1. PRIMA DELLA PARTENZA:
Molti anni fa ho deciso di rinunciare definitivamente alla prospettiva d’un
viaggio in Israele, per il rischio d’essere travolto dall’emozione e fare gesti
inconsulti (la nota «sindrome di Gerusalemme», della quale sono vittime
specialmente gli evangelici). È da qualche anno, però, che Gilda desiderava
andarci e così, ora che le circostanze ce lo permettono, ho sentito come un
dovere il consentirglielo (essendo in sedia a rotelle, da sola ci rinuncerebbe).
Su itinerario e scopi, perciò, ho lasciato l’ultima parola a lei e io ho
indossato la corazza protettiva dell’accompagnatore: anche attraverso la
corazza, però, qualcosa passa.
Le difficoltà e i rischi connessi alla situazione
di Gilda erano tanti, ma c’era anche la convinzione che il viaggio fosse
nella volontà di Dio e che saremmo stati da lui guidati. Pur sentendo la
vicinanza di Dio, c’era la sensazione d’inoltrarsi in una prova e i timori
erano rimasti forti: così, anche per lo stress di questi ultimi tempi, avrei
preferito rimanere a casa. Pensavamo che la conoscenza della lingua francese
sarebbe stata più o meno sufficiente, invece per la comunicazione (oltre
all’ebraico) è quasi sempre necessario l’inglese: lingua nella quale Gilda
ha molte difficoltà e della quale io conosco solo qualche parola.
All’aeroporto m’accorgo d’aver involontariamente
lasciato a casa la macchina fotografica e Gilda se ne dispiace molto. Io
invece sono in fondo contento, perché è un impegno in meno e perché penso
che le immagini migliori siano quelle che vengono suscitate dalle parole.
Alla fine anche Gilda se ne fa una ragione e suppliamo con cartoline e guide
illustrate.
2. ITINERARIO
■ Venerdì 28/3/08. Alle ore 5 arrivo a Tel Aviv,
dove abbiamo dormito tre notti (Hotel Gilgal, di Jakob Damkani, ne
riparleremo). Breve escursione nella contigua Jaffa (la Ioppe degli Atti
degli Apostoli).
■ Lunedì 31/3. Con auto a noleggio, da Tel Aviv ci
dirigiamo a Nazareth, passando per la Valle di Meghiddo. Arrivo in serata a
Tiberiade (Mar di Galilea) dove pure dormiamo tre notti. Giro completo del
lago.
■ Giovedì 3/4. «Volata»
Tiberiade-Gerico-Masada-Gerico-Gerusalemme. Fino a Gerico attraverso la
valle del Giordano, poi inoltrandosi nelle coste desertiche del Mar Morto:
dove s’incontra presto Qumram, mentre per Masada bisogna fare circa 60 km.
Arrivati a Masada, siamo subito tornati indietro, dirigendoci a Gerusalemme
passando di nuovo per Gerico. A Gerusalemme abbiamo lasciato la macchina e
usato i taxi, dormendoci 8 notti e concentrandoci sulla «Città Vecchia»
(«Old City»): via Dolorosa, Santo Sepolcro, Muro del Pianto, Spianata delle
Moschee, Museo Armeno, Tomba del Giardino, Chiesa di S. Anna e connessi
resti archeologici della Piscina di Betesda. All’esterno della Città Vecchia
abbiamo visitato il Museo dell’Olocausto (Yad Vashem), l’Israel Museum
(rotoli di Qumram) e il quartiere di Mea Shearim, dove si concentrano gli
ebrei ortodossi.
■ Venerdì 11/4. Ritorno a Tel Aviv (Gilgal), dove
abbiamo dormito altre 4 notti, riprendendo la macchina a noleggio per fare
una veloce escursione nella zona costiera settentrionale (Cesarea, Haifa,
Acco).
■ Martedì 15/4. Alle ore 16 inizia il viaggio aereo
di ritorno.
3. MOMENTI DI CRISI: Nelle
zone extraurbane mi è stato facile imboccare le strade giuste, mentre in città
mi sono trovato per tre volte completamente confuso: all’inizio uscendo da Tel
Aviv, poi nel cercare (invano) il centro storico di Nazareth, alla fine
rientrando a Tel Aviv. I tre momenti veramente critici, però, sono stati altri.
■ Domenica 30/3, facendo il primo giro con la
macchina presa a noleggio dalla Eldan, nel parcheggio custodito ho
dimenticato il cuscino e lo schienale della carrozzina di Gilda. Ce ne siamo
accorti dopo circa mezz’ora e Gilda è stata comprensibilmente presa da
angoscia, speravo di recuperarli subito, ma il custode s’era già disfatto
dello schienale buttandolo nel luogo dei rifiuti, dove qualcuno se l’era
preso. Rientrati all’Hotel Gilgal, dopo il tentativo d’una donna
volenterosa, andato però male, altri ci hanno procurato un buon indirizzo,
non facile da raggiungere, ma che ci ha risolto il problema.
■ Lunedì 31, in un albergo di Tiberiade, dopo aver
visionato una camera risultata inadeguata, nel cercare d’uscire sono finito
sulla scala esterna antincendio, sbarrata in basso da un cancello
difficilmente scavalcabile e senza la possibilità di poter rientrare
all’interno, con il mio bussare e gridare che cadevano nel vuoto, con Gilda
ignara del problema e che stava aspettando in macchina con sempre più
preoccupazione. Non c’era altra possibilità che andare verso l’alto e così
sono arrivato al tetto, una vasta terrazza, dove, dopo alcuni tentativi, ho
finalmente trovato una porta apribile che immetteva sulla cima delle scale
interne, attraverso le quali sono uscito.
■ Giovedì 3/4. Pensando all’Italia, immaginavo che
anche a Gerusalemme gli alberghi fossero ancora semivuoti, invece erano
quasi tutti pieni. Ho così preso come un miracolo l’accorgermi, dopo un po’,
che avevo parcheggiato la macchina proprio vicino alla sede della Eldan e
che a fianco c’era un albergo YMCA con una camera libera, seppur solo per
una notte. Gilda era molto stanca ed è andata a letto, mentre io sono
entrato nella vicina Città Vecchia per cercare una sistemazione per
l’indomani. I primi alberghi contattati erano pieni e io stavo percorrendo
una strada dove non ne vedevo altri. Così ho accettato l’invito d’un
tassista e gli ho chiesto di cercarmi un albergo. Vista la difficoltà, ho
accettato la sua proposta d’andare a vedere una sua camera con bagno e mi
sono ritrovato sempre più immerso in una zona periferica musulmana, con
chiari segni di degrado che mi stimolavano crescenti timori, nonostante il
tassista avesse un aspetto tranquillizzante. Mi ha portato in una villetta a
tre piani nuova, ma con Gilda non potevo certo andare nella parte alta. Mi
ha allora offerto una camera dei suoi figli, ma sono riuscito a rifiutare
senza offenderlo. Riprendendo la vana ricerca dell’albergo, è arrivata una
telefonata di Gilda, ma non riuscivo a sentirne la voce; poi ho telefonato
io, ma il suo telefono squillava invano. Ho sollecitato il tassista a
riportarmi indietro, ma lui voleva proseguire la ricerca e anche io ne
ravvisavo la necessità; intanto Gilda ha ritelefonato, ma questa volta sono
riuscito a sentirne la voce piangente e a rassicurarla. Finalmente abbiamo
trovato posto nel mega-albergo periferico Regency, dove ho prenotato subito
quattro notti, alla fine delle quali Gilda si dirà soddisfatta d’essere
stata lì: la grande paura aveva almeno prodotto un piccolo frutto (del
successivo albergo, situato nella Città Vecchia, Gilda resterà invece poco
soddisfatta).
4. L’EVIDENTE SCONFITTA DI GESÙ:
Quasi ovunque ho colto i segni della sconfitta di Gesù, del suo essere stato
pubblicamente crocifisso. A Ioppe (Jaffa), Pietro risuscitò Tabita nel nome di
Gesù e lì andarono a cercarlo gli inviati di Cornelio per chiedergli d’andare a
Cesarea, dove per la prima volta constatò come Gesù sapesse mettere una nuova
vita anche nel mondo dei pagani (At 10). Oggi a Ioppe i segni della presenza
cristiana sono deboli e la città è dominata dalle moschee. Dell’antica Cesarea
resta quasi solo l’acquedotto romano e la città è un recente e lussuoso
insediamento ebraico.
Nazareth si è molto estesa e la gran maggioranza
della popolazione è musulmana. I cristiani si sentono sotto pressione e il
loro numero, come in tutto il Medio Oriente, tende piuttosto a diminuire a
causa della minore natalità e dell’emigrazione. Quelli che restano, poi,
spesso per sopravvivere cercano di mimetizzarsi. È in questa città che Gesù
è vissuto più a lungo ed è evidente come appaia umiliato, anche se l’antica
fontana porta il nome di «Fontana di Maria».
Che dire poi delle città nelle quali Gesù operò di
più? Egli stesso certificò il fallimento della sua azione, perché quelle
città avevano accettato solo superficialmente il suo messaggio: «Guai a
te, Corazin! Guai a te, Betsaida […] E tu, o Capernaum, sarai forse
innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino nell’Ades» (Mt 11,21ss).
Oggi Capernaum è solo un sito archeologico, come pure Betsaida, mentre
Corazin è un altro lussuoso insediamento ebraico. La predizione di Gesù si è
avverata e anche questo è un segno, ma lì seminò più che altrove e oggi non
ci sono che macerie. Per rendersi conto dell’umiliazione di Gesù, basta fare
il confronto con i luoghi dove è nato e ha operato Maometto: La Mecca,
Medina e l’Arabia sono completamente pervase dall’influenza di chi si è
definito «l’ultimo dei profeti» e ha più volte ribadito che «Dio non ha
figlio», proprio contrapponendosi a quanto è scritto nell’Evangelo (Gv 5,18;
Mt 14,33; 16,16).
Gesù lanciò ai suoi contemporanei una sfida
apparentemente assurda: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo
farò risorgere!» (Gv 2,18-23). Anche gli apostoli pensarono che stesse
parlando del tempio fatto di pietre e solo dopo la risurrezione capirono che
in realtà stava parlando del tempio di carne rappresentato dal suo stesso
corpo. I cristiani spesso non si rendono conto di quanto Gesù
s’identificasse col Tempio e di come vedesse nella distruzione del suo corpo
(che era il vero Tempio, essendo l’altro solo un simbolo) la causa profonda
della distruzione operata dai Romani 40 anni dopo.
Quel Tempio non è stato più ricostruito e in quella
spianata sopraelevata, incredibilmente vasta e che domina la città, ora
troneggiano le moschee e l’islam rende palpabile la sua grande forza. Molti
metri più in basso, sulle mura che reggono quella spianata, restano le
pietre dell’antico Tempio, che Gesù chiamò la «casa del Padre mio», perciò
la sua propria casa (Lc 2,49). Lì i discendenti di quelli che hanno portato
la salvezza al mondo («la salvezza viene dai Giudei»; Gv 4,22) vedono
giustamente il segno del loro alterato rapporto con Dio e piangono («Muro
del Pianto»), ma il popolo di Gesù non riesce a trovare la via d’uscita,
continuando a tenerlo fuori dalla porta. La profezia di Gesù sul Tempio si è
avverata, ma ancora una volta l’esito è dato dalle macerie.
È vero che due delle quattro parti di Gerusalemme
sono definite «cristiane» (una armena e l’altra di tipo vario), ma è una
presenza comunque subordinata: ai musulmani sul piano sociale e alle
autorità israeliane sul piano politico. Anche nei due quartieri cristiani di
Gerusalemme, insomma, si ha più l’impressione d’un Gesù crocifisso,
piuttosto che risorto. Significativo è che, proprio nel luogo dove i più
ritengono che Gesù sia stato sepolto per poi risorgere il terzo giorno, cioè
nella chiesa del Santo Sepolcro, le chiavi siano state a un certo punto
affidate a un musulmano, per evitare che la litigiosità fra cristiani
rendesse il luogo inagibile!
Però, se quell’apparire crocifisso fosse una
deliberata scelta di Gesù? Egli poteva mostrarsi risorto anche ai suoi
crocifissori, ma decise di darne prova concreta solo ai suoi discepoli,
manifestando la sua signoria nell’irresistibile forza di diffusione
dell’Evangelo (Mt 28,18-19; libro degli Atti). Forse anche oggi Gesù lascia
che i non credenti lo credano «il crocifisso», mentre ai credenti si mostra
risorto? Comunque i momenti per me più emozionanti sono stati quelli nei
quali mi è parso di vedere qualche segno della sua risurrezione.
5. TRACCE DI RISURREZIONE:
Come detto, il nostro primo approdo è stato all’Hotel Gilgal di Tel Aviv, il
venerdì mattina. Il fondatore di quell’albergo è Jakob Damkani, un ebreo con una
storia travagliata che poi ha incontrato Gesù (vedere l’autobiografia Leone
di Pietra. Leone di Giuda
[UCEB, Fondi 2003]). Dopo una fase pionieristica, proprio il giorno della
nostra partenza, Dio gli ha concesso d’inaugurare ufficialmente un albergo alto
cinque piani, da usare come efficace strumento per raggiungere gli ebrei, con
una predicazione che non sottovaluti il contesto ebraico dell’Evangelo. La sera
del venerdì, come si sa, comincia il sabato ebraico e a Gilgal si fa un culto
cristiano con cena comune. Sentire elevarsi la lode a Gesù in ebraico e proprio
dalla sua patria è stata per me la prima forte emozione, come se lì Gesù (dopo
un lungo silenzio) avesse ricominciato a vivere («Dove due o tre sono riuniti
nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»; Mt 18,20).
Dove finisce il Mar di Galilea e ricomincia il
fiume Giordano, in un luogo chiamato Yardenit, alcuni protestanti ritengono
che sia il luogo dove Gesù si è fatto battezzare da Giovanni. Non ci si
concentra, però, nella polemica su ciò che quel luogo potrebbe essere stato,
ma sulla funzione che può fare oggi. Così, in quella gola del fiume, alcune
scalinate raggiungono il fondo, dove sono state attrezzate delle apposite
aree adatte a praticare il battesimo per immersione. L’opportunità di farlo
è molto apprezzata e così si succedono continuamente gruppi vari provenienti
da tutto il mondo; in un’atmosfera festosa fatta di canti, di preghiere,
d’abbracci e d’applausi: «Questo vangelo del regno sarà predicato in
tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti, allora
verrà la fine» (Mt 24,14). Anche qui, come nel successivo luogo
descritto, l’ingresso è gratuito e ciò sottolinea l’intento educativo che si
vuole dargli (l’aspetto economico viene curato dalla presenza di negozi
annessi).
Anche la «Tomba del Giardino» (Garden Tomb) ha
un’impostazione simile. Il luogo è stato valorizzato da un ufficiale
inglese, il quale si convinse che Gesù fu sepolto proprio lì, piuttosto che
dove è stata edificata la chiesa del Santo Sepolcro. Non ho approfondito la
questione, ma gli Evangeli dicono chiaramente che la tomba si trovava in un
orto-giardino vicino al luogo della crocifissione (Gv 19,41-42; 20,15), non
in un cimitero. Il nome del luogo della crocifissione («il Teschio», Lc
23,33) poteva benissimo derivare dall’aspetto che aveva, piuttosto che dalla
sua funzione. Lì infatti la roccia ha due piccole caverne contigue che
sembrano due orbite vuote, separate da un cordone di roccia che sembra un
naso: come mostrano le foto fatte a una giusta distanza, l’impressione che
dà il tutto è proprio d’un teschio. Anche qui non s’insiste sulla effettiva
autenticità del luogo, né si è spinti a considerarlo come avente un valore
magico, ma se ne è fatto uno stimolo all’adorazione comunitaria. Infatti in
quel giardino, su più livelli, s’incastrano piazzole fornite di sedie,
riempite da gruppi provenienti da tutto il mondo che, senza essere distratti
da ciò che fa il gruppo vicino, pregano, ascoltano sermoni e cantano.
Su un terzo luogo, pure esso di variopinta
adorazione spontanea e corale, ci siamo capitati per caso. Supponendo di
poter entrare più facilmente nella Spianata delle Moschee, ci siamo fatti
portare dal taxi nella Porta dei Leoni (o di S. Stefano, chiamata pure così
perché è fuori d’essa che dovrebbe essere stato lapidato il primo martire) e
invece la Spianata è accessibile da quel lato solo ai musulmani. Esplorando
la zona, ci siamo subito imbattuti nel vasto sito archeologico connesso con
la piscina di Betesda (Gv 5,2), dove Gesù guarì un paralitico. Su quel
racconto Gilda ha da tempo fatto qualche riflessione, perciò il trovarcisi
l’ha coinvolta particolarmente e il tutto è stato rafforzato dalla connessa
chiesa di S. Anna. Questa chiesa è fatta a croce e, nel punto centrale,
manifesta un’acustica veramente eccezionale. Pur essendo cattolica,
assomiglia a un luogo protestante, non solo perché è spoglia d’immagini, ma
anche perché pure lì s’alternano vari gruppi che continuamente cantano in
modo spontaneo. Appena entrato ho sentito in inglese un inno che esiste
anche in italiano e che mi piace particolarmente («O mio Signor, se guardo
il ciel, le stelle, se penso ai mondi, opra di tua man, se odo il tuon, la
voce sua possente che il tuo poter mi porta a meditar, l’anima mia, Signore,
canta a Te: grande Tu sei! Grande Tu sei!»).
6. RIFLESSIONI CONCLUSIVE:
La cosiddetta Terra Santa mi è parsa nel complesso un luogo di tenebre e di
confusione, ma con delle aperture attraverso le quali si riesce a vedere il
cielo e qualche raggio di sole, che permettono di sperare in future giornate
pienamente serene. Come se, in piena notte, si vedesse qualche stella e una
falce di luna crescente, che non fa molta luce, ma consente comunque di
proseguire il cammino e, soprattutto, riflette quel sole che ora è nascosto, ma
che si sta piano piano avviando a sorgere.
Quando si getta un sasso in una vasca d’acqua,
partono delle onde concentriche che sembrano svuotare il centro. Raggiunta
la periferia, però, quelle onde rimbalzano e tornano al centro. Duemila anni
fa la risurrezione di Gesù ha prodotto un grande sconvolgimento proprio a
partire da Gerusalemme. Ora è in fase avanzata quella formazione d’una rete
di cristiani che deve avvolgere tutto il mondo (in Cina, per esempio, ci
sono più di 100 milioni di cristiani che professano la loro fede nonostante
la persecuzione); nella terra di Gesù la persecuzione giudaica prima e
l’ondata musulmana poi hanno prodotto quasi un vuoto. Quel vuoto, però,
sembra che si vada piano piano riempiendo; non solo per l’ondata di ritorno
di pellegrini cristiani che provengono da tutto il mondo, ma anche perché
vanno crescendo delle chiese fatte da ebrei o musulmani convertitisi a
Cristo. In Israele, gli ebrei che credono in Gesù (i cosiddetti ebrei
«messianici») si contano ormai a migliaia e ce n’è anche un gruppo fatto da
quelli che sembrano i più impenetrabili (cioè gli ebrei «ortodossi»).
In Luca 13,35 Gesù dice a Gerusalemme: «Voi non
mi vedrete più, finché non diciate: “Benedetto colui che viene nel nome del
Signore”» (in ebraico: «Baruk haba beshem Adonai»). È asceso
al cielo partendo dal Monte degli Ulivi, contiguo a Gerusalemme, e il suo
ritorno è annunciato «nella medesima maniera» (Atti 1,9-12). Mettendo
insieme queste due espressioni del Nuovo Testamento, se ne può trarre la
conclusione che Gesù tornerà proprio a Gerusalemme, ma solo quando dalla
città si leverà quell’invocazione, solo quando chi lo ha crocifisso gli
aprirà le porte («Essi riguarderanno a me, a colui che hanno trafitto, e
ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico»; Zaccaria
12,10). Uno dei «gesti inconsulti» che temevo di fare a Gerusalemme era
quello di mettermi a gridare: «Benedetto colui che viene nel nome del
Signore». Come accompagnatore di Gilda sapevo che non avrei potuto farlo
e allora ho fatto preparare delle magliette con quella scritta in italiano.
Sabato 5 aprile di pomeriggio, a Gerusalemme, abbiamo assistito a un culto
fatto in lingua ebraica e da credenti in Gesù per lo più ebrei. Fra i canti
ce n’era uno basato proprio su quell’invocazione attesa da Gesù ed espressa
nella lingua di Gesù. Per scendere su Gerusalemme gli necessitano molte
invocazioni simili, perciò quello che si potrebbe chiamare «l’aeroporto» non
è certamente pronto, ma che emozione constatare che i lavori sono già
cominciati!
I cristiani orientali (ortodossi) conservano un
modo di salutarsi che risale alle origini. Quando uno ne incontra un altro,
dice: «Egli è risorto!»; l’altro risponde: «Egli è veramente risorto!».
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/905-Terra_Santa_viaggio_Avv.htm
21-04-2008; Aggiornamento:
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