In considerazione del fatto che la maggioranza degli studio si del Nuovo
Testamento hanno sostenuto che ai tempi di Gesù si parlasse aramaico e che
di conseguenza egli stesso parlasse aramaico, è necessario che esaminiamo i
pro e i contro di questa teoria.
È curioso notare che le stesse persone che
sostengono l’inerranza delle Scritture, prendono quei passaggi specifici del
Nuovo Testamento che testimoniano del parlare ebraico di Gesù (At 26,14), o
del parlare ebraico di Paolo (At 21,40), e dicono: «Questo significa
aramaico, e non ebraico».
Siccome la maggioranza degli studiosi sostengono
l’aramaico, ci devono essere delle forti ragioni che hanno portato ad
accettare questa teoria. Ma, quando si esaminano le prove, ci si rende conto
che non ci sono affatto delle valide ragioni. In realtà, ci sono molte più
prove contro.
Secondo il Codice Sinaitico, il Codice Alessandrino
e il Codice Beza, tre dei più antichi manoscritti greci del Nuovo
Testamento, risalenti ai secoli quarto e quinto, l’iscrizione «Costui è
il Re dei Giudei» (Lc 23,38) sulla croce di Gesù, è stata scritta «in
caratteri greci, latini ed ebraici». Non è forse significativo che la
più antica tradizione testuale greca implica che l’ebraico era più popolare
dell’aramaico in quel periodo?
Quelli che asseriscono un ambiente culturale
aramaico, per quel periodo storico, hanno spesso fatto notare che gli
Evangeli contengono parole aramaiche come Talitha cumì,
Effata, Rabboni ed alcune altre. Benché sia vero che gli
Evangeli abbiano alcune parole aramaiche, troviamo la stessa caratteristica
in tutti i documenti ebraici scritti intorno al tempo di Gesù — per esempio,
i Rotoli del Mar Morto e, successivamente, la Mishnah. Il libro di Geremia,
datato in un periodo dove non c’è alcun dubbio che si parlasse ebraico,
contiene una frase in aramaico (Gr 10,11). Anche il libro della Genesi
contiene delle parole in aramaico (Gn 31,47). Nell’ebraico del primo secolo, troviamo molte
parole mutuate dall’aramaico, cioè, parole prese in prestito. Questo è vero
anche per il Nuovo Testamento; comunque, esaminate più scrupolosamente molte
parole aramaiche risultano essere ebraiche. Per esempio, sìkera
(bevanda inebriante, Lc 1,15), è stata sempre inclusa nella lista delle
parole aramaiche del Nuovo Testamento. Siccome finisce per «a», si è
supposto che fosse una traslitterazione greca dell’aramaico šikra,
piuttosto che dell’ebraico šeichar. Tuttavia, nei migliori dizionari
di ebraico e greco, si osserva che sìkera è la normale traduzione
greca dell’ebraico šeichar. La «a» in fine di parola non è
l’articolo determinativo aramaico, ma semplicemente il finale neutro greco.
Questo vale anche per la «a» di pascha (pasqua, Lc 2,41).
Anche la presenza di una parola aramaica, come
Abba
(Mc 14,36), non dimostra l’esistenza di un originale aramaico. Abba
ricorre frequentemente negli scritti ebraici del periodo, come parola presa
in prestito dall’aramaico, a causa del suo significato particolare, e viene
utilizzata nella stessa maniera in cui noi usiamo «papà» o «babbo» in
italiano.
Oggi, nell’Israele moderno, i bambini utilizzano Abba quando si
rivolgono ai loro padri, esattamente nella stessa maniera in cui veniva
fatto ai tempi di Gesù.
Forse, l’aramaismo più spesso citato nel Nuovo
Testamento è la frase: «Eloì, Eloì, lammà sabachthanì» (Mc 15,34).
Queste parole sono aramaiche, ma gli astanti pensavano che Gesù chiamasse
Elia. Secondo loro Gesù avrebbe detto «Elì, Elì», non «Eloì, Eloì».
Come mai commisero tale errore dato che Gesù aveva gridato a gran voce?
Perché in ebraico Elì può significare sia «Dio mio», che essere
un’abbreviazione dell’ebraico Elijahu
(Elia). Ma l’aramaico Eloì può significare solo «Dio mio».
Dobbiamo notare che Matteo riporta: «Elì, Elì» (Mt 27,46). Inoltre,
lamma («perché») è la stessa parola in entrambe le lingue, e sabach
è un verbo che si trova non solo in aramaico, ma anche nell’ebraico della
Mishnah.
Sulla base delle poche parole aramaiche che possono
essere trovate, non si può trascurare le numerose parole ebraiche che
ricorrono nel testo greco degli Evangeli, come:
mamonà (Lc 16,9), rabbì (Mt 23,7s),
Beelzebub (Lc 11,15), corban (Mc 7,11), Satana
(Lc 10,18), kùminon (comino, Mt 23,23), racà
(un termine di disprezzo; letteralmente, «uomo da nulla», Mt 5,22), moré
(pazzo, stolto, ribelle, Mt 5,22),
bati (unità di misura per liquidi equivalente a circa 35 litri, Lc
16,6), cori (unità di misura per liquidi, corrispondente a circa 350
litri, Lc 16,7), zizania
(Mt 13,25), Boanerges (Mc 3,17), mirou (mirra, Lc 7,37),
sykamìro (sicomoro, Lc 17,6) e amen, che ricorre circa 100 volte
nel testo greco degli Evangeli.
La prova a favore dell’ebraico è schiacciante, ma
molti cristiani aderiscono ancora all’antiquata ipotesi aramaica, come se la
loro fede dipendesse da essa. Nel corso degli anni, ogni volta che qualche
studioso ha argomentato a favore dell’ebraico o quando sono stati rinvenuti
dei rotoli o delle iscrizioni in ebraico, i fautori della teoria aramaica si
sono affrettati a giustificare la scoperta, ad esempio, come segue. ■ Quando il Nuovo Testamento o Giuseppe Flavio
dicono, «ebraico», i fautori dell’ipotesi aramaica dicono «questo significa
aramaico».
■ Quando delle iscrizioni del periodo romano sono
state trovate soltanto in ebraico, greco e latino, negli scavi del Monte del
Tempio, è stato detto delle iscrizioni ebraiche: «Esse sono solo
rappresentative dell’ebraico usato dai sacerdoti nell’area sacra, ma non
stanno a indicare la lingua parlata dall’uomo comune».
■ È stato detto della Mišnah e degli altri scritti
rabbinici: «Questi, è vero, sono scritti in ebraico, ma è una lingua
artificiale utilizzata solo per lo studio e la discussione tra i rabbini e i
loro studenti nelle accademie talmudiche».
Riguardo a quest’ultimo argomento, dovrebbe essere osservato che agli inizi
del 1927, il grande studioso ebraico M.H. Segal, ha dimostrato in maniera
conclusiva che l’ebraico della Mišnah non era una lingua artificiale usata
solo dagli studenti e dai rabbini nelle accademie talmudiche, ma che mostra
tutte le caratteristiche di una lingua viva.
Questo non significa che l’aramaico, così come il
greco, non fosse parlato in Israele. La maggior parte della gente era
certamente multilingue (come oggi) o almeno bilingue, con l’aramaico, greco,
e un po’ di latino nell’uso comune accanto all’ebraico.
Cito Segal: «Qual era la lingua della vita
ordinaria degli ebrei di Gerusalemme e della Giudea nel periodo tra il 400
a.C. e il 150 d.C.? La prova presentata dall’ebraico della Mišnah e della
sua letteratura non lascia alcun dubbio che la lingua fosse l’ebraico
mišnaico. Naturalmente, i Giudei istruiti capivano anche l’aramaico, e
l’usavano anche per iscritto, ma solo occasionalmente e non abitualmente —
nello stesso modo in cui… i Fiamminghi in Belgio usano spesso il francese»
(Segal, scritto nell’anno 1927).
Le conclusioni di Segal, purtroppo, sono state
quasi completamente ignorate dagli studiosi cristiani.
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La lingua degli Ebrei 2: Al tempo del NT
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Aramaico_ebraico1_OiG.htm
16-02-2007; Aggiornamento: 30-06-2010 |