Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ASPETTI DELLA CONDUZIONE NEL NT E OGGI?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Andrea Artioli

2. Edoardo Piacentini

3. Enzo D’Avanzo

4. Mario Manduzio

5. Tony Diserra

6. Barbara Besola

7. Gianfanco Bruera

8. Luca Matranga

9. Nicola Martella

10.

11.

12. Autori vari

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

Alcuni pensano che la migliore conduzione nelle chiese sia quella monocratica (conduttore unico); altri, al contrario, affermano che la conduzione collegiale ecclesiale sia la forma migliore. Sebbene nel NT ci siano indizi per l’una o l’altra forma di conduzione, bisogna tener presente che l’insegnamento apostolico metteva al centro le qualità dei conduttori, non tanto le forme di conduzione. Abbiamo approfondito questi aspetti nell’articolo «Aspetti della conduzione nel NT e oggi», che qui di seguito approfondiamo e discutiamo.

 

1. Conduzione nella chiesa di Gerusalemme

     Una questione, che mi sono posto, è la seguente: «Come era guidata la chiesa di Gerusalemme, ossia la prima assemblea del nuovo patto?». Nell’articolo di riferimento abbiamo visto che i Giudei amavano, per motivi storici, culturali e religiosi, una conduzione plurale (cfr. sinagoghe, Sinedrio). Tutto ciò fu rispecchiato anche nella conduzione ecclesiale? Ecco qui di seguito alcune riflessioni in merito.

     ■ Fase iniziale: Le guide indiscusse e insegnanti della chiesa di Gerusalemme erano i dodici apostoli (apostolos = inviato, ambasciatore, responsabile, rappresentante, ecc.). Quindi la conduzione era plurale.

     ■ Fase di transizione: Ingrandendosi l’opera, agli apostoli furono associati sette uomini come collaboratori (At 6). Essi non erano «diaconi», come comunemente si afferma (tale termine non ricorre mai in tale testo), ma i loro coadiutori nell’intera opera della chiesa e quindi i futuri anziani della chiesa.

     ■ Fase finale: La maggior parte degli apostoli si trasferì, a mano a mano, in terra di missione. Dapprima rimasero solo Pietro e Giovanni, che associarono particolarmente Giacomo nella guida della chiesa; tutti e tre formavano le «colonne della chiesa». Ad essi furono associati, nel tempo, altri anziani. Alla fine, rimasero soltanto Giacomo e gli anziani; questo era il caso, quando Paolo visitò la chiesa di Gerusalemme per l’ultima volta (At 21,18ss).

 

Ciò mostra che la conduzione della chiesa di Gerusalemme era plurale. Quindi nessuno può asserire che la conduzione collegiale non sia biblica.

 

2. Conduzione nelle chiese a maggioranza gentile

     Dall’altra parte, è bene evidenziare pure che qui ci troviamo in ambito giudaico. In ambito delle chiese elleniste troviamo varie combinazioni, a seconda se le chiese erano composte in prevalenza da cristiani giudei della diaspora o da cristiani gentili. Tali combinazioni vanno, quindi, dalla conduzione plurale a quella monocratica. Abbiamo detto che Gesù si rivolse a sette specifici conduttori di chiesa, scrivendo loro delle lettere personali, in cui non menzionò altri responsabili (Ap 2s). Abbiamo anche detto che Paolo a Mileto mandò a chiamare i conduttori della chiesa di Efeso (At 21; Luca li chiamò episcopi e presbiteri, intendendo le stesse persone). Come si vede, allora c’era una grande varietà nella conduzione. Oltre a ciò, come abbiamo mostrato, il comune modo di incontrarsi era quello delle «chiese in casa»; i conduttori non erano solo dei «leader per i culti», dove essi partecipavano di volta in volta in tali «chiese in casa», ma erano insieme le guide e coordinatori dell’intera opera locale.

     Sia Gesù (Ap 2s) che l’apostolo Paolo (1 Tm 3; Tt 1) misero l’enfasi sulla qualità dei conduttori, non tanto sulla forma di conduzione. Abbiamo visto che tali due modelli di base (e le loro variazioni) hanno punti di forza e di debolezza.

     Io, personalmente, propendo maggiormente per una conduzione plurale, ma solo se tale collegio è formato da conduttori di nome e di fatto, ossia che siano al di sopra di ogni riprensione, quindi con le qualità prescritte dalla Scrittura (cfr. 1 Tm 3; Tt 1). Meglio non mettere in sella un conduttore senza qualifiche, poiché farà molto danno alla chiesa (e agli altri conduttori) e sarà sempre tragico e doloroso per tutti farlo scendere dal cavallo.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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1. {Andrea Artioli}

 

Contributo: Caro Nicola, sinceramente non mi piace questa classificazione. Non penso che il culto di adorazione sia monocratico né sia collegiale. Piuttosto deve essere teocentrico o teocratico.

     È certo che la conduzione collegiale per la maggior parte dei casi è sempre caotica. In quella monocratica la chiesa riversa tutte le funzione e responsabilità su una persona sola.

     Credo quindi che questa classificazione sia molto debole e illusoria. Sicuramente c’è di meglio. {10-04-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Io non ho parlato di «culto di adorazione», ma di struttura della chiesa locale; sono due cose del tutto differenti. Non ho neppure preso partito per nessun sistema, ma ho illustrato i due di base, mostrandone i punti di forza e di debolezza.

     Che la chiesa sia una «teocrazia», è tutto da dimostrare; il termine «teocrazia» indica nella «teologia biblica» (o storico-esegetica) il particolare governo di Dio nel regno politico di Israele mediante i cosiddetti «organi dell’alleanza» (specialmente sacerdozio, re e capi; secondariamente i profeti). La chiesa non ha un regno politico sulla terra, non ha una capitale, non ha re politici che la governino, né sacerdoti levitici che ne amministrino i culti. Perciò, l’assemblea messianica del NT, pur essendo parte del «regno di Dio», non è una «teocrazia». Quest’ultima si realizzerà alla fine dei tempi, quando Gesù, l’Unto a Re, tornerà a regnare e instaurerà il suo regno politico in terra.

 

Replica 1 (Andrea Artioli): Caro Nicola, siccome parli di «conduzione» è logico collegare la guida della chiesa con la guida nel culto di adorazione. Se chi guida una chiesa, non deve guidare il culto... cosa ci sta a fare??? Tuttavia, sia che si parli dell’uno o dell’altra questione le due cose sono strettamente collegate. La teocrazia non ha solo a che vedere con Israele, ma con tutta la nostra vita, le nostre decisioni e la vita e la conduzione di chiesa. {10-04-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): La «conduzione» non si limita alla guida dei culti, ma abbraccia l’intera vita della chiesa, che consiste nel «pasturare» (o pascere) il gregge di Dio. Ciò fu espresso molto bene dall’apostolo Pietro come segue: «Pascete il gregge di Dio che è fra voi, non forzatamente, ma volonterosamente secondo Dio; non per un vile guadagno, ma di buon animo; e non come signoreggiando quelli che vi son toccati in sorte, ma essendo gli esempi del gregge» (1 Pt 5,2s). Che gli anziani possano «presenziare» (la «presidenza» non è limitato al culto, ma all’intera vita della chiesa) ed essere dediti alla predicazione (= evangelizzazione) e all’insegnamento (= istruzione; 1 Tm 5,17), è vero, ma questa loro funzione è globale rispetto a tutta la vita della comunità.

     Il termine «teocrazia» fu inventato come termine tecnico all’interno della «teologia biblica dell’AT» per designare il governo di Dio nel suo popolo mediante i suoi «organi dell’alleanza». Che tale termine oggi venga usato impropriamente in senso generico, dipende dal comune destino dei termini tecnici, quando arrivano nelle mani di chi non ne conosce «l’ambito vitale» d’origine.

     Per l’approfondimento si vadano in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Organi dell’alleanza», pp. 248s; «Teocrazia», p. 350. Sul sito si veda l’articolo «Teocrazia», che chiarisce bene la questione.

 

 

2. {Edoardo Piacentini}

 

1. Trovo che la parte trattata da Nicola Martella sia davvero molto interessante. Egli parla del governo della comunità locale senza schierarsi per uno dei due modelli di conduzione delle comunità evangeliche, ma sottolineando i punti di forza e di debolezza di entrambi; e ciò avviene sebbene egli provenga da una realtà evangelica, che è a favore della conduzione collegiale, che è quella che viene insegnata nel Nuovo Testamento... Invito, pertanto, tutti i cari nella grazia a leggere l’articolo e a commentarlo. Dio ci benedica. {11-04-2012}

 

2. L’anziano deve unire, alla conoscenza della verità, la potenza dell’amore. La verità deve essere associata alla carità. Una conoscenza dottrinale senza amore è pressoché inutile, così come, d’altra parte, una confessione di amore, non basata sulla sana verità dottrinale, è pericolosa e anch’essa inutile. Il servizio che l’anziano deve rendere al Signore, non può limitarsi alla preparazione di un sermone o di uno studio biblico, ma deve comprendere anche la cura delle anime preziose, per le quali Gesù è andato a morire.

     I verbi familiari al ministero dell’anziano sono quindi: conoscere, amare, sorvegliare, esortare, consolare, guidare, insegnare, curare, governare, servire.

     Compito importante degli anziani è verificare la salute spirituale dei membri, interessandosi della loro crescita nella conoscenza e nella grazia. Egli deve essere coinvolto nei problemi dei membri della chiesa, deve prendere atto del fatto che c’è qualcuno che cade nel peccato, che scivola nella mondanità o nell’egoismo. Essi devono sempre considerare che sono al servizio di Dio, per cui devono impegnarsi soprattutto ad aiutare il popolo di Dio a progredire spiritualmente. {13-04-2012}

 

 

3. {Enzo D’Avanzo}

 

Caro Martella, alcuni principi posti, provengono dal modello di leadership insegnata da Cristo.

     Se applichiamo il modello di leadership, insegnato da Cristo, metteremo tutti al servizio di tutti e ognuno nel ruolo, che gli compete; e questo anche perché il campo del Signore è cosi vasto che abbiamo tutti un ruolo. Le posizioni dei singoli «anziani di paglia», come affermi, sono anch’essi rafforzabili con gli insegnamenti della leadership adeguati. Ognuno trova poi ispirazioni in quello, che può essere il suo ruolo, e non sconfina in altre mansioni.

     Il principio ispiratore del servizio, che i leader devono avere, è il seguente: amare come Dio, con amore incondizionato e gratuito. Le dinamiche di questo attaccamento all’amore devono essere poste da una vera e sincera conversione; poi, non basta essere credenti, ma bisogna essere santificati, in quanto egli si rivela ai santi. «…il mistero, che è stato nascosto per tutti i secoli e per tutte le generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi» (Col 1,26). Se applichiamo la santificazione, noi santificheremo anche il ruolo; se non siamo santificati, usciamo fuori da ogni contesto, e il ruolo sarà sempre delegittimato, in quanto esso sarà senza amore. {11-04-2012}

 

 

4. {Mario Manduzio}

 

Contributo: Più che di modelli bisogna parlare di qualifiche. Puoi essere il meglio, ma se la chiesa non lo vede in te, diventa difficile servire; e se servi nonostante il malcontento, non sei un servo dell’Evangelo, ma un colonnello di una caserma. {12-04-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Quindi i problemi sono duplici. ▪ 1. Un conduttore non ha le qualifiche (1 Tm 3; Tt 1) e allora è un «anziano di paglia» e, secondo i casi, o solo la pallida idea di una guida o, al contrario, un despota autoritario. ▪ 2. Un conduttore ha le qualifiche, ma i credenti sono poco attenti e spirituali per riconoscerlo, poiché nella la chiesa ci sono fazioni, carnalità e arbitrio. Il primo problema è «l’acqua bollente», il secondo è la «brace»; chi vi casca dentro, non ne uscirà indenne. In tali casi a perderci sono l’opera di Dio, la testimonianza e i credenti stessi.

 

Replica (Mario Manduzio): Sono completamente d’accordo, anche se propendo per la prima tesi. Un anziano qualificato non sfugge all’attenzione della chiesa, anche se questa non è brillante. Dunque, nel primo caso, gli «anziani di paglia», per dirla come Lutero, dovrebbero restituire la chiesa al Signore, che ne è il legittimo capo. Nel secondo caso, la chiesa settaria non ne riceve un danno, perché comunque ci sono le qualifiche. In ogni modo, è vero che la testimonianza è sempre minata! {12-04-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Comportamenti e decisioni arbitrari dei conduttori o della chiesa portano sempre un danno a tutte le parti in causa e all’opera di Dio. Sia conduttori frustrati per comunità refrattarie e recalcitranti, sia chiese fustigate da conduttori in veste di addomesticatori portano a disturbi ecclesiogeni e a lacerazioni. Molti «candelabri» (chiese in Ap 2s) si sono spenti negli ultimi decenni, anche per tali motivi.

 

 

5. {Tony Diserra}

 

Contributo: È necessaria una conduzione ecclesiale collegiale, perché tale pluralità di elementi sottintende un consiglio vicendevole su questioni difficili; ciò però non è da tutti poterne far parte, per cui ognuno aventi tali qualità avrà sottoposti altrettanti elementi [= persone, N.d.R.], sui cui far valere le decisioni del collegio ecclesiale. Sono valide, quindi, tutte e due le conduzioni. Esattamente le stesse, che troviamo nella Chiesa Romana. {14-04-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): E ti pareva che Tony Diserra non spuntasse anche qui per accreditare la chiesa romana? Quest’ultima è proprio l’esempio di una gerarchia piramidale e di una oligarchia monocratica. In fondo, è una dittatura religiosa al pari di altre simili nel mondo, che hanno bisogno di un capo supremo sull’intera religione. Ciò, che il capo afferma, diventa legge per tutti i seguaci. Certo, la chiesa romana è proprio l’esempio peggiore di che cosa possa essere una conduzione monocratica, ossia di un clericalismo piramidale ed esclusivistico. Preferiamo il sacerdozio universale di tutti i veri credenti e l’autonomia delle chiese locali, che rendono conto soltanto e direttamente a Dio e che sono guidate da conduttori reprensibili, attaccati alla sacra Scrittura e, se sposati, mariti di una sola moglie e padri di figli sottomessi (1 Tm 3; Tt 1).

 

Replica (Tony Diserra): No, ma ti pareva che non ti andasse bene anche questo mio commento! Cosa c’è che non va? A me sembra logico e, infatti, si applica benissimo, poi non parlerei di oligarchia, la Chiesa Romana ha nello stesso tempo sia il papato regnante, quindi giustamente piramidale, e sia magisteriale, in quanto i concili, dogmi ecc. ecc. si discutono tra i vescovi e il papa steso: ecco la conduzione collegiale. Così anche nella conduzione di chiese particolari, un oggetto lo si discute tra i vescovi a livello regionale e, poi, col consenso unanime, s’impone la tematica a tutte le parrocchie del territorio. Così succede anche all’interno della realtà parrocchiale: vi è un consiglio pastorale deliberante col consenso del parroco.

     Dove non c’è Chiesa Romana, c’è confusione e anarchia, a parte che su tematiche serie, riguardanti il credo religioso, ci vuole necessariamente una collegialità di conduttori eminenti e saggi; perché altrimenti in una chiesa particolare isolata c’è il pericolo della deriva nello stesso credo unitario e l’asservimento dei fedeli. Quindi, la collegialità è utile e indispensabile, qualsiasi sia il credo e la chiesa di appartenenza. {14-04-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): A condurre la chiesa di Gerusalemme c’erano dodici apostoli, di pari dignità, a cui poi furono associati gli anziani. Anche quando diversi apostoli andarono in missione, rimasero Pietro, Giovanni e Giacomo (che apostolo non era), che furono definiti tutti e tre «colonne della chiesa», coadiuvati da altri anziani. Nel Concilio di Gerusalemme (At 15) la parola più autorevole fu proprio quella di Giacomo. Alla fine rimase un collegio di anziani, che comprendeva Giacomo (At 21). Il NT non sa nulla di una conduzione monocratica e piramidale della chiesa. È un’invenzione della chiesa post-costantiniana. Si tratta di una deriva clericale.

     Nella chiesa romana si confida sul magistero papale, nelle chiese evangeliche si confida sulla sacra Scrittura e sulla guida dello Spirito Santo. Sacra Scrittura e Spirito Santo sono sufficienti per far discernere localmente ai conduttori e alla chiesa la verità dall’errore, senza necessità di filtri clericali né di imposizioni gerarchiche.

 

 

6. {Barbara Besola}

 

Contributo: Come già esposto da te, sia la conduzione monocratica che collegiale hanno punti di forza e debolezza. Penso che ognuno di noi preferisca una o l’altra in base alle esperienze, che ha vissuto nell’ambito della propria comunità. Io spero che le varie assemblee non decidano a «tavolino» l’una o l’altra forma di conduzione, ma scelgano in base alle direttive, che il Signore ci ha lasciato tramite la Scrittura.

     Decidere a priori quale conduzione sia migliore per una comunità, non è sicuramente una cosa sana. Se si vuole per forza una conduzione collegiale, quando all’interno della chiesa locale non ci sono vari fratelli, che hanno i requisiti biblici, i danni che possono derivare sono enormi.

     Non sono d’accordo con Enzo D’Avanzo, quando dice che gli «anziani di paglia» sono rafforzabili con gli insegnamenti adeguati. Un anziano di paglia non dovrebbe assolutamente guidare una chiesa.

     Penso che ogni comunità dovrebbe riunirsi periodicamente per accertarsi di essere nella posizione, che Dio ha scelto per essa. Dopo anche solo un anno di conduzione, di una o dell’altra forma, ci possono essere stati cambiamenti, per esempio: fratelli, che sono cresciuti spiritualmente e che hanno le qualifiche di conduttori; rinuncia della conduzione da parte di anziani per motivi personali; sopravvenuta morte o cambi di residenza di anziani; peccati o quant’altro abbiano in qualche modo destabilizzato la situazione iniziale. Per tutto questo si necessita sicuramente di una riunione, che possa portare anche a un cambiamento nella conduzione e farla passare da collegiale a monocratica o viceversa. Credo, quindi che sia indispensabile guardare alla qualità prima che alla quantità, riconoscendo solo chi, all’interno della chiesa locale, abbia i requisiti, che indica la Scrittura. Il Signore ti benedica grandemente. {21-04-2010}

 

Risposta (Nicola Martella): Faccio notare che si possa protendere per una conduzione collegiale, anche laddove, al momento, si ha un solo conduttore, poiché altri credenti non hanno ancora le qualità richieste. Chi ha tale obiettivo, può lavorare in tale direzione. Intanto, tale conduttore, che ha le qualità richieste, si incontra regolarmente con gli eventuali collaboratori (diaconi, ecc.), con cui forma il «consiglio di chiesa».

     Nelle chiese, in cui sono stato coinvolto nella formazione, abbiamo introdotto una verifica obbligatoria per conduttori e collaboratori già esistenti ogni 4-5 anni. Altri conduttori e collaboratori si possono aggiungere anche durante tali scadenze; essi sono pro tempore per un anno, poi vengono valutati dalla chiesa.

 

 

7. {Gianfanco Bruera}

 

Contributo: Concordo che l’esistenza di un anziano facente poche funzioni, soltanto di supporto a un altro, potrebbe essere un ostacolo al vero pluralismo nella conduzione. In situazioni patologiche, l’anziano «principale» potrebbe usare la circostanza, che esistono altri anziani, come copertura per le sue scelte, mentre di fatto è solo lui che prende le decisioni.

     La questione del pluralismo richiama quella di come riconoscerne le qualità e i requisiti. Se la Scrittura ci dà indicazioni in entrambi i sensi circa il numero, e se un anziano singolo può essere accettabile per un periodo più o meno lungo, non altrettanto abbondanti sono le prescrizioni sulle modalità di scelta. Nella mia esperienza ho sentito spesso affermare che, essendo il Signore a istituire gli anziani, la valutazione della «base» (dei credenti), aventi diversi livelli di maturità spirituale, potrebbe essere non necessaria o addirittura fuorviante rispetto all’indirizzo voluto dal Signore. Mi sembra chiaro però che nella verifica dei requisiti e le qualità, i membri della assemblea hanno un ruolo importante e anche una responsabilità di fronte al Signore.

     Quando Paolo istruì Timoteo su come scegliere gli anziani, pose la reputazione tra i requisiti. Ciò significa che non poteva, Timoteo, prescindere da quanto si pensava e diceva sul futuro anziano, pur dovendo egli stesso valutare una serie di qualità. La buona reputazione, di cui deve godere l’anziano, valorizza il ruolo di osservatore e giudice dei requisiti, che ogni credente deve avere rispetto a chi conduce. Reputazione è ciò che altri credono, ciò che altri pensano. Questi altri devono essere solo «quelli di fuori» o anche i credenti? Mi pare logico che i primi controllori della reputazione, riferita ai requisiti cosiddetti morali dell’anziano, debbano essere i membri di chiesa. Essi, la «base», devono vigilare attentamente sulle vite dei conduttori. La vigilanza su di loro non esclude o indebolisce la sottomissione e nemmeno il rapporto fiduciario nei loro confronti.

     Mi sembra chiaro, quindi, che la chiesa, in qualche modo, periodicamente debba guardarsi dentro e fare l’operazione di verifica dei requisiti. La necessità è ancora più presente, quando l’anziano di diritto o di fatto è unico. Osservo realtà ecclesiali in sofferenza per la presenza di anziani dalla forte personalità, che si sentono investiti a vita dallo Spirito Santo, che rifiutano di ascoltare quanto altri pensano su di loro, che non vedono altri, che possano affiancarli, se non persone strettamente vicine a sé.

     La differenza tra una assemblea con un anziano unico, che si auto-legittima, e una con un anziano unico appoggiato e approvato dalla base è la stessa che passa tra una setta e una chiesa locale in senso biblico. Quindi, il mio pensiero è il seguente: l’anziano unico sì, possibilmente per breve tempo, con spirito di vigilanza dei credenti raddoppiato per il periodo di conduzione monocratica, e con la prospettiva di superare tale situazione con il riconoscimento di nuovi anziani. {22-04-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Concordo ampiamente con il discorso generale e con i singoli punti. Quelli, che io chiamo «conduttori di paglia» (ossia solo di distintivo, non di qualità), sono in genere un danno per la chiesa locale e un freno ai conduttori con qualità, poiché spiritualizzano la loro carne e le loro scelte carnali e, mancando di discernimento, saggezza e visione dell’opera, ingrandiscono cose secondarie, tralasciando di fare le cose principali.

     L’altro aspetto, che qui emerge, è che «conduttori despotici» (con forte personalità e amanti del potere) si circondano volentieri di «conduttori di paglia», per così avere il ruolo di prima della classe e per poter imporre le sue tesi e decisioni mediante un’abile manipolazione retorica e dialettica. Chiaramente, anch’essi sono un danno per la chiesa locale e un impedimento che vengano riconosciuti conduttori con vere qualità bibliche.

 

 

8. {Luca Matranga}

 

1. La conduzione monocratica

     ■ Nella conduzione piramidale, a mio avviso, vi sono più criticità di quante ve ne siano in quella collegiale. Infatti, nella conduzione piramidale vengono fuori diverse problematiche, una fra tutte è proprio la famiglia del conduttore.

     Se è vero che la famiglia del conduttore è di solito quella più impegnata e presa dal ministero per tanti motivi (e secondo me questo va sottolineato come pregio), questo non significa automaticamente che tutti i posti chiave di una chiesa debbano essere affidati sempre e solo a dei membri della famiglia di un conduttore.

     In genere, in una chiesa così governata, i membri della famiglia del conduttore iniziano, man mano che crescono, a prendere posti di responsabilità sempre più ampia; al contrario coloro, che li avevano prima, di solito sono messi da parte o «affiancati» dai nuovi arrivati.

     Questa «familiarità» è, secondo me, uno dei problemi, che insidia una chiesa con conduzione monocratica.

     ■ Il secondo problema riguarda la stabilità del conduttore: fino a che il conduttore è stabile e credibile, allora un tipo di chiesa del genere prospera, ma quando il conduttore di questo tipo di chiesa cade, allora il gregge viene più facilmente disperso e confuso.

     ■ Il terzo problema è la forza della leadership. Infatti, se il conduttore opera con una forte leadership (mano «pesante»), allora succede che il conduttore si trasforma nel «padre-padrone» della chiesa; viceversa se la leadership è troppo debole, ognuno fa quello che vuole, e regna il caos.

     ■ Un’altro problema è quello dottrinale. Se il conduttore prende degli abbagli dottrinali (e sappiamo che il ministero del pastore è diverso da quello del dottore, quindi soprattutto in un pastorato «forte» è più facile che le scelte dottrinali siano guidate da preferenze personali, o situazioni non ascrivibili a una esegesi molto netta e puntuale), allora è più facile che tutta l’assemblea vada alla deriva, o che i membri dotati di maggior acume dottrinale «fuggano» da essa.

     ■ Altro problema è la mole di decisioni e di problematiche, che gravano inevitabilmente sulle spalle di un solo uomo, che inevitabilmente lo stressano oltremodo. E poi c’è la scelta degli «anziani» (che in questo tipo di chiesa non sono altro che strumenti nelle mani del conduttore, altrimenti vengono rimossi da tale carica), che viene fatta soprattutto in base alla fedeltà al conduttore, per rafforzarne la leadership e per avere appoggi di qualsiasi tipo (persone influenti, persone con molto seguito in chiesa, ecc. ecc.).

 

2. La conduzione collegiale

     D’altro canto la conduzione collegiale della chiesa, porta come carico il fatto che bisogna mettere d’accordo più teste; questo è possibile se tutti guardano di pari consentimento alla crescita della chiesa, e se tutti sono onesti nei loro motivi. Ognuno ha il suo ambito di responsabilità, e ognuno può prendere decisioni, sentendo il parere degli altri. Il pericolo è che nel gruppo dei conduttori uno diventi «primus inter pares» (la frase latina significa «primo tra pari», ed è riferita soprattutto alla posizione del papa cattolico rispetto ai suoi cardinali); e in pratica il sistema collegiale, diventi a tutti gli effetti un sistema piramidale con una finta cerchia collegiale, che aiuta il «dominus» a rimanere saldo al suo posto.

     Il sistema collegiale segue la debolezza della catena: una catena non può essere più forte del suo anello più debole; e quindi nel sistema collegiale bisogna che le persone, che fanno parte del collegio degli anziani, siano tutte più o meno allo stesso livello. Se arrivasse una persona più straordinaria delle altre, in un sistema collegiale questo porterebbe poco o nessun beneficio, a meno che gli altri non lo riconoscessero, e la struttura si trasformasse in una struttura piramidale pseudo-collegiale.

     Credo che alla fine qualsiasi sistema si utilizzi, la cosa più importante è quella di avere a cuore il Mandato di Cristo, solo questo può far tornare dei puzzle così variegati. Avere sempre bene a mente il perché, aiuta a capire il come.

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Ho strutturato un po’ il contributo precedente, che apprezzo. È sempre una soddisfazione leggere le riflessioni di coloro, che accettano la provocazione intellettuale di uno scritto, per aggiungere le loro riflessioni o altri aspetti. Ciò diventa un arricchimento per tutti. In questo tema di discussione ho visto diversi tentativi in questa direzione.

     Faccio, qui di seguito, qualche osservazione al contributo precedente. Giustamente, ambedue i sistemi (e quelli intermedi) posseggono delle criticità, di cui rendersi conto.

 

1. La conduzione monocratica

     Quando la chiesa diventa una faccenda di famiglia, allora essa diventa un’azienda a conduzione familiare, allontanandosi visibilmente dall’assemblea del Signore e dalla famiglia di Dio. In certi casi, la fedeltà alla «famiglia» prende i contorni di altre «famiglie», ad esempio di quelle filo-mafiose. La cosa tragica è che le «chiese di famiglia», prima o poi ne producono altre simili, o per moltiplicazione (il capoclan mette i suoi famigliari a capo delle nuove strutture) o per spaccatura (dei famigliari stessi o di altri, che non trovano sufficiente spazio).

     In tale clima aziendale il conduttore monocratico si trasforma facilmente in capoazienda o in domatore supremo, che impone la sua forte leadership. Egli, come un piccolo «papa» dà semplicemente ordini ai suoi «cardinali» e così via all’interno della «catena di comando». La chiesa locale prende i contorni di una caserma o di una corte principesca. Allora il conduttore supremo fa valere il suo arbitrio: può fare il bello o il cattivo tempo, imporre questa o quella dottrina, uscire da un movimento e associarsi a un altro, che gli dà più soddisfazione e visibilità.

 

2. La conduzione collegiale

     Sono state mostrate anche le sue criticità. Faccio notare qui soltanto alcune cose. Se c’è un sistema di verifiche periodiche della conduzione da parte della chiesa, si può far smontare da cavallo sia gli «anziani di paglia», sia coloro che vorrebbero essere «papi a vita».

     Nella diversità dei carismi è immancabile che qualcuno dei conduttori abbia il dono di kybérnēsis «arte di guidare o di pilotare», come fa il timoniere (At 27,11; Ap 18,17; cfr. cibernetica). Vengono menzionati i «doni di governo» (1 Cor 12,28), ossia l’arte di guidare la chiesa (non solo i culti). È immancabile che chi ha tale dono più spiccato degli altri, dia impulsi positivi anche all’interno del consiglio dei conduttori; dipende però dalla sua intelligenza e umiltà di servire con tale carisma, invece di servirsene per mire personali. Infatti, anche gli altri conduttori avranno i loro punti di forza in altri settori, e la somma di tali «eccellenze» rendono il sistema ecclesiale ancora più stabile e forte.

     L’immagine della catena è lampante, specialmente riguardo all’anello più debole. Tuttavia, laddove si fa un lavoro di squadra, il peso viene dislocato sull’intera catena e anche l’anello più debole può essere forte e rafforzarsi, si spera, sempre più. Chiaramente è meglio essere un ottimo collaboratore che un pessimo conduttore.

     Inoltre, non è necessario che tutti i conduttori siano più o meno allo stesso livello. Più importante è che siano alleati e in sinergia, consci ognuno delle proprie potenzialità e dei propri limiti. L’omogeneità non garantisce la qualità.

     Se tra i conduttori ci fosse (o arrivasse) una persona più straordinaria delle altre, ciò non dev’essere un limite, ma può essere la chance di innalzare il livello delle altre guide. Anche persone straordinarie in qualcosa hanno le loro debolezze o lacune in altre cose. Tutto dipende dall’atteggiamento mentale e spirituale di ognuno dei conduttori, se i loro talenti saranno usati come risorsa comune o come strumento per far emergere se stesso e contrastare gli altri.

 

 

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12. {Autori vari}

 

Pietro Calenzo: La conduzione collegiale, è scritturale, Paolo ordina in ATTI, che si stabiliscano degli anziani per ogni assemblea. {10-04-2012}

 

Andrea Diprose: Buona lettura, che ognuno tragga le sue conclusioni ma che siano bibliche. {11-04-2012}

Osservazioni (Nicola Martella): E le tue, Andrea?

Replica (Andrea Diprose): Le mie conclusioni sono che i pregi e difetti delle conduzioni sia monocratiche sia collegiali, da te esposte, corrispondono alla realtà. {11-04-2012}

 

Eliseo Paterniti: Sembra che negli ultimi tempi si sta parlando spesso riguardo a questo tema. Vi riporto pure a un mio punto di vista in merito a questo tema. «La forma di governo o gestione piramidale di una società è illegale!». {12-04-2012}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Conduz_NT_oggi_Avv.htm

12-04-2011; Aggiornamento: 24-04-2012

 

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