Irene Bitassi
Aprendo una qualsiasi rivista evangelica, facilmente ci si imbatterà in
articoli che invitano alla sottomissione alle autorità civili e ai
conduttori di chiesa. Probabilmente, se ne troverà anche qualcuno che se la
prende con il moderno individualismo. Ciò è talmente frequente che sembra
normale. In fondo, si dirà, cosa bisognerebbe aspettarsi da una rivista
cristiana, se non l’invito a essere sottomessi e a vivere in armonia con gli
altri?
Se però ci si ferma a riflettere un attimo sulla
nascita del movimento protestante, allora le cose non quadrano più così
facilmente. Coloro che oggi invitano alla sottomissione un giorno furono
ribelli, sia alla persona dell’imperatore, sia a quella del papa. Ed è forse
un caso che l’individualismo nasca proprio nelle nazioni cristiane e non in
quelle buddiste, per esempio?
La parola «individualismo» viene generalmente usata
con un’accezione negativa, per designare un atteggiamento di chiusura nei
confronti della società e del prossimo, sostanzialmente come un sinonimo di
egoismo. Tuttavia, se ci limitiamo alla sua accezione più larga di primato
dell’individuo sulla società, forse dovremmo rivedere alcune posizioni. I primi semi di questo concetto di individualismo,
infatti, si possono forse già trovare nell’Evangelo, in quel «Rendete
dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mt
22,17). Saldate i vostri conti con la società, poi sarete liberi di
dedicarvi al vostro rapporto con Dio. E ancora in Matteo 5,11s si legge: «Beati sarete
voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro
di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il
vostro premio è grande nei cieli» — qui l’invito è a non cedere alle
pressioni sociali di ogni sorta, ma valutare la propria posizione davanti a
Dio. Si dirà, giustamente, che nella Parola di Dio il parametro per
resistere alla pressione sociale è comunque oggettivo ed esterno
all’individuo. Ciò è vero, ma non bisogna trascurare che la valutazione
della propria adesione a questo parametro non viene lasciata a nessuna
autorità umana (ad esempio, alla guida dei conduttori), ma solo alla
coscienza del credente.
In questo senso, ancora più significativo è Matteo
23,8-10: «Ma voi non fatevi chiamare maestro, perché uno solo è il vostro
maestro: il Cristo, e voi siete tutti fratelli. E non chiamate alcuno sulla
terra vostro padre, perché uno solo è vostro Padre, colui che é nei cieli.
Né fatevi chiamare guida, perché uno solo è la vostra guida: il Cristo».
In due righe succinte Gesù fa piazza pulita di ogni cosiddetta autorità
morale in maniera tanto radicale che noi ancora oggi con tutto il nostro
scandaloso individualismo non siamo in grado di rispettare le sue
indicazioni (non chiamiamo forse guide anziani e conduttori di chiesa?). La chiesa cattolica risolve il problema tra il
singolo credente e la società ponendosi essa stessa alla guida e al
controllo della coscienza. Così, di volta in volta, stabilisce parametri di
comportamento in accordo, in scontro o in mediazione con la vita secolare.
In ogni caso, il fedele non si trova mai a dover dare un giudizio personale
su un dato comportamento, ma è sempre in armonia con le direttive di una
società religiosa, anche quando si trova contro a quella civile.
L’atteggiamento del protestantesimo, invece, è
diverso alla radice, perché pone l’individuo nella possibilità di valutare
con la propria coscienza ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Lutero
dichiarò davanti alla dieta di Worms: «Finché non sarò contraddetto dalla
Sacra Scrittura o dalla limpida ragione non posso né voglio sconfessare
nulla, perché non è cosa giusta né prudente agire contro coscienza»; questa
è una dichiarazione estremamente individualista e segna l’inizio di
un’epoca, quella in cui il pensiero della singola persona diventa parametro
della realtà. È vero che lo fece sottomettendosi alla Parola di Dio, ma ci
volle una buona dose di sfrontatezza per pensare che la propria singola
interpretazione del testo valesse più di quella di tutti i consigli
ecumenici messi insieme, oltre a una stima molto grande di sé stessi.
Soprattutto non bisogna sottovalutare l’effetto che la dottrina della libera
interpretazione delle Scritture portò con sé: chiunque diventò soggetto
attivo nell’indagine dei fatti (la Bibbia) e nella valutazione della realtà.
Una posizione che ritroviamo nella rivoluzione scientifica e nella filosofia
di Kant.
Ma, oltre a questa rivoluzione, nella biografia di
Lutero scopriamo in seguito anche quell’atteggiamento di chiusura, per non
dire di vera e propria paura, per le conseguenze del proprio pensiero.
Infatti, davanti all’esplodere incontrollato delle interpretazioni più
stravaganti, Lutero dichiarò che bisognava attenersi alla sua dottrina,
guadagnandosi il derisorio titolo di «Papa di Wittemberg». Poi, peggio,
sempre più spaventato dalla piega degli eventi, sottomise il credente a un
controllo totale dell’autorità civile con il risultato, in Germania, che
purtroppo conosciamo.
Leggendo articoli evangelici, l’impressione che a
volte si ricava è che siamo ancora fermi lì: abbiamo fra le mani una libertà
in potenza così eversiva che abbiamo paura a usarla, perciò preferiamo
stilare la lista di tutte le autorità a cui sottomettere il credente,
piuttosto che fidarci a lasciarlo alla sola guida dello Spirito Santo. Ma
ciò facendo rischiamo di cadere nel ridicolo di lamentarci e condannare come
frutto malvagio del mondo proprio quell’individualismo e quella libertà di
coscienza che sono all’origine del movimento protestante.
Anni fa chiesi (credetemi, senza intenti polemici!)
a un conduttore di chiesa in base a che cosa pretendeva che io gli stessi
sottomessa, visto che lui stesso non era stato sottomesso all’autorità del
prete e del vescovo quando si era convertito al protestantesimo. Sto ancora
aspettando una risposta convincente. [Irene Bitassi]
Fernando De Angelis ▲
Cara Irene, sono cosciente di non avere tutte le qualifiche adatte per
risponderti (per esempio, non sono un conduttore di chiesa), ma siccome mi
hai inviato questo scritto, non voglio sottrarmi dall’esprimerti a caldo i
pensieri che mi hai stimolati. Le tue riflessioni le condivido largamente e
sulle tante questioni che sollevi si potrebbero versare fiumi di inchiostro.
Per non dilungarmi all’infinito, perciò, mi concentrerò su pochi punti e
cercando di essere telegrafico.
Credo che un pensiero sia tanto più forte quanto
più è «inclusivo», cioè quanto più riesce a integrare aspetti apparentemente
contraddittori. Perciò uno dei tuoi punti che ho più apprezzato è dove citi
Matteo 22,17, che integra e regola l’obbedienza a Dio e a Cesare.
Nelle schede sulla Storia abbiamo notato come
Lutero avviò un processo che poi si sviluppò altrove, formalizzandosi
stabilmente negli Stati Uniti. Lì, per esempio, si è armonizzata la libertà
con la sottomissione (nello Stato come in genere nelle chiese) attraverso il
sistema del «patto», con il quale alcune persone aderiscono liberamente a un
progetto che poi li vincola, ma solo in determinati aspetti correlati al
fine propostosi. Insomma, l’individuo si sottomette a una legge che prima
sottoscrive liberamente e che poi può concorrere a modificare.
Quando un italiano diventa di fede evangelica,
resta in larga parte di cultura cattolica e, se va bene, trasformerà
completamente la sua cultura nel corso di non pochi anni. Di fatto, perciò,
anche nelle chiese evangeliche certi schemi cattolici (a volte attenuati,
altre volte accentuati) appaiono «naturali», sia ai conduttori che a coloro
che sono (e desiderano essere) condotti. Andare controcultura è una fatica
costante come andare controcorrente e, se non si fa niente o si fa poco, ci
si ritrova senza accorgersene nel mare della cattolicità. Un mare che
comunque non disprezzo, non solo perché in fondo quasi ognuno è infedele a
modo suo, ma anche perché è da lì (e non dal nulla) che è venuto Lutero ed è
lì che ho per la prima volta potuto acquistare la Parola di Dio scritta. Poi
da quella base ho cercato di elevarmi più vicino a Dio (e ne ringrazio gli
evangelici ai quali mi sento di appartenere), ma bisogna essere coscienti
che, ad alzarsi sopra il livello del mare, si corre sempre il rischio di
ripiombare sott’acqua! Grazie a Dio e niente orgoglio, perciò, finché
scampiamo dal pericolo.
Rendersi conto di come le chiese purtroppo
sono e di come dovrebbero essere rappresenta un momento di partenza
necessario, ma la contestazione più efficace e utile a tutti non è quella
della sterile protesta, quanto quella di costruire qualcosa di alternativo e
più valido: se ce n’è data la forza.
Riguardo alla risposta che attendi, mettendomi nei
panni di un conduttore di chiesa, mi verrebbe di dirti: «Cara sorella, io
non pretendo e non cerco una sottomissione come quella al papa. Ho
semplicemente assunto un incarico nella chiesa perché mi è stato chiesto
dagli altri e cerco di essere utile a tutti. Se a te risulto di ostacolo, me
ne dispiace e mi sforzerò, per quanto possibile, di essere io sottomesso a
te». Perché penso che la sottomissione sia come l’amore: hanno senso solo se
c’è una gara a chi si dona di più. Gesù esercitò il massimo dell’autorità
perché fu anche il massimo del donarsi: «E io, quando sarò innalzato
dalla terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
Aggiornamento: 03-05-07
|