Eravamo partiti dall'articolo «Valore
e autostima di un disoccupato». Poi sono arrivate lettere di analisi della situazione del disoccupato,
ma anche di incoraggiamento e di consigli. Tali parole faranno certamente bene a chi, trovandosi in tale
situazione, le leggerà. [►
Dramma di essere disoccupato] Mi ha fatto piacere
vedere la lettera di un piccolo imprenditore che, rispondendo alla questione
della disoccupazione, di fatto dà la testimonianza di un imprenditore che vuol
essere un fedele seguace del Signore Gesù Cristo (si veda il primo contributo).
Ho conosciuto piccoli imprenditori che, per essere
fedeli alla Parola di Dio, hanno passato difficili momenti esistenziali. Alcuni,
non riuscendo a coniugare l’ubbidienza alla Parola con le pressanti richieste
del fisco e delle banche e con l’etica ricorrente (fatturo in nero perché la
pressione fiscale è troppa — le tasse sono alte a causa del sommerso), hanno
deciso di chiudere la ditta e di trovarsi un lavoro sotto terzi. Altri ancora
hanno cercato di trovare una linea di condotta etica conforme alla Parola di
Dio, di discuterla con altri imprenditori cristiani, per venire a capo di una
matassa che è alquanto ingarbugliata qui in Italia.
L’associazione «APICE»
si propone di aiutare i cristiani che si trovano nel mondo del lavoro come
imprenditori a vario titolo; sono utili le loro conferenze, le loro
pubblicazioni e la loro «Manna del lunedì».
Apriamo questa nuova discussione per dare spazio ai
lettori imprenditori che come cristiani fedeli alla Scrittura vogliono coniugare
insieme rigore morale e impresa.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi
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I contributi sul
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sottostante
1.
{Guerino De Masi} ▲
Mi sono interessato alla questione «Valore
e autostima di un disoccupato». Ho letto perciò i vari
argomenti, con la risposta esauriente di Nicola e i vari interventi e
testimonianza.
Quello che posso condividere, pur non essendo mai stato
«disoccupato» (grazie Signore), è la preoccupazione e l’ansia che si ha quando
manca il lavoro! Fino all’età di quarant’anni ho lavorato alle dipendenze. Per
grazia del Signore, ho sempre fatto lavori che mi hanno soddisfatto e nei quali
mi sentivo remunerato adeguatamente, ma soprattutto lavori che mi piacevano.
Ogni nuovo posto d’occupazione era motivo di miglioramento sia finanziario che
di qualità del lavoro. Nel 1990 ho iniziato un’attività in proprio e le
preoccupazioni sono cominciate dal momento che ho avuto dei dipendenti, ai quali
dovevo assicurare lavoro e stipendio. Anche in questi ultimi periodi, vuoi per
un calo di tipo «fisiologico stagionale», vuoi per i sempre più pesanti impegni
fiscali, la carenza di liquidità è comunque motivo di tensione e preoccupazione. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», è una
preghiera che sembrava superata per me che per tanti anni ho lavorato in aziende
che mi davano sì lavoro, ma che a fine mese il anche mio stipendio era
garantito. Non mi ponevo dunque il problema del pane quotidiano. Evidentemente
sbagliavo e di grosso anche. Ma l’ho capito solo in questi ultimi anni, quando mi
sono trovato a gridare al Signore per poter assicurare lo stipendio ai miei
dipendenti (pochi anni fa erano sette le famiglie che dipendevano dall’andamento
della mia piccola azienda).
Mi svegliavo di notte con l’angoscia di come fare ad
affrontare i miei impegni malgrado che il lavoro non mancasse. Quante volte mi
sono riletto le parole dell’apostolo Paolo: «Il Signore è vicino, non siate
con ansietà solleciti di cosa alcuna...». E ogni volta riscoprivo la pace
del Signore che sorpassa ogni intelligenza!
Ho maturato la convinzione che se non è il Signore
che edifica... la nostra, la mia, fatica è vana. «Signore, dammi il pane quotidiano» vuol dire: «Signore
dammi il lavoro, la capacità di farlo, la salute e la forza fisica per
svolgerlo, e poi veglia Tu perché il cliente paghi regolarmente per guadagnare
quei soldi necessari per i dipendenti, i fornitori, il fisco e per mia moglie e
me».
Ogni sera, e specialmente a ogni scadenza mensile, ho
motivo di ringraziare Dio per aver provveduto perché l’azienda funzioni,
onorando ogni impegno finanziario.
Non ho mai pensato all’arricchirmi. Credo che quei
tempi in cui si mettevano tanti soldi da parte siano finiti. È finito anche, o
non è mai esistito, il tempo del guadagno subito e senza impegno. Gli
specchietti per allodole del business facile e immediato non mi hanno mai
convinto. Il lavoro, e il lavoro onesto che non scende a compromessi
discutibili, non ti permette oggi d’arricchirti.
Sto forse uscendo dal seminato...!? Le proposte
all’interlocutore laureato e disoccupato d’espatriare mi sembrano proposte
illusorie e ingannevoli.
Mi piacerebbe sapere qual è il tasso di disoccupazione
in Canada e negli USA oggi. Credo che alla base della riflessione sta quanto
Nicola ha scritto nella sua prima risposta, e ciò è valido in qualsiasi paese.
Le indicazioni a non limitarsi a cercare un lavoro da laureato, mi pare siano
oggettivamente da prendere in seria considerazione. Conosco diversi
extra-comunitari laureati che lavorano in cantieri edili, nelle portinerie, o al
volante d’un furgoncino.
Perché, un italiano non lo potrebbe fare altrettanto?
Credo che sia una mentalità da superare. Conosco un «geometra» del nostro sud,
che pensava di stare a guardare i muratori nei cantieri lombardi dove, da
sempre, i geometri bergamaschi e bresciani sono invece in prima persona
impegnati al lavoro con cazzuola in mano.
Il lavoro è certamente un mezzo per la propria
realizzazione ma non dimentichiamo che se il Signore non è presente nella nostra
vita, questa realizzazione verrà sempre frustrata per mancanza, oggi del lavoro,
domani dal posto giusto e poi... e poi...
La flessibilità di cui si parla tanto, dovrebbe essere
innanzitutto nella nostra disponibilità a fare un qualsiasi altro lavoro onesto
che ci consente d’onorare i nostri impegni con la famiglia e la società in cui
viviamo. {03-03-2008}
2.
{Daniele Salini} ▲
Nota redazionale: Daniele Salini, oltre a essere un imprenditore di Piacenza
(Sada),
è il presidente di
Apice (Associazione Professionisti Imprenditori Cristiani Evangelici). Ora diamo voce a lui.
Dello stesso autore si veda anche l'articolo «Cosa
può insegnare perdere il lavoro a 40 anni?».
Carissimo Nicola, il problema che sollevi è il punto
cruciale su cui «Apice» sta lavorando dalla sua nascita nel 2003 scoprendo uno
scenario che s’arricchisce ogni giorno ma che diventa anche una sfida sempre più
complessa da definire e affrontare.
Noi d’Apice abbiamo compreso
da subito che la sfida che ci veniva dal mondo degli affari poteva essere
affrontata solo nella completezza dei tre
mandati biblici che Dio conferisce all’uomo:
■ 1) culturale (Genesi 2,19-20)
■ 2) relazionale (Genesi 1,26-28)
■ 3) di discepolato (Matteo 28,18-20).
Mi piacerebbe approfondire quanto appena affermato ma
ripeterei solo cose che sono già presenti sul sito d’Apice citato.
Una cosa mi sento
d’affermare con forza perché sperimentata più volte e da tanto tempo: ogni
scorciatoia che privilegiasse uno solo dei mandati pone le basi per risposte
di tipo immediato ma semplicistiche e quindi con un potenziale d’insuccesso nel
medio-lungo periodo prevedibile e scontato.
Pertanto ogni prospettiva
che si discute e s’analizza deve tenere conto dei tre aspetti e bisogna
prendersi il tempo necessario per una loro elaborazione che sia il più completa
possibile.
Questo è anche il motivo per
cui sembra che alle volte noi d’Apice stiamo andando lenti nelle proposte che ci
vengono sollecitate ma dobbiamo onestamente ammettere che spesso non abbiamo
soluzioni a breve per i quesiti che ci vengono posti, o almeno non vogliamo
perseguire strade facili ma dall’esito incerto e insoddisfacente.
Se ad esempio il problema è
economico, bisogna fare lo sforzo d’elaborare un modello economico che
sia culturale, relazionale e di discepolato. Occorre vedere in modo integrato il
lato intellettuale, le questioni degli stili di vita e il lato spirituale.
Lo stesso si deve dire se il
problema è di tipo etico o altro.
L’esperienza di questi anni
mi porta a dire che
l’approccio evangelico tipico a queste tematiche è sempre limitato a un
solo mandato: quello evangelistico con forti connotati spirituali.
Manca sempre la riflessione
culturale (a chi non piace il termine lo sostituisca con i più biblici
conoscenza oppure saggezza) e quasi sempre la definizione d’uno stile di vita
corrispondente che chiarisca alla luce della Scrittura valori, principi e azioni
conseguenti.
Bisogna anche riconoscere,
con molta umiltà, che questi sono problemi che richiedono soluzioni non solo di
tipo personale e intimistico ma coinvolgono la vita in tutti i suoi aspetti
più complessi per cui, forse, non sempre il mondo evangelico ha tutta la
preparazione necessaria.
Un esempio concreto di
corretto approccio penso si possa trovare nel libro «Amministrare le
finanze con buon senso e secondo principi biblici», recentemente pubblicato da
Casa della Bibbia e Apice; ma qui il discorso si fa lungo e mi fa ritornare al
principio, quando dicevo del percorso che sta sviluppando Apice a cui per forza
di cose devo rimandare. {03-03-2008}
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Imprenditore_cristiano_Sh.htm
03-03-2008: Aggiornamento:
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