Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SISTEMA CONGREGAZIONALISTA O PRESBITERIANO?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nell’articolo «Sistema congregazionalista o presbiteriano?» abbiamo parlato di «conduzione collegiale» e di «controllo dottrinale». Abbiamo anche messo a confronto il sistema congregazionalista e quello presbiteriano. Abbiamo altresì discusso come gli indizi, presenti nel NT per la situazione missionaria, vengano usati talvolta impropriamente per avvalorare il sistema presbiteriano.

     Chiaramente tutti i sistemi hanno in sé il «verme», specialmente quando si estremizzano. L’autonomismo eccessivo delle chiese locali porta all’isolamento, alla diffidenza, alla presunta autosufficienza e ad aumentare inutilmente gli sforzi per fare le stesse cose nelle stesse zone. Nei casi peggiori porta al settarismo.

     Il dirigismo di una «casta» ministeriale a livello locale e sovra-locale porta alla formazione di una sorta di clero, che crede di avere una delega di patria potestà verso una «massa» di fedeli minorenni (e spesso tenuta tale per mantenere i propri privilegi). In tal caso, i conduttori da allenatori si trasformano in addomesticatori; e i membri sono ridotti a «pedine» su uno scacchiere ecclesiale, a cui bisogna dire con un’autorità, falsamente intesa, che cosa credere e che cosa fare, senza tollerare discussioni in merito, pena la scomunica.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Marco Soranno

2. Gianni Siena

3. Luciano Leoni

4. Nicola Martella

5. Marco Soranno

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Marco Soranno}

 

Credo che molti evangelici italiani siano attratti dal sistema presbiteriano perché «delusi» dall’iper-congregazionalismo, ossia dagli eccessi di certi conduttori (modello «Diotrefe»), e quindi si pensa che una conduzione sinodale risolverebbe certi problemi, ma non è così. Il problema rimane sempre, sinodo o assemblea locale che sia. Se temiamo l’opera degli uomini e trascuriamo l’esercizio dei doni, l’opera dello Spirito, ma sopratutto la predicazione della Parola di Dio nella sua completezza, allora non potremo crescere nella fede.

     Concludo ricordando che la chiesa locale deve ricordarsi che l’autonomia non vuol dire isolamento, e che la parola «autonomia» non si trova nel NT, e se non ricordo male vuol dire «legge a se stessi», quindi si dovrebbe evitare d’usarla. {13 novembre 2008}

 

 

2. {Gianni Siena}

 

Caro Nicola, pace. Io sono nato in una famiglia evangelica e sono nella fede dal 1975; con gli anni ne ho viste di cotte e di crude. Da molto tempo, considero ormai secondario il tipo di governo della comunità rispetto alla qualità interiore delle persone che sono chiamate alla responsabilità di istruire e condurre la fratellanza: con buon esempio personale e sana dottrina biblica. Volesse il Signore se, una mattina (= che non verrà), si facessero un esame di coscienza per vedere di ristabilire un giusto rapporto con la fratellanza e con i loro conservi di ministero: nell’interesse del Regno di Cristo e di loro stessi, al Quale renderanno conto!

     Vi sono comunità che (in parte) gemono o (in maggioranza) sono accecate da ambiziosi «pastori e/o anziani» che fanno come meglio pare loro, affiancati da persone che hanno da fare ammenda davanti al Signore per la loro precedente condotta.

     Se v’è qualche buon conduttore, ha il plauso della fratellanza (che ha saputo lasciarsi guidare dal Signore nello scegliere) ma non senza problemi... Qualche volta (= spessissimo) deve vedersela con certi ambiziosi aspiranti «stalloni» da pulpito pronti a provocare dissensioni, non appena hanno un seguito che s’è lasciato incantare da loro. Non serve aggiungere altro, temo (quasi a ragione) che conduttori secondo il cuore del Maestro ve sono (e ve ne saranno sempre) pochi.

     Ti saluto e, se vorrai pubblicare questa breve lettera, ti farà inondare la casella d’e-mail di protesta, ma io conosco abbastanza bene l’ambiente evangelico e la mia suddetta opinione corrisponde molto alla realtà. {13 novembre 2008}

 

 

3. {Luciano Leoni}

 

Leggendo i primi due interventi ho potuto vedere come, con facilità, si sia spostato il nucleo dell’argomento (presbiteriano o congregazionale?) da quanto era il motivo stesso dell’argomento. È indubbio che vi siano dei «Diotrefe» nelle chiese ed è altrettanto chiaro che senza «qualità interiore» si cade in quanto ha ben descritto il fratello Gianni Siena, quando, in pratica, non è la «volontà di servire» a guidare ma domina la «volontà d’essere serviti». Questo è chiaro, come è chiaro che i sistemi, fini a se stessi, non possono produrre quello che produce solo una vera adesione a Cristo, e in questo mi trovo d’accordo con il fratello Marco Soranno. Tuttavia ribadisco che l’argomento su cui riflettere è: un sistema di conduzione presbiteriano potrebbe essere più indicato rispetto a un sistema congregazionalista?

     Il fratello Nicola ha ben risposto in merito argomentando ed esponendo in modo preciso e puntuale quelle che sono le sue convinzioni. Alcune di queste convinzioni le condivido, alcune meno e alcune non mi sembrano convincenti. Tralasciando ciò che condivido passo a quello che non mi convince.

     Il punto riguarda il «controllo dottrinale». Gli stessi punti citati dal fratello Nicola, in realtà, danno forza a un intervento da parte dell’apostolo Paolo a tutela d’una «sana dottrina», e questo aldilà del fatto che questa falsa dottrina provenga dal giudaismo. Per meglio comprendere sarebbe opportuno leggere quanto scritto dall’apostolo Paolo nelle lettere pastorali. In queste parole è chiaro che vi è una dottrina vera e vi è una dottrina falsa ed egli si prodiga affinché non si cada in errore: «Se uno insegna una dottrina diversa e non s’attiene alle sane parole, quelle del Signor nostro Gesù Cristo e alla dottrina che è secondo pietà, è gonfio e non conosce nulla…» (1 Tim 6,3-4). Vi è chi insegna una dottrina diversa, Paolo se ne preoccupa e spinge a vigilare su questo: «Ti scongiuro dunque davanti a Dio e al Signore Gesù Cristo, che ha da giudicare i vivi e i morti, nella sua apparizione e nel suo regno: predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, rimprovera, esorta con ogni pazienza e dottrina. Verrà il tempo, infatti, in cui non sopporteranno la sana dottrina ma, per prurito d’udire, s’accumuleranno maestri secondo le loro proprie voglie  e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, fa l’opera d’evangelista e adempi interamente il tuo ministero» (2 Tim 4,1-4). Paolo chiede (anzi ordina) che si faccia attenzione che colui a cui s’affida l’incarico di vescovo sia attento alla sana dottrina, costui, infatti bisogna «che ritenga fermamente l’insegnamento secondo la fedele parola, per essere in grado d’esortare nella sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono» (Tit 1,9). Paolo esorta Tito a una attenzione particolare verso gli altri e verso se stesso: «Ma tu parla di cose che siano conformi alla sana dottrina» (Tit 2,1). Seppure in contesto «missionario» le cose sono state dette e scritte per nostro insegnamento, sia per il passato che per il futuro. I credenti sono sempre in missione e la vigilanza sulla sana dottrina non è un accessorio ma un dovere (che vedo ben assolto dal fratello Nicola con il suo lavoro e di cui rendo grazie a Dio).

     È giusto quanto afferma Nicola concludendo la sua analisi: ci vuole equilibrio. Equilibrio per evitare che si cada in un estremismo o in un altro, per questo non dobbiamo dimenticare che in una collegialità potrà sempre esserci chi ci resiste «faccia a faccia» se sbagliamo. Un bene per noi e per le comunità che serviamo. {16 novembre 2008}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Le cose che afferma Luciano sono giuste: bisogna vegliare sulla sana dottrina e guardare il gregge sia dai lupi rapaci esterni, sia dai malintenzionati interni. Questo è ciò che l’apostolo Paolo raccomandava ai conduttori della chiesa di Efeso (At 20,28ss).

     Per onestà intellettuale bisogna comunque ammettere alcune cose. Una situazione di fondazione di chiese in una zona vergine, in cui un missionario fondatore (apostolo) agisce con la sua squadra, è cosa ben diversa dalla gestione corrente di chiese già fondate e gestite da conduttori. Come ho fatto già notare, Paolo e la sua squadra agivano in certe zone, mentre in altre c’erano ulteriori simili squadre. Paolo si vantava di non essere sconfinato in zone gestite da altri, né si era gloriato del lavoro altrui (2 Cor 10,13-16). Quando Paolo non ebbe più campo missionario in loco, non si dedicò alla gestione delle chiese fondate come una specie di supervisore o «patriarca», ma cercò un nuovo campo di missione altrove, con l’intenzione di recarsi nella lontana Spagna (Rm 15,23s.28). Era difficile gestire una supervisione sulle chiese fondate a migliaia di chilometri di distanza con i mezzi di comunicazione d’allora.

     Quando Paolo istruì i collaboratori della sua squadra circa il daffare in tale situazione missionaria, si trovava in tale fase di costruzione. In siffatte istruzioni, quando parlò del governo delle chiese, previde localmente una gestione dell’opera di Dio mediante conduttori (chiamati presbiteri o episcopi). Non ipotizzò nessuna forma di supervisione dottrinale sopralocale o regionale. Poiché nella norma le comunità locali erano costituite da «chiese in casa», rette da un responsabile, che apriva la sua casa alla testimonianza, si può pensare al massimo a una gestione collegiale dell’intera compagine ecclesiale locale mediante un «consiglio di chiesa».

     Tutto questo è però qualcosa di diverso da ciò che facevano Paolo, Timoteo, Tito e altri membri della stessa squadra apostolica (cfr. 2 Tm 4,10ss.20; Tt 3,12s) nella fase di fondazione delle comunità (fase A) e in quella di stabilizzazione mediante l’insediamento delle loro guide (fase B; Tt 1,5). Le istruzioni di Paolo ai suoi collaboratori erano in vista che l’apostolo si recasse di persona nella zona missionaria che necessitava della «fase B» (stabilizzazione mediante guide riconosciute) o che, concludendosi tale fase, il collaboratore raggiungesse l’apostolo per coadiuvarli in altre attività. Nella prima epistola a Timoteo affermava: «Io ti scrivo queste cose, sperando di venire presto da te e, se mai tardo…» (1 Tm 3,14s). Mentre nella seconda lettera ingiungeva al suo collaboratore: «Studiati di venire presto da me… prima dell’inverno» (2 Tm 4,9.21). Scrisse similmente a Tito: «Quando t’avrò mandato Artemas o Tichico, studiati di venire da me a Nicopoli, perché ho deciso di passare quivi l’inverno» (Tt 3,12). Quando Paolo e la sua squadra eleggeva o faceva «eleggere per ciascuna chiesa degli anziani», non era per rimanerci e detenere sopra di loro un «controllo» gestionale o dottrinale, ma andava semplicemente altrove (At 14,23ss). Quando, dopo un certo periodo, sentivano il bisogno o la necessità di tornare nelle chiese fondate da lui e dalla sua squadra, non era per esercitare lì un qualsiasi controllo, ma per motivi di dovere morale e di edificazione: «Torniamo ora a visitare i fratelli in ogni città dove abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno» (At 15,36). Per dare l’idea, essi si comportavano non come genitori, che hanno una delega verso figli minorenni, ma come padri verso figli sposati e maggiorenni, da trattare con rispetto e delicatezza.

     L’unico «controllo» (ma preferirei parlare di supervisione) gestionale e dottrinale, di cui il NT parla, è quello dei conduttori (chiamati episcopi o presbiteri) verso le loro proprie assemblee locali e i loro membri. Quello che faceva un apostolo era di parlare da episcopo a episcopi, esortandoli fare le cose in un certo modo per piacere al Signore, per pascere il gregge e per evitare pericoli incombenti (1 Pt 5,1ss; At 20,17-35).

     Tutte le possibili forme di aggregazione fra chiese, secondo criteri territoriali (1 Cor 16,1; 2 Cor 8,1; Gal 1,2) o altri, non sono illegittime di per se stesse. Se si tiene comunque presente la «storia delle chiese» degli ultimi due millenni, si prenderà atto come si passa facilmente da una supervisione sopralocale alla formazione di organi clericali o simili, i quali nuocono col loro potere e le loro decisioni spesso l’opera di Dio. Ciò non significa che non ci possano essere organi di consultazione sopralocali (conferenze di conduttori, gruppi di lavoro, tavole rotonde, task-force, ecc.). Ciò è però una cosa diversa da un «controllo dottrinale».

 

 

5. {Marco Soranno}

 

Se leggiamo il Nuovo Testamento e vogliamo ricavarvi un sistema ecclesiale da applicare ai giorni nostri, dovremmo tener conto secondo me d’alcuni fattori: la presenza dei Dodici Apostoli e l’influenza della Chiesa di Gerusalemme (oltre alla figura di Giacomo, secondo alcuni storici). Ho conosciuto credenti che han potuto attingervi riferimenti a una struttura sinodale e altri per il congregazionalismo. Personalmente credo che la Scrittura ci conduca verso principi d’ecclesiologia da applicare oggi, che si riscontrano nella collegialità degli anziani, nella collaborazione fraterna tra chiese, l’esercizio dei doni; mentre il modello d’un sinodo tra chiese sorelle sul modello presbiteriano è basato più sulla storia che sulla Scrittura. {18 novembre 2008}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Congregaz_presbiter_parla_Avv.htm

13-11-2008; Aggiornamento: 18-11-2008

 

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