Con alle spalle
vecchie macerie e catene del passato, persone lontane da Dio e con
matrimoni falliti si sono ritrovate e hanno cercato di rimettere insieme le loro
esistenze all’interno di un cantiere aperto. In seguito, hanno trovato proprio
nella clemenza di Dio un nuovo significato e nella fede in Cristo un
nuovo cemento... Spesso tali persone, quali nuove creature, chiamate alla
libertà in Cristo, si sono dovute confrontare proprio con le nuove catene,
poste da alcuni uomini massimalisti. Si sono, quindi, trovati nel conflitto
fra il Dio clemente e gli uomini inclementi. Da una parte c’è Dio, che condona
le loro passate trasgressioni e dà loro una nuova chance; dall’altra, ci
sono spesso puristi e massimalisti, pronti a spaccare il capello in quattro, a
colare moscerini e a pretendere da tali neofiti vie di «flagellazione» e
«martirio». La «buona notizia» per la fede viene resa così, subito dopo, una «cattiva
notizia» per l’esistenza di tali conviventi convertiti.
Nell’articolo «Conversione
di conviventi divorziati» ho risposto alle specifiche domande
di un conduttore di chiesa, che riguardano una particolare situazione
della loro comunità. È soltanto di questo caso specifico che vogliamo parlare
qui di seguito.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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I contributi sul tema
▲
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1. {Pietro
Calenzo}
▲
Caro Nicola,
shalom. Ho letto con molta attenzione sia il caso esposto dal fratello
anziano, che ha posto un tema di difficile trattazione come il presente, sia le
tue
risposte molto precise e scritturalmente dettagliate. Mi spiace molto che il
tuoi lavori esegetici su queste problematiche (correlato dalla esegesi ebraica e
greca) non abbia potuto vedere la luce, poiché è rispondente al vero, che la
trattazione di queste sofferte esperienze di vita, conversione di credenti già
coniugati o separati, è molto più attuale, frequente e dolorosa di quanto
si possa credere o pensare. Soggettivamente sono persuaso che solo una
corretta esegesi testuale ci possa far comprendere quale sia la perfetta
volontà di Dio, poiché le due correnti di pensiero, presenti trasversalmente in
tutte le chiese evangeliche o evangelicali (massimaliste o possibiliste),
sembrano proporre dettagliati passi scritturali che apparentemente e sottolineo
apparentemente, sembrano non armonizzarsi.
In effetti, Gesù stesso, ci ha detto che nell’Antico Testamento il libello
del divorzio
era stato consentito solamente poiché erano duri di cuore. Ho studiato su tale
problematica anche il lavoro del fratello Guglielmo Standridge, e le sue
affermazioni paiono altrettanto scritturali e convincenti.
Il punto focale a mio parere è d’intendere, rettamente ed esegeticamente, in
modo preciso che cosa volesse specificare Gesù con il termine «porneia» o
con «logos porneias», e che cosa intendesse affermare l’apostolo Paolo
con i termini «sei legato» o «sei sciolto», poiché nel contesto
dell’intera pericope paolina, è di peculiare importanza.
In effetti, per quelli che erano i costumi ebraici del tempo (di Maria e
Giuseppe) ad esempio, il matrimonio constava di due fasi ben separate e
distinte, il contratto del matrimonio e la consumazione dello stesso. Per quanto
mi è stato dato modo di comprendere, la richiesta di divorzio poteva essere
avanzata anche nella prima fase del rapporto coniugale, prima che i
coniugi consumassero il rapporto intimo vero e proprio (o anche successivamente,
in caso di appurato adulterio, ma non è il nostro caso), se veniva trovato
qualcosa di disonorevole o d’infamante, per esempio nella sposa. Ma a tutti gli
effetti, per quelle che sono le mie conoscenze, il matrimonio era considerato
tale, nella nostra accezione moderna, vincolante e legalmente effettivo sin
dalla prima stipula; e il coniuge innocente poteva (come nel caso di
Giuseppe) legittimamente
chiedere il divorzio e come tu scritturalmente sottolinei, porre all’indice
la sposa adultera. In tale accezione, penso, il Signore Gesù disse che il
divorzio era concesso, ma solamente in caso di adulterio, fornicazione
(porneia).
Ad ogni buon conto, caro Nicola, lungi dall’essere dogmatico su tale punto,
attendo e prego che il Signore ti conceda di poter pubblicare il tuo lavoro già
redatto in questa difficile materia, poiché è rispondente al vero, che tanti
credenti, divorziati o separati prima della conversione, vivono questa triste
situazione con estrema sofferenza e pathos. Ti abbraccio e ti saluto nel
santo nome di Gesù. Shalom. {28-02-2011}
2. {Nicola
Martella}
▲
■ Sebbene le
questioni di base siano apprezzabili, non condivido vari aspetti del contributo
di Pietro Calenzo, ad esempio che il logos porneias (Mt 5,32) si
riferisca ai rapporti prematrimoniali, visto che ricalca in greco l’espressione
ebraica di Dt 24,1 ’ërwat dabar «nudità di una parola [o cosa]», ossia
una «parola / un fatto di nudità»; in questo brano si tratta del proscioglimento
di un matrimonio esistente e di nient’altro. Con l’interpretazione di
porneia limitata ai soli rapporti prematrimoniali si restringe un campo, che
il rabbino giudeo Gesù non intendeva così. In tal modo, si creano prigioni
esistenziali per chi è già stato punito dalla vita mediante un coniuge
fedifrago, che ha rotto il patto matrimoniale e ha cercato «pastura» altrove. Ho
scritto vari articoli sul mio sito al riguardo e non credo che debba ripetermi.
In ogni modo,
il tema di questo attuale articolo non è tanto questo, ma che cosa fare
con coppie, in cui uno o ambedue i coniugi sono già irrimediabilmente
divorziati, convivono insieme da vari anni e, infine, si convertono al Signore.
■ Non avrei mai
citato Guglielmo Standridge in tale contesto, ma sono costretto a dire
qualcosa su di lui e sul suo libro. [Guglielmo Standridge, Pensi al divorzio?
Che cosa ne dice la Bibbia? (Associazione Verità Evangelica).] Sono
costretto a farlo, visto che è stato tirato in ballo da questo lettore e visto
che anche altri considerano lui e il suo libro come autorità sull’argomento.
Egli è un fratello apprezzabile per tanti suoi libri, ma di cui non condivido
varie sue analisi su questo argomento. Anche lui ha dovuto confrontarsi con
questo tema nella sua propria famiglia. La domanda che resta è la
seguente: Dopo varie edizioni della sua opera sul divorzio, ha egli applicato
con rigore le sue convinzioni morali anche verso suo figlio, dopo averli
applicati verso altri nella sua chiesa? Avendo il figlio cambiato chiesa, mi
chiedo se nella pratica Guglielmo abbia realizzato un certo accomodamento,
ad esempio ecclesiologico, secondo il seguente motto: se la chiesa, in cui sta
(e serve) chi è divorziato e risposato, lo accetta in comunione, le altre chiese
non dovrebbero sindacare tale scelta e dovrebbero accettare in comunione tale
persona, qualora venisse nella propria chiesa. Qui sarebbe interessante
ascoltare la sua opinione.
Ricordo che uno dei suoi figli, pur essendo divorziato da credente, è
(per quanto sappia) predicatore (se non conduttore) in una chiesa e (per quanto
possa vedere) collabora attivamente con missioni
(Focus;
direttore dei programmi di
Missione Aurora) ed è attivo nell’opera
«Associazione Verità Evangelica» (qui;
qui), è autore e redattore in «Punti
fermi» (Voce del Vangelo) e compare
copiosamente nelle liste dei messaggi registrati della «Chiesa Cristiana
evangelica Indipendente Berea» (qui),
di cui era in passato «anziano».
Conoscendo il rigore morale di Guglielmo in casi del genere, accaduti nella sua
chiesa e in altre, in cui è stato coinvolto dai conduttori per consigli
specifici, mi chiedo come si sia comportato in questo caso specifico.
Sebbene questo caso specifico esuli dalla questione attuale (matrimonio di
conviventi convertiti), ci interesserebbe approfondire la questione della
coerenza di un autore su tale argomento così delicato. Se in tale caso
fossero stati applicati coerentemente i principi presentati dal libro di
Standridge senior, quest'ultimo non avrebbe mai più dovuto avere comunione non
solo con la nuova chiesa del figlio, ma neppure con lui stesso, evitando con lui
ogni tipo di collaborazione, che però c'è stata (Focus).
Sarebbe interessante sapere la sua attuale
opinione al riguardo e sul nostro caso specifico.
■ Anche in altri
casi del genere ho visto che i conduttori applicano alla lettera i proprio
principi morali, ma non sono altrettanto rigorosi, quando sono toccati da vicino
nella loro propria famiglia; in quest'ultimo caso cercano la quadratura del
cerchio e prospettano soluzioni, in cui cercano di salvare, per così dire,
capre e cavoli. Certo, preferirei che in casi del genere tali conduttori
rivedessero coerentemente le loro opinioni alla luce dei fatti successi
nella loro famiglia, rinunciando a certi aspetti del loro massimalismo, invece
di dare l'impressione di agire con riguardi personali o con doppio peso e doppia
misura. Non sempre i fatti incresciosi nella propria famiglia portano i
conduttori a un generale
e compassionevole ammorbidimento delle loro posizioni morali, spesso
molto intransigenti verso quelli di fuori. Nei casi, in cui tali conduttori sono
toccati direttamente in famiglia da problemi del genere, o cercano di tenere
nascoste le cose (magari mandando il figlio o la figlia ad abitare in un'altra
città) o cercano di trovare una «stampella», che sorregga la scelta
differente nei confronti del familiare (p.es. minimizzare, spostare la colpa su
altri, ecc.).
■ Nell’attuale
articolo non tratto il divorzio di credenti, ma soltanto la conversione di
conviventi già divorziati precedentemente e i cui matrimoni, a distanza di
tanti anni, non sono più ricomponibili, a prescindere dal fatto che secondo
Deuteronomio 24 tale evenienza sarebbe un abominio. Qui le cose dovrebbero
essere molto più semplici da affrontare.
▬
Osservazioni 1
(Pietro Calenzo): Caro Nicola, non mi pare di aver generato alcuna prigione
esistenziale, anche perché non mi sento di esser dogmatico in tale materia;
tant’è che ho affermato un paio di volte che la situazione di credenti
divorziati o separati è, in ogni caso, portatrice di situazioni di pathos o
di dolorose sofferenze (anche per una esperienza indiretta da me
vissuta). Concludo rinnovandoti ogni sorta di benedizioni. Shalom. {01-03-2011}
▬
Replica
(Nicola Martella): Apprezzo di sovente la collaborazione e i tuoi contributi di
Pietro. Come già detto sopra, qui c’è il bisogno di concentrarsi sul tema
proposto, ossia la «conversione di conviventi divorziati». È solo a questa
questione che vogliamo dare una risposta. 2 Corinzi 5,17 recita: «Se
qualcuno è in Cristo, egli è una nuova creazione; il vecchio è passato, ecco è
diventato nuovo»; vale anche per loro?
▬
Osservazioni 2
(Pietro Calenzo): È vero, caro Nicola, sono andato un po’ oltre il tracciato del
tema proposto, ma su questo punto non posso essere dogmatico o preciso poiché vi
sono versi della Scrittura, che apparentemente sembrano contraddirsi,
ribadisco apparentemente; probabilmente ciò è dovuto solo alle mie lacune o
deficienze. In tale ottica, devo rimboccarmi le maniche e lo spirito. Un
caro abbraccio in Gesù, carissimo Nicola, e che il Signore continui a benedire
il tuo ministero di grande edificazione per tutti i credenti e mio personale.
Shalom. {02-03-2011}
3. {Gianni
Siena}
▲
■
Contributo: Casi
del genere sono sempre più frequenti nelle chiese. Una donna conviveva
con un uomo, lei si convertì e cominciò a frequentare fedelmente le riunioni.
Esitava a chiedere il battesimo per aver compreso che la sua situazione
«anagrafica» era irregolare. Il pastore della comunità era un tipo rigido e
tutti sapevano della situazione della sorella. Un fatto imprevisto la indusse a
troncare il rapporto con il convivente. Questo è un caso differente da
quello riportato, ma abbiamo (in ogni chiesa) diverse situazioni di coppie
«irregolari». Il matrimonio è «indissolubile» (soprattutto: agli occhi di
Dio)? Certamente, ma non «indistruttibile»!
E noi dobbiamo prendere atto della mutata situazione sociale odierna. Occorre
ricordare queste situazioni solamente quando le persone «ambiscono a un’opera
buona»: per svolgere un servizio nella chiesa, bisogna essere
irreprensibili.
Se c’è modo di ricomporre una famiglia
devastata dal divorzio, la chiesa deve, in spirito di preghiera, incoraggiare
questa soluzione, ricordando che l’uomo non deve separare ciò, che Dio ha unito.
Per tutti gli altri casi non siamo noi i giudici dei fratelli, che Dio ci dà
come compagni di cammino.
Se abbiamo una splendida famiglia e una buona testimonianza morale, ringraziamo
Iddio e non poniamoci sulla «pole position» per questo: siamo tutti molto
fragili. La tentazione di considerarci un gradino al di sopra degli altri, è
sempre in agguato: l’orgoglio dettato dalla moralità non è una tentazione che
coglieva solo i Farisei… anche noi cristiani
siamo vulnerabili. Saluti e benedizioni... {02-03-2011}
▬
Risposta
(Nicola Martella): Condivido molti degli aspetti di questo contributo. Faccio
notare solo un paio di aspetti. Per ogni ordinamento dato da Dio c’è il
principio generale (Gn 2,24; Mt 19,4ss; Rm 7,2) e le dovute eccezioni
(Dt 24,1ss; Mt 19,9; 1 Cor 7,27s). Qualunque siano state le ragioni di tali
precetti, il legislatore è stato comunque Dio.
L’irreprensibilità quale prerequisito per il servizio (cfr. 1 Tm 3; Tt 1)
non si misura con la condotta prima della conversione (1 Cor 6,9ss; 2 Cor 5,17),
ma con quella da credente. Se così non fosse, Paolo stesso sarebbe stato
squalificato da ogni tipo di ministero (1 Cor 15,9s; Gal 1,13ss).
Una «famiglia devastata dal divorzio» si può
ricomporre fintantoché i due coniugi non sono passati ad altri, altrimenti
non si commette soltanto una trasgressione ma un abominio agli occhi di
Dio (Dt 24,4).
È vero, noi siamo tutti molto fragili e
vulnerabili. Perciò, facciamo bene a non vantare meriti, a vegliare e badare
alla nostra propria condotta (1 Cor 9,27; 10,12), a recuperare gli sviati (Gcm
5,19s), a usare misericordia verso gli altri (Mt 12,7), a non spezzare la canna
rotta, a non spegnere il lucignolo già fumante (Mt 12,20)… a non essere più
giusti di Dio.
4. {Pierluigi
Prozzo}
▲
Posso farti una
domanda, fratello Nicola? Partendo da quello che capisco della tua
interpretazione di 2 Corinzi 5,17 — che purtroppo non posso condividere,
in quanto quella è una frase che sempre più spesso viene usata / abusata, per
far quello che pare bene a un sacco di nuovi credenti religiosi non nati di
nuovo (e anche il contesto di tale versetto a mio avviso porta a tutt’altre
conclusioni...) — dicevo, se uno si converte, secondo te tutte le
conseguenze degli errori del passato agli occhi di Dio e nei confronti
del mondo sono da annullarsi? Oppure proprio alla luce della «nuova nascita»,
uno troverà la forza e la vera direzione per aggiustare veramente tutti i
propri errori (o per lo meno le conseguenze di questi), anche con apparente o
effettiva sofferenza, oltre che iniziali e successive rinunzie della carne?
Inoltre, nello specifico del tema trattato, se uno davvero è convertito, e lo
Spirito di Dio inizia ad albergare in tali persone, non dovrebbero queste farsi
un bell’esame di coscienza, e disporsi verso Dio pronti a qualsiasi
risposta che Dio gli metterà in cuore? Sono d’accordo che si debba chiedere il
consiglio di fratelli, di anziani e di conduttori, ma credo fermamente
che lo sguardo e le orecchie del vero credente debbano essere rivolte
in primis verso la Parola di Dio, nella continua ricerca della sua
giustizia, a prescindere dei pareri denominazionali o delle coscienze altrui. Se
come dici giustamente, il matrimonio è un patto, un voto, e chi si sposa
crede a ciò, dovrebbe sapere anche che ha validità per la vita che ciascuno
vive. Ciascun componente della coppia promette fedeltà a prescindere di ciò, che
farà o succederà all’altro; quindi, se uno sbaglia, ciò non dà diritto all’altro
di sbagliare pure lui. E se davvero uno è in Cristo, queste cose
le dovrebbe capire, e cercherà di riparare alle ingiustizie
perpetrate, non che andrà avanti, come se nulla fosse successo, come se i voti
del passato non valessero un bel nulla.
Numerose volte io ho sentito gente interpretare quel passo in maniera
distorta fino ad arrivare a dire: «Che sciocco sono stato a maritarmi, ho fatto
tutto nella carne e manovrato da una coscienza fuori della grazia di Dio, adesso
che sono veramente convertito, posso dare un calcio al passato e farmi una vita
nuova, con la persona, che Dio vuole, che sia la mia compagna come Dio veramente
gradisce...». E il bello (o meglio, il brutto), è che questi discorsi sono stati
fatti ed eseguiti da sedicenti «ministri di Dio», anche molto famosi e
seguiti. Possa Iddio guidarci nelle sue vie e benedirci. Pace. {03-03-2011}
5. {Nicola
Martella}
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Risposte
generali
Essere scrupolosi verso la Parola di Dio, è un bene. Che i brani biblici possano
essere oggetto di interpretazione arbitraria e strumentalizzazione, è
risaputo; ciò può accadere in un senso o nell’altro, secondo il liberalismo o il
massimalismo. Ciò non toglie che 2 Corinzi 5,17 abbia una forte
asserzione, che non si può sminuire: «Se qualcuno è in Cristo, egli è una
nuova creazione; il vecchio è passato, ecco è diventato nuovo». Questo brano
non vuole istigare ad agire con arbitrio per il futuro, ma costituisce
chiaramente un condono per la vita passata, di chi si ravvede e si
converte, qualunque peccato abbia commesso prima (1 Cor 6,9ss).
È vero che
matrimonio è un patto per la vita, e questo lo sanno i credenti; ma qui
trattiamo della vita precedente alla conversione. È chiaro che una vera
rigenerazione porta con sé il volersi fare un esame di coscienza, il voler
riparare agli errori passati, non per redimersi ma per piacere a Dio, e il
disporsi alla volontà di Dio. Non tutto è però riparabile, al momento della
conversione, tanto meno passate relazioni matrimoniali, specialmente dopo tanti
anni e quando si sono contratti altri legami, sia il neofita, sia l’ex-coniuge.
Inoltre, alcuni credenti nelle chiese mostrano spesso di voler essere più
giusti di Dio, fintantoché c’è da giudicare persone che non appartengono al
proprio clan.
Approfondimenti
In ogni modo, qui il discorso è ben circoscritto e chiaro e riguarda
persone precedentemente divorziate e poi conviventi da anni o addirittura
risposate; poi è avvenuta la loro conversione. Nel mio articolo rispondo a
precise domande di un conduttore di chiesa; e nelle mie risposte non intendo
dare un alibi di comodo ad alcuno per perpetuare ingiustizie (addirittura da
credente!). Ho evidenziato sopra che la rigenerazione porta a mettere a posto
le cose infrante, per quel che è ancora possibile. Ho però fatto altresì notare
che è difficile rimettere a posto matrimoni rotti oramai da anni, visto che gli
antichi coniugi si trovano pure loro in nuovi legami e spesso con nuova prole.
Inoltre il ritorno di un coniuge al primo partner, dopo essere passato a una
nuova convivenza, sarebbe per la legge non solo un peccato, ma un abominio
(Dt 24,4).
Il perdono di Dio, al momento della conversione, è chiaramente un condono
delle antiche colpe; e ciò vale per ogni categoria di peccatori:
fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avidi, ubriachi,
oltraggiatori e rapaci (1 Cor 6,9s). «E tali eravate alcuni, ma siete
stati lavati, ma
siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor
Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del Dio nostro» (v. 11). Solo ciò può
permettere una nuova vita secondo Dio e fa sì che l’Evangelo sia veramente una «buona
novella». Altra cosa è per chi cerca alibi nel perdono di Dio per
commettere altre ingiustizie; ciò non è però oggetto del tema attuale.
Qui si tratta soltanto dell’intervento adeguato riguardo a coppie di
conviventi o di risposati, una volta che si sono convertite. In tali casi
bisogna rifuggire dal liberalismo e dal massimalismo e fare ciò che è giusto in
ogni singola situazione: ossia condonare ciò che è stato in passato e che
non si può più ripristinare e ristabilire le cose su una nuova base di
legalità; ad esempio, i conviventi convertiti si sposino e comincino un
nuovo capitolo.
6. {Pierluigi
Prozzo}
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Sì, capisco bene
che quando qualcuno non è in completa sintonia col proprio pensiero e
convinzioni si cerca di fare un nuovo tentativo ripetendo e chiarendo meglio le
proprie posizioni con la speranza che l’altro possa allinearsi, ma non ce ne era
assolutamente bisogno, ho letto tutto, altrimenti non avrei parlato; io uso fare
così.
Venendo al tema, non voglio prolungare oltremodo la mia polemica, ma ripartendo
dalla
tua ultima frase, spero che sia più chiaro il messaggio generico (ma non
troppo, è che faccio fatica a esprimermi chiaramente e brevemente) che ho voluto
condividere prima: «I conviventi convertiti si sposino e comincino un nuovo
capitolo».
Ecco, perché? Perché invece non soppesare la seguente opzione. I
conviventi convertiti, se realmente lo sono, devono separarsi e iniziare
una nuova vita volenterosi a ubbidire a Dio in tutto e per tutto, anche
rimanendo casti
per riprendere fede alla vecchia promessa matrimoniale. Dove è scritto che per
forza questi devono maritarsi o ritornare al vecchio partner? Non è forse vero
che il vecchio voto è stato disonorato perché preda della carne, e non è
forse vero che anche il nuovo fidanzamento (e peggio ancora convivenza) è
il frutto nuovamente di scelte fatte ancora nella carne?
A parer mio, quindi, si deve chiedere ai nuovi convertiti di riflettere
su quale debba essere la loro nuova vita in Cristo, spronandoli a cercare la
guida di Dio qualunque essa sia; non si deve spingerli, rischiando di fargli
commettere una nuova scelta sbagliata, cioè di sposarsi con la persona
con cui s’intrattiene una relazione di adulterio. Pace. {03-03-2011}
7. {Nicola
Martella}
▲
Pierluigi Prozzo ha
il diritto di pensarla così; devo rispettare il suo pensiero, sebbene io non
condivida questa sua visione, ritenendola intransigente e poco praticabile
dal punto di vista pastorale, ecclesiale e umano. La vita è più complessa; mi
chiedo che cosa farebbe con sua figlia o con sua sorella, se si trovasse in tali
circostanze. Ci sono coppie che convivono da 10-15 anni (altre anche da
più tempo) e hanno figli in comune e hanno doveri verso l’altro partner e la
verso comune prole. Presentare loro la «Buona Notizia» (= l’Evangelo) e un tale
programma massimalista, significa mettere su di loro un giogo di ferro e
mandarli nel labirinto; altro che liberazione.
Vedo ancora una volta che Dio è più misericordioso dell’uomo. Egli è
disposto a condonare il passato e a dare una nuova chance (cfr. il «tali
eravate alcuni, ma…», 1 Cor 6,9ss). Gesù disse ai puristi e massimalisti
Farisei: «Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia,
e non sacrificio”; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei
peccatori» (Mt 9,13; 12,7). Egli disse di sé quale Messia: «Egli non
triterà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante, finché
non abbia fatto trionfare la giustizia» (Mt 12,20).
L’apostolo Paolo regolamentò anche la situazione di persone divorziate,
che si convertivano, come segue: «Sei tu legato a una moglie? Non cercare
d’esserne sciolto. Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però prendi
moglie, non pecchi...» (1 Cor 7,27s). I termini «legare» e «sciogliere»
si riferivano nel diritto d’allora rispettivamente ai termini «sposare» e
«divorziare». Perciò tali versi si possono parafrasare come segue: «Sei tu
sposato? Non cercare di divorziare. Sei tu divorziato? Non sposarti. Se però ti
sposi, non pecchi...». Non ho, quindi, scrupoli a consigliare a persone
conviventi da anni, che si convertono, di sposarsi; e ciò anche se hanno alle
spalle un matrimonio finito col divorzio. Certo, se si converte soltanto una
parte di loro, metto dinanzi al neofita l’alternativa di sposarsi o di
separarsi, poiché la convivenza non è un matrimonio; ma non mi opporrò al loro
matrimonio, visto che già condividono vita, casa e letto.
8. {Abele Longo}
▲
Caro Nicola,
apprezzo profondamente le conclusioni, a cui giungi intorno a questo tema
così scottante. D’altronde non riesco nemmeno io a vedere altre alternative
all’insegnamento chiaro e coerente della Parola. Purtroppo vi sono tanti
massimalisti che, pur insegnando la grazia di Dio (come ben detto da te),
impongono pesi che nemmeno loro sono in grado di portare... In questo modo
testimoniano la loro inconsapevole discendenza dal «fariseismo.» Nella nostra
chiesa locale ci stiamo affacciando ora a questo tema e, a dire il vero, si
sarebbe dovuto farlo prima. Un caro saluto in Cristo! {04-03-2011}
9. {Alfons
Karrica}
▲
■
Contributi: 1. Come mai è cosi
difficile accettare credenti divorziati, mentre divorziare è diventato
sempre più facile? Non voglio giudicare nessuno, ma questo mi fa molto
riflettere. {05-03-2011}
2.
Convertirsi da un peccato oppure da un altro dovrebbe fare differenza nel
trattamento?
{05-03-2011}
▬
Risposte (Nicola Martella): 1. Qui
non trattiamo il caso di credenti divorziati, ma soltanto di conviventi
con un divorzio alle spalle, che si convertono a Cristo. Ogni questione
ha la sua problematica e mischiarle insieme non aiuta a chiarire nessuna d’esse.
2.
Quando ci si converte, ciò avviene da ogni peccato del passato senza
distinzione (1 Cor 6,9ss), premesso che ci si ravveda e si cambi vita. Il
condono divino riguarda tutto il passato.
10. {Salvatore
Paone}
▲
■
Contributo: Caro fratello Nicola, condivido
pienamente il tuo pensiero, volevo solo aggiungere alcuni versetti di Paolo: «Del
resto, ciascuno continui a vivere nella condizione, che Dio gli ha
assegnato e come il Signore lo ha chiamato, e così ordino in tutte le chiese.
Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non diventi incirconciso;
qualcuno è stato chiamato quando era incirconciso? Non si faccia circoncidere.
La circoncisione, è nulla e l’incirconcisione è nulla, ma quel che importa è
l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione,
nella quale è stato chiamato» (1 Corinzi 7,17-20). {05-03-2011}
▬
Osservazioni (Vasile Nita): Salvatore, sono
convinto che hai letto anche ciò che c’è scritto prima in 1 Corinzi 7! Credo che
questo non valga per la convivenza. Non esiste un versetto nella Bibbia
che la confermi. Per quanto riguarda la famiglia, la Bibbia è lineare
nell’insegnamento. No al divorzio! Moglie e marito, punto. È questa la
«legge» del Creatore del matrimonio. Tu puoi fare quello che ti pare, ma non
puoi dire che è la volontà di Dio! {05-03-2011}
▬
Risposte (Nicola Martella): 1. Salvatore
Paone, è vero che ognuno è chiamato dal Signore in una certa situazione
esistenziale. Chiaramente 1 Corinzi 7,17-20 ha un senso per il nostro tema se
letti unitamente ai versi, che seguono, specialmente ai versi 27s. Già
nel verso 21 Paolo affermava: «Sei tu stato chiamato essendo schiavo?
Non curartene, ma se puoi divenire libero, è meglio valerti dell’opportunità».
A chi convive al momento della conversione non si può consigliare di
rimanere in tale condizione, ma si può dire a ognuno di loro: «Se ti sposi,
non pecchi» (v. 28).
2.
Vasile Nita, il tema corrente è che cosa fare alla «conversione di
conviventi divorziati» e solo di questo. Divorzio e seconde nozze
sono già stati oggetto di trattazione in altri articoli e temi di discussione,
che qui non vogliamo ripetere.
▬
Replica (Salvatore Paone): Vasile Nita,
forse non mi sono spiegato. Io non sto dicendo che chi divorzia, si può
risposare; chi lo ha detto? Stiamo parlando di persone che erano nell’ignoranza,
ossia non convertite al Signore, e vivevano nella concupiscenza della
carne. Inoltre, non avevano il peso e il timore di Dio, perché non vi era la
conoscenza di tale situazione e, quindi, si erano divorziati. Poi hanno
conosciuto il proprio attuale partner e hanno avuto anche dei figli insieme;
dopo anni si sono convertiti al Signore. Cosa fai, gli dici che debbono
lasciarsi perché sono nel peccato? Sarebbe assurdo fare tale cosa, non trovi?
{05-03-2011}
11. {}
▲
12. {}
▲
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Convers_conviv_divorz_GeR.htm
04-03-2011; Aggiornamento: 18-03-2011
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