Qui di seguito discutiamo l'articolo «Inni
che evito di cantare». Ribadiamo ancora una volta che siamo molto grati al Signore per tutti
quei cristiani biblici, che nei secoli ci hanno arricchito con inni e cantici,
con cui poter esprimere la nostra lode a Dio e il nostro amore per Lui, per
supplicarlo e ringraziarlo. Inni e canti cristiani hanno anche un grande
significato didattico, poiché riportano alla mente importanti contenuti
dottrinali della fede biblica. Essi sono una specie di professione di fede.
Qui valga questo motto: «Dimmi che cosa canti e ti dirò chi sei».
Per
questo motivo, non ci si può permettere che essi contengano strafalcioni
di vario genere: errori grammaticali e sintattici, mezze verità, discutibili
contenuti dottrinali o addirittura false dottrine. Le cosiddette «licenze
poetiche» possono riguardare l'uso di sinonimi e il linguaggio metaforico,
ma non i contenuti stessi. Gli autori sono responsabili dei testi che
scrivono, ma altresì i conduttori di chiesa, che non verificano i testi che
fanno cantare nelle loro chiese.
L'impulso che è all'origine di un inno, è comprensibile, ma poi ci vuole una
verifica logica, formale e dottrinale di tale canto. Guai a credere di
essere così «ispirato», da non necessitare una verifica e correzione,
credendo che tanto i propri testi e musiche sarebbero dello Spirito Santo! Così
ragionano gli ideologi e i demagoghi religiosi, che aspirano a diventare
«guru» e «santoni».
Scrivere testi e musiche è un'attività «profetica» (= proclamatoria
ispirata) e, come tale, dev'essere soggetta al giudizio degli altri (1 Cor
14,29-32). Un autore di testi innologici fa bene a collaborare insieme a un
teologo o almeno a un credente maturo nella fede ed esperto di dottrina biblica.
Il Signor Gesù stesso ha dato questo avviso: «E a chi molto è stato dato,
molto sarà ridomandato; e a chi
molto è stato affidato, tanto più si
richiederà» (Lc 12,48).
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster
(E-mail)
Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli
firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito
può dare uno pseudonimo, se richiesto.
I contributi sul tema
▲
(I
contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.
I
contributi attivi hanno uno sfondo bianco)
Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante
1. {Stefano
Frascaro}
▲
Introduzione
Caro fratello, penso che il Signore ti abbia guidato nel proporre questo
argomento, ma Egli ti dovrà ben guidare, poiché questo tema può venir affrontato
o in maniera «superficiale», ossia andando ad analizzare verbi e
congiunzioni (non perché non siano importanti, ma ritengo per mantenere la
«musicalità» del brano ci possano essere alcune «costrizioni, vedi ad esempio
«alma» al posto di «anima»), oppure in maniera esegetica, e questo è sicuramente
più importante.
È su questa base che dobbiamo vegliare. Un canto in una chiesa viene
innalzato a Dio! E deve essere a Lui gradito, non alle nostre
orecchie. Il ministero nella musica viene a volte, a mio parere,
«stravolto». Chi partecipa al ministero della musica in una chiesa, non deve
farlo solo perché ha una bella voce, sa suonare bene, vuole suonare per forza,
anche se non ne è capace, ecc. Deve essere consapevole che ciò che fa lo fa per
Dio e non per se stesso. E deve essere proprio il responsabile di questo
ministero, che ha un compito importantissimo nella chiesa, che deve
analizzare tutte queste cose!
Esempi e
osservazioni
■ Tu nell’articolo hai citato un inno, io ti potrei rimandare ad esempio al
quell’inno che si canta normalmente alla scuola domenicale, che recita: «La
Bibbia leggi ogni dì, se vuoi andare lassù…». Noi non andiamo «lassù» in
virtù del fatto che leggiamo la Bibbia! Sai per quanto tempo l’ho fatto e
sicuramente non sarei andato «lassù», se non avessi trovato in essa la verità
salvifica in Cristo Gesù! Ma il ritornello è molto da «scuola domenicale» e
viene cantata.
■ Ti potrei portare altri esempi, vedi l’inno in cui il Centurione prega
il Signore di non entrare da lui... ma quando mai! Io, pure se consapevole della
mia indegnità, chiedo: «Ti prego di
entrare in casa mia!» Tuttavia, il ritornello è sicuramente gradevole.
Ora, non credo che
questo tuo spunto debba diventare un ricettacolo di errori esegetici negli inni
(che ben venga anch’esso), bensì voglia mettere in guardia. Ebbene spero
di darti il mio contributo.
■ In molte chiese viene cantato «Mi rialzerai» (filmato),
canzone bellissima, che a molti, me compreso, ha fatto venire le lacrime. Poi
però il «caso» ha voluto che capitassi nella versione inglese: «You raise me up»
e qui ho potuto trovare
tutte queste informazioni che seguono.
Molto rapidamente, è una melodia popolare irlandese / norvegese, classificata
come genere «new age». Suggerisco inoltre di tradurre direttamente
dall’inglese il testo (chiaramente se, si ha la possibilità, tralasciando i
traduttori automatici) e si scoprirà che l’interprete è triste finché «Until you
come and sit awhile with me», ossia rivolto a una donna: «Finché tu
non vieni e ti siedi un po’ con me». Uhm, penso che si pensava poco al Signore,
quando fu scritta...
Ma andando avanti si scoprono altre cose interessanti come «I am strong, when I
am on your shoulders; You raise me up… To more than I can be»; ciò può essere
tradotto così (sempre rivolto a lei): «Io sono forte, quando sono sulle
tue spalle; Tu mi rialzi… di là da ciò che io possa fare».
Ora non è mia intenzione demonizzare questa canzone, ma è importante
analizzare bene
ciò che si canta, per vedere veramente se porta gloria al Signore. Il Signore ti
benedica. {13-07-2010}
2. {Nicola
Martella}
▲
Introduzione
Qui di seguito faccio alcune osservazioni al contributo precedente. Ringrazio
Stefano Frascaro per la maturità mostrata nel partecipare a questo tema di
discussione. Certo, un’analisi superficiale di questo tema può renderlo
banale o radicalizzarlo. Non penso comunque che ciò si riduca a una questione di
musicalità e dei sinonimi (alma / anima), che nulla aggiunge o toglie
alla sostanza; essa non riguarda le licenze poetiche, ma è di natura dottrinale.
Giustamente un inno dev’essere primariamente
innalzato a Dio, il quale è però il Dio di verità che vigila sulla sua
Parola (Gr 1,12) e chiede ai suoi servi di fare altrettanto (At 20,28ss; 2 Tm
4,3; Tt 1,9; 2,1). Giustamente chi ha il ministero nella musica in una
comunità, dev’essere consapevole, responsabile e specialmente teocentrico,
valutando con discernimento i testi, perché sappia «per esperienza qual sia
la volontà di Dio, la buona,
gradita e perfetta volontà» (Rm 12,2). Chiaramente ciò è un ministero per
«uomini maturi» e non per gente che necessita ancora il latte (1 Cor 14,19s;
Ef 4,13; Eb 4,12ss).
Esempi e
osservazioni
■ L’inno «La tua Bibbia leggi ogni dì… se vuoi salir», è proprio un
esempio di come l’uso ricorrente faccia calare l’attenzione e renda passabili
mezze verità… e questo proprio agli occhi dei bambini. Ecco l’originale e la
revisione che suggerisco.
Versione 1 |
|
Versione
2 |
La tua Bibbia leggi ogni dì,
leggi ogni di, leggi ogni dì;
la tua Bibbia leggi ogni dì,
se tu vuoi salir.
Se tu vuoi salir,
verso il ciel salir,
la tua Bibbia leggi ogni dì,
se tu vuoi salir. |
|
Leggi la Bibbia, prega ogni dì,
prega ogni dì, prega ogni dì.
Leggi la Bibbia, prega ogni dì
e tu crescerai.
E tu crescerai,
e tu crescerai.
Leggi la Bibbia, prega ogni dì,
e tu crescerai. |
In varie comunità viene cantata purtroppo la prima versione. La seconda, non solo è migliore, ma è
più aderente all'originale in inglese. Anche in inglese ci sono varie versioni
con la stessa musica (filmato
1 con seconda strofa al contrario;
2 musica col nostro testo e altre due strofe), ma la «versione 1» in italiano non
trova nessun originale, da cui potrebbe provenire. Che nella prima versione non
sia intesa una crescita nella conoscenza soltanto, è mostrato dalla spiegazione
«verso il ciel salir». La discutibile dottrina è la seguente: leggendo la
Bibbia, si può salire verso il cielo. Di là dai benefici di leggere la Bibbia
quotidianamente, questo significherebbe chiaramente salvarsi per le proprie
opere; è un evangelo all’acqua di rose. È chiaramente meglio usare la seconda
versione.
■ Quanto al canto del «Centurione» (filmato
1;
2), fintantoché esso è l’interpretazione dei fatti storici degli Evangeli
(Mt 8,5-13), va tutto bene. La cosa equivoca è l’applicazione: si dice proprio
il contrario (entra nel mio cuore!) di ciò che disse il centurione (non entrare
in casa mia!). C’è una logica chiaramente contorta e controversa in questo
bell’inno. Sarebbe stato meglio limitarsi soltanto agli aspetti storici ed
evidenziare nell’applicazione fiducia cieca del centurione e della potenza di
Cristo. Questo esempio mostra che non basta essere «ispirato», ma ci
vuole un controllo logico, tecnico e dottrinale dei testi.
■ Quanto al canto «Mi rialzerai», un classico della musica New Age, si
veda qui l’originale profano: «You
raise me up» (= Tu mi rialzi; anche
qui; ci sono in rete decine di interpretazioni). Si veda
qui quella della «donna celtica»; sotto quest’ultimo link un uomo ha
scritto: «Questa canzone ha reso così felice la mia ragazza, mi disse che le
piacevano quasi un anno fa, e non lo aveva più menzionato da allora. Lei ha
avuto una delle notti più difficili della sua vita stanotte e mi sono ricordato
che le piaceva questa canzone, così ho iniziato a suonarla. Con le lacrime agli
occhi ella entrò nella stanza e sorridendo chiede come avessi mai potuto
ricordarmene. Un uomo innamorato non dimentica mai le cose importanti per una
donna».
Non c’è nulla di male in una canzone d’amore, che declama una relazione
umana, sentimentale, passionale e sensuale fra un marito e una moglie; ma
cantare ciò, che è stato pensato fra un uomo e una donna, proiettandolo sul
rapporto fra Dio e l’uomo, può portare a molti equivoci. Sono nati vari
canti, che lasciano il sospetto che siano in effetti canti d’amore profano,
reinterpretati in modo religioso. È bene tener separato il sacro dal profano,
e viceversa. Il nostro rapporto verso Dio non è romantico o erotico, ma di fede
e «in spirito e verità» (Gv 4,23s).
3. {Gianni
Siena}
▲
■ 1.
Alla nuova nascita il credente sa che lungo il
cammino, mentre segue Cristo, può ancora peccare e cadere in modo grave...
purtroppo, succede e gli esempi biblici non mancano. Quando uno pecca lo Spirito
Santo è contristato e, per disciplinare il reo, si ritira «temporaneamente»,
giusto per farlo riflettere e ravvedersi. Per quanto deplorevoli, questi casi
richiedono da parte del peccatore ravvedimento e riconsacrazione.
«Con santo ardor io vengo a
Te o sommo Iddio, nel nome santo di Gesù Cristo il Signor, per donare in
quest’ora soltanto a Te tutto quanto fa parte di me...». È un inno
penitenziale come il Salmo 51; dal duplice atroce gesto di Davide si registra la
miseria di chi si lascia andare... occorre poco per scivolare nel peccato.
Non c’è un «errore» di dottrina nel cantico citato, è sufficiente chiedersi
«chi» l’ha scritto e si spiega la situazione dell’autore. Ispirazione divina?
No, essa ha varie gradazioni, non è «plenaria e verbale»: la Scrittura e i Salmi
sono, dunque, altra cosa!
Il cantico «Il
tempio di Dio», riflette un peccatore che si sta arrendendo al Signore... o
un credente che si riconsacra dopo aver sbagliato o trascurato la sua posizione.
Uno nato di nuovo
non «dovrebbe» cantare cantici di ravvedimento... ma i credenti non
sono perfetti e, talvolta, hanno bisogno di pentirsi e, avendo di
nuovo peccato, riconsacrarsi. La vita cristiana non è apoteosi di perfezione ma
un cammino cominciato con la nascita dall’alto. Che non evita cadute, non rende
«perfetti» al’istante... a causa della natura umana.
■ 2.
Conosco i «furori» dottrinali dei revisori d’inni e
non mi piacciono i «mutilatori» dei cantici. Un cantico ch’è stato storpiato per
renderlo «dottrinale» (?) è «Su quel colle fatal». A suo tempo, un
marinaio inglese, causa il naufragio della sua nave, rischiava l’annegamento nel
mare. Vide una croce piantata sulla riva cinese (Macao) e capì che la terra era
vicina. Si salvò e in una chiesa cristiana s’arrese al Signore, convertendosi.
Evangelizzato in patria, non si decideva a ravvedersi: il ricordo
dell’esperienza terribile di quella notte lo scosse; la crocifissione e la croce
vista si fusero in una visione che gli dettò il cantico.
Quando nel 1975 fui appena
salvato, «Su quel colle fatal» era uno dei miei pezzi preferiti e mi commuoveva:
la grazia di Cristo che m’aveva perdonato e dato vita eterna trovava espressione
nelle parole del cantico. Non conosco la versione inglese ma in italiano l’avrei
cantato notte e giorno, eccone qualche brandello: «Su quel colle fatal io rimiro
per fe’ quella croce che parla d’amor, su quel legno crudel fu immolata per me
quell’offerta che lava il mio cuor... si fa buio nel ciel... e tutto nell’ombra
scompar, ma dirada quel vel un chiaror celestial è la croce che brilla e
appar». La stessa cosa si può dire dove la rozza croce ancora «sanguina».
Non una deriva misticista, la fede «attualizza», contemplando, la croce con Gesù
morente; fatto già avvenuto e se ne nutre: cibo spirituale.
Questo cantico l’abbiamo cantato con tanta gioia... un
giorno qualcuno vi vide il pericolo di «misticismo». La «croce» poteva essere
come il simulacro cattolico e lo si «corresse»: «...È Gesù che brilla e
appar». Non ho corso mai questo «rischio», ho sempre visto sulla «croce»
appeso l’Uomo morto per i miei peccati. Il revisore è, semmai, a rischio di
«misticismo»... dunque, se non si abusa non è sbagliato.
■ 3.
Un cantico decapitato cominciava così: «Mano nella mano con Lui cammino»;
era espressione di un’anima che, per la prima volta, si sentiva guidata e
accompagnata da Cristo. Gesù è Salvatore e Signore ma, c’è anche scritto che in
futuro, il Messia sarà «padre» per i cittadini di Gerusalemme. La citazione è
forzata ma le persone hanno carenze affettive, a causa del loro vissuto.
Lasciamo ch’esprimano la soddisfazione del bisogno affettivo con parole simili!
Se sono «salvate», scopriranno presto che Dio è molto di più di un «padre»!
■ 4.
Gesù non ha bisogno di «salire» e «sedersi» alla destra del Padre; non
serve più... se ne gioisce. Egli ha promesso di stare con due o tre radunati nel
suo nome e gli vogliono tributare l’affetto e l’adorazione dovuti. Il cantico
dice: «Gesù t’innalziamo proclamandoti Re; tu sei qui proprio in mezzo a
noi». È, dunque, «adorazione», sottomissione ed esaltazione del Cristo
presente tra i suoi fratelli riuniti nel suo nome (= T’innalziamo...
sali
in alto: Siedi sul trono della mia vita!).
■ 5.
Invocare lo Spirito Santo? Non c’è evidenza chiara ma, essendo
Egli Dio, non esiste un «divieto» scritturale. Non l’ho mai fatto, ma non mi
«scandalizza» se ne odo le espressioni: «meglio» invocare Lui o «Maria»?
■ 6.
Si sia cauti nel recensire le composizioni innodiche; occorre stroncare
cosa non corrisponde al «modello delle sane Parole». Gli inni devono trasmettere
la verità al cuore e alla mente: non invidio chi deve fare questo delicato
«compito». Ma la «censura» esagera molto spesso con il «dottrinalizzare».
Si scarta perché «non contiene» verità bibliche esplicite. {13-07-2010}
4. {Nicola
Martella}
▲
Ho ricevuto un
lunghissimo articolo di Gianni Siena, che qui ho ridotto alle cose compatibili
col tema. Nel leggerlo, ho notato diverse cose che mi hanno meravigliato:
ho visto poca serenità, dato dal distacco dall’oggetto, e molta animosità,
tipica di chi fa rigurgitare cose da tempo tenute tappate, trovatane qui
l’occasione. In effetti, Gianni aveva scritto tale articolo dapprima in risposta
a un lettore, che aveva fatto un’osservazione su un inno da non cantare. Ho
numerato le singole parti per rispondervi. Ho eliminato le parti
problematiche che richiamano la «visualizzazione» buddista ed orientale e
cose simili, che qui allungano solo la zuppa, ma che non c’entrano nulla e
farebbero soltanto deviare la discussione su altro. Ho anche tralasciato tutta
la diatriba che il lettore fa fra chiese intellettuali ed emozionali,
come pure l’altra fra dottrina ed esperienza, visto che tutto ciò non
rientra in questo tema. Mettendo così troppa carne a cuocere, si rischia sempre
di istigare a lasciare la pietanza (il tema) e a concentrarsi, per reazione, sul
contorno introdotto dal lettore. Mi dispiace, ma devo essere rigoroso per
salvare la sostanza; rimandiamo ciò a un’altra discussione. E separare la
paglia dal grano mi è costato tanto, tanto lavoro.
■ 1. Il primo inno («Il tempio di Dio voglio essere io») non ha
nessun paragone col Salmi 51, poiché tratta la situazione tipica di chi si
converte per la prima volta, non è ancora ravveduto né ancora «tempio di Dio».
Non aggiungo altro, ma rimando nell’articolo
al punto 2.3.
■ 2. È interessante la storia che ha dato origine all’inno
«Su quel colle fatal», come pure l’affetto che lega questo lettore a tale
inno. Ora io non so quale versione Gianni abbia cantato, ma la versione usuale
ha nel ritornello «Rozza croce che sanguina ancor»;
ciò è storicamente e teologicamente uno sproposito, visto che nella storia c’è
un prima e un poi. Paolo affermò giustamente: «Se anche abbiamo conosciuto
Cristo secondo la carne, ora però non lo
conosciamo più così» (2 Cor 5,16). Poi aggiunge subito: «Perciò,
se qualcuno è in Cristo, egli è una nuova creazione; il vecchio è passato, ecco
è diventato nuovo» (v. 17). Rimando per il resto nell’articolo
al punto 2.4.
■ 3. Il canto «Mano nella mano con Lui
cammino» è ancora cantato da noi. Il contenuto è ideale e chi parla esprime
la sua sequela di discepolo e interroga l’altro: «E tu cosa fai?». È quindi un
canto evangelistico.
■ 4. Sul canto «Gesù t’innalziamo» le mie perplessità rimangono. Gesù è
presente fra i credenti per mezzo dello Spirito Santo; ma fisicamente è alla
destra dell’Onnipotente. Stefano disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il
Figlio dell’uomo in piè alla destra di Dio» (At 7,59); si veda qui
l’Apocalisse. Gesù è già sul trono e non deve salire più in alto, ma «lo
Spirito e la sposa dicono: “Vieni”. E chi ode dica: “Vieni” (…) Vieni, Signor
Gesù!» (Ap 22,17.20). Rimando per il resto
nell’articolo
al punto 2.1.
■ 5. Riguardo questione sullo Spirito Santo, il lettore è proprio calato a un
livello indicibile, che da lui non mi aspettavo. Non si può banalizzare così
tale questione. Rimando nell’articolo
al punto 1.
■ 6.
Certo, ci vuole prudenza nell’analizzare i testi dei canti. Tutto ciò
sarebbe più semplice, se chi traduce testi di canti da un’altra lingua,
ne fa subito una revisione conforme alla Scrittura, visto che deve poi anche
metterli in rima. Se invece i testi sono nostrani, chi scrive d’impulso,
fa bene poi a chiedere consiglio a chi è maturo nella fede e s’intende di sacra
Scrittura, oltre che di canti.
Un buon inno è come il
mosto: dapprima fermenta (ispirazione), poi decanta (maturazione). È meglio
farli «decantare» entrambi bene all’inizio, per avere poi un prodotto di buono
«spirito»…
5. {Jonathan De
Felice}
▲
Pace, fratello. Ho
letto per intero il tuo articolo. Devo dire che sei andato a pescare delle
sottigliezze, che non a tutti potrebbero balzare all’occhio. Sono
pentecostale, ma non frequento una comunità ADI, quindi siamo più
soggetti a importare canti da più fonti, forse perché vagliamo meno o non
vagliamo affatto quello, che ci viene propinato. Ti sei limitato a dei canti
che, bene o male, sono accettabili, salvo alcune correzione, ma c’è certa
spazzatura che veramente non dovrebbe essere minimamente accennata nelle
chiese.
■ Per quello che hai scritto, sono d’accordo sul canto, che dice «Sali in
alto...». Cantiamo anche noi questa versione (sono da poco in questa
comunità per via di un trasloco), e sinceramente non ha alcun senso. Io ne
conosco un’altra versione che recita: «Vieni e regna, Signore, su noi».
■ Per il canto «Il tempio di Dio», comprendo che esso letteralmente non
ha senso. Tuttavia quello che ho sempre inteso io, non era il fatto di voler
essere un tempio per lo Spirito Santo, perché già lo sono per opera di Cristo;
ponevo invece sempre il mio cuore sul senso di santità, quella santità che è
richiesta affinché Dio abiti pienamente questo tempio, perché Dio è un Dio santo
e odia l’iniquità. È vero, la fine del ritornello è magari «negativa», ma, se
non
moriamo al mondo che tenta di attirarci a sé con la sua concupiscenza, io so
che questo prima o poi mi porterà lontano dal Signore; se quella radice piccola
d’iniquità nel mio cuore non viene estirpata, un domani porterà frutto e saranno
dolori. Rivedo anche grandi predicatori nel passato (soprattutto recente),
uomini usati da Dio, successivamente scaduti nell’adulterio, perché forse non
avevano mai arreso quel loro problema a Dio.
■ «Rozza croce» è stato tradotto male; conoscendo la versione in inglese,
posso dirlo. Anche se, pensandoci bene, quel colle era fatale. Era stato
«destinato» o, meglio, predestinato a ospitare la morte del Signore. Non parlo
del fatto come lo intendevano i Romani (da cui abbiamo preso la parola), ma di
quel disegno divino che sicuramente aveva destinato quel luogo come terra di
morte per Gesù. Quindi, il termine fatale non è completamente errato. Tuttavia,
è un pensiero che butto lì e va preso per quello che è. Pace del Signore!
{13-07-2010}
6. {Nicola
Martella}
▲
Il discernimento
(o la sua mancanza) non hanno denominazione, ma dipende dalla vicinanza (o
distanza) dalla sacra Scrittura. I tre inni da me analizzati e ricordati dal
lettore, sono tutti e tre belli. Il problema sta nei dettagli.
■ Che di quell’inno, che recita: «Sali in alto e regna su noi», esista
un’altra versione, che afferma: «Vieni e regna, Signore, su noi», mostra
che anche altri credenti si sono posto il problema dottrinale di tale
affermazione.
■ Per il canto «Il tempio di Dio», possiamo certo trovare le nostre
interpretazioni giustificatorie. Fatto sta è che l’orante ha il desiderio di
diventarlo ancora, non quello di vivere da tempio di Dio. È un bell’inno per chi
deve ancora convertirsi.
■ Quanto a «Su quel colle fatal» il problema non è il «colle fatale»
nel senso di fatidico e inesorabile, ma il fatto che s’affermi
anacronisticamente che la «rozza croce» «sanguina ancor». Difficile a
crederlo. Le motivazioni le ho già date nell’articolo e anche negli altri
interventi sopra.
7. {Salvatore
Paone}
▲
Un inno da
cantare è il seguente:
Voi tutti gli abitanti della terra giubilate nel Signore, giubilate nel Signore.
Voi che amate il Signore, odiate il male, camminate nel bene e
nella verità, nella verità Dio vi amerà.
Coro: La luce risplende sul giusto, la pace su quelli che son puri di cuore, la
gioia è nel Signore, la gioia è nel Signore.
Venite nelle sue porte con ringraziamento e con
lode, lodatelo e benedite il nome del Signor...
Voi tutti gli abitanti della terra giubilate nel
Signor... {15-07-2010}
▬ Osservazioni
(Nicola Martella): Certo, di inni da cantare ce ne sono tanti. Non vorremmo però
adesso elencarli tutti qui con testo e note. Qui vorremmo ragionare su questo
tema. Ammetto che
l'appello morale a camminare nella luce è molto significativo in questo
inno. Parimenti è suggestiva e vera l'accentuazione del fatto che Dio ama
nella verità. Vorremmo vedere molti inni con uno «spessore» dottrinale e
morale pari a questo, e non soltanto rime scontate tipo amore, cuore,
dolore, Signore...; per non parlare di testi banali ed equivoci, tipici
di una spiritualità umanistica cristianizzata, del tipo (invento): «L'acqua è
chiara, il cielo è blu; Dio ti ama, amati anche tu».
8. {Antonio
Romanelli}
▲
Caro fratello, ti
saluto con la pace del Signore. Penso si possa anche cantare un inno con il
testo revisionato. Voglio solo aggiornarti che uno dei canti «non scritturali»,
«Rozza croce», è stato revisionato («Inni di lode» n. 331), ed allego il
testo.
1. Su quel colle
fatal / Io rimiro per fe’ / Quella croce che parla d’amor. / Su quel legno
crudel, / Fu immolata per me / Quell’offerta / Che lava il mio cuor.
Coro: Ora
guardo al mio caro Gesù / Sulla croce il suo sangue versò. / Al mio posto
trafitto Egli fu / E la gloria del ciel mi donò.
2. Quella croce è
per me, / Un ricordo d’amor / Una voce di sangue e dolor; / Essa dice che un dì
/ Fu immolato e morì / Gesù Cristo, / Per me peccator.
Coro: Ora
guardo al mio caro Gesù…
3. Si fa buio nel
ciel, / Su quel monte fatal / Ogni cosa nell’ombra scompar; / Ma dirada quel vel
/ Un chiaror celestial: / È Gesù / Vittorioso che appar.
Coro: Ora
guardo al mio caro Gesù…
Dio ci benedica al
fine di crescere nella conoscenza del nostro Signore e possiamo avere lo stesso
scopo di predicare il Vangelo per la salvezza dei perduti. {15-07-2010}
▬ Osservazioni
(Nicola Martella): Il lettore ha ragione, si può cantare «Rozza
croce»
con un testo revisionato. Questo mostra come sia possibile cantare una musica
così suggestiva con un testo dottrinalmente corretto. E ciò vale per ogni canto
o inno, se il revisore è abile e ha conoscenza biblica e discernimento
dottrinale. Così si può trasmettere l’Evangelo in verità e amore! Spero che
buoni revisori faranno lo stesso con altri canti, che hanno ancora dei «nei»
deturpanti. Grazie ad Antonio Romanelli per la segnalazione.
9. {Antonio
Capasso}
▲
«La Riforma fu
una rivoluzione in canto. In Germania con le prediche bibliche degli inni di
Lutero, nei paesi della Riforma di Calvino con il canto dei salmi ugonotti.
Senza i suoi inni Lutero sarebbe lo stesso Lutero della storia, ma la Riforma,
probabilmente, non sarebbe divenuto il movimento popolare elettrizzante nella
vastità con cui si è verificato. Disse il gesuita
Concelio (1620): “I cantici di Lutero hanno ucciso più anime che non tutti i
suoi scritti e discorsi”» [M. Furst-Wulle, Il canto cristiano nella storia
della musica occidentale (Claudiana)]. L’autrice definisce gli inni di
Lutero «prediche bibliche»; è di questo genere d’inni che avremmo
bisogno.
Purtroppo non è cosi
negli ultimi tempi. Infatti l’autrice di questo libro afferma che, nel corso
degli anni, nel canto «si assiste a un lento, sistematico spostamento che
concentra gli interessi sui
sentimenti del credente, sui travagli patetici della sua anima
religiosa a contatto con vicissitudini della vita, sulle sue emozioni,
sulle sue debolezze, sulle sue esperienze. Non più Dio, la
sua Parola, il suo onore e la sua gloria è l’oggetto della confessione della
fede espressa nel canto, ma l’uomo, con le oscillazioni sublimanti o
morbosamente deprimenti della sua sensibilità. L’uomo diventa anche nell’ambito
ecclesiastico, la misura di tutte le cose e fa di se stesso l’oggetto del
proprio lamento o della propria lode».
Karl Bart aggiunge: «La storia del canto
ecclesiastico ci mostra la secolarizzazione del protestantesimo». Questo
genere d’inni, di cui parla la Furst-Wulle non mi edificano, preferisco
ascoltare le canzoni mondane (scherzo). Quando nell’inno c’è qualche errore
dottrinale o grammaticale, lo si può correggere; ma quando i cantici sono
privi di contenuti diventano solo canzonette, che non edificano. Meglio
scartarli. {15-07-2010; il grassetto nelle citazioni è redazionale}
10. {Nicola
Martella}
▲
Con queste citazioni ben ricercate, Antonio mi ha
letto proprio nel cuore. Invece di dire ovvietà e, a volte, «aria fritta»
cristianizzata, presentare una ricerca seria è sempre la cosa migliore. Anche
nei canti
si è passati da «solo Cristo» (compresa la sua opera) e dalla «sola Scrittura»
(quale unica livella) — quindi dal cristocentrismo e bibliocentrismo —
all'antropocentrismo e al sentimentalismo, se non addirittura al narcisismo
religioso. L'uomo vuole ora lodare e adorare Dio secondo canoni umanistici,
con i suoi blabla e le sue performance, non secondo quanto prescrive un Dio
santo e giusto; e pretende che Dio possa considerarsi soddisfatto... anche
laddove ci sono «contaminazioni» con fuoco estraneo.
Abbiamo visto che certe canzoni secolari vengono semplicemente adattate
al cristianesimo. In certi canti cristiani si è incerti se l'autore sta
descrivendo il rapporto passionale con la sua donna o la comunione con
Dio.
Fenomenologicamente certi cosiddetti concerti cristiani non si
distinguono molto da quelli degli interpreti secolari. In essi il popolo di Dio
scandisce sillabe, scuote mani, si emoziona, partecipa a una dinamica di gruppo
(ben descritta dagli psicologi), s'inebria di ritmi, danza e rasenta l'estasi
psichica... Pensa che tutto ciò sia stato prodotto dallo Spirito Santo e non
dalla normale chimica celebrale. Intanto, poppando continuamente tale latte,
invece di attingere a piene mani dalla sacra Scrittura, impoverisce quanto a
conoscenza biblica.
Qualcuno ha paventato che oramai al centro di tali fenomeni non ci sia neppure
Dio più come oggetto di venerazione, ma solo un moderno vitello d'oro...
Ho dovuto pensare al rimprovero che Dio faceva a Israele prima della
deportazione: «Il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato me, la
sorgente d’acqua viva, e s’è scavato delle cisterne, delle cisterne
screpolate, che non tengono l’acqua» (Gr 2,13).
11. {Gianni
Siena}
▲
Che Dio sia
l’autore della sapienza, anche «pratica», lo si vede già in antico: Ooliab e
Bezaleel erano artigiani, capaci di ogni lavoro artistico, in grado di attuare
ogni descrizione di Mosè, relativamente alle istruzioni divine ricevute su
Horeb, in merito alla costruzione del santuario. Che Dio sia l’ispiratore di
cantici
particolarmente espressivi, emotivamente edificanti e coinvolgenti,
dottrinalmente efficaci nel trasmettere verità basilari del cristianesimo, lo si
capisce dalla lettura dei Salmi.
Egli lo è anche di cantici come «Forte Rocca è il nostro Dio», vista la
loro buona riuscita. Chi potrebbe dubitare dell’ispirazione di un simile
cantico? Sappiamo anche le circostanze, che permisero a Dio di dare a Lutero le
parole che lo compongono. Il cuore del credente può fare proprie queste parole,
nei momenti difficili della vita cristiana, ricordandosi che ha una Rocca nella
quale rifugiarsi. Lutero non ha mai detto: «Me l’ha dettato lo Spirito
Santo....». Dio non ha bisogno delle «credenziali» di nessuna «colonna» della
chiesa, di Lutero come di altri. […] {16-07-2010}
▬ Osservazioni (Nicola Martella): Quanto qui riportato, è la prima parte di un contributo di
Gianni Siena, la seconda parte si trova
qui (13°).
Che Dio abbia dato perizia a tali artisti, è fuori dubbio. Ma non tutto
ciò che essi facevano, era ispirato. Non so chi, ma qualcuno deve aver pure
fatto il vitello d’oro. Sembra che Aaronne fosse solo il supervisore dell’opera,
mentre come autore (forse mandante) è indicato il popolo (Es 32,35; cfr. vv.
1-4.23s), certo servendosi di artisti (anche del re si diceva: «costruì la città
di…»; 2 Re 11,27; 22,39; 2 Cr 8,4ss.11).
Che bisogna fare una differenza fra ispirazione biblica e quella
innologica, è mostrato proprio dal bello e suggestivo inno «Forte Rocca è il
nostro Dio». La prima serve a giudicare la seconda (1 Cor 14,29ss). Canto
volentieri tutto l’inno, tranne la fine della terza strofa in italiano:
«Se migliaia di demoni - ne volessero inghiottire, / le malefiche legioni - non
vedranci impallidire; / con tutti i lor terror - si mostrin pure, il cuor / no,
non ci trema. - A un detto dell’Eterno / fia depresso il re d’inferno»
(adattamento di G.B. Niccolini; Inni e cantici cristiani, ed.UCEB 1972).
L’ultimo verso è il
neo teologico di questo bell’inno in italiano, dettato dalla dogmatica
allora corrente. Infatti, il diavolo non è il «re d’inferno», ma lì verrà
tormentato giorno e notte, nei secoli dei secoli, insieme alla bestia, al falso
profeta e a tutti coloro che lo seguono (Ap 20,10).
nbsp; In tedesco, il testo recita qui: «E se il mondo fosse pieno di diavoli /
e volesse ingoiarci tutti, / allora non temiamo più di tanto, / ce al potremo
certamente fare. / Il principe di questo mondo / comunque si mostri arrabbiato,
/ non ci fa nulla. / È così, è giudicato. / Una parolina lo può abbattere»
(traduzione mia; testi in italiano e tedesco
qui). Non c'è quindi traccia di un presunto «re d’inferno»!
Come vediamo, facciamo bene a non dare all’innologia
una caratteristica di ispirazione assoluta, poiché l’ispirazione innologica si
basa sulla riflessione umana sulla sacra Scrittura, sulla fede e sulla vita.
Come già ricordato, l’innologia è paragonabile alla «profezia» (= proclamazione
spirata) e, come tale, non ha direttamente Dio come autore e dev’essere
provata dalla chiesa. In questo caso, se l’originale viene dichiarato
scritturale (cfr. Sal 46), a ciò si aggiunga che bisogna anche mettere alla
prova la traduzione.
12. {Pietro
Calenzo}
▲
Sarebbe cosa utile
e biblicamente corretta che allorquando uno o più credenti sentano
l’ispirazione di comporre inni di lode al Signore, facciano controllare
il contenuto dei loro testi canori a fratelli teologicamente e
scritturalmente preparati. Non e raro il caso, infatti, che talune melodie di
lode contengano delle inesattezze scritturali, e
in alcuni casi propaghino celatamente dottrine
in palese contrasto con alcune verità della Parola di Dio.
L’importanza della
innologia è particolarmente rilevante, difatti Martin Lutero, essendo
egli stesso un compositore, affermò che chi canta prega due volte; non
solo, ma ci mise anche in allerta verso quei credenti che, presi dai loro stati
di estasi o ascesi spirituale, ci trascinano verso un «non lecito godimento
di Dio». Benedizioni nel Signore Gesù Cristo. {18-07-2010}
►
L’ispirazione innologica {Nicola Martella} (T)
►
Musica equivoca fra sacro e profano {Nicola Martella} (D)
►
Testo e musica dello Spirito Santo {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Inni_non-cantare_Mds.htm
13-07-2010; Aggiornamento: 18-07-2010 |