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La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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CONVERSIONE DI CONVIVENTI DIVORZIATI?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Con alle spalle vecchie macerie e catene del passato, persone lontane da Dio e con matrimoni falliti si sono ritrovate e hanno cercato di rimettere insieme le loro esistenze all’interno di un cantiere aperto. In seguito, hanno trovato proprio nella clemenza di Dio un nuovo significato e nella fede in Cristo un nuovo cemento... Spesso tali persone, quali nuove creature, chiamate alla libertà in Cristo, si sono dovute confrontare proprio con le nuove catene, poste da alcuni uomini massimalisti. Si sono, quindi, trovati nel conflitto fra il Dio clemente e gli uomini inclementi. Da una parte c’è Dio, che condona le loro passate trasgressioni e dà loro una nuova chance; dall’altra, ci sono spesso puristi e massimalisti, pronti a spaccare il capello in quattro, a colare moscerini e a pretendere da tali neofiti vie di «flagellazione» e «martirio». La «buona notizia» per la fede viene resa così, subito dopo, una «cattiva notizia» per l’esistenza di tali conviventi convertiti.

     Nell’articolo «Conversione di conviventi divorziati» ho risposto alle specifiche domande di un conduttore di chiesa, che riguardano una particolare situazione della loro comunità. È soltanto di questo caso specifico che vogliamo parlare qui di seguito.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Pietro Calenzo

2. Nicola Martella

3. Gianni Siena

4. Pierluigi Prozzo

5. Nicola Martella

6. Pierluigi Prozzo

7. Nicola Martella

8. Abele Longo

9. Alfons Karrica

10. Salvatore Paone

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Pietro Calenzo}

 

Caro Nicola, shalom. Ho letto con molta attenzione sia il caso esposto dal fratello anziano, che ha posto un tema di difficile trattazione come il presente, sia le tue risposte molto precise e scritturalmente dettagliate. Mi spiace molto che il tuoi lavori esegetici su queste problematiche (correlato dalla esegesi ebraica e greca) non abbia potuto vedere la luce, poiché è rispondente al vero, che la trattazione di queste sofferte esperienze di vita, conversione di credenti già coniugati o separati, è molto più attuale, frequente e dolorosa di quanto si possa credere o pensare. Soggettivamente sono persuaso che solo una corretta esegesi testuale ci possa far comprendere quale sia la perfetta volontà di Dio, poiché le due correnti di pensiero, presenti trasversalmente in tutte le chiese evangeliche o evangelicali (massimaliste o possibiliste), sembrano proporre dettagliati passi scritturali che apparentemente e sottolineo apparentemente, sembrano non armonizzarsi.

     In effetti, Gesù stesso, ci ha detto che nell’Antico Testamento il libello del divorzio era stato consentito solamente poiché erano duri di cuore. Ho studiato su tale problematica anche il lavoro del fratello Guglielmo Standridge, e le sue affermazioni paiono altrettanto scritturali e convincenti.

     Il punto focale a mio parere è d’intendere, rettamente ed esegeticamente, in modo preciso che cosa volesse specificare Gesù con il termine «porneia» o con «logos porneias», e che cosa intendesse affermare l’apostolo Paolo con i termini «sei legato» o «sei sciolto», poiché nel contesto dell’intera pericope paolina, è di peculiare importanza.

     In effetti, per quelli che erano i costumi ebraici del tempo (di Maria e Giuseppe) ad esempio, il matrimonio constava di due fasi ben separate e distinte, il contratto del matrimonio e la consumazione dello stesso. Per quanto mi è stato dato modo di comprendere, la richiesta di divorzio poteva essere avanzata anche nella prima fase del rapporto coniugale, prima che i coniugi consumassero il rapporto intimo vero e proprio (o anche successivamente, in caso di appurato adulterio, ma non è il nostro caso), se veniva trovato qualcosa di disonorevole o d’infamante, per esempio nella sposa. Ma a tutti gli effetti, per quelle che sono le mie conoscenze, il matrimonio era considerato tale, nella nostra accezione moderna, vincolante e legalmente effettivo sin dalla prima stipula; e il coniuge innocente poteva (come nel caso di Giuseppe) legittimamente chiedere il divorzio e come tu scritturalmente sottolinei, porre all’indice la sposa adultera. In tale accezione, penso, il Signore Gesù disse che il divorzio era concesso, ma solamente in caso di adulterio, fornicazione (porneia).

     Ad ogni buon conto, caro Nicola, lungi dall’essere dogmatico su tale punto, attendo e prego che il Signore ti conceda di poter pubblicare il tuo lavoro già redatto in questa difficile materia, poiché è rispondente al vero, che tanti credenti, divorziati o separati prima della conversione, vivono questa triste situazione con estrema sofferenza e pathos. Ti abbraccio e ti saluto nel santo nome di Gesù. Shalom. {28-02-2011}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

    Sebbene le questioni di base siano apprezzabili, non condivido vari aspetti del contributo di Pietro Calenzo, ad esempio che il logos porneias (Mt 5,32) si riferisca ai rapporti prematrimoniali, visto che ricalca in greco l’espressione ebraica di Dt 24,1 ’ërwat dabar «nudità di una parola [o cosa]», ossia una «parola / un fatto di nudità»; in questo brano si tratta del proscioglimento di un matrimonio esistente e di nient’altro. Con l’interpretazione di porneia limitata ai soli rapporti prematrimoniali si restringe un campo, che il rabbino giudeo Gesù non intendeva così. In tal modo, si creano prigioni esistenziali per chi è già stato punito dalla vita mediante un coniuge fedifrago, che ha rotto il patto matrimoniale e ha cercato «pastura» altrove. Ho scritto vari articoli sul mio sito al riguardo e non credo che debba ripetermi.

     In ogni modo, il tema di questo attuale articolo non è tanto questo, ma che cosa fare con coppie, in cui uno o ambedue i coniugi sono già irrimediabilmente divorziati, convivono insieme da vari anni e, infine, si convertono al Signore.

 

     Non avrei mai citato Guglielmo Standridge in tale contesto, ma sono costretto a dire qualcosa su di lui e sul suo libro. [Guglielmo Standridge, Pensi al divorzio? Che cosa ne dice la Bibbia? (Associazione Verità Evangelica).]  Sono costretto a farlo, visto che è stato tirato in ballo da questo lettore e visto che anche altri considerano lui e il suo libro come autorità sull’argomento. Egli è un fratello apprezzabile per tanti suoi libri, ma di cui non condivido varie sue analisi su questo argomento. Anche lui ha dovuto confrontarsi con questo tema nella sua propria famiglia. La domanda che resta è la seguente: Dopo varie edizioni della sua opera sul divorzio, ha egli applicato con rigore le sue convinzioni morali anche verso suo figlio, dopo averli applicati verso altri nella sua chiesa? Avendo il figlio cambiato chiesa, mi chiedo se nella pratica Guglielmo abbia realizzato un certo accomodamento, ad esempio ecclesiologico, secondo il seguente motto: se la chiesa, in cui sta (e serve) chi è divorziato e risposato, lo accetta in comunione, le altre chiese non dovrebbero sindacare tale scelta e dovrebbero accettare in comunione tale persona, qualora venisse nella propria chiesa. Qui sarebbe interessante ascoltare la sua opinione.

     Ricordo che uno dei suoi figli, pur essendo divorziato da credente, è (per quanto sappia) predicatore (se non conduttore) in una chiesa e (per quanto possa vedere) collabora attivamente con missioni (Focus; direttore dei programmi di Missione Aurora) ed è attivo nell’opera «Associazione Verità Evangelica» (qui; qui), è autore e redattore in «Punti fermi» (Voce del Vangelo) e compare copiosamente nelle liste dei messaggi registrati della «Chiesa Cristiana evangelica Indipendente Berea» (qui), di cui era in passato «anziano». Conoscendo il rigore morale di Guglielmo in casi del genere, accaduti nella sua chiesa e in altre, in cui è stato coinvolto dai conduttori per consigli specifici, mi chiedo come si sia comportato in questo caso specifico.

     Sebbene questo caso specifico esuli dalla questione attuale (matrimonio di conviventi convertiti), ci interesserebbe approfondire la questione della coerenza di un autore su tale argomento così delicato. Se in tale caso fossero stati applicati coerentemente i principi presentati dal libro di Standridge senior, quest'ultimo non avrebbe mai più dovuto avere comunione non solo con la nuova chiesa del figlio, ma neppure con lui stesso, evitando con lui ogni tipo di collaborazione, che però c'è stata (Focus). Sarebbe interessante sapere la sua attuale opinione al riguardo e sul nostro caso specifico.

 

     Anche in altri casi del genere ho visto che i conduttori applicano alla lettera i proprio principi morali, ma non sono altrettanto rigorosi, quando sono toccati da vicino nella loro propria famiglia; in quest'ultimo caso cercano la quadratura del cerchio e prospettano soluzioni, in cui cercano di salvare, per così dire, capre e cavoli. Certo, preferirei che in casi del genere tali conduttori rivedessero coerentemente le loro opinioni alla luce dei fatti successi nella loro famiglia, rinunciando a certi aspetti del loro massimalismo, invece di dare l'impressione di agire con riguardi personali o con doppio peso e doppia misura. Non sempre i fatti incresciosi nella propria famiglia portano i conduttori a un generale e compassionevole ammorbidimento delle loro posizioni morali, spesso molto intransigenti verso quelli di fuori. Nei casi, in cui tali conduttori sono toccati direttamente in famiglia da problemi del genere, o cercano di tenere nascoste le cose (magari mandando il figlio o la figlia ad abitare in un'altra città) o cercano di trovare una «stampella», che sorregga la scelta differente nei confronti del familiare (p.es. minimizzare, spostare la colpa su altri, ecc.).

 

     Nell’attuale articolo non tratto il divorzio di credenti, ma soltanto la conversione di conviventi già divorziati precedentemente e i cui matrimoni, a distanza di tanti anni, non sono più ricomponibili, a prescindere dal fatto che secondo Deuteronomio 24 tale evenienza sarebbe un abominio. Qui le cose dovrebbero essere molto più semplici da affrontare.

 

Osservazioni 1 (Pietro Calenzo): Caro Nicola, non mi pare di aver generato alcuna prigione esistenziale, anche perché non mi sento di esser dogmatico in tale materia; tant’è che ho affermato un paio di volte che la situazione di credenti divorziati o separati è, in ogni caso, portatrice di situazioni di pathos o di dolorose sofferenze (anche per una esperienza indiretta da me vissuta). Concludo rinnovandoti ogni sorta di benedizioni. Shalom. {01-03-2011}

 

Replica (Nicola Martella): Apprezzo di sovente la collaborazione e i tuoi contributi di Pietro. Come già detto sopra, qui c’è il bisogno di concentrarsi sul tema proposto, ossia la «conversione di conviventi divorziati». È solo a questa questione che vogliamo dare una risposta. 2 Corinzi 5,17 recita: «Se qualcuno è in Cristo, egli è una nuova creazione; il vecchio è passato, ecco è diventato nuovo»; vale anche per loro?

 

Osservazioni 2 (Pietro Calenzo): È vero, caro Nicola, sono andato un po’ oltre il tracciato del tema proposto, ma su questo punto non posso essere dogmatico o preciso poiché vi sono versi della Scrittura, che apparentemente sembrano contraddirsi, ribadisco apparentemente; probabilmente ciò è dovuto solo alle mie lacune o deficienze. In tale ottica, devo rimboccarmi le maniche e lo spirito. Un caro abbraccio in Gesù, carissimo Nicola, e che il Signore continui a benedire il tuo ministero di grande edificazione per tutti i credenti e mio personale. Shalom. {02-03-2011}

 

 

3. {Gianni Siena}

 

Contributo: Casi del genere sono sempre più frequenti nelle chiese. Una donna conviveva con un uomo, lei si convertì e cominciò a frequentare fedelmente le riunioni. Esitava a chiedere il battesimo per aver compreso che la sua situazione «anagrafica» era irregolare. Il pastore della comunità era un tipo rigido e tutti sapevano della situazione della sorella. Un fatto imprevisto la indusse a troncare il rapporto con il convivente. Questo è un caso differente da quello riportato, ma abbiamo (in ogni chiesa) diverse situazioni di coppie «irregolari». Il matrimonio è «indissolubile» (soprattutto: agli occhi di Dio)? Certamente, ma non «indistruttibile»!

     E noi dobbiamo prendere atto della mutata situazione sociale odierna. Occorre ricordare queste situazioni solamente quando le persone «ambiscono a un’opera buona»: per svolgere un servizio nella chiesa, bisogna essere irreprensibili.

     Se c’è modo di ricomporre una famiglia devastata dal divorzio, la chiesa deve, in spirito di preghiera, incoraggiare questa soluzione, ricordando che l’uomo non deve separare ciò, che Dio ha unito.

     Per tutti gli altri casi non siamo noi i giudici dei fratelli, che Dio ci dà come compagni di cammino.

     Se abbiamo una splendida famiglia e una buona testimonianza morale, ringraziamo Iddio e non poniamoci sulla «pole position» per questo: siamo tutti molto fragili. La tentazione di considerarci un gradino al di sopra degli altri, è sempre in agguato: l’orgoglio dettato dalla moralità non è una tentazione che coglieva solo i Farisei… anche noi cristiani siamo vulnerabili. Saluti e benedizioni... {02-03-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Condivido molti degli aspetti di questo contributo. Faccio notare solo un paio di aspetti. Per ogni ordinamento dato da Dio c’è il principio generale (Gn 2,24; Mt 19,4ss; Rm 7,2) e le dovute eccezioni (Dt 24,1ss; Mt 19,9; 1 Cor 7,27s). Qualunque siano state le ragioni di tali precetti, il legislatore è stato comunque Dio.

     L’irreprensibilità quale prerequisito per il servizio (cfr. 1 Tm 3; Tt 1) non si misura con la condotta prima della conversione (1 Cor 6,9ss; 2 Cor 5,17), ma con quella da credente. Se così non fosse, Paolo stesso sarebbe stato squalificato da ogni tipo di ministero (1 Cor 15,9s; Gal 1,13ss).

     Una «famiglia devastata dal divorzio» si può ricomporre fintantoché i due coniugi non sono passati ad altri, altrimenti non si commette soltanto una trasgressione ma un abominio agli occhi di Dio (Dt 24,4).

     È vero, noi siamo tutti molto fragili e vulnerabili. Perciò, facciamo bene a non vantare meriti, a vegliare e badare alla nostra propria condotta (1 Cor 9,27; 10,12), a recuperare gli sviati (Gcm 5,19s), a usare misericordia verso gli altri (Mt 12,7), a non spezzare la canna rotta, a non spegnere il lucignolo già fumante (Mt 12,20)… a non essere più giusti di Dio.

 

 

4. {Pierluigi Prozzo}

 

Posso farti una domanda, fratello Nicola? Partendo da quello che capisco della tua interpretazione di 2 Corinzi 5,17 — che purtroppo non posso condividere, in quanto quella è una frase che sempre più spesso viene usata / abusata, per far quello che pare bene a un sacco di nuovi credenti religiosi non nati di nuovo (e anche il contesto di tale versetto a mio avviso porta a tutt’altre conclusioni...) — dicevo, se uno si converte, secondo te tutte le conseguenze degli errori del passato agli occhi di Dio e nei confronti del mondo sono da annullarsi? Oppure proprio alla luce della «nuova nascita», uno troverà la forza e la vera direzione per aggiustare veramente tutti i propri errori (o per lo meno le conseguenze di questi), anche con apparente o effettiva sofferenza, oltre che iniziali e successive rinunzie della carne?

            Inoltre, nello specifico del tema trattato, se uno davvero è convertito, e lo Spirito di Dio inizia ad albergare in tali persone, non dovrebbero queste farsi un bell’esame di coscienza, e disporsi verso Dio pronti a qualsiasi risposta che Dio gli metterà in cuore? Sono d’accordo che si debba chiedere il consiglio di fratelli, di anziani e di conduttori, ma credo fermamente che lo sguardo e le orecchie del vero credente debbano essere rivolte in primis verso la Parola di Dio, nella continua ricerca della sua giustizia, a prescindere dei pareri denominazionali o delle coscienze altrui. Se come dici giustamente, il matrimonio è un patto, un voto, e chi si sposa crede a ciò, dovrebbe sapere anche che ha validità per la vita che ciascuno vive. Ciascun componente della coppia promette fedeltà a prescindere di ciò, che farà o succederà all’altro; quindi, se uno sbaglia, ciò non dà diritto all’altro di sbagliare pure lui. E se davvero uno è in Cristo, queste cose le dovrebbe capire, e cercherà di riparare alle ingiustizie perpetrate, non che andrà avanti, come se nulla fosse successo, come se i voti del passato non valessero un bel nulla.

            Numerose volte io ho sentito gente interpretare quel passo in maniera distorta fino ad arrivare a dire: «Che sciocco sono stato a maritarmi, ho fatto tutto nella carne e manovrato da una coscienza fuori della grazia di Dio, adesso che sono veramente convertito, posso dare un calcio al passato e farmi una vita nuova, con la persona, che Dio vuole, che sia la mia compagna come Dio veramente gradisce...». E il bello (o meglio, il brutto), è che questi discorsi sono stati fatti ed eseguiti da sedicenti «ministri di Dio», anche molto famosi e seguiti. Possa Iddio guidarci nelle sue vie e benedirci. Pace. {03-03-2011}

 

 

5. {Nicola Martella}

 

Risposte generali

     Essere scrupolosi verso la Parola di Dio, è un bene. Che i brani biblici possano essere oggetto di interpretazione arbitraria e strumentalizzazione, è risaputo; ciò può accadere in un senso o nell’altro, secondo il liberalismo o il massimalismo. Ciò non toglie che 2 Corinzi 5,17 abbia una forte asserzione, che non si può sminuire: «Se qualcuno è in Cristo, egli è una nuova creazione; il vecchio è passato, ecco è diventato nuovo». Questo brano non vuole istigare ad agire con arbitrio per il futuro, ma costituisce chiaramente un condono per la vita passata, di chi si ravvede e si converte, qualunque peccato abbia commesso prima (1 Cor 6,9ss).

     È vero che matrimonio è un patto per la vita, e questo lo sanno i credenti; ma qui trattiamo della vita precedente alla conversione. È chiaro che una vera rigenerazione porta con sé il volersi fare un esame di coscienza, il voler riparare agli errori passati, non per redimersi ma per piacere a Dio, e il disporsi alla volontà di Dio. Non tutto è però riparabile, al momento della conversione, tanto meno passate relazioni matrimoniali, specialmente dopo tanti anni e quando si sono contratti altri legami, sia il neofita, sia l’ex-coniuge. Inoltre, alcuni credenti nelle chiese mostrano spesso di voler essere più giusti di Dio, fintantoché c’è da giudicare persone che non appartengono al proprio clan.

 

Approfondimenti

     In ogni modo, qui il discorso è ben circoscritto e chiaro e riguarda persone precedentemente divorziate e poi conviventi da anni o addirittura risposate; poi è avvenuta la loro conversione. Nel mio articolo rispondo a precise domande di un conduttore di chiesa; e nelle mie risposte non intendo dare un alibi di comodo ad alcuno per perpetuare ingiustizie (addirittura da credente!). Ho evidenziato sopra che la rigenerazione porta a mettere a posto le cose infrante, per quel che è ancora possibile. Ho però fatto altresì notare che è difficile rimettere a posto matrimoni rotti oramai da anni, visto che gli antichi coniugi si trovano pure loro in nuovi legami e spesso con nuova prole. Inoltre il ritorno di un coniuge al primo partner, dopo essere passato a una nuova convivenza, sarebbe per la legge non solo un peccato, ma un abominio (Dt 24,4).

     Il perdono di Dio, al momento della conversione, è chiaramente un condono delle antiche colpe; e ciò vale per ogni categoria di peccatori: fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avidi, ubriachi, oltraggiatori e rapaci (1 Cor 6,9s). «E tali eravate alcuni, ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del Dio nostro» (v. 11). Solo ciò può permettere una nuova vita secondo Dio e fa sì che l’Evangelo sia veramente una «buona novella». Altra cosa è per chi cerca alibi nel perdono di Dio per commettere altre ingiustizie; ciò non è però oggetto del tema attuale.

     Qui si tratta soltanto dell’intervento adeguato riguardo a coppie di conviventi o di risposati, una volta che si sono convertite. In tali casi bisogna rifuggire dal liberalismo e dal massimalismo e fare ciò che è giusto in ogni singola situazione: ossia condonare ciò che è stato in passato e che non si può più ripristinare e ristabilire le cose su una nuova base di legalità; ad esempio, i conviventi convertiti si sposino e comincino un nuovo capitolo.

 

 

6. {Pierluigi Prozzo}

 

Sì, capisco bene che quando qualcuno non è in completa sintonia col proprio pensiero e convinzioni si cerca di fare un nuovo tentativo ripetendo e chiarendo meglio le proprie posizioni con la speranza che l’altro possa allinearsi, ma non ce ne era assolutamente bisogno, ho letto tutto, altrimenti non avrei parlato; io uso fare così.

            Venendo al tema, non voglio prolungare oltremodo la mia polemica, ma ripartendo dalla tua ultima frase, spero che sia più chiaro il messaggio generico (ma non troppo, è che faccio fatica a esprimermi chiaramente e brevemente) che ho voluto condividere prima: «I conviventi convertiti si sposino e comincino un nuovo capitolo».

     Ecco, perché? Perché invece non soppesare la seguente opzione. I conviventi convertiti, se realmente lo sono, devono separarsi e iniziare una nuova vita volenterosi a ubbidire a Dio in tutto e per tutto, anche rimanendo casti per riprendere fede alla vecchia promessa matrimoniale. Dove è scritto che per forza questi devono maritarsi o ritornare al vecchio partner? Non è forse vero che il vecchio voto è stato disonorato perché preda della carne, e non è forse vero che anche il nuovo fidanzamento (e peggio ancora convivenza) è il frutto nuovamente di scelte fatte ancora nella carne?

     A parer mio, quindi, si deve chiedere ai nuovi convertiti di riflettere su quale debba essere la loro nuova vita in Cristo, spronandoli a cercare la guida di Dio qualunque essa sia; non si deve spingerli, rischiando di fargli commettere una nuova scelta sbagliata, cioè di sposarsi con la persona con cui s’intrattiene una relazione di adulterio. Pace. {03-03-2011}

 

 

7. {Nicola Martella}

 

Pierluigi Prozzo ha il diritto di pensarla così; devo rispettare il suo pensiero, sebbene io non condivida questa sua visione, ritenendola intransigente e poco praticabile dal punto di vista pastorale, ecclesiale e umano. La vita è più complessa; mi chiedo che cosa farebbe con sua figlia o con sua sorella, se si trovasse in tali circostanze. Ci sono coppie che convivono da 10-15 anni (altre anche da più tempo) e hanno figli in comune e hanno doveri verso l’altro partner e la verso comune prole. Presentare loro la «Buona Notizia» (= l’Evangelo) e un tale programma massimalista, significa mettere su di loro un giogo di ferro e mandarli nel labirinto; altro che liberazione.

     Vedo ancora una volta che Dio è più misericordioso dell’uomo. Egli è disposto a condonare il passato e a dare una nuova chance (cfr. il «tali eravate alcuni, ma…», 1 Cor 6,9ss). Gesù disse ai puristi e massimalisti Farisei: «Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia, e non sacrificio”; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Mt 9,13; 12,7). Egli disse di sé quale Messia: «Egli non triterà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante, finché non abbia fatto trionfare la giustizia» (Mt 12,20).

     L’apostolo Paolo regolamentò anche la situazione di persone divorziate, che si convertivano, come segue: «Sei tu legato a una moglie? Non cercare d’esserne sciolto. Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però prendi moglie, non pecchi...» (1 Cor 7,27s). I termini «legare» e «sciogliere» si riferivano nel diritto d’allora rispettivamente ai termini «sposare» e «divorziare». Perciò tali versi si possono parafrasare come segue: «Sei tu sposato? Non cercare di divorziare. Sei tu divorziato? Non sposarti. Se però ti sposi, non pecchi...». Non ho, quindi, scrupoli a consigliare a persone conviventi da anni, che si convertono, di sposarsi; e ciò anche se hanno alle spalle un matrimonio finito col divorzio. Certo, se si converte soltanto una parte di loro, metto dinanzi al neofita l’alternativa di sposarsi o di separarsi, poiché la convivenza non è un matrimonio; ma non mi opporrò al loro matrimonio, visto che già condividono vita, casa e letto.

 

 

8. {Abele Longo}

 

Caro Nicola, apprezzo profondamente le conclusioni, a cui giungi intorno a questo tema così scottante. D’altronde non riesco nemmeno io a vedere altre alternative all’insegnamento chiaro e coerente della Parola. Purtroppo vi sono tanti massimalisti che, pur insegnando la grazia di Dio (come ben detto da te), impongono pesi che nemmeno loro sono in grado di portare... In questo modo testimoniano la loro inconsapevole discendenza dal «fariseismo.» Nella nostra chiesa locale ci stiamo affacciando ora a questo tema e, a dire il vero, si sarebbe dovuto farlo prima. Un caro saluto in Cristo! {04-03-2011}

 

 

9. {Alfons Karrica}

 

Contributi: 1. Come mai è cosi difficile accettare credenti divorziati, mentre divorziare è diventato sempre più facile? Non voglio giudicare nessuno, ma questo mi fa molto riflettere. {05-03-2011}

     2. Convertirsi da un peccato oppure da un altro dovrebbe fare differenza nel trattamento?

{05-03-2011}

 

Risposte (Nicola Martella): 1. Qui non trattiamo il caso di credenti divorziati, ma soltanto di conviventi con un divorzio alle spalle, che si convertono a Cristo. Ogni questione ha la sua problematica e mischiarle insieme non aiuta a chiarire nessuna d’esse.

     2. Quando ci si converte, ciò avviene da ogni peccato del passato senza distinzione (1 Cor 6,9ss), premesso che ci si ravveda e si cambi vita. Il condono divino riguarda tutto il passato.

 

 

10. {Salvatore Paone}

 

Contributo: Caro fratello Nicola, condivido pienamente il tuo pensiero, volevo solo aggiungere alcuni versetti di Paolo: «Del resto, ciascuno continui a vivere nella condizione, che Dio gli ha assegnato e come il Signore lo ha chiamato, e così ordino in tutte le chiese. Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non diventi incirconciso; qualcuno è stato chiamato quando era incirconciso? Non si faccia circoncidere. La circoncisione, è nulla e l’incirconcisione è nulla, ma quel che importa è l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione, nella quale è stato chiamato» (1 Corinzi 7,17-20). {05-03-2011}

 

Osservazioni (Vasile Nita): Salvatore, sono convinto che hai letto anche ciò che c’è scritto prima in 1 Corinzi 7! Credo che questo non valga per la convivenza. Non esiste un versetto nella Bibbia che la confermi. Per quanto riguarda la famiglia, la Bibbia è lineare nell’insegnamento. No al divorzio! Moglie e marito, punto. È questa la «legge» del Creatore del matrimonio. Tu puoi fare quello che ti pare, ma non puoi dire che è la volontà di Dio! {05-03-2011}

 

Risposte (Nicola Martella): 1. Salvatore Paone, è vero che ognuno è chiamato dal Signore in una certa situazione esistenziale. Chiaramente 1 Corinzi 7,17-20 ha un senso per il nostro tema se letti unitamente ai versi, che seguono, specialmente ai versi 27s. Già nel verso 21 Paolo affermava: «Sei tu stato chiamato essendo schiavo? Non curartene, ma se puoi divenire libero, è meglio valerti dell’opportunità». A chi convive al momento della conversione non si può consigliare di rimanere in tale condizione, ma si può dire a ognuno di loro: «Se ti sposi, non pecchi» (v. 28).

     2. Vasile Nita, il tema corrente è che cosa fare alla «conversione di conviventi divorziati» e solo di questo. Divorzio e seconde nozze sono già stati oggetto di trattazione in altri articoli e temi di discussione, che qui non vogliamo ripetere.

 

Replica (Salvatore Paone): Vasile Nita, forse non mi sono spiegato. Io non sto dicendo che chi divorzia, si può risposare; chi lo ha detto? Stiamo parlando di persone che erano nell’ignoranza, ossia non convertite al Signore, e vivevano nella concupiscenza della carne. Inoltre, non avevano il peso e il timore di Dio, perché non vi era la conoscenza di tale situazione e, quindi, si erano divorziati. Poi hanno conosciuto il proprio attuale partner e hanno avuto anche dei figli insieme; dopo anni si sono convertiti al Signore. Cosa fai, gli dici che debbono lasciarsi perché sono nel peccato? Sarebbe assurdo fare tale cosa, non trovi? {05-03-2011}

 

 

11. {}

 

 

12. {}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Convers_conviv_divorz_GeR.htm

04-03-2011; Aggiornamento: 18-03-2011

 

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