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1.
{Benito Viapiana} ▲
La ragione perché scrivo questa lettera è per sapere
quando la chiesa pentecostale penserà d’ordinare pastori coloro, i quali — loro
malgrado — sono passati per un’esperienza di divorzio, e se al presente vi è
qualche piano di riforma, o nel prossimo futuro.
Oggi io sono un membro d’una chiesa pentecostale in
Canada, e mi trovo anche bene. Sono coinvolto nel servizio domenicale come
usciere, aiuto a distribuire la santa cena, e in passato ho anche insegnato
nella scuola domenicale a un gruppo d’Italiani. Però non ho mai avuto il
privilegio d’operare come pastore perché la chiesa pentecostale non approva
coloro che sono divorziati e risposati.
Il mio caso in breve è il seguente. Io non approvo il
divorzio. Però dopo tanti consulti con il nostro sacerdote (allora ero cattolico
romano), la mia moglie d’allora decise di divorziare da me. Per questa ragione
mi trovai con una figlia e ancora giovane.
Il sacerdote mi fece ottenere anche l’annullamento del
mio matrimonio, cosa che allora mi diede tanta forza. Fu durante questo tempo
che venni alla conoscenza del Signore e mi associai a una chiesa pentecostale.
Qui moltissime persone m’esortarono a studiare e cosi in ubbidienza al Signore
dopo alcuni anni fui ordinato in un istituto biblico cristiano (Canada Christian
College). Evidentemente qui approvano che una persona divorziata possa essere
ordinata al pastorato.
Ora io non scrivo perché tengo ad avere una posizione
nella chiesa, perché ho 65 anni, ma per sapere se in Italia le cose sono
diverse. Leggendo l’articolo sul divorzio fui spinto a scrivere.
Sono quasi 25 anni che cammino con il Signore, e so che
il Signore ha permesso che io fossi ordinato. Ne ho la conferma! Il Signore mi
parlò durante il tempo della preghiera; perché prima d’essere ordinato dissi al
Signore che, se ciò non fosse stato da parte sua, non l’avrei voluto. Cosi il
Signore mi parlò durante quella settimana che fui ordinato.
Domenica 24 Novembre 1997, mi disse nella lettura: «Prima
che ti formassi nel grembo di tua madre, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi
dal suo grembo ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni»
(Geremia 1,4s).
Lunedì 25 Novembre 1997, sempre durante la preghiera: «Essendo
convinto di questo, che colui che ha cominciato un’opera la porterà a compimento
fino al giorno di Cristo Gesù» (Filippesi 1,6).
Martedì 26 Novembre 1997, in questo giorno dissi:
«Signore alla mia età?» Il Signore mi parlò attraverso un programma radio
Cristiana WDCX; nella predicazione (gli operai delle diverse ore). Qui il
Signore mi fece capire che Lui chiama a ogni età (Matteo 20,1-16)
Mercoledì 27 Novembre 1997 mattina dissi: «Signore se
questo è da parte tua, io sono pronto ad accettarlo». Cosi la sera dello stesso
giorno fui ordinato assieme ad altri fratelli nella fede.
Giovedì 28 Novembre 1997, durante la preghiera
ringraziai il Signore per quello che aveva fatto nella mia vita. E pregai di
confermarmi che Lui m’aveva ordinato, mandandomi qualcuno che mi invitasse a
predicare. La sera stessa un fratello anziano della chiesa pentecostale che
frequentavo, mi disse: «Fratello preparati un messaggio per domenica sera». Come
vede io ho la conferma che il Signore ha permesso che io fossi stato ordinato.
Però la domanda è questa: Perché una persona divorziata non può essere ordinata?
Un pastore che io conosco, e che voleva approfondire 1
Timoteo 3 andò in Israele e parlò con un rabbino il quale interpretò il brano in
questo modo. «In quei giorni, al tempo di Paolo, tantissima gente viveva nella
poligamia, per questa ragione Paolo disse a Timoteo che una persona che voleva
servire il Signore doveva essere marito d’una sola moglie. Ma se una persona è
divorziata e si è risposata quella persona non vive con due mogli ma vive con
una sola, perciò non vive nella poligamia come spiega Paolo a Timoteo.
Ciò che io posso dedurre dalla Scrittura è quanto
segue.
«Se una persona è in Cristo è una nuova creatura, le
cose vecchie sono passate» (2 Corinzi 5,17).
«Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete
veramente liberi» (Giovanni 8,36).
«Quando è lontano il levante dal ponente, tanto ha
Egli allontanato le nostre colpe» (Salmo 103,12).
Ora il mio punto è questo: Se siamo in Cristo Gesù
siamo una nuova creatura, le cose vecchie sono passate; siamo stati perdonati
fino al punto che Dio non si ricorda nessuna delle nostre trasgressioni. E se
Dio non si ricorda dei nostri misfatti, perché gli uomini li hanno sempre a
portata di mano? Il divorzio non è un peccato a morte!
Ripeto io non scrivo perché cerco una posizione di
preminenza nella chiesa, però tantissima gente ancora giovane va incontro allo
stesso dilemma che ho incontrato io. Perciò se le assemblee pentecostali
riesaminassero e approfondissero correttamente 1 Timoteo 3, molte persone che
amano servire il Signore potrebbero essere felicemente ordinate.
Se vuole commentare o anche pubblicare questo mio
parere, con la speranza d’esortare altri lo faccia pure.
2.
{Nicola Martella} ▲
Non posso certo parlare a nome delle chiese pentecostali. Personalmente non
faccio parte di una di esse. Le chiese pentecostali italiane sono un variegato
arcipelago, alcune indipendenti, altre associate in differenti gruppi e
movimenti. Alcune sono più congregazionaliste, altre più monocratiche nella
conduzione. Esse chiamano il loro conduttore «pastore» e parlano al riguardo di
«ordinazione». Altri gruppi più congregazionalisti (p.es. le chiese dei Fratelli
parlano di «anziani» ed evitano termini come «ordinazione», forse a causa del
contesto religioso maggioritario italiano.
In genere anche qui in Italia le chiese evangeliche non
danno ministero a coloro che sono divorziati e/o risposati.
«Io non approvo il divorzio», ha detto Benito. E questa
è in genere anche la mia posizione, tranne che non sia per «giusta causa», come
prevede anche la Scrittura e come confermano anche Gesù per l’eccezione (Mt
5,32; 19,9) e Paolo per casi specifici, specialmente quelli non dovuti alla
volontà della parte credente (1 Cor 5,17) e quelli precedenti la conversione
(vv. 24.27s). Il divorzio è comunque sempre una sconfitta di tutti i
partecipanti. Alcuni il divorzio lo subiscono per le scelte dell’altra parte.
Parafrasando un proverbio, qui non si può dire semplicemente: «Chi rompe paga e
i cocci sono i suoi».
Per quello che constato nella biografia personale di
Benito, egli il divorzio lo ha subito e i fatti sono avvenuti prima della
conversione. Il suo caso è più semplice di altri, visto che il patto coniugale è
stato rotto dalla volontà altrui e i fatti risalgono a prima di aver conosciuto
il Signore Gesù in modo personale quale Signore e Salvatore. Altra cosa è quando
è il divorzio avviene dopo la conversione ed è causata dalla parte credente che
poi aspira alla conduzione.
Quanto a 1 Tm 3, io concordo completamente col fatto
che «marito di una sola moglie» sia da intendere nel contesto storico e
culturale d’allora nel senso che «non abbia più di una moglie
contemporaneamente», «non sia poligamo». Alcuni parlano di una «poligamia
successiva», applicandola a chi divorzia e si risposa; ma questa idea è priva di
fondamento storico e culturale nella Bibbia ed è nato solo nella mente degli
occidentali. La poligamia nell’antichità e nella Bibbia era sempre intesa come
matrimonio contemporaneo con più mogli.
È strano che brani come 2 Cor 5,17 si applichino a
tutti i tipi di peccati commessi prima della conversione, compresi adulteri,
omicidi, pedofili, effeminati e quant’altri, ma si ritiene di dover fare una
differenza per chi ha rovinato il suo matrimonio o, addirittura, è stato vittima
di un coniuge che lo ha abbandonato e si è unito a un’altra persona.
Di là da come chiamare la consacrazione al Signore a un
ministero (consacrazione, ordinazione, riconoscimento, approvazione) e come
chiamare il ruolo che si riveste (conduttore, anziano, pastore), Dio ci accetta
così come siamo nel momento della conversione e, anticipando in noi la nuova
creazione futura mediante l’inserimento in Cristo (2 Cor 5,17), ci dà una nuova
chance senza alcuna limitazione e prevaricazione. Quanto grave è stato il nostro
peccato, quanto buia la nostra condotta e quanto profondo il nostro fallimento
prima della conversione — fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti,
ladri, avari, ubriachi, oltraggiatori, rapaci (1 Cor 6,9s) — vale sempre e
comunque questo principio: «E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma
siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù
Cristo, e mediante lo Spirito del nostro Dio» (v. 11).
Quando si pretende di voler essere «più giusti di Dio»
e imporre una moralità dovuta al proprio sentimento religioso-culturale,
retaggio del contesto culturale maggioritario del passato, si impedisce l’opera
di Dio e si provocano tante e profonde ferite in chi è passato dalle tenebre
alla luce (At 26,18; 1 Pt 2,9) e gli si impedisce di servire il Signore con
gioia e secondo i carismi ricevuti (Ef 3,7; 1 Pt 4,10s).
Secondo tale logica manichea o puritana (ma i Puritani
erano meglio in tanti aspetti), l’apostolo Paolo non sarebbe potuto mai
diventare un ministro di Gesù Cristo, a causa del suo passato oscuro, che egli
ammise con chiarezza, essendo stato un accanito persecutore dei santi. Pietro
neppure, essendo stato uno che aveva rinnegato Cristo, ma Gesù stesso lo
riabilitò. Nessuno avrebbe dato a Giovanni Marco un’altra chance nel ministero,
dopo aver abbandonato il campo di missione. E così via.
La Scrittura pretende che chi viene insediato in un
ministero sia «irreprensibile» attualmente nella sua condotta da cristiano. Non
si richiede una «fedina penale» impeccabile per la vita precedente alla
conversione. Spesso, al contrario, chi ha conosciuto con mano le profonde
miserie della vita e ha vissuto grandi fallimenti, sa essere misericordioso
verso il prossimo, sa come aiutarlo e ristabilirlo.
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