Il tema proposto per la discussione
riguarda la morale dei cristiani e in particolare «La morale degli evangelici
in Italia».
Penso che esso sia importante e attuale. La
colpa del «deficit etico», spesso riscontrabile in molti casi, non è colpa di
qualcuno in specifico, ma del clima culturale, in cui gli evangelici vivono: la
morale cattolica. Il papato e i potenti d’Italia hanno soffocato nel sangue ogni
tentativo di riforma (p.es. Savonarola, Valdo) o hanno aggiogato al potere
temporale altri tentativi rivoluzionari, ghettizzandoli in un «ordine» monastico
(Benedetto, Francesco). In Germania, ad esempio, la Riforma protestante ha
inciso così profondamente nelle coscienze che c’è un sentimento morale perfino
nella società secolarizzata. Ministri, dirigenti dello Stato e di aziende si
sono subito dimessi, non appena sono stati coinvolti da uno scandalo o da
un’indagine della magistratura, anche se in seguito risultarono innocenti. In
Italia anche fra gli evangelici non c’è sempre chiarezza che cosa sia giusto o
sbagliato. C’è un clima morale che ci coinvolge al punto che non ci rendiamo
sempre conto che stiamo facendo delle cose sbagliate.
Si veda, ad esempio, il fatto che, invece di affrontare
direttamente i problemi con le persone interessate (cfr. Lv 19,17; Mt 5,23s;
18,15ss), si preferisce parlarne e sparlarne con altri, con grave danno per i
rapporti interpersonali, per la benedizione del Signore, per la testimonianza
come cristiani e per l’Evangelo. Ciò riguarda non solo l’onore degli altri, ma
anche la proprietà (p.es. artistica, letteraria ecc.) degli altri. In tali modi,
si crea un «clima» morale (o amorale) che si basa sul consenso. L’illusione che
ne nasce, è che tutto ciò sia legittimo.
Aggiungo il caso di un conduttore evangelico, il quale
diversi anni fa mi disse «candidamente» che, per sostenersi, stava prendendo
l’identità di disoccupazione e che si arrangiava anche con un lavoro in nero.
Qui riporto solo i fatti, senza esprimere un giudizio. C’è il caso di un altro
conduttore di chiesa che si complimentò con me per un certo libro che avevo
scritto, aggiungendo che dell’articolo «X» avevano fatto 30 copie e l’avevano
letto e discusso in chiesa. Nessuno di questi due conduttori si poneva alcun
problema morale, ma parlavano della cosa con «naturalezza» e come se tutto fosse
a posto. Il tutto si regge su un «consenso» o sul fatto che nessuno affronta
teologicamente certi problemi. Per questo parlo di un «deficit etico» o di una
«doppia morale» che affligge una parte degli evangelici italiani.
Anni fa proposi all’annuale «convegno degli anziani» delle Assemblee dei
Fratelli di affrontare il tema dell’etica: esso fu accettato. Poi — con mio
grande stupore — il tema fu trasformato dalle chiese organizzatrici e/o dal
relatore in un «tema dottrinale»: la santificazione del credente!
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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sottostante
1. {Nicola
Berretta}
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Il tema aperto da Nicola Martella ritengo che
sia parte di una questione più generale riassumibile in questa domanda: «Hanno i
cristiani il dovere di incidere sulla cultura della società in cui vivono?». Gli
esempi negativi presentati da Nicola Martella non sono infatti altro che
espressione del comportamento dell’italiano medio. È assolutamente normale
per un italiano cercare tutte le vie più traverse per fregare lo Stato. Fa parte
della nostra cultura e non voglio qui improvvisarmi a sociologo nel proporre le
radici storiche, religiose e antropologiche che stanno alla base di questa
situazione. Dico solo che è un dato di fatto: tutti
(credenti e non) lo fanno, senza neppure rendersi conto della gravità di certi
comportamenti. Magari si scagliano contro quel politico o si scandalizzano per
gli imbrogli di quel finanziere, ma nel loro piccolo anche loro fanno
altrettanto e magari nutrono una certa invidia per quei grossi nababbi che
riescono a fare ciò che in fondo vorrebbero fare loro stessi.
A
questo punto però la domanda è: la trasformazione del credente rinato in Cristo
deve o no tradursi anche in una trasformazione culturale? (dove per «culturale»
intendo tutti quegli aspetti negativi che sono parte della nostra
cultura, e non certo il nostro essere latini e non, ad esempio,
anglosassoni). Io credo di sì e credo anche che questa trasformazione
culturale possa (debba?) tradursi in una trasformazione culturale nella società
in cui viviamo.
Se nel mondo evangelico anglosassone c’è una maggiore onestà morale nei riguardi
dello Stato, è anche perché tutta quella società ha un rapporto con lo Stato
diverso dal nostro (anche il non credente ritiene normale e doveroso il pagare
le tasse). Nello stesso tempo, se quella società ha un senso morale di questo
genere è anche a causa della cultura biblico-protestante che storicamente
caratterizza quei paesi (cosa che anche tanti sociologi non credenti
riconoscono).
Gli evangelici italiani vivono in un ambiente cattolico, e hanno un
atteggiamento difensivistico nei riguardi della società in cui vivono. Il mondo
è il nemico da cui tenersi a debita distanza. Il dovere morale di
incidere culturalmente sulla società che li circonda è pressoché assente tra gli
evangelici italiani. Questo fa sì che il singolo credente tenda a mantenere un
rapporto schizofrenico tra chiesa e società. Il rapporto con Dio diviene
qualcosa che riguarda il mio vivere nella chiesa e non nella società. Il
risultato finale di tutto questo è che il credente, proprio perché non viene
adeguatamente discepolato con chiare direttive al riguardo, tende ad assumere
nella sua vita quotidiana
fuori dalla chiesa gli stessi atteggiamenti che aveva prima di convertirsi,
e non coglie le contraddizioni di comportamenti disonesti che nell’ambito della
chiesa forse non si sognerebbe nemmeno di fare.
È
un po’ come nella filosofia della gnosi del 2° secolo d.C., in cui l’esaltazione
della spiritualità, contrapposta a un rifiuto di tutto ciò che era terreno e
corporale portava a non dare importanza agli atti immorali commessi col corpo,
ritenendo che il corpo fosse comunque per sua natura peccaminoso. Ciò che conta,
dicevano, è ciò che pensi nel tuo spirito, non ciò che fai col tuo corpo (!).
Allo stesso modo, molti oggi pensano che la società sia in sé negativa e non è
nostro dovere rapportarci a essa, o tentare di cambiarla. Per cui ciò che conta
è il tuo comportamento «spirituale» nella chiesa, non quello «sporco e terreno»
della tua quotidianità nella società che ti circonda. La conseguenza di tutto
questo è la schizofrenia di cui parlavo prima: nella società
sporca anche noi ci adeguiamo ai comportamenti disonesti, nella chiesa
santa invece fuggiamo dal peccato. In fondo, pensiamo, la società cambierà
solo nel Millennio, perché dunque darsi tanta pena di cambiarla oggi?
Io ritengo che ci sia bisogno nelle nostre chiese di recuperare un sano
insegnamento sul dovere del credente di essere «sale nel mondo», con gli
obblighi morali verso la società che ne conseguono. Questo forse ci
aiuterebbe a porci la domanda, se i nostri comportamenti nella società (e non
solo nella chiesa) siano o meno coerenti con questo imperativo morale. Magari
allora… cominceremo a comprare i libri invece che fotocopiarli.
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► URL di origine: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Morale_Crist-UnV.htm
07-04-2007; Aggiornamento: 23-07-2008
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