Si
sottolinea l’universalità di Gesù ed è un bene; è invece un male quando questo
suo aprirsi al mondo ci fa dimenticare (o ce lo fa addirittura contrapporre) al
suo essere stato un ebreo fra ebrei: «Ho sempre insegnato nelle sinagoghe e
nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano, e non ho detto nulla in segreto»
(Giovanni 18,20). Alla fine della sua missione è vero che mandò gli apostoli in
tutto il mondo (Matteo 28,19), ma sulla base di ciò che lui stesso aveva fatto
all’interno del popolo ebreo: «Io non sono stato mandato che alle pecore
perdute della casa d’Israele» (Matteo 15,24).
Un rapporto particolare Gesù lo ha avuto con Gerusalemme e Luca racconta i fatti
del suo Evangelo come un progressivo avvicinarsi di Gesù a quella città (p.es.
9,51; 13,33; 18,31; 19,41). Gesù sapeva che sarebbe stato crocifisso, ma per lui
era importante che la sua sofferenza avvenisse proprio lì: «Non può essere
che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Luca 13,33). Una delle rare
volte che Gesù pianse, fu proprio quando aveva davanti agli occhi Gerusalemme
(Luca 19,41).
Qualcuno pensa che ormai Gesù abbia finito il suo speciale rapporto con quella
città, ma Luca 13,34-35 fa pensare diversamente: «Gerusalemme, Gerusalemme,
che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto
raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le
ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata
deserto. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte:
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore”».
Gesù è stato respinto dalla città costruita intorno alla casa del Padre suo
(Luca 2,49) e sono 2000 anni che aspetta un invito a tornarci. Dal contesto è
chiaro che l’invito debba partire principalmente dagli ebrei di Gerusalemme; e
già ce n’è un piccolo numero che ha cominciato a farlo.
Chi non è ebreo e non sta a Gerusalemme, allora, che ruolo può avere? Uno è
quello d’incoraggiare quel piccolo numero unendosi al coro: non per essere un
surrogato, ma per esprimere una solidarietà che stimoli e incoraggi. È nata così
l’idea di far stampare delle magliette con la scritta:
Benedetto colui che viene nel nome del Signore
Salmo
118,26; Luca 13,35
Queste magliette possono avere anche altre funzioni:
■ Costituire un punto d’incontro fra cristiani ed ebrei (essendo una citazione
presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento);
■ Stimolare un amore per Gerusalemme e per il suo popolo;
■ Stimolare a farne in altre lingue (in ebraico prima di tutto, ma non solo);
■ Essere un «biglietto di benvenuto» in svariati ambienti non solo religiosi.
Terminiamo con qualche considerazione sull’invocazione attesa da Gesù. Ad alcuni
può apparire «troppo semplice», perché siamo abituati a connotare la nostra
religiosità con una sfilza di caratterizzazioni particolari. Già al tempo degli
apostoli, i cristiani hanno cominciato ad associare Gesù a qualche altro nome: «Io
sono di Paolo», «Io sono d’Apollo» (1Corinzi 3,4).
Questa deviazione dei cristiani non è una loro esclusiva, perché anche fra gli
ebrei e fra i musulmani è comune il rifarsi a determinati «grandi personaggi»;
così anche quando due di loro s’incontrano, come per i cristiani, è facile che
emergano più i contrasti che le convergenze. Ecco allora che la semplicità può
divenire la strategia più difficile e profonda, perché essa invita a unirsi
intorno all’essenziale.
Si può andare a Gerusalemme pensando al passato, ma la migliore prospettiva è
quella che guarda al futuro, quando Gesù tornerà facendo il contrario
dell’ascensione al cielo, perciò atterrando presumibilmente proprio a
Gerusalemme (Atti 1,11).
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http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/902-Maglietta_Gerusalemme_MT_AT.htm
06-12-2007; Aggiornamento:
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