Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

9. Israele e chiesa

Scrivi @ F. De Angelis

Spiegazione delle rubriche

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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VIAGGIO IN TERRA SANTA

Segni di crocifissione (e di risurrezione)

 

 di Fernando De Angelis

 

 

1.  PRIMA DELLA PARTENZA: Molti anni fa ho deciso di rinunciare definitivamente alla prospettiva d’un viaggio in Israele, per il rischio d’essere travolto dall’emozione e fare gesti inconsulti (la nota «sindrome di Gerusalemme», della quale sono vittime specialmente gli evangelici). È da qualche anno, però, che Gilda desiderava andarci e così, ora che le circostanze ce lo permettono, ho sentito come un dovere il consentirglielo (essendo in sedia a rotelle, da sola ci rinuncerebbe). Su itinerario e scopi, perciò, ho lasciato l’ultima parola a lei e io ho indossato la corazza protettiva dell’accompagnatore: anche attraverso la corazza, però, qualcosa passa.

     Le difficoltà e i rischi connessi alla situazione di Gilda erano tanti, ma c’era anche la convinzione che il viaggio fosse nella volontà di Dio e che saremmo stati da lui guidati. Pur sentendo la vicinanza di Dio, c’era la sensazione d’inoltrarsi in una prova e i timori erano rimasti forti: così, anche per lo stress di questi ultimi tempi, avrei preferito rimanere a casa. Pensavamo che la conoscenza della lingua francese sarebbe stata più o meno sufficiente, invece per la comunicazione (oltre all’ebraico) è quasi sempre necessario l’inglese: lingua nella quale Gilda ha molte difficoltà e della quale io conosco solo qualche parola.

     All’aeroporto m’accorgo d’aver involontariamente lasciato a casa la macchina fotografica e Gilda se ne dispiace molto. Io invece sono in fondo contento, perché è un impegno in meno e perché penso che le immagini migliori siano quelle che vengono suscitate dalle parole. Alla fine anche Gilda se ne fa una ragione e suppliamo con cartoline e guide illustrate.

 

 

2.  ITINERARIO

     ■ Venerdì 28/3/08. Alle ore 5 arrivo a Tel Aviv, dove abbiamo dormito tre notti (Hotel Gilgal, di Jakob Damkani, ne riparleremo). Breve escursione nella contigua Jaffa (la Ioppe degli Atti degli Apostoli).

     ■ Lunedì 31/3. Con auto a noleggio, da Tel Aviv ci dirigiamo a Nazareth, passando per la Valle di Meghiddo. Arrivo in serata a Tiberiade (Mar di Galilea) dove pure dormiamo tre notti. Giro completo del lago.

     ■ Giovedì 3/4. «Volata» Tiberiade-Gerico-Masada-Gerico-Gerusalemme. Fino a Gerico attraverso la valle del Giordano, poi inoltrandosi nelle coste desertiche del Mar Morto: dove s’incontra presto Qumram, mentre per Masada bisogna fare circa 60 km. Arrivati a Masada, siamo subito tornati indietro, dirigendoci a Gerusalemme passando di nuovo per Gerico. A Gerusalemme abbiamo lasciato la macchina e usato i taxi, dormendoci 8 notti e concentrandoci sulla «Città Vecchia» («Old City»): via Dolorosa, Santo Sepolcro, Muro del Pianto, Spianata delle Moschee, Museo Armeno, Tomba del Giardino, Chiesa di S. Anna e connessi resti archeologici della Piscina di Betesda. All’esterno della Città Vecchia abbiamo visitato il Museo dell’Olocausto (Yad Vashem), l’Israel Museum (rotoli di Qumram) e il quartiere di Mea Shearim, dove si concentrano gli ebrei ortodossi.

     ■ Venerdì 11/4. Ritorno a Tel Aviv (Gilgal), dove abbiamo dormito altre 4 notti, riprendendo la macchina a noleggio per fare una veloce escursione nella zona costiera settentrionale (Cesarea, Haifa, Acco).

     ■ Martedì 15/4. Alle ore 16 inizia il viaggio aereo di ritorno.

 

 

3.  MOMENTI DI CRISI: Nelle zone extraurbane mi è stato facile imboccare le strade giuste, mentre in città mi sono trovato per tre volte completamente confuso: all’inizio uscendo da Tel Aviv, poi nel cercare (invano) il centro storico di Nazareth, alla fine rientrando a Tel Aviv. I tre momenti veramente critici, però, sono stati altri.

     ■ Domenica 30/3, facendo il primo giro con la macchina presa a noleggio dalla Eldan, nel parcheggio custodito ho dimenticato il cuscino e lo schienale della carrozzina di Gilda. Ce ne siamo accorti dopo circa mezz’ora e Gilda è stata comprensibilmente presa da angoscia, speravo di recuperarli subito, ma il custode s’era già disfatto dello schienale buttandolo nel luogo dei rifiuti, dove qualcuno se l’era preso. Rientrati all’Hotel Gilgal, dopo il tentativo d’una donna volenterosa, andato però male, altri ci hanno procurato un buon indirizzo, non facile da raggiungere, ma che ci ha risolto il problema.

     ■ Lunedì 31, in un albergo di Tiberiade, dopo aver visionato una camera risultata inadeguata, nel cercare d’uscire sono finito sulla scala esterna antincendio, sbarrata in basso da un cancello difficilmente scavalcabile e senza la possibilità di poter rientrare all’interno, con il mio bussare e gridare che cadevano nel vuoto, con Gilda ignara del problema e che stava aspettando in macchina con sempre più preoccupazione. Non c’era altra possibilità che andare verso l’alto e così sono arrivato al tetto, una vasta terrazza, dove, dopo alcuni tentativi, ho finalmente trovato una porta apribile che immetteva sulla cima delle scale interne, attraverso le quali sono uscito.

     ■ Giovedì 3/4. Pensando all’Italia, immaginavo che anche a Gerusalemme gli alberghi fossero ancora semivuoti, invece erano quasi tutti pieni. Ho così preso come un miracolo l’accorgermi, dopo un po’, che avevo parcheggiato la macchina proprio vicino alla sede della Eldan e che a fianco c’era un albergo YMCA con una camera libera, seppur solo per una notte. Gilda era molto stanca ed è andata a letto, mentre io sono entrato nella vicina Città Vecchia per cercare una sistemazione per l’indomani. I primi alberghi contattati erano pieni e io stavo percorrendo una strada dove non ne vedevo altri. Così ho accettato l’invito d’un tassista e gli ho chiesto di cercarmi un albergo. Vista la difficoltà, ho accettato la sua proposta d’andare a vedere una sua camera con bagno e mi sono ritrovato sempre più immerso in una zona periferica musulmana, con chiari segni di degrado che mi stimolavano crescenti timori, nonostante il tassista avesse un aspetto tranquillizzante. Mi ha portato in una villetta a tre piani nuova, ma con Gilda non potevo certo andare nella parte alta. Mi ha allora offerto una camera dei suoi figli, ma sono riuscito a rifiutare senza offenderlo. Riprendendo la vana ricerca dell’albergo, è arrivata una telefonata di Gilda, ma non riuscivo a sentirne la voce; poi ho telefonato io, ma il suo telefono squillava invano. Ho sollecitato il tassista a riportarmi indietro, ma lui voleva proseguire la ricerca e anche io ne ravvisavo la necessità; intanto Gilda ha ritelefonato, ma questa volta sono riuscito a sentirne la voce piangente e a rassicurarla. Finalmente abbiamo trovato posto nel mega-albergo periferico Regency, dove ho prenotato subito quattro notti, alla fine delle quali Gilda si dirà soddisfatta d’essere stata lì: la grande paura aveva almeno prodotto un piccolo frutto (del successivo albergo, situato nella Città Vecchia, Gilda resterà invece poco soddisfatta).

 

 

4.  L’EVIDENTE SCONFITTA DI GESÙ: Quasi ovunque ho colto i segni della sconfitta di Gesù, del suo essere stato pubblicamente crocifisso. A Ioppe (Jaffa), Pietro risuscitò Tabita nel nome di Gesù e lì andarono a cercarlo gli inviati di Cornelio per chiedergli d’andare a Cesarea, dove per la prima volta constatò come Gesù sapesse mettere una nuova vita anche nel mondo dei pagani (At 10). Oggi a Ioppe i segni della presenza cristiana sono deboli e la città è dominata dalle moschee. Dell’antica Cesarea resta quasi solo l’acquedotto romano e la città è un recente e lussuoso insediamento ebraico.

     Nazareth si è molto estesa e la gran maggioranza della popolazione è musulmana. I cristiani si sentono sotto pressione e il loro numero, come in tutto il Medio Oriente, tende piuttosto a diminuire a causa della minore natalità e dell’emigrazione. Quelli che restano, poi, spesso per sopravvivere cercano di mimetizzarsi. È in questa città che Gesù è vissuto più a lungo ed è evidente come appaia umiliato, anche se l’antica fontana porta il nome di «Fontana di Maria».

     Che dire poi delle città nelle quali Gesù operò di più? Egli stesso certificò il fallimento della sua azione, perché quelle città avevano accettato solo superficialmente il suo messaggio: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida […] E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino nell’Ades» (Mt 11,21ss). Oggi Capernaum è solo un sito archeologico, come pure Betsaida, mentre Corazin è un altro lussuoso insediamento ebraico. La predizione di Gesù si è avverata e anche questo è un segno, ma lì seminò più che altrove e oggi non ci sono che macerie. Per rendersi conto dell’umiliazione di Gesù, basta fare il confronto con i luoghi dove è nato e ha operato Maometto: La Mecca, Medina e l’Arabia sono completamente pervase dall’influenza di chi si è definito «l’ultimo dei profeti» e ha più volte ribadito che «Dio non ha figlio», proprio contrapponendosi a quanto è scritto nell’Evangelo (Gv 5,18; Mt 14,33; 16,16).

     Gesù lanciò ai suoi contemporanei una sfida apparentemente assurda: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» (Gv 2,18-23). Anche gli apostoli pensarono che stesse parlando del tempio fatto di pietre e solo dopo la risurrezione capirono che in realtà stava parlando del tempio di carne rappresentato dal suo stesso corpo. I cristiani spesso non si rendono conto di quanto Gesù s’identificasse col Tempio e di come vedesse nella distruzione del suo corpo (che era il vero Tempio, essendo l’altro solo un simbolo) la causa profonda della distruzione operata dai Romani 40 anni dopo.

     Quel Tempio non è stato più ricostruito e in quella spianata sopraelevata, incredibilmente vasta e che domina la città, ora troneggiano le moschee e l’islam rende palpabile la sua grande forza. Molti metri più in basso, sulle mura che reggono quella spianata, restano le pietre dell’antico Tempio, che Gesù chiamò la «casa del Padre mio», perciò la sua propria casa (Lc 2,49). Lì i discendenti di quelli che hanno portato la salvezza al mondo («la salvezza viene dai Giudei»; Gv 4,22) vedono giustamente il segno del loro alterato rapporto con Dio e piangono («Muro del Pianto»), ma il popolo di Gesù non riesce a trovare la via d’uscita, continuando a tenerlo fuori dalla porta. La profezia di Gesù sul Tempio si è avverata, ma ancora una volta l’esito è dato dalle macerie.

     È vero che due delle quattro parti di Gerusalemme sono definite «cristiane» (una armena e l’altra di tipo vario), ma è una presenza comunque subordinata: ai musulmani sul piano sociale e alle autorità israeliane sul piano politico. Anche nei due quartieri cristiani di Gerusalemme, insomma, si ha più l’impressione d’un Gesù crocifisso, piuttosto che risorto. Significativo è che, proprio nel luogo dove i più ritengono che Gesù sia stato sepolto per poi risorgere il terzo giorno, cioè nella chiesa del Santo Sepolcro, le chiavi siano state a un certo punto affidate a un musulmano, per evitare che la litigiosità fra cristiani rendesse il luogo inagibile!

     Però, se quell’apparire crocifisso fosse una deliberata scelta di Gesù? Egli poteva mostrarsi risorto anche ai suoi crocifissori, ma decise di darne prova concreta solo ai suoi discepoli, manifestando la sua signoria nell’irresistibile forza di diffusione dell’Evangelo (Mt 28,18-19; libro degli Atti). Forse anche oggi Gesù lascia che i non credenti lo credano «il crocifisso», mentre ai credenti si mostra risorto? Comunque i momenti per me più emozionanti sono stati quelli nei quali mi è parso di vedere qualche segno della sua risurrezione.

 

 

5.  TRACCE DI RISURREZIONE: Come detto, il nostro primo approdo è stato all’Hotel Gilgal di Tel Aviv, il venerdì mattina. Il fondatore di quell’albergo è Jakob Damkani, un ebreo con una storia travagliata che poi ha incontrato Gesù (vedere l’autobiografia Leone di Pietra. Leone di Giuda [UCEB, Fondi 2003]). Dopo una fase pionieristica, proprio il giorno della nostra partenza, Dio gli ha concesso d’inaugurare ufficialmente un albergo alto cinque piani, da usare come efficace strumento per raggiungere gli ebrei, con una predicazione che non sottovaluti il contesto ebraico dell’Evangelo. La sera del venerdì, come si sa, comincia il sabato ebraico e a Gilgal si fa un culto cristiano con cena comune. Sentire elevarsi la lode a Gesù in ebraico e proprio dalla sua patria è stata per me la prima forte emozione, come se lì Gesù (dopo un lungo silenzio) avesse ricominciato a vivere («Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»; Mt 18,20).

     Dove finisce il Mar di Galilea e ricomincia il fiume Giordano, in un luogo chiamato Yardenit, alcuni protestanti ritengono che sia il luogo dove Gesù si è fatto battezzare da Giovanni. Non ci si concentra, però, nella polemica su ciò che quel luogo potrebbe essere stato, ma sulla funzione che può fare oggi. Così, in quella gola del fiume, alcune scalinate raggiungono il fondo, dove sono state attrezzate delle apposite aree adatte a praticare il battesimo per immersione. L’opportunità di farlo è molto apprezzata e così si succedono continuamente gruppi vari provenienti da tutto il mondo; in un’atmosfera festosa fatta di canti, di preghiere, d’abbracci e d’applausi: «Questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti, allora verrà la fine» (Mt 24,14). Anche qui, come nel successivo luogo descritto, l’ingresso è gratuito e ciò sottolinea l’intento educativo che si vuole dargli (l’aspetto economico viene curato dalla presenza di negozi annessi).

     Anche la «Tomba del Giardino» (Garden Tomb) ha un’impostazione simile. Il luogo è stato valorizzato da un ufficiale inglese, il quale si convinse che Gesù fu sepolto proprio lì, piuttosto che dove è stata edificata la chiesa del Santo Sepolcro. Non ho approfondito la questione, ma gli Evangeli dicono chiaramente che la tomba si trovava in un orto-giardino vicino al luogo della crocifissione (Gv 19,41-42; 20,15), non in un cimitero. Il nome del luogo della crocifissione («il Teschio», Lc 23,33) poteva benissimo derivare dall’aspetto che aveva, piuttosto che dalla sua funzione. Lì infatti la roccia ha due piccole caverne contigue che sembrano due orbite vuote, separate da un cordone di roccia che sembra un naso: come mostrano le foto fatte a una giusta distanza, l’impressione che dà il tutto è proprio d’un teschio. Anche qui non s’insiste sulla effettiva autenticità del luogo, né si è spinti a considerarlo come avente un valore magico, ma se ne è fatto uno stimolo all’adorazione comunitaria. Infatti in quel giardino, su più livelli, s’incastrano piazzole fornite di sedie, riempite da gruppi provenienti da tutto il mondo che, senza essere distratti da ciò che fa il gruppo vicino, pregano, ascoltano sermoni e cantano.

     Su un terzo luogo, pure esso di variopinta adorazione spontanea e corale, ci siamo capitati per caso. Supponendo di poter entrare più facilmente nella Spianata delle Moschee, ci siamo fatti portare dal taxi nella Porta dei Leoni (o di S. Stefano, chiamata pure così perché è fuori d’essa che dovrebbe essere stato lapidato il primo martire) e invece la Spianata è accessibile da quel lato solo ai musulmani. Esplorando la zona, ci siamo subito imbattuti nel vasto sito archeologico connesso con la piscina di Betesda (Gv 5,2), dove Gesù guarì un paralitico. Su quel racconto Gilda ha da tempo fatto qualche riflessione, perciò il trovarcisi l’ha coinvolta particolarmente e il tutto è stato rafforzato dalla connessa chiesa di S. Anna. Questa chiesa è fatta a croce e, nel punto centrale, manifesta un’acustica veramente eccezionale. Pur essendo cattolica, assomiglia a un luogo protestante, non solo perché è spoglia d’immagini, ma anche perché pure lì s’alternano vari gruppi che continuamente cantano in modo spontaneo. Appena entrato ho sentito in inglese un inno che esiste anche in italiano e che mi piace particolarmente («O mio Signor, se guardo il ciel, le stelle, se penso ai mondi, opra di tua man, se odo il tuon, la voce sua possente che il tuo poter mi porta a meditar, l’anima mia, Signore, canta a Te: grande Tu sei! Grande Tu sei!»).

 

 

6.  RIFLESSIONI CONCLUSIVE: La cosiddetta Terra Santa mi è parsa nel complesso un luogo di tenebre e di confusione, ma con delle aperture attraverso le quali si riesce a vedere il cielo e qualche raggio di sole, che permettono di sperare in future giornate pienamente serene. Come se, in piena notte, si vedesse qualche stella e una falce di luna crescente, che non fa molta luce, ma consente comunque di proseguire il cammino e, soprattutto, riflette quel sole che ora è nascosto, ma che si sta piano piano avviando a sorgere.

     Quando si getta un sasso in una vasca d’acqua, partono delle onde concentriche che sembrano svuotare il centro. Raggiunta la periferia, però, quelle onde rimbalzano e tornano al centro. Duemila anni fa la risurrezione di Gesù ha prodotto un grande sconvolgimento proprio a partire da Gerusalemme. Ora è in fase avanzata quella formazione d’una rete di cristiani che deve avvolgere tutto il mondo (in Cina, per esempio, ci sono più di 100 milioni di cristiani che professano la loro fede nonostante la persecuzione); nella terra di Gesù la persecuzione giudaica prima e l’ondata musulmana poi hanno prodotto quasi un vuoto. Quel vuoto, però, sembra che si vada piano piano riempiendo; non solo per l’ondata di ritorno di pellegrini cristiani che provengono da tutto il mondo, ma anche perché vanno crescendo delle chiese fatte da ebrei o musulmani convertitisi a Cristo. In Israele, gli ebrei che credono in Gesù (i cosiddetti ebrei «messianici») si contano ormai a migliaia e ce n’è anche un gruppo fatto da quelli che sembrano i più impenetrabili (cioè gli ebrei «ortodossi»).

     In Luca 13,35 Gesù dice a Gerusalemme: «Voi non mi vedrete più, finché non diciate: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”» (in ebraico: «Baruk haba beshem Adonai»). È asceso al cielo partendo dal Monte degli Ulivi, contiguo a Gerusalemme, e il suo ritorno è annunciato «nella medesima maniera» (Atti 1,9-12). Mettendo insieme queste due espressioni del Nuovo Testamento, se ne può trarre la conclusione che Gesù tornerà proprio a Gerusalemme, ma solo quando dalla città si leverà quell’invocazione, solo quando chi lo ha crocifisso gli aprirà le porte («Essi riguarderanno a me, a colui che hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico»; Zaccaria 12,10). Uno dei «gesti inconsulti» che temevo di fare a Gerusalemme era quello di mettermi a gridare: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Come accompagnatore di Gilda sapevo che non avrei potuto farlo e allora ho fatto preparare delle magliette con quella scritta in italiano. Sabato 5 aprile di pomeriggio, a Gerusalemme, abbiamo assistito a un culto fatto in lingua ebraica e da credenti in Gesù per lo più ebrei. Fra i canti ce n’era uno basato proprio su quell’invocazione attesa da Gesù ed espressa nella lingua di Gesù. Per scendere su Gerusalemme gli necessitano molte invocazioni simili, perciò quello che si potrebbe chiamare «l’aeroporto» non è certamente pronto, ma che emozione constatare che i lavori sono già cominciati!

     I cristiani orientali (ortodossi) conservano un modo di salutarsi che risale alle origini. Quando uno ne incontra un altro, dice: «Egli è risorto!»; l’altro risponde: «Egli è veramente risorto!».

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/905-Terra_Santa_viaggio_Avv.htm

21-04-2008; Aggiornamento:

 

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