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DINAMICHE PATOGENE NEL RAPPORTO

FRA MISSIONARI E CONDUTTORI? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

1. Missionari che sono fonte di problemi

2. Conduttori che accentrano ogni potere

3. Alcune soluzioni

4. Altri aspetti

 

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Qui di seguito discutiamo l’articolo «Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori». Esso è stato preceduto l’articolo «Travaglio d’un missionario per conduttori con abuso di potere», che per certi aspetti ne amplifica, come testimonianza personale, alcuni aspetti. Una certa parte della discussione si riferisce proprio da quest’ultimo articolo.

     Per alcuni aspetti particolari riguardanti l’abuso di potere, rimandiamo all’articolo «Piano personale e istituzionale dei conduttori: Disciplina e abuso di potere nella chiesa» e al tema di discussione susseguente.

    Alcuni contributi, perché si riferiscono ad articoli differenti da quello in discussione, ho dovuto dividerli per addurli allo schema organico usato  qui, oltre che adattarli.

 

 

1.  Missionari che sono fonte di problemi

Tonino Mele: Mi viene in mente l’abuso di potere di un missionario, laddove finisce per essere un «battitore libero», dove comunque la chiesa mandante non è dietro l’angolo. Inoltre, il più delle volte, senza volerlo, credo, si viene a creare quello che chiamo il «complesso di Elia» o anche «del veterano», cioè quell’idea che volenti o nolenti ci si è fatti di sé come unici e indispensabili; e si fa fatica a vedere che c’è qualcun altro pronto a prendere il nostro «posto» e con lui altri «settemila…, il cui ginocchio non si è piegato davanti a Baal» (1 Re 19,16.18). E la cosa paradossale è che poi, tali «apostoli», non solo hanno paura di essere «spodestati» in qualche modo, ma finiscono per essere molto indulgenti con il proprio entourage famigliare, concedendo privilegi di tipo «dinastico». {09-11-2010}

 

Adolfo Monnanni: Ciao, Nicola, saluti. Io potrei essere un testimone, sulla mia pelle, dell’arbitrio da parte dei missionari. Per essere in argomento, credo che non si possa impostare una linea unica. Vi è già una via unica per tutti (Ef 5,21; 1 Pt 5,5 seconda parte), che dovrebbe essere messa in atto. In queste questioni vi sono molteplici punti da tener presente: maturità di ogni individuo, umiltà o meno (individuale), interesse per l’opera del Signore al di sopra di tutto, sensibilità nel valutare i fratelli coinvolti.

     Cercare di imporre una linea o un’altra, a cosa servirebbe se non si mette in atto quella indicata dalle Scritture? Il detto che un padre debole forma figli deboli o viceversa pone sicuramente la prima responsabilità al più maturo in esperienza, conoscenza e maturità spirituale. Credo che in molte occasioni un mea culpa da parte dei missionari potrebbe aprire un dialogo con i loro «figli spirituali» e portare a situazioni differenti. Saluti, un abbraccio in Cristo Gesù… {11-11-2010}

 

 

2.  Conduttori che accentrano ogni potere

Nicola Martella: Come abbiamo visto nell'articolo-testimonianza «Travaglio d’un missionario per conduttori con abuso di potere»,  un programma contrario alla carnalità è difficile da realizzare laddove c’è una «dialettica malata», che convince i conduttori di una chiesa a sottomettersi i missionari fondatori della loro comunità o altri missionari, che lavorano in zone limitrofe, reclamando la direzione di tale opera missionaria.

 

Tonino Mele: No, Nicola! Se ho capito bene il senso dell’articolo e della tua ultima frase, qui non si tratta solo di una «dialettica malata», ma di assenza di dialettica, perché si è scelta la via della delegittimazione dell’altro, del suo ruolo e della sua funzione. Quello che aggiungo è che tale distorsione si può trovare sia in capo a missionari e sia in capo ad anziani; e se si vuol venirne a capo, il primo passo da fare è smetterla di delegittimarsi a vicenda e puntare a un vicendevole riconoscimento della grazia di Dio operante in ciascuno (cfr. Gal 2,6-9).

 

Nicola Martella: Chiaramente il «vicendevole riconoscimento della grazia di Dio operante in ciascuno» è la cosa migliore. Ciò è proficuo e salutare laddove c’è tale sentimento reciproco. Per ogni dialogo c’è bisogno almeno di due persone disposte al riguardo. Dove c’è, invece, prevaricazione da parte di chi ha una posizione di potere e si crede «biblicamente» legittimato in ciò, è difficile dialogare da parte di chi è esposto a tale atteggiamento. Dopo vari tentativi andati a male e umiliazioni subite (p.es. sentirsi dire che si è incapaci di fondare una chiesa), la parte lesa preferisce lasciar perdere, concentrarsi sull’opera missionaria, che svolge, mettendo il resto nelle mani di Dio. Solo chi c’è passato personalmente in tali casi (come tale particolare missionario di mia conoscenza) o è stato coinvolto in ciò a qualche titolo (consulente, mediatore, osservatore, persona informata dei fatti), lo può veramente sapere. Che cosa avrebbe fatto Tonino, se fosse stato lui tale missionario, specialmente dopo che, come lui, ha dato tanto a tale chiesa locale mediante il suo costante impegno evangelistico in tutto il territorio di tale comunità e a favore di quest’ultima, oltre che a dedicarsi poi alla sua specifica opera missionaria?

     Ho dovuto pensare a una domanda simile, posta dall’amico d’Isaia riguardo alla propria vigna (Dio su Israele): «Che più si sarebbe potuto fare alla mia vigna di quello che io ho fatto per essa? Perché, mentre io m’aspettavo che facesse dell’uva, ha essa fatto delle lambrusche?» (Is 5,4). È solo un’associazione di pensiero, che esprime delusione e rammarico; solo chi c’è passato, può comprenderlo. Di là dagli aspetti teorici, mi chiedo se Tonino sia mai passato personalmente per un’esperienza uguale o equipollente, come tale missionario.

     Da quanto scrisse Paolo in 1 e 2 Corinzi, prendiamo atto che lui c’era passato direttamente per tale esperienza e sapeva che cosa significasse tutto ciò (cfr. 2 Cor 11). Anche lui ebbe a che fare con coloro che esercitavano solo una «dialettica malata», mirando specialmente al controllo personale su tale chiesa locale mediante un devozionalismo mistico e legalistico.

 

Tonino Mele: Mi rendo conto che la lingua batte dove il dente duole e quando c’è il «dolore», tutto il resto finisce per restare sullo sfondo, in un ambito sfumato e teorico...

     Comunque, pur non avendo provato personalmente un tale travaglio, Nicola sa che per me è inconcepibile una tale delegittimazione del ruolo di un missionario e fondatore di una chiesa. Anzi, mi è capitato anche di esprimere la mia perplessità a un missionario che, per rispetto dell’autonomia degli anziani in carica, non è intervenuto per tempo e con forza per salvare il salvabile, di una chiesa da lui fondata, che stava andando a rotoli. E ho sentita molto vicina al mio modo di pensare una lettera apparsa nel dicembre del 2009 sul mensile «Il Cristiano», dove un responsabile di chiesa esprimeva grande stima proprio per il missionario fondatore della chiesa. Ecco l’articolo: «Il valore di un esempio positivo».

     Quindi, anche se ho alimentato questo confronto, confermo tutta la mia simpatia a quel tipo di missionario, che in questa sede si è voluto rappresentare, e assicuro che la mia è una simpatia tutt’altro che teorica...

 

Anna Barbuzza: La linea di condotta all’interno di una chiesa locale, sia nei confronti dei missionari ma anche nei confronti di tutti coloro che si prodigano per l’avanzamento del regno, dovrebbe essere sobria, equilibrata, responsabile; La Parola di Dio dice di pregare gli uni per gli altri e di portare i pesi gli uni per gli altri, per adempiere così la legge di Cristo (Galati 6,1-2). Aiutare gli altri a portare i pesi, che gravano sulle loro spalle, non solo è un principio cristiano molto importante, ma questo atteggiamento evidenzia che una chiesa, per quanto possa essere attraversata da varie e diverse fasi, deve conservare un buon senso d’amore e stima reciproca, fiducia, trasparenza, soprattutto da parte dei conduttori nei riguardi dei missionari...

     Ma non sempre è così! A volte, i conduttori prevaricano sul gregge!. Io ho fatto un’esperienza di questo tipo: conduttori che usavano in maniera impropria la propria autorità (come tu, fratello Martella, fai notare nel tuo articolo), imponendo alla comunità la propria «linea» e dimostrando le proprie capacità, senza che alcuno ostacoli i loro intenti, senza prendere in considerazione l’operato della chiesa (nel mio caso non c’erano missionari), avendo come risultato lo smembramento della chiesa stessa!

     Che fare? Cerchiamo sempre di analizzare le cose in maniera saggia, imparare a fare la volontà di Dio in qualsiasi circostanza, dire la verità al nostro prossimo... e, se proprio è il caso (mi dispiace parlare così), cambiare comunità! {11-11-2010}

 

 

3.  Alcune soluzioni

Tonino Mele: Io credo che il grande pericolo, che bisogna evitare, stia nell’abuso di potere da parte sia del missionario che dei conduttori [ Travaglio d’un missionario per conduttori con abuso di potere]; a ciò si aggiunga l’arbitrarietà nelle cose del Signore. Il correttivo biblico non lo vedo tanto nella rivendicazione del proprio ruolo e della propria autonomia, benché abbia la sua importanza, ma che poi porta spesso a posizioni di rottura; lo vedo piuttosto nell’avvio di una dialettica ecclesiale, dove, missionario e anziani imparano a dialogare, a dirsi le cose con fermezza e rispetto, senza mettere in dubbio minimamente il ruolo e il servizio dell’uno o dell’altro. Per «dialettica ecclesiale» intendo il dialogo di persone mature nella Parola e nel servizio che possono, con rispetto e fermezza, bilanciare ogni tendenza arbitraria che l’uno o l’altro dovesse manifestare. Certamente questa non sarà una soluzione facile e indolore, né priva di momenti di tensione, ma in fondo è anche questa una scuola, da cui tutti possiamo imparare per essere una chiesa migliore e più rappresentativa dell’umiltà del Signore Gesù Cristo.

     Ecco la mia esperienza personale. Io sono un anziano insieme al fratello missionario, che ha fondato la nostra chiesa. Io ho grande stima e grande rispetto per lui, come lui ce l’ha per me. Mai mi sognerei di mettere in dubbio il suo ruolo, il suo mandato e la sua missione. Mi rendo conto però davanti al Signore, che, dal canto mio devo comunque avere con lui quella dialettica, di cui ho parlato prima; e lui apprezza tutto ciò, perché sa che c’è a monte la stima e il rispetto. {09-11-2010}

 

Nicola Martella: La «dialettica nell’opera di Dio» (quella «ecclesiale» è parziale) è possibile soltanto laddove si è pronti a praticare verità e giustizia, il cui efflusso è poi misericordia e pace, tranquillità e sicurezza (Sal 85,10; Is 32,17; Zc 8,16; Gcm 3,18). Tutto ciò è difficile laddove c’è una parte che non solo non vuole dialogare secondo verità e giustizia, ma che tende a prevaricare e a esercitare l’abuso di potere. La brama di dominare rientra nei cosiddetti «appetiti giovanili», da cui Timoteo doveva fuggire, mettendo in atto il programma contrario: «Procaccia giustizia, fede, amore, pace con quelli che di cuore puro invocano il Signore» (2 Tm 2,22).

     Tale programma contrario alla carnalità è difficile da realizzare laddove c’è una «dialettica malata», che convince i conduttori di una chiesa a sottomettersi i missionari fondatori della loro comunità o altri missionari, che lavorano in zone limitrofe, reclamando la direzione di tale opera missionaria. Al contrario, tale programma sarà altresì difficile da realizzare laddove il missionario ha una visione della gestione dell’opera da «padre-padrone» e vita natural durante.

 

 

4.  Altri aspetti

Massimo Ricossa: Caro Nicola, condivido quanto hai detto sul «problema» fra missionari e conduttori, anche perché praticamente ho vissuto tutte le situazioni da te descritte, nel periodo in cui «ho servito» il Signore in Albania. Fortunatamente il mio ruolo è stato marginale, ma ti confesso che i problemi sono stati seri e in qualche caso anche devastanti! Personalmente ho maturato le seguenti convinzioni.

     ■ La chiesa locale «dovrebbe» valutare bene le caratteristiche spirituali e caratteriali di coloro, che invia nel campo di missione (ed anche prepararli al meglio).

     ■ La chiesa mandante «dovrebbe» non solo pregare e donare per i fratelli inviati in missione, ma anche e soprattutto seguirli e visitarli sul campo.

     ■ Ritengo anche, come hai detto tu, che a un certo punto (se c’è «materiale» e se hanno insegnato bene) sia importante anzi fondamentale riconoscere degli anziani nella nuova chiesa.

     ■ È molto appropriato il tuo discorso, Nicola, sul periodo di transizione, in cui il missionario, pur avendo lasciato la conduzione della nuova chiesa ai nuovi anziani, «osserva a distanza» il loro cammino per un po’ di tempo, intervenendo solo in caso di urgente necessità.

 

Vorrei precisare che con queste mie osservazioni non ho inteso dare lezioni a nessuno, ma semplicemente condividere quello che ho vissuto da una punto di osservazione privilegiato (devo dire a proposito che ho vissuto anche esperienze estremamente negative e forse più avanti avrò la possibilità di condividerle con voi). Un saluto nel Signore… {11-11-2010}

 

Gianni Siena: Non entro nell’argomento come indicato dal Nicola Martella, ma vado al «fondamento», su cui poggiano simili abusi che, purtroppo, esistono e danneggiano comunità altrimenti fiorenti.

     Il popolino è costituito al 70/80% da persone bisognose di guida e di conduzione: felice quella chiesa che ha un buon numero di credenti maturi / maturati, aventi un sano concetto di se stessi e le seguenti caratteristiche.

     ■ Sanno stare al loro posto.

     ■ Si sottomettono alla conduzione della chiesa con consapevole fiducia (nel NT sottomettersi o sottomissione intende una sana fiducia che riconosce l’altro in Cristo).

     ■ Sanno dissentire con ferma perseveranza: in privato o in pubblico.

     ■ Sanno prendersi le loro responsabilità e sfiduciare un conduttore (missionario, vescovo eletto… poco importa). Non avranno le laudi del popolino «affezionato» al capo del momento ma, semmai, ostilità e disapprovazione.

     ■ Crescono nella conoscenza del Signore Gesù Cristo e si esercitano ogni giorno a distinguere il bene dal male.

 

Non esiste altro rimedio, se non quanto segue. Ci vuole una comunità matura nella fede e istruita nella Scrittura, capace di dare il giusto rispetto alle persone impegnate nel servizio cristiano, ma anche decisa a salvare l’unità nei vincoli dell’amore. È necessaria una comunità che rifiuta di sottostare a chi vede il lavoro affidatogli non come un’amministrazione, di cui dovrà rendere conto, ma come una posizione di vantaggio e signoria sulla fratellanza. {15-11-2010}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Dinam-patog_miss-cond_Sh.htm

12-11-2010; Aggiornamento: 17-11-2010

 

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