Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I PACS E LE CHIESE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Quella dei PACS o «Patto civile di solidarietà» relativi alle cosiddette «coppie di fatto» è una tematica che è capace di lacerare i due schieramenti politici, essendo una questione morale diversamente sentita. Questo problema può dividere anche i cristiani quanto a concezione dello Stato e della funzione delle chiese in un paese. Quindi «Pacs» senza pax (pace). Oggigiorno sono conosciuti come «Dico», acronimo di «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi».

     Uno Stato laico è una garanzia per tutti, specialmente per minoranze, compresi gli evangelici. Uno Stato sotto tutela ecclesiastica ci riporterebbe al Medioevo e ai tentativi di realizzare una delle tante possibili teocrazie.

     La questione dei «Pacs» (o dei «Dico») pone anche quella dell’identità degli evangelici italiani. In genere hanno una dottrina mutuata dalla Riforma: solo Cristo — sola grazia — sola fede — sola Scrittura. L’ecclesiologia congregazionalista, il sacerdozio universale e lo slancio missionario sono un’eredità del Risveglio. L’etica è rimasta invece nelle scarpe del cattolicesimo. È una strana dicotomia che ci lega alla chiesa romana: da una parte c’è il fastidio quando sentiamo il papa parlare di dottrine estranee alla sacra Scrittura nel quotidiano telegiornale (siamo ancora un paese laico «normale?») — dall’altra approviamo (sebbene con qualche sospetto) alcune cose che riguardano il piano etico. E che dire delle bacchettate e picconate pressoché quotidiane sui politici italiani da parte dell’«Osservatore Romano» e di altri giornali ecclesiastici?

     Che hanno detto allora gli apostoli e gli scrittori del NT? Hanno detto di essere sottomessi alle autorità, di portare onore a chi è in autorità, a pregare per chi è in autorità. Per il resto hanno predicato l’Evangelo dinanzi alle genti e alle autorità. Non troviamo neppure un caso in cui si sono ingeriti negli affari interni di uno Stato e hanno fatto pressione sui governanti perché facessero leggi conformi al cristianesimo. Hanno confidato che persone trasformate dall’Evangelo avrebbero praticato la giustizia, qualunque sia stato il loro posto nella società.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Nicola Berretta

2. A. Quintavalle

3. Abele Aureli

4. Nicola Martella

5. Nicola Berretta

6. A. Quintavalle

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11.

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1. {Nicola Berretta} 

 

PAX ROMANA SUI PACS

 

Non passa oramai giorno in cui non assistiamo ad annunci televisivi su possibili decisioni dell’attuale governo in merito ai «Patto civile di solidarietà» («Pacs») tra le «coppie di fatto», comprendenti anche normative di Diritto Civile relative alle coppie omosessuali conviventi. Di fronte a questi interventi normativi si assiste anche a una veemente levata di scudi da parte di tutti quei politici, appartenenti ad ambedue gli schieramenti, che in qualche modo fanno riferimento agli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica. Quest’ultima non risparmia quotidianamente di condannare anche la sola eventualità che questo tipo di tematiche vengano affrontate in sede parlamentare.

     Come si pone il credente di fronte a questo tipo di argomenti?

     La tendenza generale, da quel che mi è dato di vedere, è quella di sostenere la battaglia che la Chiesa Cattolica porta avanti. Se infatti in molte circostanze siamo noi evangelici i primi a lamentarci della presenza oltremodo invadente della Chiesa Cattolica nella realtà sociale del nostro paese, in questi casi tendiamo ad apprezzarne gli aspetti positivi, considerando dunque le pressioni del Vaticano nella politica come un baluardo che ci ripara dalla deriva immorale della nostra società.

     Ho però l’impressione che ci dimentichiamo la piattaforma teologica entro cui si pongono gli interventi del Vaticano. La Chiesa Cattolica ha un’impostazione teologica, in base alla quale la Chiesa non attende la realizzazione del Regno di Dio sulla terra solo in seguito a un evento catastrofico, quale il ritorno di Cristo, ma si muove in vista di una realizzazione, qui e ora, del Regno stesso, operando all’interno della società. Questa impostazione positivista della storia dell’umanità, tra l’altro, non è nemmeno un’esclusiva del Cattolicesimo, ma la si ritrova anche in ambito Protestante, in particolare nel Calvinismo.

     Ho l’impressione che quando noi evangelici guardiamo con favore agli interventi del Vaticano sui PACS o sulle coppie di fatto omosessuali, ci dimentichiamo della piattaforma teologica entro cui nascono, e non ci rendiamo così conto di abbracciare indirettamente quella stessa impalcatura dottrinale. Cerco di spiegami meglio.

     La Bibbia è molto chiara sul fatto che la pratica dell’omosessualità è peccato. Questo ci autorizza a incoraggiare una legislazione che rende illegale la pratica dell’omosessualità? La stessa domanda potrebbe porsi per le convivenze prematrimoniali. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la Bibbia condanna la fornicazione e l’adulterio, dovremmo dunque adoperarci per una legge che faccia andare in galera chiunque venga scoperto a intrattenere rapporti sessuali biblicamente illeciti?

     Io ritengo di no. Ciò non toglie che se uno si converte a Cristo, provenendo da una storia personale di vita moralmente dissoluta, omo- o eterosessuale, debba confessarlo al Signore e ravvedersi, cambiando radicalmente il proprio stile di vita. Se però riteniamo che la Chiesa sia chiamata a imporre alla società le sue regole morali, per realizzare una società cristiana, se cioè partiamo da una piattaforma teologica analoga a quella della Chiesa Cattolica, risponderemo necessariamente di sì alle domande precedenti.

     Il mio vuole dunque essere un invito ad esaminare bene le nostre basi teologiche. Se non abbracciamo quella piattaforma teologica che prevede una realizzazione del Regno di Dio attraverso l’influenza che la Chiesa esercita nella società, dovremmo, a mio giudizio, affrontare argomenti come i «Pacs» (o «Dico») o le unioni di coppie gay in modo diverso.

     Pur affermando, senza equivoci, che l’omosessualità è un peccato, forse dovremmo riconoscere a uno Stato laico il diritto di fare una legislazione che tuteli chi, nella sua libertà (di peccare) decide di convivere con una persona del suo stesso sesso.

 

 

2. {Argentino Quintavalle} 

 

Ai tempi di Gesù Cristo, i suoi discepoli erano nel costante pericolo di trasformare l’Evangelo in una piattaforma politica. Gesù disse: «Il mio regno non è di questo mondo»; ma la domanda che martellava le loro menti era: «Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?» (At 1,6).

     Oggi, però, bisogna preoccuparsi dell’errore opposto. Bisogna lottare contro chi, sotto lo slogan «Il mio regno non è di questo mondo», sostiene che i cristiani non devono avere niente a che fare con la politica. «I cristiani non devono fare politica», dicono molti credenti ben intenzionati, «ma dovrebbero semplicemente predicare l’Evangelo».

     In un certo senso questo è più che giusto. Dobbiamo concentrarci sulla predicazione dell’Evangelo. L’Evangelo, dice Paolo, è essenzialmente il messaggio di salvezza che dobbiamo proclamare ad altri, così come l’abbiamo ricevuto: «Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu seppellito; risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture» (1 Cor 15,3s). L’Evangelo di Cristo non è un programma sociale o una entità geopolitica che si deve costruire con la violenza e la coercizione (come purtroppo è accaduto nel corso della storia). Gesù Cristo è venuto, innanzitutto, a salvare il suo popolo dai peccati, non ad aumentare lo stipendio dei pensionati. La chiesa, nel corso della storia, si è causata dei danni terrificanti, per mezzo di coloro che hanno usato il nome di Cristo per coprire i loro abominevoli giochi di potere. Dobbiamo stare molti attenti a che l’Evangelo non venga usato per scopi ignobili, poiché il regno di Dio non ha niente a che vedere con i metodi di questo mondo. «Voi sapete che quelli che sono reputati principi delle nazioni, le signoreggiano; e che i loro grandi usano potestà sopra di esse. Ma non è così tra voi; anzi chiunque vorrà esser grande tra voi, sarà vostro servitore; e chiunque fra voi vorrà esser primo, sarà servo di tutti» (Mc 10,42ss).

     Ma questo non significa che il suo regno non abbia niente a che fare con questo mondo. Pensiamo ai miracoli di Gesù Cristo. Mentre la sua preoccupazione principale era quella di insegnare alla gente (o, più precisamente, di morire per loro), i suoi miracoli di guarigione erano degli atti di misericordia verso i ciechi, gli zoppi, gli indemoniati, i malati, e i morti. Egli ci ha insegnato che bisogna occuparsi in maniera particolare dei poveri e dei malati. La politica non è semplicemente una cosa di «questo mondo» o una cosa insignificante. Che cosa ci aspettiamo che accada in quelle persone a cui abbiamo predicato l’Evangelo? Dopo che lo Spirito Santo ha fatto il suo lavoro di conversione, quali insegnamenti diamo ai nuovi convertiti?

     Supponiamo che la predicazione dell’Evangelo abbia così successo che la maggioranza dei cittadini di un paese nascono di nuovo. Supponiamo, inoltre, che il presidente o il primo ministro, o la maggioranza dei parlamentari siano rigenerati. Tutti costoro, dovrebbero cercare di essere «laici» o «neutrali», nella loro amministrazione del governo civile? La loro conversione non dovrebbe avere alcun effetto sul loro operato e sulle loro opinioni? Dovrebbero gestire l’amministrazione pubblica come se fossero dei miscredenti e dei pagani? Come cristiani dovrebbero cercare la neutralità?

     In secondo luogo bisognerebbe anche dare un rapido sguardo alle Scritture, per capire che l’Evangelo ha anche delle implicazioni politiche — come il diritto alla proprietà privata (1 Re 21,1ss; Pr 13,22; Mt 20,15; e questo mette fuori gioco il collettivismo); la limitazione del governo umano (Sal 22,28; Dn 4,25; Rm 13,4); e l’istituzione di tre distinti e legittimi governi (familiare, ecclesiastico e civile: Ef 6,1.4; Dt 6,7; 1 Cor 5,12s; Rm 13,1-7). È forse proibito ai cristiani di parlare laddove le Scritture stesse parlano?

     In terzo luogo, la netta dicotomia tra cristianità e politica, sebbene da molti auspicata per impedire il degrado del cristianesimo, ironicamente crea proprio lo stesso risultato. L’anti-politica ha contribuito a banalizzare la fede, relegando la Parola di Dio a un non ben definito «regno spirituale». L’effetto di ciò è stato quello di negare la signoria di Cristo sopra il mondo — qui ed ora.

     Le Scritture non affermano che Cristo è solo il Signore della domenica, ma dicono che è il Signore di ogni cosa. «Ogni potestà mi è stata data in cielo e sulla terra», dice Gesù in Mt 28,18. Egli ha il primato in ogni cosa (Col 1,18), e domina sulle signorie, sui principati e sulle potestà (Col 1,16). I cristiani sono chiamati a non ignorare certi pensieri, ma bisogna che «facciamo prigioniero ogni pensiero traendolo all’ubbidienza di Cristo» (2 Cor 10,5).

     I cristiani possono esprimere idee politiche, non per fare politica, ma perché Cristo è il Signore. Paolo scrive: «Io esorto dunque, prima d’ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo menare una vita tranquilla e quieta» (1 Tm 2,2). Questo verso m’insegna che devo pregare per i politici italiani, affinché prendano delle decisioni che non disturbino la mia vita cristiana. E ancora, se ci sono due schieramenti politici, uno contro i cristiani e l’altro a favore, pregherò e voterò che vada al governo quello a favore. Se ci sono dei politici che vogliono prendere delle decisioni che vanno contro la Parola di Dio, devo pregare che non lo facciano. Niente può far male alla fede cristiana, quanto l’indifferenza. Ai tempi di Hitler milioni di ebrei sono stati uccisi anche con la complicità delle chiese protestanti, e la loro colpa è stata il silenzio e l’indifferenza. Lo stesso silenzio e indifferenza che le chiese evangeliche stanno praticando oggi, lasciando alla tanto criticata chiesa cattolica di sporcarsi le mani con questi problemi terreni.

     L’11 e il 12 dicembre 2006, si è svolto a Teheran una conferenza internazionale con lo scopo di negare l’olocausto e inneggiare alla distruzione d’Israele, la nazione che rappresenta Dio sulla terra. La chiesa cattolica ha protestato, ma dov’erano le nostre chiese evangeliche? Sulle nuvole a parlare di cose spirituali? Oppure sulla terra a discutere dei bicchierini e dei pezzettini di pane della santa cena? Oggi se lo Stato riconosce come famiglia una coppia di omosessuali e se questi fra poco, secondo le direttive europee, potranno anche adottare un bambino (sic!), a noi cosa c’importa? Satana vuole distruggere Israele, ma a noi cosa c’importa? I nostri governanti stringono la mano ai leader che sovvenzionano e incitano il terrorismo, ma a noi cosa c’importa?  

     Il Signore sta per tornare, è ora di svegliarsi! Se il sale non sala più, a cosa serve?

 

 

3. {Abele Aureli} 

 

Glielo avevo detto io a certi... cristiani italiani che non dovevano votare per D’Alema, il quale ha detto in TV che non crede in Dio! Cosa ha da fare un cristiano con uno che non crede in Dio? Che leggi potrà promuovere chi non crede in Dio?

     Ma no!!! Gesù era «socialista» insistono imperterriti certi cristiani! E poi, abbiamo... Valdo Spini, che è un evangelico...? Valdo Spini un evangelico? Bah! Non lo sapevo! E Domenico Maselli? Anche lui un evangelico?

     E allora diamo tutti il voto a chi non crede in Dio ed è contro gli Ebrei, ma sopratutto a chi è anti-americano. Questo secondo me è il motivo principale perché certe persone votano a sinistra. Essere anti-americani a priori, senza andare a investigare quali sono i programmi di certi politici.

     Allora, prima andiamo a fare i militanti comunisti e votiamo per chi promuove leggi per favorire la droga, gli omosessuali e le coppie di fatto, e poi andiamo in chiesa e cantiamo «Nella piena dell’affetto, darti lode voglio o Dio!».

     Dio abbia pietà di noi tutti!!!

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Ringrazio Abele Aureli per il suo intervento. Prendo l’occasione per fare qualche appunto generale. Avrei voluto che gli interventi siano fatti sul merito del problema che su altre cose. Non sta a me difendere le persone di cui Abele ha parlato. Faccio solo qualche affermazione. D’Alema ha affermato che non crede in Dio, almeno è intellettualmente onesto. A me fanno più spavento (e pena) quei politici che si servono della religione per scopi politici. Ad esempio, Berlusconi ha fatto studiare i figli presso le scuole antroposofe, ideate da Steiner, un esoterista che ha mischiato cristianesimo e Oriente e ha propagato le idee sulla reincarnazione in Occidente (cfr. in Nicola Martella, Dizionario delle medicine alternative, Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003), gli articoli «Antroposofia», pp. 53-57; «Steiner Rudolf», pp. 512-515; «Teosofia», pp. 527s). In Wikipedia, ad esempio, si legge: «Negli anni 1990 [la scuola steineriana] è diventata famosa in quanto scelta da Veronica Berlusconi per l’educazione dei propri figli». Sul sito dei Steinerani si possono leggere estratti di Giornali che parlano di loro: «Ma ci sarà pure una ragione se qualcuno a consigliato persino a Silvio Berlusconi di iscrivere i suoi figli non alle solite scuole “da ricchi” ma proprio a una scuola Steineriana…» (la Repubblica 27-01-200); «In Italia le [scuole] Waldorf sono conosciute come le scuole dei figli di Berlusconi che effettivamente frequentano l’istituto steineriano di Milano» (Il Venerdì di Repubblica 04-02-200); «E accanto ai rampolli delle famiglie Berlusconi, Bassetti, Moratti, Cacciari, siedono figli di operai o extracomunitari» (Corriere della sera 27-01-2000). Su questo tema è pieno Internet.

     Non sta a me giudicare la «evangelicità» di Valdo Spini e di Domenico Maselli né la «anti-americanicità» dei politici. Penso comunque che come cristiani dobbiamo avere un «equilibrio politico» e non schierarci per gli uni e condannare gli altri — come se l’alternativa a un problema è di per sé la soluzione. Le posizioni a favore della maggiore liberalizzazione di certe droghe (vedi i liberali radicali nel centro-destra), sul riconoscimento dei diritti personali degli omosessuali e dei conviventi eterosessuali sono trasversali e si trovano anche nel centro-destra. Le cosiddette «coppie di fatto» non dipendono dalla politica, ma dalle scelte già fatte dalla gente. Per quello che ho capito (e la politica la seguo con costanza), si sta discutendo nel riconoscere loro alcuni diritti e doveri personali; e su questo tutti i politici sono d’accordo, compresi Casini, Buttiglione, Bossi e altri.

     Penso che come evangelici dobbiamo essere capaci di discutere «nel merito» e pacatamente, senza criminalizzare nessuno e senza schierarci troppo con qualcuno.

     An andare in chiesa e a cantare lodi a Dio ci sono anche coloro che mettono la testa sotto la sabbia come gli struzzi, per non interessarsi delle «cose del mondo»; e ci sono anche coloro che magari vivono, disubbidendo alle leggi, ad esempio lavorando in nero e prendendo allo stesso tempo l’identità di disoccupazione (anni fa ho incontrato un pastore che si sosteneva così!). Gli evangelici hanno bisogno di un’etica evangelica, basata sul nuovo patto. Coloro che Dio chiama nelle amministrazioni pubbliche e in politica, devono essere luce e sale in tutti gli schieramenti, dove si collocano.

 

 

5. {Nicola Berretta} 

 

Mi rendo conto quanto anche per noi credenti sia difficile rimanere esenti dal clima politico di contrapposizione esasperata che si respira da diversi anni in Italia. Tuttavia credo che dovremmo perlomeno tentare di affrontare questi argomenti liberandoci da certi schemi ideologici di conflitto destra / sinistra che la politica attuale ci impone. Il mio richiamo a esaminare la piattaforma teologica entro cui elaboriamo le nostre convinzioni sull’opportunità di alcune leggi voleva proprio esortare ciascuno di noi a una analisi meno superficiale. Capisco benissimo che un tema «scabroso» come quello di introdurre una legislazione a tutela della coppie gay, generi in ciascuno di noi un’automatica reazione di rifiuto, anche perché, permettetemi di dire, la televisione stessa non ci risparmia di propinarci questi argomenti con l’ausilio di immagini su coppie omosessuali disinibite riprese durante un qualche gay pride, condizionando dunque ancora più le nostre reazioni istintive. Vorrei però esortare a considerare con serenità un argomento generale, entro cui porre anche la questione delle coppie gay: fino a che punto noi credenti dovremmo auspicare un regime politico che limiti per legge l’esercizio delle libertà individuali, fossero anche libertà di peccare?

     Argentino Quintavalle pone correttamente la questione dell’urgenza di trovare un equilibrio tra l’affermare che «Satana è il principe di questo mondo» e l’esigenza di essere sale nel mondo. Nel suo intervento colgo dunque l’urgenza di rispondere alla sua domanda: «Supponiamo, inoltre, che il presidente o il primo ministro, o la maggioranza dei parlamentari siano rigenerati. Tutti costoro, dovrebbero cercare di essere “laici” o “neutrali”, nella loro amministrazione del governo civile? La loro conversione non dovrebbe avere alcun effetto sul loro operato e sulle loro opinioni? Dovrebbero gestire l’amministrazione pubblica come se fossero dei miscredenti e dei pagani? Come cristiani dovrebbero cercare la neutralità?».

     Rispondere a questa domanda non è facile, ma proprio per questo motivo diventa urgente per noi accertarci della piattaforma teologica entro cui tentiamo di dare una risposta.

     Nel popolo d’Israele, il «popolo del patto», la questione della libertà individuale di poter peccare non esisteva proprio. Nel popolo di Dio il peccato individuale diveniva automaticamente peccato di tutto popolo, e per questo lo contaminava. Vigeva dunque forte il monito: «…non si trovi in mezzo a te chi…» (Dt 17,2-5; 18,10-12), oppure: «…così toglierai il male di mezzo a te…» (Dt 22,21.24). L’esempio classico è probabilmente quello descritto in Giosuè al capitolo 7, in cui Acan, per un suo peccato personale, diviene responsabile di aver contaminato tutto il popolo di un peccato di interdetto (Gios 7,13) e per questo motivo viene ucciso con tutta la sua famiglia. Acan non poteva certo appellarsi alla sua libertà personale di commettere peccati dei quali avrebbe individualmente risposto davanti a Dio. No, la sua colpa era la colpa di tutto il popolo.

     Possiamo noi applicare questi principi oggi? Il peccato che il non credente compie, nella sua libertà individuale di disobbedire a Dio, trasmette una colpa a tutti gli altri?

     La risposta, da ciò che mi è dato di capire dalla Scrittura, è no. Questo principio, semmai, è valido all’interno della chiesa, dove la palese disobbedienza al Signore deve essere sanzionata, seppure entro certi limiti, come evidenziato anche altrove in questo sito da Nicola Martella (I provvedimenti di fuori comunione). Alla chiesa di Tiatiri viene rimproverato il fatto che «tollerava» Iezabel (Ap 2,20). La Chiesa non può «tollerare» al suo interno la libertà individuale di peccare. Ma è lecito estendere questo principio fuori dalla chiesa?

     È qui che salta fuori l’importanza della piattaforma teologica. Per la chiesa cattolica la distinzione tra chiesa e mondo è molto meno demarcata rispetto a quella che noi cristiani evangelici normalmente abbiamo. Per il cattolicesimo non esiste di fatto, là fuori, un mondo perduto, separato da Dio e distinto dal popolo di Dio. È per questo motivo che tende ad applicare là fuori norme che hanno un senso all’interno della chiesa, non al suo esterno.

     Tornando dunque alla domanda di Argentino, in riferimento ai doveri di un credente rigenerato in Cristo che dovesse trovarsi in posizione di responsabilità politica, per quanto sia consapevole della difficoltà di dare risposte certe alla questione, ritengo comunque che questa persona debba fare molta attenzione a non applicare all’esterno normative che sono di stretta pertinenza della vita all’interno della chiesa, di coloro cioè che sono entrati nel «nuovo patto» in Cristo Gesù.

     Perdonatemi la lunghezza del mio intervento, ma ritengo di dover continuare a discutere l’argomento, affrontando un’altra possibile obiezione. Fermo restando il fatto che non possiamo imporre leggi che obblighino in qualche misura un’obbedienza alla legge di Dio, potremmo comunque lecitamente pensare che determinate leggi siano auspicabili, non tanto perché favoriscano un ipotetico rapporto verticale con Dio, ma perché riteniamo che siano comunque un bene per la società, indipendentemente da qualsiasi risvolto spirituale. D’altra parte, tutte le leggi, comprese quelle cosiddette «laiche», partono da un presupposto di ciò che riteniamo «un bene» per la società, sulla base delle nostre convinzioni filosofiche, politiche, ideologiche ecc… Siccome dunque i comandamenti della Scrittura hanno per fine non solo il mantenimento di un rapporto verticale con Dio, ma anche un benessere per l’uomo (Dt 10,13), possiamo lecitamente ritenere che una legislazione cristiana sia auspicabile in quanto positiva in senso orizzontale, cioè per l’individuo e per la società nel suo complesso, al di là delle loro implicazioni verticali.

     Questo è un argomento assolutamente lecito e corretto, e all’interno di questa logica si potrebbe anche discutere dell’opportunità di una legislazione che tuteli le unioni di fatto omo- o eterosessuali. Al tempo stesso vorrei però far presente i rischi di questo tipo di argomentazione.

     Ciascuno di noi, credo, ha portato in chiesa un parente o un amico non credente. Perché l’abbiamo fatto? Perché «la fede viene dall’udire». In altri termini, l’abbiamo fatto nella convinzione che l’ascolto della Parola di Dio fosse «un bene» per quella persona, nella speranza che quel seme possa germogliare portando frutti di ravvedimento. Noi dunque consideriamo «un bene» ascoltare la Parola di Dio. Sulla base di questa convinzione vera e indiscutibile (per noi credenti), sarebbe auspicabile avere leggi che obblighino l’ascolto della Parola di Dio e dunque il frequentare una chiesa?

     Questa domanda è volutamente provocatoria e ha il solo scopo di far notare quanto il legiferare allo scopo di favorire ciò che noi riteniamo «il bene» per gli altri, rischi di scivolare in una dittatura religiosa totalitaria da fare invidia ai talebani afgani.

     La questione non è facile ed è dunque utile discuterne al di là degli steccati politici del mondo che sta là fuori. Io continuo a ritenere, forse sbagliando, che uno Stato, anche se governato da credenti rigenerati in Cristo, debba tutelare la libertà individuale, fosse anche la libertà di fare cose che contrastano con le leggi di Dio. Ovviamente tutto questo vale nell’ambito di scelte individuali che non riguardano terzi. Una legislazione contro l’aborto ha un senso in quanto la libertà individuale di uccidere coinvolge una terza persona, cioè il feto, che io, Stato, devo tutelare. Anche la questione della adozioni nelle coppie gay (giustamente paventata da Argentino), richiede una legislazione che tuteli non solo chi decide autonomamente di «peccare» ma anche chi vi è suo malgrado coinvolto, cioè l’eventuale figlio adottato.

 

 

6. {Argentino Quintavalle} 

 

Riformulo la questione in altra maniera. Molto tempo prima che Israele ricevesse la Legge, Dio aveva dato ad Adamo prima e a Noè poi delle leggi universali, dalle quali si evince che la richiesta divina di amministrare la giustizia è conditio sine qua non per lo sviluppo dell’umanità. Il resto della Bibbia insegna che Dio giudica (qui e ora sulla terra) tutti quei regni, popoli e nazioni, nel momento in cui toccano l’apice del loro allontanamento dal livello di giustizia loro richiesta.

     Così è stato per Sodoma e Gomorra, per i popoli di Canaan, per l’Assiria, per Babilonia, fino ad arrivare ai tempi moderni con le due guerre mondiali, ecc., ecc. Naturalmente anche Israele ha dovuto fare i conti con la giustizia di Dio.

     Per quanto riguarda le nazioni, ci sono due elementi che bisogna tenere particolarmente sotto monitoraggio e che possono costituire le spie di un giudizio divino su di loro:

     ■ L’immoralità;

     ■ L’inimicizia verso Israele (in quanto pupilla dell’occhio di Dio).

 

Ora pongo le seguenti questioni: in quanto cristiani, ma anche cittadini italiani, dobbiamo intercedere per i peccati della nostra nazione? Oltre alla preghiera, dobbiamo adoperarci secondo i nostri mezzi e disponibilità a far sì che il peccato della nostra nazione non superi il livello della tolleranza divina oltre il quale la nazione sarà inevitabilmente giudicata?

 

 

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Sui PACS te lo DICO io.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-PACS_chiesa_UnV.htm

12-12-06; Aggiornamento: 06-03-2008

 

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