periodiche locali non prescritte dalla Torà (Gdc 21,19 festa annuale in
Šiloh).
■ C’erano
feste popolari sia locali, sia nazionali. Esse non furono comandate nella
Torà, né erano in onore dell’Eterno. Qui rientra, ad esempio, l’usanza delle
donne di cantare in onore della figlia di Iefte (Gdc 11,39s). C’erano
anche altre feste popolari, ad esempio per la vendemmia (Gdc 9,27).
La festa in onore della figlia di Iefte (Gdc 11,39s) era un’usanza
tipicamente femminile e riguardava probabilmente le vergini; l’autore la
menzionò solo in una glossa come una curiosità, che prese il via da tale
vicenda. L’avventatezza di Iefte nel fare un voto solenne dinanzi all’Eterno,
costò praticamente la vita a tale ragazza, mettendo così fine ai suoi sogni di
realizzazione nel matrimonio e nella maternità. Può darsi che si trattava solo
di un’usanza locale o regionale. In tutto il resto dell’AT non viene menzionata
e probabilmente si perse nel tempo, a causa delle vicende storiche (guerre,
deportazioni, ecc.). L’autore insistette sulla verginità della ragazza, che lei
pianse per due mesi insieme alle amiche (vv. 37s), e sul fato che lei non aveva
ancora conosciuto un uomo (v. 39). Probabilmente rappresentava l’occasione per
un rito d’iniziazione, ossia il passaggio dall’infanzia all’adolescenza per le
ragazze, che così diventavano sessualmente feconde e, quindi, maritabili.
2.3. IL VALORE DELLE GLOSSE RIFERITE ALLE USANZE: In genere le
glosse all’interno di una narrazione storica nascono per un interesse
eziologico, ossia per spiegare la genesi di un’usanza, sia che esistesse ancora,
sia che fosse oramai dimenticata. Si presume che l’autore dei libri di Giudici e
di Rut fosse lo stesso, visto che quest’ultimo doveva essere solo un’appendice
del primo in origine. È significativa la glossa in Rut 4,7: «Ora, v’era in
Israele questa
antica usanza, per render valido un contratto di riscatto o di cessione
di proprietà; uno si cavava la scarpa e la dava all’altro; era il modo di
attestazione in Israele». Ciò significava che oramai tale usanza non
esisteva più.
In Luca 1,9 fu riportata invece «l’usanza del sacerdozio», che permise a
Zaccaria, padre di Giovanni Battista, di «entrare nel tempio del Signore per
offrirvi il profumo»; ciò significava che tale usanza era ancora in
essere. Venne ricordata anche «l’usanza della festa», probabilmente
quella del «bar mitzvah» (figlio del comandamento), che permise al dodicenne
Gesù di entrare a far parte della comunità liturgica. Per altre usanze si
vedano i seguenti brani: Gv 18,39 (il governatore liberava un prigioniero per la
Pasqua); 19,40 (usanza di seppellire presso i Giudei); At 17,2 (usanza di Paolo
di andare dapprima nella sinagoga dei Giudei); 25,16 (legge romana sugli
accusati); 1 Cor 11,16 (usanza nelle chiese); Gal 3,15 (contratto quale usanza
degli uomini).
La cosa singolare in Giudici 11,40 è che tale usanza era ancora in
essere, ma l’autore non riporta neppure il nome della ragazza. Ciò significava
che l’origine di tale usanza era oramai distante dall’autore di tale glossa. Ciò
non era per atteggiamento sessista, visto che altre donne, se protagoniste,
furono menzionate dall’autore (p.es. Iael Gdc 4,17; Debora Gdc 4,4). Ciò avvenne
perché tale nome era stato dimenticato, non essendo ritenuto importante
rispetto al personaggio principale (cfr. altre innominate: la moglie di Manoah,
padre di Sansone Gdc 13,2; la moglie di Sansone Gdc 14; la madre di Mica Gdc
17,1ss). Ciò significa che tale figlia di Iefte appariva nel racconto come una
figura secondaria, tanto che l’autore non ritenne importante neppure nominarla
per nome; riportò la cosa come una curiosità, come fece per altre cose
culturali, ad esempio che al quel tempo non c’era ancora un re in Israele e che
v’era l’arbitrio morale (Gdc 17,6; 21,25; cfr. 18,1; 19,1).
2.4. PARALLELI SIGNIFICATIVI: Per prima cosa traduciamo
letteralmente
Giudici 11,40: «E divenne un’usanza in Israele: di anno in anno, le
figlie d’Israele vanno a decantare la figlia di Iefte, il Galaadita, per quattro
giorni l’anno».
Un’espressione simile si trova in 2 Cronache 35,25: «Geremia cantò un
lamento sopra Giosia. E tutti i cantori e tutte le cantatrici hanno parlato di
Giosia nei loro lamenti fino al dì d’oggi. E si è fatto di ciò un’usanza in
Israele. Ed ecco, essi si trovano scritti nei lamenti».
Si veda pure
Esdra 9,27: «…i Giudei si imposero e accettarono, e ciò non verrà
violato, per sé e la loro progenie e per tutti quelli che si aggiungerebbero a
loro, di celebrare questi due giorni, anno per anno, secondo il precetto
[valido] per loro e il tempo fissato per loro».
Qui notiamo l’insorgere nella storia di tre usanze specifiche. La prima
nota descrive un’usanza folkloristica nata spontaneamente. La seconda nota
spiega come è nato il genere letterario e artistico delle lamentazioni. L’ultima
usanza fu imposta per legge e si mantenne nel tempo. Le prime due, come tutte le
usanze, nascono, vengono perpetuate per un certo tempo e poi vengono
dimenticate. Ora, mentre i generi musicali possono essere riscoperti, le feste
folkloristiche sono legate localmente a un evento specifico; le alterne vicende
della gente in una certa zona (guerre, deportazioni, ecc.) portano in genere di
fatto al disuso di certi costumi popolari. Altre nuove usanze mettono all’ombra
quelle vecchie e spesso le fanno del tutto dimenticare.
Si noti, inoltre, che di tale ragazza l’autore non seppe dire neppure il nome,
visto che venne chiamata semplicemente «la figlia di Iefte, il Galaadita». Ciò
mostra che si trattava di un’usanza locale e distante geograficamente e
nel tempo rispetto allo stesso autore del libro dei Giudici. Inoltre, più che
quella anonima ragazza morta vergine, tale kermesse divenne verosimilmente
l’occasione per decantare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, in
particolare il tempo in cui una ragazza diventava sessualmente fertile e,
quindi, per le allora usanze, già maritabile.
Tra Giudici 11,40 e 2 Cronache 35,25 ci sono interessanti paralleli e
differenze. Ambedue le note servono per ricordare come è sorta una certa
usanza in Israele (eziologia), ossia di cantare in onore di qualcuno. Nel primo
brano la causa originante era sconosciuta per nome (figlia di Iefte), nel
secondo brano è menzionato il nome del re Giosia. Nel primo brano l’iniziatore
di tale usanza era sconosciuta, nel secondo brano portava il nome del profeta
Geremia. In Giudici 11,40 tale usanza è limitata alle donne; in 2 Cronache 35,25
comprende cantori e cantatrici. Di tale festa femminile non c’è più nessun
ricordo nell’AT; del genere letterario e lirico dei lamenti abbiamo alcuni casi
nei Salmi e nell’omonimo libro delle Lamentazioni di Geremia. Giudici 11,40 e 2
Cronache 35,25 rappresentano dei costumi nati spontaneamente; Esdra 9 invece
riguarda un’imposizione sancita da una legge specifica.
Come sia sorta tale usanza tipicamente femminile, è sconosciuto. Nel brano
si legge che la figlia di Iefte fu accompagnata per due mesi dalle sue amiche
per piangere la propria verginità. È verosimile che tali amiche abbiano preso,
di anno in anno, a ricordare e decantare la figlia di Iefte e che da lì si sia
poi sviluppata tale usanza.
2.5. NON STRUMENTALIZZARE: Ora, chi segue i cosiddetti santi e
patroni
religiosi, potrebbe voler cercare qui un appiglio o una motivazione per le feste
religiose e popolari in onore di tali personaggi. Faccio notare che in Giudici
11,40 si trattava solo di una glossa, come altre nel libro, che riportava una
cosa curiosa per i lettori. È sbagliato voler trovare in una nota marginale, per
tanti tratti oscuri, un argomento probante a favore di una festa patronale. Si
noti che l’autore non citò il nome della ragazza, forse perché già si era perso
o per non creare una morbosità.
Si noti pure che non si trattava di una festa religiosa, né del culto per
una «santa» sconosciuta, ma di un’usanza popolare, che riguardava poi solo le
donne. Al centro di tale usanza non c’era il voto di Iefte né la conseguente
liberazione d’Israele da parte Dio e per mano di Iefte, ma veniva decantato il
destino infausto di una ragazza; infatti, l’oggetto di tali canzoni erano le
virtù eroiche di una ragazza, rimasta vergine, e che divenne verosimilmente un
esempio morale per altre ragazze e donne. In ogni popolo si creano feste, che
segnano il passaggio del maschio e della femmina dall’età dell’infanzia all’età
della fertilità sessuale.
Le feste religiose in Israele avevano come oggetto il patto fra Dio e
Israele e un atto grande di liberazione dell’Eterno nella storia; esse furono
comandate dalla Torà. Tale ragazza non divenne oggetto della devozione
religiosa, né le venne eretto un luogo di culto; ciò sarebbe stato
idolatria. Tale usanza, in cui veniva decantata l’anonima figlia di Iefte (e non
la liberazione d’Israele), ripeto che non era una festa religiosa, ma
popolar-femminile; non fu imposta dall’alto, ma nacque spontaneamente. Rispetto
alle feste in onore di Jahwè, tale usanza non aveva un carattere nazionale né
ufficiale, non richiedeva che i maschi salissero al santuario centrale, anzi gli
uomini non erano per nulla coinvolti.
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Decantare la figlia di Iefte? Parliamone {Nicola Martella} (T)
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Decanta_figlia_Iefte_R34.htm
15-07-2011; Aggiornamento: 19-07-2011 |