Ci siamo
confrontati nuovamente questo tema nell’articolo «Ministeri
delle donne e conduzione della chiesa». Già in passato abbiamo
scritto in proposito nell’articolo «Il
pastorato femminile?», nei temi a esso connessi (1;
2) e nelle tesi a
confronto (1;
2). Qui di seguito diamo
nuovamente spazio ai lettori di discutere la questione della conduzione
femminile, che sta dilagando nelle chiese sempre più. Viste le richieste di
intervenire nuovamente su questo tema, diamo qui altro spazio per discuterne.
Prima di intervenire, invitiamo però i lettori a leggersi gli altri articolo e
temi di discussione precedenti; così eviteremo inutili ripetizioni e doppioni.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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tema
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sottostante
1.
{Gianni Siena} ▲
Donne nei ministeri? Bisogna ragionare biblicamente
Personalmente non
sarei contrario, raccolgo voci positive su predicatrici e pastore(sse) da un
amico valdese. Ricordo anche, in una chiesa Elim, dove ero ospite d’una famiglia
di nostri amici cristiani, l’ascolto d’una sorella, realmente usata dal
Signore... fece realmente un buon lavoro, in una veste, però, che la Parola
non contempla per le donne.
Sono uno che non si «scandalizza» facilmente; siamo in un’epoca nella quale,
però, le emule di Priscilla — che col marito (Aquila) insegnarono più
approfonditamente il messaggio cristiano a un Apollo — con la voglia di rivalsa
della donna verso il maschio (femminismo) possono solo fare danni nella chiesa.
Io sarei anche d’accordo d’affidare incarichi alle sorelle, che ne presentano le
qualità, ma «insieme e sotto il segno d’autorità» da cui dipendono: per tutelare
la loro dignità, prima personale e poi «ministeriale», da cui deriva il compito
affidato a esse. Si tratta di ragionare, con la Scrittura e l’evidenza da Essa
fornita, su cosa si debba e si possa affidare al «vaso da proteggere»: il
pastorato, l’anzianato?
Abbiamo qualche esempio in casa (Assemblee di Dio), ma sarebbe bene andare a
rivedere l’esempio della sorella Tedesco in Calabria. Saliva sul pulpito
e spesso (!) chiedeva come da rituale: «V’è qualcuno che ha un messaggio da
parte del Signore?». Nessuno o quasi si faceva mai avanti per prendersi le sue
responsabilità. La sorella Tedesco, lungi dal proporsi come certe odierne
«ministre», era sempre composta, vestita in modo degno e con l’immancabile velo
in testa: ricordo le «prediche» d’altre, non il testo e il messaggio
esplicativo; solo le fattezze della malcapitata... le ricordo molto bene! L’uomo
quando guarda una donna, e l’esteriore d’essa cattura la sua attenzione, egli la
vede come un oggetto da possedere. Purtroppo questa dinamica psicologica (che,
se lasciata libera d’agire in contesto diverso, porta anche allo stupro), è a
sfondo sessuale, ed è alla base delle apparenti istruzioni «antifemministe» di
Paolo. Nessuno di noi, in questa nostra presente umanità, è ancora abbastanza
santo da riuscire a vedere solo la sorella che ministra un bene spirituale che
il Signore ha dato a lei... salvo casi molto unici che rari!
La donna vuole
più spazio nella chiesa? Sono d’accordo, ma se questo è giusto (abbiamo
di che «restituire» alla donna), se biblicamente le spetta; in quei casi, in cui
la donna vorrebbe sostituire l’uomo (pari opportunità) nelle responsabilità, si
ragiona che come Hulda o Deborah si ha bisogno di «madri» capaci d’esortare i
Barak della situazione a comportarsi da uomini virili e spirituali. In
questo compito/ministero (= madre ed educatrice) la donna è insostituibile, io
affiderei i neoconvertiti alle cure di sorelle d’una certa maturità e fede
cristiane: lo saprebbero fare meglio di qualche borioso «pastorello», appena
diplomato, che non sa rapportarsi con i credenti.
Rileggendo le qualifiche dei diaconi/diaconesse intravedo una simile premessa;
intendiamoci: la chiesa ha bisogno del contributo femminile, se una
sorella ha qualità d’un certo rilievo si dovrebbe dare a lei la responsabilità
d’un dato compito, Dio non guarda alle nostre stime e discriminazioni sessuali.
Ma dobbiamo anche riconoscere che, come nella famiglia il «padre» lo deve fare
chi genera la prole, nello stesso modo e in chiesa (la Famiglia di Dio),
l’esempio deve essere dato da un uomo maturo (vescovo, pastore, anziano). In
casa mia c’è la «democrazia», nel senso che si discute delle cose riguardanti il
bene comune, ma i ruoli d’ognuno sono ben distinti e, talvolta, è bene ricordare
a ognuno cosa ci s’aspetta da lui/lei: così è nella chiesa. {26 marzo 2009}
2.
{Nicola Martella} ▲
Qui di seguito
aggiungo solo alcune precisazioni e osservazioni in aggiunta a quanto scritto
nel contributo precedente.
Il criterio
che deve ispirare primariamente coloro, che vogliono essere servi della sacra
Scrittura, non sono i propri gusti personali, l’aspetto pragmatico (se una donna
conduttrice sia in grado di fare bene o meno), la propria soglia di tolleranza
(quando cominciamo a scandalizzarci di una cosa), ma ciò che è comandato dalla
Parola. I cristiani biblici sono coloro che non vanno oltre a ciò che è
chiaramente scritto (1 Cor 4,6), ma tagliano rettamente la Parola della
verità, sapendo che solo così non saranno operai confusi e saranno approvati da
Dio (2 Tm 2,15).
Le
convenzioni nascono e si accreditano come tradizioni, nel bene e nel male.
Può finire però che, volenti o nolenti, si metta fuori uso il chiaro
comandamento di Dio mediante le proprie consuetudini (Mt 15,3; Mc 7,8s). Poi,
invece di adattare le proprie usanze alla Scrittura, si sterilizza quest’ultima
con la dialettica e l’allegoria e la si storce a proprio piacimento (2 Pt 3,16).
Priscilla e Aquila insegnarono a tu per tu addirittura a una persona così
preparata come Apollo (At 18,24ss). Sebbene in tale coppia Priscilla fosse la
forza trainante, lei non si sarebbe mai permessa di insegnare pubblicamente,
neppure nella chiesa in casa che ospitavano (cfr. Rm 16,5; 1 Cor 16,19). Questo
è un punto importante. Pubblicamente una donna poteva pregare e «profetare» (1
Cor 11,5; 1 Cor 14,3), ma non insegnare (1 Tm 2,12; cfr. 1 Cor 14,34; Ap 2,20).
Oltre al divieto alla donna di insegnare in pubblica assemblee, le è anche
precluso di
condurre una chiesa, poiché conduzione (autorità) e insegnamento formavano
un tutt’uno (1 Tm 3,2; 2 Tm 2,24).
Non metto in dubbio le buone intenzioni di una donna come la sorella Tedesco;
durante la storia, le donne, volenti o nolenti, hanno preso le redini in mano,
quando
uomini latitanti e dediti ad altro non si sono prese le loro responsabilità.
Tuttavia il contrario di una cosa sbagliata non è per forza una cosa giusta.
Inoltre il narcisismo ha un certo effetto, a lunga scadenza, anche nelle donne
pie, quant’anche siano timorate di Dio. Poi si crea un’abitudine ed essa porta
alla convenzione che una cosa sia legittima perché funziona; si evitano allora
certi brani o li si filtrano a proprio piacimento e, invece di fare esegesi
(spiegazione del testo nel suo contesto), si fa eisegesi (proiezione nel testo
delle proprie idee). In tali casi di uomini latitanti che non si prendono le
loro responsabilità, una donna di Dio farebbe veramente bene a suscitare in tali
maschi il senso del dovere dinanzi a Dio e per il bene della chiesa (si veda
Debora con Barak).
Le
responsabilità pubbliche che ognuno può avere, oltre a corrispondere ai
carismi che si hanno e alle proprie aspirazioni, devono assolutamente
corrispondere alle precise qualifiche richiese (1 Tm 3; Tt 1) e, per questo,
esse squalificano necessariamente chi non ce l’ha, maschio o femmina che sia.
Come allora era squalificato dal ruolo di conduzione (e quindi d’insegnamento
pubblico) quel bravo credente maschio perché non era marito di una sola moglie,
essendo poligamo alla conversione, — così lo era ogni donna per questo suo stato
sociale ed esistenziale intrinseco, che non le permetteva di esercitare pubblica
autorità. Sul piano personale e in ambiti che non prevedono l’espressione
d’autorità nella chiesa, la donna ha molta libertà d’azione e ciò corrisponde
anche alla sua natura di madre, nutrice, curatrice, pedagoga, psicologa e così
via.
3. {Calogero Fanara} ▲
Concordo con
quanto è stato già detto, suo tempo, nell’articolo «Il
pastorato femminile?».
Penso a quella persona anziana, intervistata su
questo argomento nel programma «Protestantesimo» (sono anche del parere che
dovrebbero cambiare nome, visto che più nessuno «protesta» in questa
trasmissione); lei ha dato una risposta così semplice e carica di senso: «Io non
l’ho trovato nella Bibbia». Questo è, secondo me, il punto di partenza basilare
per approfondire il tema e potere farsi un idea corretta.
E poi è anche giusto il commento di chi ha affermato che, pur ammettendo che ci
possano essere eccezioni, ribadisce l’autorevolezza delle Scritture al riguardo,
riaffermando giustamente che il ministero pastorale va affidato soltanto
all’uomo e non alla donna. Non perché lo dice il legalismo o una «tradizione
evangelica maschilista», ma perché Dio lo ha stabilito e voluto così.
Per quanto riguarda il nostro movimento delle «Chiese Cristiane Italiane del
Nord Europa» (CCINE), Dio si è servito di una cara sorella italo-americana,
mettendo nel suo cuore un peso per evangelizzare i coetanei che vivevano nel
Nord d’Europa, subito dopo il «rush» dell’emigrazione italiana all’estero. Per
fede e soltanto per fede, ella lasciò tutto e venne in Belgio negli anni ‘50 (se
ricordo bene). Da lì cominciò a spandere il messaggio dell’Evangelo a tanti
italiani, e poco a poco si formò un gruppo di credenti convertiti a Cristo e
appena usciti dal cattolicesimo romano. Appena l’opera cominciò a svilupparsi,
lei insistette perché fossero stabilite delle chiese. Lei, umilmente, si mise da
parte e lasciò naturalmente il posto a fratelli spinti dallo Spirito Santo e
chiamati a servire il Signore nel ministero pastorale.
Questo è l’esempio concreto di quella che può a volte essere l’eccezione. Però,
col tempo, l’eccezione deve lasciare spazio alla «regola biblica». Lei aveva il
dono di evangelizzare, ossia di parlare di Cristo ai non credenti, come dovremmo
farlo tutti nel quotidiano, sia uomini che donne. Ma non aveva e non ha
mai preteso di avere il ministero pastorale.
Come mai oggi tante donne pretendono di avere il dono di «pastorella»??? {7
aprile 2009}
4. {Gianni Siena} ▲
■
Contributo: Ho letto il tuo commento alla mia lettera sul ministero
femminile, io sono completamente d’accordo su quel che dici ma, a volte, fare i
«severi» si rischia d’essere scambiati per bigotti retrogradi; mostrare
disponibilità a discutere le cose è, invece, un modo per mostrare la realtà e
lasciare all’altro (= all’altra!) l’onere della biblica (!) conclusione.
Giovanni il Battista non mangiava e non beveva (non si godeva la vita)... Gesù
era un uomo sobriamente pragmatico ed era ugualmente «accusato» d’immoralità.
Tra i due esempi relazionali con i peccatori da convertire, io preferisco
l’approccio del Maestro; esso si rivela più efficace e rispettoso delle persone
e del loro volere.
Le donne hanno da incassare parecchi «crediti» a causa
dell’oppressione subita dai maschi, negli ultimi duemila anni. L’aspirazione a
uguagliare l’uomo tocca (anche nel campo religioso) tutti gli aspetti della vita
sociale e comunitaria: è inevitabile che anche l’anzianato e l’episcopato
(pastorato) siano messi tra le questioni da «ridiscutere»... già esistono le
pastoresse. Nessuno può negare, infatti, che questi ministeri siano apprezzati
più per il «potere», che s’immagina connesso, che per le responsabilità
derivanti. Anch’io (non l’ho mai pensata diversamente) sono certo biblicamente
che quei ruoli non spettino a una donna (il caso «sorella Tedesco» non ha avuto
repliche)... come a me non spetterebbe di fare la «mamma» a mio figlio.
La chiesa è una grande famiglia e il ruolo del pastore
con la sua famiglia è importante per l’esempio che può offrire, oltre la
predicazione e l’insegnamento. Succede attualmente che più d’un pastore (non
solo nelle chiese pentecostali) releghi la moglie al semplice ruolo di madre dei
suoi figli e donna di casa, una «desperate mother and housewife». Mentre solo
qualche anno fa le consorti dei ministri erano valide e utilissime
interlocutrici (nel privato della famiglia) per il capofamiglia impegnato nel
ministero cristiano. Il risultato di questa «segregazione» si vede e non è
buono. Il pastore è diventato una sorta di «regolo» che emana autorità e
dignità. Non accetta d’essere controllato dalla comunità e dagli anziani. La
dottrina è una sua personale emanazione (anche s’è biblicamente sana... per ora)
e nessuno (?) ha più titoli per dire alcunché, mentre occorre disfare questo
«ministero» solitario e autocratico.
Prima, non moltissimi anni fa, la moglie e i figli
erano i naturali «contatti» dei credenti con la persona incaricata di questo
delicato compito: più d’una sorella, moglie di pastore, s’occupava della corale
o della riunione femminile o d’altre attività nella chiesa che coinvolgevano (in
opere umanitarie e caritative) molte persone. Molti figli di pastori o anziani
hanno seguito le orme paterne (anche nell’umile esempio del servire) accettando
di sacrificarsi per il gregge di Gesù Cristo. Io conosco un pastore, realmente
consacrato e amato dai fedeli, che quando uno entra nel locale lo vede insieme
alla sua consorte nel disporre i libretti dei cantici nelle panche, poco prima
della riunione di culto. O dedicarsi ad altre attività ordinarie della comunità:
eppure si tratta d’una persona abbastanza nota.
Il cristianesimo si fece apprezzare per questa
«democrazia» egalitaria, in origine, senza sconvolgere l’ordine sociale del
tempo. Lasciando ognuno nella sua posizione di quando fu chiamato alla salvezza.
Insistendo sui ruoli e sulla «separazione» d’essi, senza la gioiosa comunione
collaborativa delle origini, anche il miglior risveglio spirituale è destinato a
esaurirsi. Rimangono solo le strutture organizzative e gerarchiche: come saranno
le chiese (oggi... ) evangeliche pentecostali fra, poniamo, duecento anni?
Se si studia l’involuzione del cattolicesimo si può già
da oggi tracciare il probabile sviluppo (negativo) delle chiese nate dal
risveglio spirituale del 20° secolo. Nel mondo pentecostale e carismatico gli
elementi degenerativi (già preannunciati dagli apostoli) ci sono tutti e sono,
in modo impressionante, identici a quelli che caratterizzarono la chiesa antica
poco dopo la scomparsa degli apostoli. I preti cattolici usano ancora indossare
il tallum (abito talare) con il clergyman (colletto bianco) per
distinguersi dal popolo di Dio: Si tratta di clericalismo bigotto e di casta
(sacerdotalismo). A giudicare da come vestono attualmente i mediorientali, si
può immaginare che i primi predicatori cristiani vestissero in modo simile.
Nell’ambiente evangelico (non solo i pentecostali sono interessati da questo
negativo fenomeno) usiamo il vestito e la cravatta... chi è pronto a scommettere
qualunque cosa che, se il Signore non torna prima, tra qualche decennio, chi
salirà su un pulpito, dovrà vestirsi ancora in questo modo? E sull’aura di
«autorità» che già certuni spandono intorno a se stessi come se fosse un profumo
spray? I termini della «scommessa» potrebbero esseri incrementati con numerose
altre voci, ma io so di non sbagliarmi, sono cose già viste nel cristianesimo!
{9 aprile 2009}
▬
Risposta:
Do al lettore l’ultima parola, trattandosi di
un’ulteriore spiegazione di quanto già affermato. Lascio ai lettori l’onere di
discernere e di intervenire nella discussione. Faccio solo osservare che nella
Scrittura non esiste nessuna differenza fra presbiterato (anzianato) ed
episcopato, ma presbitero (= anziano) ed episcopo (= sorvegliante,
sovrintendente) sono solo due diversi nomi per il conduttore, il primo più usato
nel cristianesimo di stampo giudaico, l’altro più nel cristianesimo ellenista.
Il termine «pastore» nel NT è una funzione ministeriale (cura pastorale) e non
un ufficio; il termine «pastorato» neppure esiste. È prevedibile che ci sia un
conduttore (o più di uno) a pieno tempo, ma egli non si distingue dagli altri né
è sopra gli altri. Gli anziani hanno in genere dei collaboratori che nel NT sono
chiamati «servitori» (gr. diaconi). La concezione di un conduttore monocratico
che ha intorno a sé degli anziani come collaboratori è difficilmente difendibile
con l’esegesi contestuale del NT. {Nicola Martella}
5. {} ▲
6. {} ▲
7. {} ▲
8. {} ▲
9. {} ▲
10. {} ▲
11. {} ▲
12. {} ▲
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Donne_ministr_conduz_parla_GeR.htm
07-04-2009; Aggiornamento: 09-04-2009
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