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▲
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1.
{Francesco Scarlata}
▲
Egr. sig. Martella Nicola, mi scusi se non so al momento come chiamarla, se
darle del tu e chiamarla fratello; non ho capito bene la sua posizione. Una cosa
so con chiarezza e serenità d’animo e di spirito: tutto ciò che è in noi
appartenente al Regno di Dio non è nostro, quindi non dobbiamo gestirlo
secondo visione umana ma secondo visione spirituale.
«In
dono l’avete ricevuto, in dono datelo».
Il soggetto di Genesi 6, grazie a Dio ho avuto giusta visione «figlioli di Dio, figlioli degli uomini» con l’aiuto
delle apologie di Giustino martire, ma avrei gradito molto che intorno a quello
che lei o «che lo Spirito Santo le ha rivelato», visto che non è (se tale è)
nostra possessione o nostra intelligenza, ebbene fosse messo a disposizione di
tutti gratis come fa il sito «lanuovavia dei f.lli Butindaro».
Perché non metto i miei a disposizione? Dal mio scritto
si renderà conto che non sono un letterato e non so neanche come si forma un
sito, e non so neanche se potrei mantenermelo, (non mi è dato) sopratutto
visto che vado in cerca di conferma da chi è molto più preparato di me.
Il mio non vuole essere un rimprovero ma un’esortazione
a non cadere: «Della
casa del padre mio ne avete fatto... commercio».
Sono a sua disposizione se necessario a
qualsiasi dialogo amichevole e fraterno in Cristo.
La saluto con la
pace del nostro Signore Gesù Cristo, Re del regno divino.
2.
{Nicola Martella} ▲
La prima cosa che mi ha colpito dello scritto
del mio interlocutore è (rivolgendosi a me) «non so al momento
come chiamarla». Se fosse andato sul sito «Fede controcorrente» e avesse letto
le decine di articoli che portano il mio nome, avrebbe saputo se chiamarmi
«fratello».
Sebbene non abbia capito fin in fondo il senso e il
fine del suo scritto, mi sembra che esso riguarda il fatto che io stampi libri e
li venda.
L’analisi di un verso nel suo contesto
Il
mio interlocutore
cita il verso di Gesù: «Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Quando si
tralascia il contesto e si assolutezza un verso (qui parte di esso), si fa
sempre ideologia e demagogia. Si noti però che tale verso fu rivolto dal Maestro
ai suoi dodici discepoli (= allievi) in un momento particolare del loro
apprendistato. Non intendeva essere una regola di vita per sempre e per tutti.
Infatti, tale verso aveva a che fare con la cultura particolare del tempo di
Gesù. Per prima cosa vediamo l’oggetto ricevuto gratuitamente e che essi durante
il loro ministero itinerante d’apprendistato dietro al rabbi Gesù dovevano anche
dare gratuitamente: la predicazione del regno di Dio, ossia l’annunzio
dell’Evangelo (v. 7). Ciò era accompagnato da opere potenti che dovevano
attestare il loro apostolato (per i «segni dell’apostolo» cfr. 2 Cor
12,12). In quel tempo particolare e in quel sistema sociale, Gesù raccomandò ai
suoi discepoli di fare i «predicatori itineranti» (come ce n’erano tanti nel
giudaismo e successivamente anche nel cristianesimo; cfr. 3 Gv 1,6ss). Allora
era uso accogliere tali «predicatori itineranti», ospitarli per il tempo
necessario per riprendere le forze e per svolgere in loco il loro ministero e
poi provvedere ai loro bisogni personali e per il successivo viaggio. Per questo
Gesù raccomandò ai suoi discepoli di non portare con sé alcunché (Mt 10,9s).
Vorrei sfidare il
mio interlocutore a farlo oggigiorno qui in
Italia.
E Gesù aggiunse, però, anche la motivazione: «…perché
l’operaio è degno del suo nutrimento»
(v. 10). Se oggigiorno, nella mutata società, i «servi di Dio» vivessero da
«predicatori itineranti» e andassero come allora da villaggio a villaggio,
avrebbero in ognuno d’essi chi li accoglie, li ospita, li rifocilla, si occupa
dei loro bisogni personali e provvede per il loro ulteriore viaggio? Quale degna
persona li accoglierà perché dimorino presso di lei finché ripartono? (v. 11).
Su quante case o città bisognerebbe che scuotessero la polvere dai loro piedi?
(v. 14).
Il contesto mostra che
si trattava di una situazione conforme alla cultura giudaica di quei tempi (vv.
16-22) e alle difficoltà che i discepoli avrebbero incontrato nell’evangelizzare
la Giudea (v. 23 città d’Israele).
Qui il Maestro comandò
ai suoi dodici allievi di non prendere nulla con sé per imparare a dipendere da
Dio (Lc 9,3). In un altro momento, ricordando prima la precedente esperienza (Lc
22,35), poté dire: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda; e parimenti una sacca…»
(v. 36). La stessa esperienza la fece fare ad «altri settanta discepoli» (Lc
10,1), raccomandando: «Ora dimorate in quella stessa casa, mangiando e
bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua retribuzione»
(vv. 7ss). Guai a voler assolutizzare e applicare nell’oggi elementi contenuti
nella narrazione come, ad esempio: «Non salutate alcuno per via» (v. 4;
un predicatore non dovrebbe parlare del Signore a qualcuno sul treno, mentre si
reca nella città dove deve predicare?), «Non passate di casa in casa»
(ossia quanto a ospitalità; v. 7; un predicatore non può essere invitato da più
famiglie a mangiare nei giorni in cui sta in una data chiesa?), «Mangiate di
ciò che vi sarà messo dinanzi» (v. 8; e se si è allergici a qualche cosa?).
Si fa sempre male ad
assolutizzare un verso biblico o addirittura una parte d’esso per farne una
ideologia dottrinale a proprio uso e consumo. Non si può trascurare il contesto
storico e culturale. Giovanni, rispecchiando l’uso dei «predicatori itineranti»
del tempo, lodava Gaio perché praticava tale ospitalità: «Diletto, tu operi
fedelmente in quel che fai a pro dei fratelli che sono, per di più, forestieri.
Essi hanno reso testimonianza del tuo amore, dinanzi alla chiesa; e farai bene a
provvedere al loro viaggio in modo degno di Dio; perché sono partiti per amor
del nome di Cristo, senza prendere alcun che dai pagani. Noi dunque dobbiamo
accogliere tali uomini, per essere cooperatori con la verità» (3 Gv 1,5-8).
Paolo raccomandò
quanto segue a Tito, suo collaboratore che al momento operava come missionario
in Creta: «Provvedi con cura al viaggio di Zena, il legista, e d’Apollo,
affinché nulla manchi loro. E imparino anche i nostri ad attendere a buone opere
per provvedere alle necessità, affinché non stiano senza portar frutto» (Tt
3,13s)
Mi chiedo se il mio
interlocutore ospiterebbe a casa sua un tale «predicatore itinerante», diciamo
per un mese, provvedendo a tutte le sue necessità del momento e a quelle che gli
permetterebbero di proseguire il suo ministero nel prossimo futuro. E se poi
dopo alcuni giorni ne arriva un altro? Mi chiedo che cosa risponderebbe a un
Paolo, se gli scrivesse (per lui e la sua squadra missionaria) quanto segue: «Quando
andrò in Spagna, spero, passando, di vedervi e d’esser da voi aiutato nel mio
viaggio verso quella meta…» (Rm 15,24). Che risponderebbe, che farebbe?
Il pregiudizio e l’avidità
Per prima cosa
affrontiamo il tema del pregiudizio. Se
il mio interlocutore avesse visitato il sito «Fede controcorrente», avrebbe
accertato che ci sono lì molte decine di articoli e temi di discussione messi a
disposizione di chi vuole leggerli e approfondirli. Essi sono costati molto
lavoro, sudore e impegno a me e a quanti hanno collaborato. Essi sono anche a
disposizione di tutti. Quindi, il suo è un pregiudizio. I pregiudizi rendono
colpevoli. Gli ricordo al riguardo alcuni versi da meditare:
■
Gesù: «Non
giudicate affinché non siate giudicati; perché col giudizio col quale giudicate,
sarete giudicati; e con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi. E
perché guardi tu il bruscolo che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non
scorgi la trave che è nell’occhio tuo?»
(Mt 7,1ss). ▪ «Non giudicate secondo l’apparenza, ma
giudicate con giusto giudizio» (Gv 7,24).
■
Paolo: «Cosicché non giudicate di nulla prima del tempo, finché sia
venuto il Signore, il quale metterà in luce le cose occulte delle tenebre, e
manifesterà i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà la sua lode da Dio»
(1 Cor 4,5; cfr. anche Rm 14,13).
Qui parlo in generale dell’avidità dell’uomo. La mia esperienza, fatta
con tante persone e in molte occasioni, m’insegna che chi si nasconde dietro a
versi tolti dal contesto, occulti spesso in effetti l’avidità del suo cuore,
proprio argomentando così. Spesso si è interessati al proprio tornaconto (avere
cose gratis) più che alla verità, alla giustizia e al progresso del regno di
Dio. All’affermazione «tutto è di Dio» corrisponde la pretesa del «tutto m’è
dato». Non interessa quanto ciò costi all’altro.
Non a caso nel Decalogo (la costituzione d’Israele) è
scritto: «Non concupire […] cosa alcuna che sia dei tuo prossimo» (Es
20,17; Dt 5,21). Questo principio fu ricordato nel NT (Rm 7,7; 13,9). In modo
esplicito Paolo disse: «Nessuno soverchi il fratello né lo sfrutti negli
affari; perché il Signore è un vendicatore in tutte queste cose» (1 Ts 4,6).
La sensibilità d’animo e il sostegno dei servitori
È singolare che il mio interlocutore abbia
(pre-)giudicato una situazione, senza conoscermi e senza informarsi. Se fosse
stato abbastanza sensibile d’animo e me lo avesse chiesto, gli avrei risposto
che come missionario vivo con la mia famiglia della generosità di alcuni
fratelli che specialmente dall’estero si fanno carico di noi. Gli avrei anche
detto che, al presente, arriviamo alla fine del mese raschiando il fondo del
barile. Nonostante ciò siamo grati che il Signore si sta prendendo cura di noi e
che noi possiamo servirlo.
I discepoli, dopo essere stati chiamati dal rabbino
Gesù, lasciarono le loro famiglie (com’era allora costume fra i Giudei) per
seguire quello speciale apprendistato. Gesù e i discepoli non vivevano
certamente d’aria, ma avevano una cassa comune per la loro sopravvivenza e per
la beneficenza (Gv 12,5s; 13,29). C’erano anche «molte donne… che avevano
seguitato Gesù dalla Galilea per assisterlo» (Mt 27,55). Dopo tale tempo
particolare, chi era sposato si ricongiunse con la sua famiglia. Se la chiesa,
una volta nata, non avesse sostenuto tali fratelli, essi non avrebbero potuto
svolgere il loro ministero di apostoli (= missionari) a pieno tempo. Paolo
rispondendo agli attacchi arrivatigli dai Corinzi, si difese dicendo: «Non
abbiamo noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo noi il diritto di
condurre attorno con noi una moglie, sorella in fede, così come fanno anche gli
altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? O siamo soltanto io e Barnaba a
non avere il diritto di non lavorare?» (1 Cor 9,4ss). Poi proseguì dicendo:
«Chi è mai che fa il soldato a sue proprie spese? Chi è che pianta una vigna
e non ne mangia del frutto? O chi è che pasce un gregge e non si ciba del latte
del gregge? [...] chi ara deve arare con speranza; e chi trebbia il grano deve
trebbiarlo colla speranza d’averne la sua parte. Se abbiamo seminato per voi i
beni spirituali, e egli gran che se mietiamo i vostri beni materiali? […] Così
ancora, il Signore ha ordinato che coloro i quali annunziano l’Evangelo vivano
dell’Evangelo» (vv. 7.10s).
Spesso si afferma che Paolo si sosteneva facendo tende.
Ma questo è vero solo in parte e solo per quei tempi in cui non arrivava il
sostegno delle chiese. In una situazione particolare, quando finirono le risorse
del suo gruppo missionario, egli mandò i suoi collaboratori nelle chiese per
trovare altro sostegno. Intanto per vivere si affiancò ad Aquila e Priscilla e
lavorò con loro (At 18,2ss; che avrebbe risposto Paolo a chi voleva una tenda
gratis?). Poi però si legge: «Ma quando Sila e Timoteo furono venuti dalla
Macedonia, Paolo si diede tutto quanto alla predicazione…» (v. 5). Paolo era
grato per il sostegno finanziario della chiesa di Filippi, che era così venuta
in aiuto al suo bisogno (Fil 4,15s).
E i libri che stampi?
Per essere a posto con la legge, ho aperto una casa
editrice con l’intento di stampare libri che diano un contributo alla crescita
delle chiese e allo studio teologico. Non avendo una missione dietro a noi che
ci sovvenziona i libri, per ogni opera ho dovuto attingere dai nostri risparmi e
fare dei sacrifici. Quello che entra, a malapena arriva a pagare le spese.
Il mio interlocutore ha citato fuori contesto il verso
di Gesù: «In
dono l’avete ricevuto, in dono datelo». Poi per rincarare la
dose, ha citato un altro verso fuori contesto: «Non
fate della casa del Padre mio una casa di mercato» (Gv
2,18). Gesù stava qui nel tempio di Gerusalemme, intorno al quale si era
creato nel tempo un vero e proprio commercio di animali sacrificali e dove
operavano i cambiamonete che per interesse trasformavano le valute dei
pellegrini in monete del tempio (vv. 14s); questa situazione concreta è
irrepetibile da circa 2.000 anni! Quando non si taglia «rettamente la Parola
di verità» (2 Tm 2,15), ma la si usa a proprio uso e consumo mediante
spiritualizzazioni arbitrarie, si fa danno nell’opera di Dio e ci si rende
colpevoli.
Scrivere un libro costa molto sacrificio; arrivare fino
alla fine, portando il tutto al tipografo, è già legato a molti costi. Poi è
difficile convincere il tipografo a fare tutto gratuitamente. Le librerie si
prendono il 30% per ogni libro venduto. I distributori più grandi molto di più.
Essi devono poterci vivere, facendo questo ministero. Su ogni libro bisogna poi
pagare l’IVA e poi le tasse a fine anno (i libri non venduti valgono come
patrimonio!). In pratica, stampare libri non è un grande affare. Si fa come
opera del Signore e per amor suo. Così fanno le case editrici e le librerie in
Italia; anche questi fratelli e le loro famiglie hanno diritto a mangiare. Non è
un’ingiustizia sentirsi citare fuori contesto: «Datelo gratuitamente»?
(L’Evangelo l’ho da sempre predicato gratuitamente!) A chi vuol far valere tali
pretese, non ricorda al contrario il comandamento: «Non rubare»? (Es
20,15; Mt 19,18). Chi pretende libri gratis da chi fa sacrifici per stamparli
non sta soverchiando il fratello e lo sta sfruttando negli affari? (1 Ts 4,6).
L’ultima opera, che ho stampato, è stata possibile
realizzarla perché due credenti (padre e figlio) mi hanno «obbligato» a farlo,
impegnandosi a comprare 100 copie, sostenendo così una parte dei costi. Questi
fratelli sono da onorare, perché — lungi dal reclamare qualcosa per sé (citando
arbitrariamente versi fuori contesto) — hanno generosamente dato, permettendo
l’opera di Dio.
È forse per questo che l’opera di Dio in Italia va così
a rilento, perché i credenti, invece di sollevare e aiutare quelli che già
portano pesi e fanno sacrifici per onorare Dio con i loro carismi, pongono sul
loro cuore inutili scrupoli, tratti da versi fuori contesto, pur di avere essi
stessi un loro vantaggio o una ragione.
Sul sito «Fede controcorrente» ci sono ormai centinaia
di articoli a disposizione di tutti. È un servizio in più che costa tanto
sacrificio a me e a quanti collaborano con me.
Poi solo chi non fa, non sbaglia. Altri, non facendo,
hanno tempo per dare lezioncine spirituali a chi sta operando. Sapendo che
dobbiamo comparire dinanzi al tribunale di Cristo per ricevere la retribuzione
delle sue opere (2 Cor 5,10), ci esercitiamo a piacergli e servirlo.
Per il resto, invece di far valere pretese, ci si
eserciti a mettere in pratica la Parola, sostenendo l’opera: «Ciascuno
porterà il suo proprio carico. Colui che viene ammaestrato nella Parola faccia
parte di tutti i suoi beni a chi l’ammaestra. Non v’ingannate; non si può
beffarsi di Dio; poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà»
(Gal 6,5ss).
3.
{Argentino Quintavalle} ▲
Devo confessare che per un certo periodo la pensavo quasi alla stessa maniera,
ma non davo comunque importanza al fatto. Basandomi sulla mia esperienza ritengo
(e spero) che non ci sia malafede in chi la pensa così, ma solo ignoranza
d’alcune cose. Personalmente ho cambiato idea quando, qualche anno fa ho parlato
con un fratello che aveva lasciato il suo lavoro secolare per dedicarsi a tempo
pieno al Signore. Ora viene sostenuto da alcune chiese e «arrotonda» con la
vendita di libri. Mi disse che la vendita dei libri aiuta, ma non ci si mangia.
C’è poi da considerare altre cose:
■ 1) Chi scrive un libro corre anche il rischio di
rimetterci finanziariamente. Quindi, più che il guadagno, chi scrive è mosso dal
desiderio di far conoscere alcune verità ad altri.
■ 2) Per poter far questo senza far pagare il libro ai
lettori, bisognerebbe essere miliardari.
■ 3) La lettura fa bene. Apre la mente, aiuta a essere
critici e a non fossilizzarsi in quelle poche idee che abbiamo messo nella
testa; ci fa capire che ci sono altri che hanno idee diverse delle nostre e
questo ci aiuta a riflettere e ragionare; arricchisce il nostro vocabolario e la
nostra capacità di parlare, ecc. ecc. Charles Spurgeon, che è stato definito il
«principe dei predicatori» divorava decine di libri al mese.
■ 4) È vero che nella Bibbia ci sono dei passi che si
possono intendere, estremizzandoli, nel senso di non far pagare i libri. Ma c’è
scritto anche di «acquistare la verità». Personalmente, sono andato in cerca e
acquistato libri rari e introvabili in Italia, per amore della verità. Chi è
disposto ad approfondire la propria conoscenza è disposto anche a pagare per
questo.
■ 5) Mi spingo a dire, che forse è arrivata l’ora che
chi scrive libri cristiani, esca dalla piccola cerchia dell’editoria evangelica
e pubblichi i suoi libri per un pubblico più vasto. Così la verità può arrivare
a più persone. Non so questo come si potrebbe fare, non sono un esperto del
settore, ma mi auspico che si trovi il modo di farlo.
■ 6) Certo, non è tutto oro quello che luccica. Senza
giudicare mi pongo alcune domande. C’è un commercio evangelico? Oltre ai libri,
oggi si vende un po’ di tutto: magliette, distintivi, matite, giochi, orologi,
ecc. ecc. Qualcosa sta sfuggendo di mano? Lascio ad altri le risposte.
4.
{Francesco Scarlata} ▲
Nota redazionale: Apprezzo il fatto che Francesco Scarlata abbia
riconosciuto il suo errore e me lo abbia scritto. È un segno di sensibilità alla
Parola e di ravvedimento cristiano. Qui di seguito traggo alcune parti delle sue
ultime missive che mostrano il suo cambiamento d'atteggiamento. Lo scopo è
quello di rendere giustizia a un cristiano che ha capito e ha cambiato
atteggiamento. Non vogliamo assomigliare ai giornali che riportano solo notizie
negative e non i cambiamenti positivi di una situazione.
■ «È vero che non ho letto tutti i suoi articoli. È
vero che la mia lettera forse letteralmente può apparire pesante e di questo
chiedo scusa; ma è anche vero che ho scritto: "visto che vado in cerca di
conferma da parte di chi è molto più preparato di me". […] Riconoscendo il mio
errore […] penso d'aver compreso e le chiedo scusa…».
■ Sulla mia successiva offerta di dialogo e di chiarire in un contributo la sua
posizione, ha scritto: «Mi basta questo saluto per rispondere alla mia triste e
forse espressa male (e intesa male) espressione: “Non so se devo darle del tu e
chiamarlo fratello”. Non conoscevo il sito e non conoscevo te, ecco perchè ho
scritto alla fine: “Sono a sua disposizione se necessario a qualsiasi dialogo
amichevole e fraterno in Cristo”. Comunque rivedendo la cosa, non avevo nessun
titolo per esprimermi in questa maniera; sono stato ripagato con la stessa
moneta e mi serva di lezione. Ti saluto con la pace del nostro Signore Gesù
Cristo il Signore».
Nota redazionale: Come gestore di «Fede controcorrente» ritengo quindi
conclusa qui la questione. Certamente altri possono sempre contribuire a questo
tema, mostrando altri aspetti su questo tema che è molto importante per l'opera
di Dio in Italia. Come ha mostrato anche Argentino, sotto pelle non pochi
nutrono un atteggiamento simile. Chi ne porta il rallentamento, l'impedimento o
il danno è sempre l'opera del Signore... oltre ai servitori, che da tale clima
escono spesso abbattuti, frenati e frustrati.
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