Quella dei PACS o «Patto civile di solidarietà»
relativi alle cosiddette «coppie di fatto» è una tematica che è capace di
lacerare i due schieramenti politici, essendo una questione morale diversamente
sentita. Questo problema può dividere anche i cristiani quanto a concezione
dello Stato e della funzione delle chiese in un paese. Quindi
«Pacs» senza pax (pace).
Oggigiorno sono conosciuti come «Dico», acronimo di
«Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi».
Uno Stato laico è una garanzia per tutti, specialmente
per minoranze, compresi gli evangelici. Uno Stato sotto tutela ecclesiastica ci
riporterebbe al Medioevo e ai tentativi di realizzare una delle tante possibili
teocrazie. La questione dei
«Pacs» (o dei
«Dico») pone anche quella dell’identità degli
evangelici italiani. In genere hanno una dottrina mutuata dalla Riforma: solo
Cristo — sola grazia — sola fede — sola Scrittura. L’ecclesiologia
congregazionalista, il sacerdozio universale e lo slancio missionario sono
un’eredità del Risveglio. L’etica è rimasta invece nelle
scarpe del cattolicesimo. È una strana dicotomia che ci lega alla chiesa
romana: da una parte c’è il fastidio quando sentiamo il papa parlare di dottrine
estranee alla sacra Scrittura nel quotidiano telegiornale (siamo ancora
un paese laico «normale?») — dall’altra approviamo (sebbene con qualche
sospetto) alcune cose che riguardano il piano etico. E che dire delle
bacchettate e picconate pressoché quotidiane sui politici italiani da parte
dell’«Osservatore Romano» e di altri giornali ecclesiastici?
Che hanno detto allora gli apostoli e gli scrittori del
NT? Hanno detto di essere sottomessi alle autorità, di portare onore a chi è in
autorità, a pregare per chi è in autorità. Per il resto hanno predicato
l’Evangelo dinanzi alle genti e alle autorità. Non troviamo neppure un caso in
cui si sono ingeriti negli affari interni di uno Stato e hanno fatto pressione
sui governanti perché facessero leggi conformi al cristianesimo. Hanno confidato
che persone trasformate dall’Evangelo avrebbero praticato la giustizia,
qualunque sia stato il loro posto nella società.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1. {Nicola
Berretta} ▲
PAX ROMANA SUI PACS
Non
passa oramai giorno in cui non assistiamo ad annunci televisivi su possibili
decisioni dell’attuale governo in merito ai
«Patto civile di solidarietà» («Pacs»)
tra le «coppie di fatto», comprendenti anche normative di Diritto Civile
relative alle coppie omosessuali conviventi. Di fronte a questi interventi
normativi si assiste anche a una veemente levata di scudi da parte di tutti quei
politici, appartenenti ad ambedue gli schieramenti, che in qualche modo fanno
riferimento agli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica. Quest’ultima non
risparmia quotidianamente di condannare anche la sola eventualità che questo
tipo di tematiche vengano affrontate in sede parlamentare.
Come si pone il credente di fronte a questo tipo di argomenti?
La tendenza generale, da quel che mi è dato di vedere, è quella di sostenere la
battaglia che la Chiesa Cattolica porta avanti. Se infatti in molte circostanze
siamo noi evangelici i primi a lamentarci della presenza oltremodo invadente
della Chiesa Cattolica nella realtà sociale del nostro paese, in questi casi
tendiamo ad apprezzarne gli aspetti positivi, considerando dunque le pressioni
del Vaticano nella politica come un baluardo che ci ripara dalla deriva immorale
della nostra società.
Ho però l’impressione che ci dimentichiamo la piattaforma teologica entro
cui si pongono gli interventi del Vaticano. La Chiesa Cattolica ha
un’impostazione teologica, in base alla quale la Chiesa non attende la
realizzazione del Regno di Dio sulla terra solo in seguito a un evento
catastrofico, quale il ritorno di Cristo, ma si muove in vista di una
realizzazione, qui e ora, del Regno stesso, operando all’interno della società.
Questa impostazione positivista della storia dell’umanità, tra l’altro, non è
nemmeno un’esclusiva del Cattolicesimo, ma la si ritrova anche in ambito
Protestante, in particolare nel Calvinismo.
Ho l’impressione che quando noi evangelici guardiamo con favore agli interventi
del Vaticano sui PACS o sulle coppie di fatto omosessuali, ci dimentichiamo
della piattaforma teologica entro cui nascono, e non ci rendiamo così
conto di abbracciare indirettamente quella stessa impalcatura dottrinale. Cerco
di spiegami meglio.
La Bibbia è molto chiara sul fatto che la pratica dell’omosessualità è peccato.
Questo ci autorizza a incoraggiare una legislazione che rende illegale la
pratica dell’omosessualità? La stessa domanda potrebbe porsi per le convivenze
prematrimoniali. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la Bibbia condanna la
fornicazione e l’adulterio, dovremmo dunque adoperarci per una legge che faccia
andare in galera chiunque venga scoperto a intrattenere rapporti sessuali
biblicamente illeciti?
Io ritengo di no. Ciò non toglie che se uno si converte a Cristo, provenendo da
una storia personale di vita moralmente dissoluta, omo- o eterosessuale, debba
confessarlo al Signore e ravvedersi, cambiando radicalmente il proprio stile di
vita. Se però riteniamo che la Chiesa sia chiamata a imporre alla società le sue
regole morali, per realizzare una società cristiana, se cioè partiamo da
una piattaforma teologica analoga a quella della Chiesa Cattolica,
risponderemo necessariamente di sì alle domande precedenti.
Il mio vuole dunque essere un invito ad esaminare bene le nostre basi
teologiche. Se non abbracciamo quella piattaforma teologica che prevede
una realizzazione del Regno di Dio attraverso l’influenza che la Chiesa esercita
nella società, dovremmo, a mio giudizio, affrontare argomenti come i
«Pacs» (o
«Dico») o le unioni di coppie gay in modo
diverso.
Pur affermando, senza equivoci, che l’omosessualità è un peccato, forse dovremmo
riconoscere a uno Stato laico il diritto di fare una legislazione che tuteli
chi, nella sua libertà (di peccare) decide di convivere con una persona del suo
stesso sesso.
2.
{Argentino Quintavalle} ▲
Ai tempi di Gesù Cristo, i suoi discepoli erano nel
costante pericolo di trasformare l’Evangelo in una piattaforma politica. Gesù
disse: «Il mio regno non è di questo mondo»; ma la domanda che martellava
le loro menti era: «Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno
ad Israele?» (At 1,6).
Oggi, però, bisogna
preoccuparsi dell’errore opposto. Bisogna lottare contro chi, sotto lo slogan «Il
mio regno non è di questo mondo», sostiene che i cristiani non devono avere
niente a che fare con la politica. «I cristiani non devono fare politica»,
dicono molti credenti ben intenzionati, «ma dovrebbero semplicemente predicare
l’Evangelo».
In un certo senso questo è
più che giusto. Dobbiamo concentrarci sulla predicazione dell’Evangelo.
L’Evangelo, dice Paolo, è essenzialmente il messaggio di salvezza che dobbiamo
proclamare ad altri, così come l’abbiamo ricevuto: «Cristo è morto per i
nostri peccati, secondo le Scritture, fu seppellito; risuscitò il terzo giorno,
secondo le Scritture» (1 Cor 15,3s). L’Evangelo di Cristo non è un programma
sociale o una entità geopolitica che si deve costruire con la violenza e la
coercizione (come purtroppo è accaduto nel corso della storia). Gesù Cristo è
venuto, innanzitutto, a salvare il suo popolo dai peccati, non ad aumentare lo
stipendio dei pensionati. La chiesa, nel corso della storia, si è causata dei
danni terrificanti, per mezzo di coloro che hanno usato il nome di Cristo per
coprire i loro abominevoli giochi di potere. Dobbiamo stare molti attenti a che
l’Evangelo non venga usato per scopi ignobili, poiché il regno di Dio non ha
niente a che vedere con i metodi di questo mondo. «Voi sapete che quelli che
sono reputati principi delle nazioni, le signoreggiano; e che i loro grandi
usano potestà sopra di esse. Ma non è così tra voi; anzi chiunque vorrà esser
grande tra voi, sarà vostro servitore; e chiunque fra voi vorrà esser primo,
sarà servo di tutti» (Mc 10,42ss).
Ma questo non significa che
il suo regno non abbia niente a che fare con questo mondo. Pensiamo ai miracoli
di Gesù Cristo. Mentre la sua preoccupazione principale era quella di insegnare
alla gente (o, più precisamente, di morire per loro), i suoi miracoli di
guarigione erano degli atti di misericordia verso i ciechi, gli zoppi, gli
indemoniati, i malati, e i morti. Egli ci ha insegnato che bisogna occuparsi in
maniera particolare dei poveri e dei malati. La politica non è semplicemente una
cosa di «questo mondo» o una cosa insignificante. Che cosa ci aspettiamo che
accada in quelle persone a cui abbiamo predicato l’Evangelo? Dopo che lo Spirito
Santo ha fatto il suo lavoro di conversione, quali insegnamenti diamo ai nuovi
convertiti?
Supponiamo che la
predicazione dell’Evangelo abbia così successo che la maggioranza dei cittadini
di un paese nascono di nuovo. Supponiamo, inoltre, che il presidente o il primo
ministro, o la maggioranza dei parlamentari siano rigenerati. Tutti costoro,
dovrebbero cercare di essere «laici» o «neutrali», nella loro amministrazione
del governo civile? La loro conversione non dovrebbe avere alcun effetto sul
loro operato e sulle loro opinioni? Dovrebbero gestire l’amministrazione
pubblica come se fossero dei miscredenti e dei pagani? Come cristiani dovrebbero
cercare la neutralità?
In secondo luogo bisognerebbe
anche dare un rapido sguardo alle Scritture, per capire che l’Evangelo ha anche
delle implicazioni politiche — come il diritto alla proprietà privata (1 Re
21,1ss; Pr 13,22; Mt 20,15; e questo mette fuori gioco il collettivismo); la
limitazione del governo umano (Sal 22,28; Dn 4,25; Rm 13,4); e l’istituzione di
tre distinti e legittimi governi (familiare, ecclesiastico e civile: Ef 6,1.4;
Dt 6,7; 1 Cor 5,12s; Rm 13,1-7). È forse proibito ai cristiani di parlare
laddove le Scritture stesse parlano?
In terzo luogo, la netta
dicotomia tra cristianità e politica, sebbene da molti auspicata per impedire il
degrado del cristianesimo, ironicamente crea proprio lo stesso risultato.
L’anti-politica ha contribuito a banalizzare la fede, relegando la Parola di Dio
a un non ben definito «regno spirituale». L’effetto di ciò è stato quello di
negare la signoria di Cristo sopra il mondo — qui ed ora.
Le Scritture non affermano
che Cristo è solo il Signore della domenica, ma dicono che è il Signore di ogni
cosa. «Ogni potestà mi è stata data in cielo e
sulla terra», dice Gesù in Mt 28,18. Egli ha il primato in ogni cosa
(Col 1,18), e domina sulle signorie, sui principati e sulle potestà (Col 1,16).
I cristiani sono chiamati a non ignorare certi pensieri, ma bisogna che «facciamo
prigioniero ogni pensiero traendolo all’ubbidienza di Cristo» (2 Cor 10,5).
I cristiani possono
esprimere idee politiche, non per fare politica, ma perché Cristo è il Signore.
Paolo scrive: «Io esorto dunque, prima d’ogni altra cosa, che si facciano
suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i
re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo menare una vita
tranquilla e quieta» (1 Tm 2,2). Questo verso m’insegna che devo pregare per
i politici italiani, affinché prendano delle decisioni che non disturbino la mia
vita cristiana. E ancora, se ci sono due schieramenti politici, uno contro i
cristiani e l’altro a favore, pregherò e voterò che vada al governo quello a
favore. Se ci sono dei politici che vogliono prendere delle decisioni che vanno
contro la Parola di Dio, devo pregare che non lo facciano. Niente può far male
alla fede cristiana, quanto l’indifferenza. Ai tempi di Hitler milioni di ebrei
sono stati uccisi anche con la complicità delle chiese protestanti, e la loro
colpa è stata il silenzio e l’indifferenza. Lo stesso silenzio e indifferenza
che le chiese evangeliche stanno praticando oggi, lasciando alla tanto criticata
chiesa cattolica di sporcarsi le mani con questi problemi terreni.
L’11 e il 12 dicembre 2006, si è svolto a Teheran una
conferenza internazionale con lo scopo di negare l’olocausto e inneggiare alla
distruzione d’Israele, la nazione che rappresenta Dio sulla terra. La chiesa
cattolica ha protestato, ma dov’erano le nostre chiese evangeliche? Sulle nuvole
a parlare di cose spirituali? Oppure sulla terra a discutere dei bicchierini e
dei pezzettini di pane della santa cena? Oggi se lo Stato riconosce come
famiglia una coppia di omosessuali e se questi fra poco, secondo le direttive
europee, potranno anche adottare un bambino (sic!), a noi cosa c’importa? Satana
vuole distruggere Israele, ma a noi cosa c’importa? I nostri governanti
stringono la mano ai leader che sovvenzionano e incitano il terrorismo, ma a noi
cosa c’importa?
Il Signore sta per tornare, è ora di svegliarsi! Se il
sale non sala più, a cosa serve?
3.
{Abele Aureli} ▲
Glielo avevo detto io a certi... cristiani italiani che non dovevano votare per
D’Alema, il quale ha detto in TV che non crede in Dio! Cosa ha da fare un
cristiano con uno che non crede in Dio? Che leggi potrà promuovere chi non crede
in Dio?
Ma no!!! Gesù era «socialista» insistono imperterriti
certi cristiani! E poi, abbiamo... Valdo Spini, che è un evangelico...? Valdo
Spini un evangelico? Bah! Non lo sapevo! E Domenico Maselli? Anche lui un
evangelico?
E allora diamo tutti il voto a chi non crede in Dio ed
è contro gli Ebrei, ma sopratutto a chi è anti-americano. Questo secondo me è il
motivo principale perché certe persone votano a sinistra. Essere anti-americani
a priori, senza andare a investigare quali sono i programmi di certi politici.
Allora, prima andiamo a fare i militanti comunisti e
votiamo per chi promuove leggi per favorire la droga, gli omosessuali e le
coppie di fatto, e poi andiamo in chiesa e cantiamo «Nella piena dell’affetto,
darti lode voglio o Dio!». Dio abbia pietà di noi tutti!!!
4.
{Nicola Martella} ▲
Ringrazio Abele Aureli per il suo intervento. Prendo l’occasione per fare
qualche appunto generale. Avrei voluto che gli interventi siano fatti sul merito
del problema che su altre cose. Non sta a me difendere le persone di cui Abele
ha parlato. Faccio solo qualche affermazione. D’Alema ha affermato che non crede
in Dio, almeno è intellettualmente onesto. A me fanno più spavento (e pena) quei
politici che si servono della religione per scopi politici. Ad esempio,
Berlusconi ha fatto studiare i figli presso le scuole antroposofe, ideate da
Steiner, un esoterista che ha mischiato cristianesimo e Oriente e ha propagato
le idee sulla reincarnazione in Occidente (cfr. in Nicola Martella, Dizionario delle medicine alternative,
Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003), gli articoli «Antroposofia», pp. 53-57; «Steiner
Rudolf», pp. 512-515; «Teosofia», pp. 527s). In
Wikipedia, ad esempio, si legge: «Negli anni 1990 [la scuola steineriana] è
diventata famosa in quanto scelta da Veronica Berlusconi per l’educazione dei propri figli». Sul sito dei
Steinerani si possono leggere estratti di Giornali che parlano di loro: «Ma
ci sarà pure una ragione se qualcuno a consigliato persino a Silvio Berlusconi
di iscrivere i suoi figli non alle solite scuole “da ricchi” ma proprio a una
scuola Steineriana…» (la Repubblica 27-01-200); «In Italia le [scuole] Waldorf
sono conosciute come le scuole dei figli di Berlusconi che effettivamente
frequentano l’istituto steineriano di Milano» (Il Venerdì di Repubblica
04-02-200); «E accanto ai rampolli delle famiglie Berlusconi, Bassetti, Moratti,
Cacciari, siedono figli di operai o extracomunitari» (Corriere della sera
27-01-2000). Su questo tema è pieno Internet.
Non sta a me giudicare la «evangelicità» di Valdo Spini
e di Domenico Maselli né la «anti-americanicità» dei politici. Penso comunque
che come cristiani dobbiamo avere un «equilibrio politico» e non schierarci per
gli uni e condannare gli altri — come se l’alternativa a un problema è di per sé
la soluzione. Le posizioni a favore della maggiore liberalizzazione di certe
droghe (vedi i liberali radicali nel centro-destra), sul riconoscimento dei
diritti personali degli omosessuali e dei conviventi eterosessuali sono
trasversali e si trovano anche nel centro-destra. Le cosiddette «coppie
di fatto» non dipendono dalla politica, ma dalle scelte già fatte dalla
gente. Per quello che ho capito (e la politica la seguo con costanza), si sta
discutendo nel riconoscere loro alcuni diritti e doveri
personali; e su questo tutti i politici sono d’accordo, compresi Casini,
Buttiglione, Bossi e altri. Penso che come evangelici dobbiamo essere capaci di
discutere «nel merito» e pacatamente, senza criminalizzare nessuno e senza
schierarci troppo con qualcuno. An andare in chiesa e a cantare lodi a Dio ci sono
anche coloro che mettono la testa sotto la sabbia come gli struzzi, per non
interessarsi delle «cose del mondo»; e ci sono anche coloro che magari vivono,
disubbidendo alle leggi, ad esempio lavorando in nero e prendendo allo stesso
tempo l’identità di disoccupazione (anni fa ho incontrato un pastore che si
sosteneva così!). Gli evangelici hanno bisogno di un’etica evangelica, basata
sul nuovo patto. Coloro che Dio chiama nelle amministrazioni pubbliche e in
politica, devono essere luce e sale in tutti gli schieramenti, dove si
collocano.
5.
{Nicola Berretta} ▲
Mi rendo conto quanto anche per noi credenti
sia difficile rimanere esenti dal clima politico di contrapposizione esasperata
che si respira da diversi anni in Italia. Tuttavia credo che dovremmo perlomeno
tentare di affrontare questi argomenti liberandoci da certi schemi ideologici di
conflitto destra / sinistra che la politica attuale ci impone. Il mio richiamo a
esaminare la piattaforma teologica entro cui elaboriamo le nostre
convinzioni sull’opportunità di alcune leggi voleva proprio esortare ciascuno di
noi a una analisi meno superficiale. Capisco benissimo che un tema «scabroso»
come quello di introdurre una legislazione a tutela della coppie gay, generi in
ciascuno di noi un’automatica reazione di rifiuto, anche perché, permettetemi di
dire, la televisione stessa non ci risparmia di propinarci questi argomenti con
l’ausilio di immagini su coppie omosessuali disinibite riprese durante un
qualche gay pride, condizionando dunque ancora più le nostre reazioni
istintive. Vorrei però esortare a considerare con serenità un argomento
generale, entro cui porre anche la questione delle coppie gay: fino a che
punto noi credenti dovremmo auspicare un regime politico che limiti per legge
l’esercizio delle libertà individuali, fossero anche
libertà di peccare?
Argentino Quintavalle
pone correttamente la questione dell’urgenza di trovare un equilibrio tra
l’affermare che «Satana è il principe di questo mondo» e l’esigenza di essere
sale nel mondo. Nel suo intervento colgo dunque l’urgenza di rispondere alla sua
domanda: «Supponiamo, inoltre, che il presidente o il primo ministro, o la
maggioranza dei parlamentari siano rigenerati. Tutti costoro, dovrebbero cercare
di essere “laici” o “neutrali”, nella loro amministrazione del governo civile?
La loro conversione non dovrebbe avere alcun effetto sul loro operato e sulle
loro opinioni? Dovrebbero gestire l’amministrazione pubblica come se fossero dei
miscredenti e dei pagani? Come cristiani dovrebbero cercare la neutralità?».
Rispondere a questa
domanda non è facile, ma proprio per questo motivo diventa urgente per noi
accertarci della piattaforma teologica
entro cui tentiamo di dare una risposta.
Nel popolo d’Israele,
il «popolo del patto», la questione della libertà individuale di poter peccare
non esisteva proprio. Nel popolo di Dio il peccato individuale diveniva
automaticamente peccato di tutto popolo, e per questo lo contaminava. Vigeva
dunque forte il monito: «…non si trovi in mezzo a te chi…» (Dt 17,2-5;
18,10-12), oppure: «…così toglierai il male di mezzo a te…» (Dt
22,21.24). L’esempio classico è probabilmente quello descritto in Giosuè al
capitolo 7, in cui Acan, per un suo peccato personale, diviene responsabile di
aver contaminato tutto il popolo di un peccato di interdetto (Gios 7,13) e per
questo motivo viene ucciso con tutta la sua famiglia. Acan non poteva certo
appellarsi alla sua libertà personale di commettere peccati dei quali avrebbe
individualmente risposto davanti a Dio. No, la sua colpa era la colpa di tutto
il popolo.
Possiamo noi applicare
questi principi oggi? Il peccato che il non credente compie, nella sua libertà
individuale di disobbedire a Dio, trasmette una colpa a tutti gli altri?
La risposta, da ciò che mi è dato di capire dalla Scrittura, è no. Questo principio, semmai, è
valido all’interno della chiesa, dove la palese disobbedienza al Signore
deve essere sanzionata, seppure entro certi limiti, come evidenziato anche
altrove in questo sito da Nicola Martella (I provvedimenti di fuori comunione). Alla chiesa di Tiatiri viene rimproverato il fatto che «tollerava» Iezabel (Ap
2,20). La Chiesa non può «tollerare» al suo interno
la libertà individuale di peccare. Ma è lecito estendere questo principio
fuori dalla chiesa?
È qui che salta fuori
l’importanza della piattaforma teologica. Per la chiesa cattolica la
distinzione tra chiesa e mondo è molto meno demarcata rispetto a quella che noi
cristiani evangelici normalmente abbiamo. Per il cattolicesimo non esiste di
fatto, là fuori, un mondo perduto, separato da Dio e distinto dal popolo di Dio.
È per questo motivo che tende ad applicare là fuori norme che hanno un
senso
all’interno della chiesa, non al suo esterno.
Tornando dunque alla
domanda di Argentino, in riferimento ai doveri di un credente rigenerato in
Cristo che dovesse trovarsi in posizione di responsabilità politica, per quanto
sia consapevole della difficoltà di dare risposte certe alla questione, ritengo
comunque che questa persona debba fare molta attenzione a non applicare
all’esterno
normative che sono di stretta pertinenza della vita
all’interno della chiesa, di coloro cioè che sono entrati nel «nuovo patto»
in Cristo Gesù.
Perdonatemi la
lunghezza del mio intervento, ma ritengo di dover continuare a discutere
l’argomento, affrontando un’altra possibile obiezione. Fermo restando il fatto
che non possiamo imporre leggi che obblighino in qualche misura un’obbedienza
alla legge di Dio, potremmo comunque lecitamente pensare che determinate leggi
siano auspicabili, non tanto perché favoriscano un ipotetico rapporto verticale
con Dio, ma perché riteniamo che siano comunque un bene per la società,
indipendentemente da qualsiasi risvolto spirituale. D’altra parte, tutte le
leggi, comprese quelle cosiddette «laiche», partono da un presupposto di ciò che
riteniamo «un bene» per la società, sulla base delle nostre convinzioni
filosofiche, politiche, ideologiche ecc… Siccome dunque i comandamenti della
Scrittura hanno per fine non solo il mantenimento di un rapporto verticale con
Dio, ma anche un benessere per l’uomo (Dt 10,13), possiamo lecitamente ritenere
che una
legislazione cristiana sia auspicabile in quanto positiva in senso
orizzontale, cioè per l’individuo e per la società nel suo complesso, al di là
delle loro implicazioni verticali.
Questo è un argomento
assolutamente lecito e corretto, e all’interno di questa logica si potrebbe
anche discutere dell’opportunità di una legislazione che tuteli le unioni di
fatto omo- o eterosessuali. Al tempo stesso vorrei però far presente i rischi di
questo tipo di argomentazione.
Ciascuno di noi,
credo, ha portato in chiesa un parente o un amico non credente. Perché l’abbiamo
fatto? Perché «la fede viene dall’udire». In altri termini, l’abbiamo
fatto nella convinzione che l’ascolto della Parola di Dio fosse «un bene» per
quella persona, nella speranza che quel seme possa germogliare portando frutti
di ravvedimento. Noi dunque consideriamo «un bene» ascoltare la Parola di Dio.
Sulla base di questa convinzione vera e indiscutibile (per noi credenti),
sarebbe auspicabile avere leggi che obblighino l’ascolto della Parola di Dio e
dunque il frequentare una chiesa?
Questa domanda è
volutamente provocatoria e ha il solo scopo di far notare quanto il legiferare
allo scopo di favorire ciò che noi riteniamo «il bene» per gli altri, rischi di
scivolare in una dittatura religiosa totalitaria da fare invidia ai talebani
afgani.
La questione non è
facile ed è dunque utile discuterne al di là degli steccati politici del mondo
che sta là fuori. Io continuo a ritenere, forse sbagliando, che uno
Stato, anche se governato da credenti rigenerati in Cristo, debba tutelare la
libertà individuale, fosse anche la libertà di fare cose che contrastano con le
leggi di Dio. Ovviamente tutto questo vale nell’ambito di scelte individuali che
non riguardano terzi. Una legislazione contro l’aborto ha un senso in quanto la
libertà individuale di uccidere coinvolge una terza persona, cioè il feto, che
io, Stato, devo tutelare. Anche la questione della adozioni nelle coppie gay
(giustamente paventata da Argentino), richiede una legislazione che tuteli non
solo chi decide autonomamente di «peccare» ma anche chi vi è suo malgrado
coinvolto, cioè l’eventuale figlio adottato.
6.
{Argentino Quintavalle} ▲
Riformulo la questione in altra maniera. Molto
tempo prima che Israele ricevesse la Legge, Dio aveva dato ad Adamo prima e a
Noè poi delle leggi universali, dalle quali si evince che la richiesta divina di
amministrare la giustizia è
conditio sine qua non per lo sviluppo dell’umanità. Il resto della Bibbia
insegna che Dio giudica (qui e ora sulla terra) tutti quei regni, popoli e
nazioni, nel momento in cui toccano l’apice del loro allontanamento dal livello
di giustizia loro richiesta.
Così è stato per
Sodoma e Gomorra, per i popoli di Canaan, per l’Assiria, per Babilonia, fino ad
arrivare ai tempi moderni con le due guerre mondiali, ecc., ecc. Naturalmente
anche Israele ha dovuto fare i conti con la giustizia di Dio.
Per quanto riguarda le
nazioni, ci sono due elementi che bisogna tenere particolarmente sotto
monitoraggio e che possono costituire le spie di un giudizio divino su di loro:
■ L’immoralità;
■ L’inimicizia verso
Israele (in quanto pupilla dell’occhio di Dio).
Ora pongo le seguenti questioni: in quanto
cristiani, ma anche cittadini italiani, dobbiamo intercedere per i peccati della
nostra nazione? Oltre alla preghiera, dobbiamo adoperarci secondo i nostri mezzi
e disponibilità a far sì che il peccato della nostra nazione non superi il
livello della tolleranza divina oltre il quale la nazione sarà inevitabilmente
giudicata?
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►
Sui PACS te lo DICO io.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-PACS_chiesa_UnV.htm
12-12-06; Aggiornamento: 06-03-2008
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