Una quantità impressionante di prove extra-bibliche
testimoniano dell’uso dell’ebraico nell’Israele del primo secolo: la
testimonianza dei padri della chiesa, i rotoli del Mar Morto, le monete e le
iscrizioni, gli scritti di Giuseppe Flavio, e la letteratura rabbinica. Qui di
seguito trattiamo dapprima i «padri della chiesa». |
I primi padri della chiesa, cioè i leader della chiesa fino al Concilio di
Nicea del 325 d.C., sono una importante testimonianza, perché ci riportano
ai secoli iniziali dell’era cristiana.
La prova da loro fornita contraddice la teoria di
un’origine aramaica degli Evangeli (in effetti, la teoria aramaica è stata
sviluppata relativamente tardi — non certo prima del Medio Evo). Il nostro
testimone più vicino è Papia, vescovo d’Ierapoli, in Asia Minore (secondo
secolo d.C.). Considerando l’origine ebraica dell’Evangelo, egli dichiara:
«Matteo mise per iscritto le parole del Signore nella lingua ebraica, e
altri le hanno tradotte, ognuno come meglio ha potuto» (Eusebio, Storia
Ecclesiastica III, 39, 16). Ireneo (120-202 d.C.) era il vescovo di Lione in
Francia. La maggior parte dei suoi sforzi letterari sono stati intrapresi
nell’ultimo quarto del secondo secolo. Ireneo dichiara: «Matteo, infatti,
produsse il suo Evangelo scritto in mezzo agli ebrei, nel loro proprio
dialetto» (Eusebio, Storia Ecclesiastica V, 8, 2). Origene (primo quarto del terzo secolo), nel suo
commento su Matteo, dichiara: «Il primo [Evangelo], composto nella lingua
ebraica, è stato scritto da Matteo… per quelli che sono venuti alla fede dal
giudaismo» (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 25, 44). Eusebio, vescovo di Cesarea (circa 325 d.C ),
scrive: «Matteo aveva predicato prima agli ebrei, e quando egli stava per
andare anche da altri, ha trasmesso il suo Evangelo per iscritto nella sua
madrelingua» (Storia Ecclesiastica III, 24, 6).
Questi sono solo alcuni riferimenti che si trovano
negli scritti dei padri della chiesa che indicano un’origine ebraica per gli
Evangeli. Oltre a questi, ci sono molti riferimenti nei successivi padri
della chiesa (i padri post-niceani, dopo l’anno 325 d.C.). Epifanio [morto
nel 403 d.C.], per esempio, scrive riguardo alla «setta» giudeo-cristiana
dei Nazareni: «Essi hanno l’intero Evangelo di Matteo in ebraico. È
accuratamente conservato da loro come testo originariamente scritto in
ebraico» (Contro le eresie 29, 9, 4).
Epifanio scrive anche riguardo gli Ebioniti,
un’altra «setta» giudeo-cristiana: «Ed accettano anche l’Evangelo di
Matteo... Essi lo chiamano «Evangelo secondo gli Ebrei», e questo è il
corretto modo di parlarne poiché Matteo, unico tra gli scrittori del Nuovo
Testamento, presenta l’Evangelo scritto in ebraico (Contro le eresie
30,3.7).
Girolamo [morto nel 420 d.C.] era di gran lunga il
più istruito nella lingua ebraica di tutti i padri della chiesa. La sua
traduzione latina della Bibbia, la Vulgata, è rimasta fino a oggi
l’autorevole Bibbia della chiesa cattolica romana. Girolamo ha vissuto gli
ultimi 31 anni della sua vita a Betlemme. Là egli tradusse il Vecchio
Testamento in latino direttamente dall’ebraico. Riguardo l’Evangelo di
Matteo, Girolamo scrive: «Matteo fu il primo in Giudea a scrivere l’Evangelo
di Cristo in lettere e parole ebraiche... Chi poi, in seguito, lo tradusse
in greco, non è noto. Inoltre, lo stesso testo ebraico è conservato nella
libreria di Cesarea che il martire Pamfilio ha allestito con grande cura» (De
Viris Inlustribus 3). Se, nonostante queste prove, uno dovesse ancora
considerare la testimonianza dei padri della chiesa come mera «tradizione»,
un fatto finale deve essere osservato: non esiste alcuna tradizione della
chiesa iniziale riguardo un primitivo Evangelo aramaico.
►
La lingua degli Ebrei 3b: Alcune obiezioni sui padri della chiesa {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Aramaico_ebraico3a_Mds.htm
16-02-2007; Aggiornamento: 30-06-2010 |