■ Contributo:
Sicuramente i progressi scientifici hanno aperto nuove domande: «Quando è
il momento di dire “basta”?». La medicina moderna può disporre di nuovi farmaci,
nuove tecniche chirurgiche e di nuovi metodi diagnostici, di cui possono
beneficiare innumerevoli pazienti. Tuttavia, non si può sicuramente evitare la
morte.
Le scelte dal
punto di vista etico sono sicuramente difficili, quando si tratta di far
sopravvivere una persona con mezzi artificiali. Si aprono molti scenari: «Quando
si può stabilire che un malato sia terminale?». «Il cibo e l’acqua sono metodi
per mantenere in vita una persona o solo mezzi per alimentare?».
Da cristiano mi chiedo questo: «Abbiamo un diritto a morire?». «La vita
appartiene a noi?». Paolo disse: «Poiché in lui viviamo, e ci moviamo, e
siamo» (Atti 17,28). La nostra vita è un dono di Dio e appartiene a Lui (1
Corinzi 6,19-20).
Come si fa a stabilire qual è il limite? Quanto una persona deve
soffrire? Tornando alla domanda iniziare è possibile dire «basta»? L’Eterno ci
ha creato come esseri pensanti, per poter comprendere le circostanze della
nostra vita. Ci sarà un momento, in cui il processo di morte sarà irreversibile
e dovremo tornare polvere (Genesi 3,19). Alla luce di queste considerazioni, si
possono
rifiutare interventi che non eviterebbero la morte, perché ormai dal punto
di vista di medico la situazione è compromessa. Quanto al testamento biologico,
si dovrebbero evitare tutte quelle situazioni, che prematuramente mettono
fine alla vita di una persona.
È chiaro che Dio è sovrano della nostra vita. Possiamo ben concordare con
quello, che disse Giobbe: «Infatti, lo so, tu mi conduci alla morte,
alla casa di convegno di tutti i viventi» (Giobbe 30,23). E altresì con ciò
che afferma Salomone: «Non c’è uomo che abbia potere sul vento per poterlo
trattenere, o che abbia potere sul giorno della morte» (Ecclesiaste 8,8a).
Molte volte capita che la morte sia improvvisa (malattie, incidenti o altro)
oppure ci si trova in situazioni di dolore. Ma un cristiano dovrebbe bene
intendere alla luce della Bibbia che proprio nella sofferenza i piani di Dio si
rivelano: «Nel giorno della prosperità godi del bene, e nel giorno
dell’avversità rifletti» (Ecclesiaste 7,14).
I piani di Dio sono perfetti ed Egli ha un piano per noi fino alla fine,
questo deve essere un altro presupposto essenziale per prendere una decisione in
questo campo.
Certamente se una persona vive solo attraverso le macchine non è immorale
spegnerle, poiché una persona può essere tenuta in vita senza interventi vari da
Dio. I
casi sono sempre variegati, poterlo stabilire in anticipo con un testamento
o che questa decisione possa essere presa da una persona cara, qualora si è
incapaci di scegliere da sé, è sempre difficile. Ciò che è saggio fare, è
pregare il Signore, affinché si abbia il giusto discernimento: «Se poi
qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio» (Giacomo 1,5).
{28-03-2011}
▬
Osservazioni
(Nicola Martella): Non intervengo nel merito. Faccio solo presente che esiste la
sofferenza esistenziale, che proviene dalle avversità della vita o da un
male interiore. Esiste però anche il dolore fisico nei casi estremi di
patologia dovuto al fatto che il cervello non produce più abbastanza endorfina
per compensarlo. Per questo, i malati terminali non sono più curati, ma soggetti
alla «medicina del dolore», perché non soffrano le «pene d’inferno» nell’ultima
fase delle loro vita.
2. {Gianni
Siena}
▲
Il tema è di una
delicatezza «nevralgica». Personalmente condivido le prudenze della chiesa
cattolica, relative alla cosiddetta «eutanasia»: rivelatasi come omicidio
«terapeutico» mascherato dalla pietà (?).
Ma mi sono spesso domandato se le persone costrette, dalla moderna «terapeutica»
clinica, a sopravvivere in un oceano di sofferenze senza alleviamento non
avessero il diritto di chiedere al medico di staccare la proverbiale «spina»!?
La domanda è pertinente. Lungi dall’incoraggiare l’omicidio «terapeutico», in
qualche caso la persona ha il diritto di morire in pace e porre fine alle
sue sofferenze terrene.
Il caso di
Giorgio Welby è, forse, l’esempio più illustrativo: colpito da una paralisi
progressiva dei muscoli in tutto il corpo, sarebbe morto molti anni prima.
Mentre una macchina lo costringeva letteralmente a «vivere» e a soffrire
in modo indicibile per altri vent’anni o più. Non era un credente (pare) ma
voleva cessare di dipendere da quella macchina: la «vita», che le dava, era
un’autentica, tormentosa e torturante schiavitù.
Esistono persone, come Rosanna Benzi, che accettarono un’esistenza del
genere e ne fecero fonte d’ispirazione e benedizione per chiunque le visitò. Si
tratta di scelte personali, derivanti da una vocazione o da un diverso modo di
vedere l’esistenza, il suo scopo e la sua utilità.
Nessuno, però, dovrebbe sostituirsi ai diretti interessati. Lasciar «fare a Dio»
(= in questo caso anche alla natura) rimane un diritto inalienabile della
persona malata. Questo diritto non infrange il giuramento d’Ippocrate, non
infrange il comandamento che proibisce l’assassinio; è il diritto di chi
sentendo d’aver fatto il suo «corso», chiede di poter rendere a Dio la sua vita,
senza che la scienza medica s’accanisca a prolungare un’esistenza, ormai giunta
al traguardo.
Dico queste cose pur sapendo di voler vivere a lungo e di non desiderare
la morte. Vorrei che Gesù venisse a prendermi, trasformandomi in un istante; ma,
serenamente, ho messo in conto di dover chiudere gli occhi e non vorrei
ritardare l’incontro con il Signore, quando verrà per portarmi a Casa!
{28-03-2011}
3. {Massimiliano
Fellini}
▲
Premesso che
l’argomento è molto complesso e delicato da trattare, la mia umile opinione è la
seguente. Ogni condizione di vita ha la ragione di essere. Determinate malattie
sono penosissime per le persone, che si vedono coinvolte direttamente o
indirettamente e doverle affrontare per le suddette persone è compito davvero
gravoso; ma vi sono individui, che hanno assunto dinanzi a queste malattie un
comportamento da veri cristiani, che donano il loro amore nel prendersi cura
di loro senza avere il ben che minimo ripensamento, un amore incondizionato.
Vediamo nello specifico il caso Crisafulli. I famigliari dinanzi a
cotanta sofferenza, dopo un periodo di confusione, smarrimento e quant’altro,
hanno poi dato la loro disponibilità completa nell’aiutare il proprio
familiare a vivere un’esistenza piena d’amore. Il parere medico
dinanzi a questa malattia è che il paziente è incapace di provare emozioni e di
capire quello che accade attorno (ricordiamo di avere un anima).
Io mi sento di dire questo che, per quanto la scienza medica possa aver
fatto passi da gigante in merito a moltissime malattie, non è in grado di
comprendere cose che, secondo me, rimarranno inspiegabili per quanto si voglia
approfondire l’argomento. La mia convinzione è che chi vive malattie come
queste, è alla costante presenza del Signore e credo che, se Dio permetta
determinate vicende, sicuramente darà a queste persone forza e spirito per
affrontarle.
Noi, che viviamo queste cose da spettatori, consideriamo tale condizione non
degna d’esser vissuta, ma chi siamo noi per poterla definir tale? Noi ci
basiamo solo su quello, che vediamo, evitando di entrare nel profondo; a noi
sembra carnalmente parlando che non sia vivibile, ma permettetemi di dire che,
dinanzi a tali eventi, non abbiamo nessuna capacità di entrarvi, non
sappiamo minimamente che tipo di rapporto s’instaura tra Dio e il malato.
Quindi, torno a dire che noi siamo abituati a vedere il bello, il perfetto e se
non è così storciamo il muso; questo mi fa comprendere che l’apparenza è
fallace, l’essenza è fondamentale viceversa, e allora poniamoci dinanzi a
queste disgrazie con il massimo del rispetto. Io mi metto dalla parte di chi
considera questi
malati come persone e non come malati terminali, che necessitano di un aiuto
per finire questa esistenza. Noi non siamo nessuno per poter decidere, quando e
perché è arrivata l’ora; e allora credo che ogni malattia, se non curata
porta alla morte o pressappoco. Quindi, dovremo porci dinanzi a qualsiasi
malattia nello stesso modo, senza intervenire minimamente per alleviarla o
guarirla, per quanto sia possibile se così veramente fosse. Penso sia bene
riflettere su questo e considerare ogni penosa condizione umana, per quanto sia
possibile per i nostri occhi così sensibili, degna di essere vissuta,
consci di avere un gravoso compito da assolvere, ma di farlo nella piena
donazione di se stesso in un amore reciproco senza confini di sorta!
{28-03-2011}
4. {Nicola
Martella}
▲
Qui rispondo al
contributo precedente. Lo sforzo del lettore è mirabile. Ciò che segue non vuole
contraddire il suo sforzo emozionale e cognitivo, ma vuole mostrare altri
aspetti, a cui lui non ha pensato. Ad esempio, mi viene il dubbio se abbia
capito interamente che il «testamento biologico» riguarda solo quegli stadi
estremi della vita, in cui si è tenuti in vita da una macchina, essendo
persone ancora coscienti oppure già in stato vegetativo. In tali casi, lo
spegnimento della macchina metterebbe subito fuori uso le funzioni debilitate e
subentrerebbe la morte.
Egli guarda le cose dalla parte dell’abnegazione delle parti curanti,
cosa che è nobile per questi ultimi. Dovrebbe farlo anche dalla parte delle
persone in tale stato, che sono legate a una macchina, in stato di coscienza o
vegetativo che sia.
Ciò che avviene fra il Signore e una persona in stato vegetativo, nessuno
lo può dire con sicurezza, così è meglio non metterlo qui in gioco. Ciò che Dio
permetta o faccia è un mistero insondabile per noi. Non possiamo neppure dire
che Egli darà a persone in stato vegetativo «forza e spirito» per affrontare le
loro situazioni, poiché non conosciamo nulla del mistero della vita e della
morte né se abbiamo a che fare con un corpo senza spirito, che viene tenuto
biologicamente in vita, come nel caso di un paziente colpito da morte cerebrale.
Dio dà forza ai viventi che curano un malato terminale o il corpo di chi è in
stato vegetativo.
Quanto alla vita, che è degna d’esser vissuta, dobbiamo considerare che
oggigiorno vengono tenute in vita persone, spesso con accanimento terapeutico,
le quali altrove nel mondo d’oggi o da noi in passato si sarebbero spente in
breve tempo e spesso con maggiore dignità a casa propria. Si può addirittura
affermare che in certi casi la scienza gioca a essere «Dio», prolungando
arbitrariamente ciò, che naturalmente si sarebbe spento in breve, senza
aggiungervi qualità di vita.
Un altro aspetto che il lettore confonde è il nostro rapporto verso la
persona malata o invalidata in genere con i malati terminali e gli stati
vegetativi. Lo stesso vale per la generalizzazione con tutte le malattie
e il caso specifico in esame. Nella mia giovinezza ho curato per anni malati e
invalidi e non ho avuto problemi di rapporto con loro. Nessuno mette in dubbio
che i
malati siano persone e abbiano una dignità. Che cosa significa però
affrontare «queste disgrazie con il massimo del rispetto» rispetto alle
patologie previste nel «testamento biologico» di tante nazioni? Si potrebbe
girare le argomentazioni, dicendo che non rispettando il naturale ciclo della
natura, ma tenendo artificialmente in vita ciò che normalmente si spegnerebbe,
si manga di rispetto verso la dignità di tale persona. Allora, chi stabilisce
«quando e perché è arrivata l’ora»? Lo deve fare la natura o i medici
quali «dèi in camice bianco»?
Vedo che questo lettore abbia affrontato tale tema con molto coinvolgimento
emozionale. Ciò non è mai una buona premessa per ragionare sulle cose di
per sé e in tutti gli aspetti, per tener presente anche la dignità di una
persona, in stato di coscienza o vegetativo che sia, che è legata a una
macchina per esistere o «funzionare». E inoltre, riguardo a coloro, che sono
clinicamente morti, chi ci ha dato la licenza di tenere artificialmente in
funzione biologica ciò, che in natura tornerebbe presto in polvere?
5. {Salvatore
Paone}
▲
■
Contributo: Certamente tale argomento è uno
dei più discussi della nostra epoca, è veramente difficile trarne una
conclusione. Al riguardo ci sono molte idee e molti pensieri. La Bibbia non
fornisce alcuna spiegazione specifica riguardo all’eutanasia.
Inoltre, se si giudica sotto un profilo morale, essa diventa o per meglio
dire si trasforma in un «omicidio», ma c’è anche l’altra faccia della medaglia,
ossia tenere un corpo in stato vegetativo per lunghi anni, sostenuto da
un apparecchio elettronico, per far respirare il paziente, appare
insostenibile e insensibile verso il paziente stesso, che in realtà è già
morto all’ottanta percento. Io credo nella vita quale dono specifico
donatoci da Dio per vivere i nostri giorni in sintonia con il Creatore; tale
vita c’è stata data e non siamo padroni di togliercela o di farcela togliere da
altri. La questione è la seguente: visto che in uno stato vegetativo si è
sostenuti da macchinari altamente sofisticati, credo che Dio ha dato
all’uomo anche la possibilità di studiare tali macchinari, i quali servono non
solo a sostenere il paziente in stato vegetativo, ma a recare forse una
speranza a chi magari ha fede in Dio. Ovviamente questo è il mio pensiero,
sebbene opinabile. {29-03-2011}
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Osservazioni (Nicola Martella): Credo che
alcuni aspetti della mia risposta precedente possano essere utili anche qui.
Ora, mentre l’altro lettore si era sbilanciato sul lato emozionale, questo
attuale mostra la grande indeterminazione fra due istanze differenti e
contrarie, che è tipica dell’argomento stesso. Si aggiunge qui il tentativo di
dare una causa teologica ai macchinari sofisticati e l’argomento del «non
si può mai sapere» magari dei familiari.
6. {Tommaso
Failla}
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Carissimo fratello,
sono completamente con te nella riflessione relativa a progetto «Testamento
biologico». Fermo restando il fatto che la legge, che sta per essere introdotta,
non soddisfa nessuno, né medici (sopratutto oncologi), né operatori, né
fruitori. Infatti, in fin dei conti, malgrado l’espressione della volontà messa
per iscritto e controfirmata, alla fine deve trovare l’approvazione del
medico, che può decidere in modo del tutto autonomo su come agire.
Certamente, come credo avrai già compreso, anche io non sono d’accordo sulla
eutanasia
attiva, ma neppure sull’accanimento terapeutico, che poi alla fine porta
a creare il «boia», cioè il povero medico, che dovrà prima o dopo staccare la
spina.
Sta di fatto che decenni fa, si praticava l’ibernazione delle persone in
attesa che qualcosa cambiasse. Adesso che cosa ne sarà stato di queste persone,
non credo si sappia. Immagino che a parenti, anche essi defunti, saranno rimasti
orfani. Ancora, però nella Russia «bene» (ben ricca) si continua a praticarla.
Come si può notare, anche nel momento della morte, l’umanità si comporta come un
moderno Nabucco. Fa anche esso la sua statua interamente in oro, pensando «dopo
di me il nulla», ma così non è. Dio solamente è colui, che ha la
storia personale di ognuno di noi, così come quella dell’universo, e solo lui sa
il giorno e l’ora; tutto il resto è una inutile forzatura. Grazie per
l’ospitalità e che il Signore tenga desta la nostra mente. {03-04-2011}
7. {}
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