Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Sesso & affini 1

 

Ministeri ecclesiali

Vai ai contributi sul tema

Norme di fair-play

 

 

Sesso & affini

Sessualità e contestiSesso & affini 1: Qui è trattata la sessualità nella società e nella Bibbia. Ecco le parti principali:
■ La questione della sessualità
■ Società e sesso
■ Sessualità e Bibbia
■ Etica e Bibbia
■ Fra etica ed estetica
■ Sessualità e istruzione
■ Singolarità dei due sessi

 

Tenerezza e fedeltàSesso & affini 2: Qui sono presentati alcuni consigli per vivere una sessualità matrimoniale felice. Ecco le parti principali:
■ Fra rinuncia e attesa
■ Prima del matrimonio
■ Il matrimonio
■ Matrimonio e sesso
■ Questioni di sessualità coniugale
■ La procreazione
■ Relazioni eterosessuali proble-matiche

 

Disturbi e abusiSesso & affini 3: Qui sono trattati i problemi del sesso e le sue deviazioni. Ecco le parti principali:
■ Aspetti della consulenza
■ I disturbi della sessualità
■ Le deviazioni sessuali
■ L’abuso sessuale
■ Sesso e consumismo
■ Dipendenza da sesso
■ Casi ed esempi
■ Dizionarietto dei termini
■ Una lettura del Cantico dei Cantici
■ Foglio d’analisi

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

Sesso & affini 2

 

Sesso & affini 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONDUTTORE SOLO SE SPOSATO E PADRE?

 

 a cura di Nicola Martella

 

Un conduttore di una chiesa mi ha scritto per proporre una questione dibattuta fra le chiese della sua zona, ma essa che si ritrova in molte altre comunità, e che riguarda alcuni prerequisiti per la conduzione di una comunità. Riporto la problematica, da lui esposta, nel primo contributo. Anche altri mi domandano, di tanto in tanto, questioni del genere.

    La tesi di alcuni fratelli l’ho sintetizzata nel titolo e più esplicitamente potrebbe recitare così: per essere conduttore di una chiesa, bisogna essere sposato, padre di figli di una certa età e quindi egli stesso non proprio più tanto giovane. Un giovane irreprensibile e capace è quindi svalutato riguardo a tale ministero di guida; diversamente un uomo sposato con figli in età almeno scolare è preferito, e si è indulgenti con lui se non è proprio così irreprensibile, dotato di buonsenso e capace d’insegnare. Alla questione se un conduttore celibe possa esprimere la sua paternità spirituale, rispondo nell'undicesimo contributo.

     Certi conduttori di chiesa col passare degli anni diventano più radicali in certe cose (p.es. abitudini, tradizioni, usi e costumi denominazionali), più intransigenti e conservatori verso altre cose (p.es. cambiamenti di strutturazione, di conduzione, di gestione, di rinnovamento) e insensibili verso i veri bisogni delle loro chiese. Devo pensare a tante situazioni in cui la seguente saggia costatazione di Salomone si può applicare a vari «anziani a vita», i quali col tempo non diventano proprio migliori come il vino: «Meglio un giovane povero ma savio che un re vecchio ma stolto, che non è più in grado di farsi dare degli avvertimenti» (Ec 4,13).

     Girando fra le chiese, mi rendo conto che — facendo le dovute eccezioni — molti dei conduttori non passerebbero un esame d’idoneità, se si applicasse a loro letteralmente tutti gli aspetti di 1 Tm 3 e Tt 1. A volte giovani irreprensibili e capaci sono tenuti fuori dalla conduzione dai conduttori di una certa età per paura di cambiamenti, che essi stessi debbano cambiare, di non essere poi più al passo con i tempi. Si preferisce perciò di trovare appoggi nella Bibbia che rendano più difficile (se non impossibile) l’entrata di persone più giovani nel consiglio di chiesa o addirittura un cambio generazionale. In effetti certi conduttori restano tali a vita, di là dal fatto se servono all’opera o la rallentano, ed essi lasciano tale funzione spesso solo congedandosi dalla vita. Nelle chiese, dove sono stato coinvolto, abbiamo impostato le cose così che ci sia una verifica periodica dei conduttori (anziani) e dei servitori (diaconi). Ciò fa bene alle persone di guida, fa bene alla chiesa, permette a chi non è (più) idoneo di fare altro nella chiesa e rende possibile un’integrazione del consiglio di chiesa con persone giovani che, di là dal loro stato sociale, sono maturi, irreprensibili e capaci.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Carlo Neri

2. Nicola Martella

3. Abele Aureli

4. Nicola Martella

5. Tullio Vallerta, ps.

6. Tullio Vallerta, ps.

7. Tullio Vallerta, ps.

8. Pino Catanese, ps.

9. Stefano Frascaro

10. Nicola Martella

11. F. Lo Russo

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Carlo Neri} ▲

 

Ciao Nicola, sono Carlo, ti scrivo da Modena per proporre a te ma anche ad altri fratelli, che spero vogliano intervenire, un tema che nel nostro ambiente non viene normalmente trattato, se non per ribadire l’interpretazione classica che ne viene data e sulla quale io però nutro più d’una perplessità.

     Si tratta del tema riguardante le caratteristiche che devono avere gli anziani che conducono una chiesa, in particolare per quanto riguarda l’aspetto dell’età che dovrebbe essere diciamo, adeguata, e sopratutto all’essere sposati con figli abbastanza cresciuti in modo da permettere di valutare la capacità del fratello di governare, criteri che, se presenti nel fratello candidato all’ufficio d’anziano, darebbero senz’altro una ottima garanzia alla conduzione della chiesa.

     L’interpretazione classica ci dice che entrambe queste caratteristiche sono indispensabili e la loro presenza è indispensabile, questo sopratutto in base al fatto che nel brano in cui l’apostolo Paolo indica le caratteristiche richieste per chi dovrà svolgere quest’ufficio (1 Tim 3,2) prima di farne l’elenco usa la parola «bisogna»: «Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile...».

     Questo imperativo sembra sbarrare la strada a qualsiasi dubbio, anch’io infatti in passato, non dubitavo di quest’interpretazione, preciso che io stesso sono anziano e ho entrambe questa caratteristiche non è perciò un problema che tocca me personalmente ma riguardo a questa lettura ho, come dicevo prima, alcune perplessità.

     Una prima perplessità riguarda il fatto che interpretando letteralmente il brano citato, sembra di vedere una contraddizione nel comportamento dell’apostolo che l’ha scritto, siccome fra i suoi più stretti collaboratori aveva scelto fratelli giovani e non sposati come Timoteo e Tito.

     Un’altro problema riguarda il fatto che, sempre in questo brano, si legge che i diaconi debbano avere le medesime caratteristiche degli anziani (?): «Similmente» [«parimenti» o «allo stesso modo» (a secondo delle traduzioni)[ i diaconi siano...». In Atti 6, però, dove si parla della istituzione dei diaconi, le caratteristiche richieste dai dodici non s’accenna al fatto che debbano avere una certa età né tantomeno al fatto che debbano essere sposati con figli.

     Altro problema riguarda il termine usato per indicare i fratelli chiamati a svolgere l’ufficio d’anziani; sappiamo che la figura degli anziani nella società ebraica antica era riferita a persone letteralmente anziane d’età, anzi probabilmente nominate proprio in virtù del loro diritto d’anzianità per governare le case patriarcali, questa figura viene spesso trasportata nella realtà della chiesa, al tempo della chiesa nascente però non viene usato solo il termine «anziano» per indicare quella funzione ma anche «vescovo» o «conduttore», forse per significare che non era indispensabile il fattore dell’età?

     Ultimo appunto che faccio riguarda l’insegnamento che troviamo in Esodo 18, nel quale Jetro, suocero di Mosè, sottopone a Mosè e all’Eterno il consiglio che poi verrà accettato, di mettere come capi (di migliaia, di centinaia...) degli uomini che abbiano alcune caratteristiche morali e spirituali fra le quali ancora una volta non sono presenti né quella d’avere un’età avanzata e né quelle d’essere sposati con figli.

     Oltre ai problemi d’interpretazione che ho citato prima, mi domando un’altra cosa: com’è possibile che nelle chiese del periodo apostolico, chiese che probabilmente erano spesso di dimensioni familiari, composte forse da una o due decine di membri, si potessero trovare facilmente fratelli con entrambe quelle caratteristiche, oltre alle altre citate da Paolo, non era più probabile che quell’elenco volesse essere inteso piuttosto come una forte esortazione, un obbiettivo a cui tendere il più possibile tenendo comunque presente che la necessità principale delle chiese era di dover essere in ogni caso governate da una autorità, gli anziani appunto, nei quali dovevano essere presenti sopratutto le caratteristiche morali e spirituali citate anche nei brani che ho indicato prima (At 6,3; Es 18,21)? {2007}

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Qui di seguito non risponderò a tutti i quesiti posti da Carlo Neri, ma mi dedicherò solo ad alcuni aspetti particolari. Confido che altri fratelli interverranno e daranno il loro contributo.

 

Il problema

     In alcune chiese si escludono dal diaconato e dall’anzianato fratelli non sposati, pur avendo essi i prerequisiti essenziali, con la seguente motivazione: essi devono essere assolutamente sposati e devono avere dei figli.

     Ci si può immaginare la sofferenza di uomini dedicati completamente al Signore e alla sua opera, che ricevono un tale impedimento da parte di altri fratelli a essere riconosciuti come conduttori di una chiesa e a esercitare un ministero di conduzione, solo perché rientrano in queste categorie:

     ■ Sono celibi per scelta di vita o per necessità (non trovano ancora la compagna giusta; la situazione economica non permette loro di sposarsi).

     ■ Sono diventati vedovi.

     ■ Sono singoli perché divorziati prima di convertirsi o abbandonati dalla moglie prima o dopo la conversione.

     ■ Sono sposati ma non possono aver figli per disfunzioni biologiche o fisiologiche della relativa moglie o propria.

 

L’argomentazione

     Tralasciamo i casi in cui le argomentazioni restrittive sono usate in modo strumentale, per escludere alcuni fratelli perché ritenuti «scomodi» per altri aspetti. L’argomentazione si basa su una lettura «iper-letterale» di alcuni brani chiave del NT. Eccoli qui di seguito:

     ■ «Bisogna dunque che il conduttore sia irreprensibile, marito di una sola moglie […] che governi bene la propria famiglia e tenga i figli in sottomissione e in tutta riverenza (che se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura dell’assemblea di Dio?)» (1 Tm 3,2.4s).

     ■ «Per questa ragione t’ho lasciato in Creta: perché tu dia ordine alle cose che rimangono a fare e costituisca degli anziani per ogni città, come t’ho ordinato; quando si trovi chi sia irreprensibile, marito d’una sola moglie, avente figli fedeli, che non siano accusati di dissolutezza né insubordinati. Poiché il conduttore bisogna che sia irreprensibile…» (Tt 1,5ss).

 

Il problema nasce laddove si prescinde dal contesto culturale in cui ciò fu detto e dall’intento effettivo dell’autore. Le questioni vengono portate senza alcuna distinzione nel contesto attuale e riempite con un altro significato. Ecco alcuni punti che bisogna tener presente per capire i brani in questione.

     ■ Paolo non raccomandò che il conduttore fosse «marito di una moglie», ossia sposato. Egli intendeva che, se fosse sposato, lo fosse di una sola moglie. Infatti, a quel tempo vigeva la poligamia. Chi ne aveva le facoltà, si poteva sposare più di una moglie. Le donne fatte bottino di guerra, erano vendute al mercato e chi le comprava ne faceva o schiave o concubine. Diverse di queste persone poligame si convertivano con la loro intera famiglia al Signore. La limitazione non era intesa in senso morale (essendo tali donne sposate secondo la legge), ma pratico: le donne erano continuamente incinte e (se il loro apparato riproduttivo non si ammalava) mettevano al mondo almeno una decina di figli ciascuna. Ciò raddoppiava con una seconda moglie o concubina, e così via. Tali persone erano già impegnate abbastanza a sfamare, crescere ed educare la loro «tribù» per poter avere ancora tempo per curare gli altri credenti.

     ■ Paolo raccomandò che un uomo fosse un buon capofamiglia e padre, capace di dirigere la propria famiglia. Questa regola valeva certamente nel caso in cui un uomo avesse figli. I figli sono un dono del Signore, ma la sterilità poteva impedire ciò, o come disse Sara: «L’Eterno m’ha fatta sterile» (Gn 16,2; ella indusse perciò suo marito a diventare poligamo; cfr. 1 Sm 1,5s). Nell’antichità la poligamia era dovuta proprio al fatto che una donna poteva essere o diventare sterile, mettendo così a rischio la sopravvivenza di una famiglia (non c’era la previdenza sociale).

     Sarebbe stato ingiusto punire doppiamente un fratello che era sterile o aveva una moglie sterile.

     ■ A ciò si aggiunga che le sciagure della vita (guerre, epidemie, disgrazie, persecuzioni e quant’altro) potevano mettere fine a un matrimonio (vedovanza) o a una famiglia (cfr. Gb 1,18s; cfr. 1 Sm 4,17ss; 31,7s; Gr 14,16; Mt 2,16ss). Si vuole punire anche qui doppiamente una persona?

     ■ I due brani sono quindi da intendere così: «Se il conduttore è sposato, non dev’essere poligamo; se è sposato e ha figli, deve governare bene per prima cosa la propria famiglia». Non si trattava quindi di una discriminazione verso i celibi né verso i vedovi né verso chi non aveva (più) figli.

 

La questione del celibato

     Tralasciamo qui gli aspetti che derivano da una reazione culturale rivestita di dottrina quale contrapposizione al celibato imposto ai chierici. È singolare come si voglia escludere dalla conduzione fratelli capaci, solo perché sono singoli (celibi o vedovi). E tutto ciò viene attribuito alla parola di Paolo. Questo è singolare, visto che il missionario Paolo e diversi della sua squadra missionaria (Timoteo, Tito) erano celibi per quanto noi sappiamo. Così era pure Barnaba. In uno sfogo verso i Corinzi, Paolo disse: «Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie, sorella in fede, così come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? O siamo soltanto io e Barnaba a non avere il diritto di non lavorare?» (1 Cor 6,5s). Come si vede, l’apostolo usò il plurale «noi».

     Si tenga presente che nell’allora ecclesiologia (ma ciò avviene anche oggigiorno dove un missionario fonda nuove chiese), era il missionario (= apostolo) a costituire anziani e conduttori nelle chiese fondate. Paolo aveva lasciato il suo collaboratore Tito in Creta per «perché tu dia ordine alle cose che rimangono a fare e costituisca degli anziani per ogni città» (Tt 1,5). Erano essi a eleggere degli anziani per ciascuna chiesa, indicando chi fossero degni e capaci; il testo è da tradurre così: «E quando essi [= Paolo e Barnaba] ebbero eletto loro [= ai credenti] degli anziani in ogni chiesa, pregarono con digiuno e li raccomandarono al Signore, in cui erano diventati credenti» (At 14,23). Sarebbe stato proprio strano che i missionari potevano essere celibi, ma non i conduttori che erano da loro eletti!

     A ciò si aggiunga una contraddizione fra le tesi che escludono dalla conduzione i singoli (celibi e vedovi) e le richieste fatte da Paolo in 1 Corinzi 7 a proposito del celibato degli uomini. Egli afferma, ad esempio: «Vorrei che tutte le persone fossero come sono io […] Ai celibi e alle vedove, però, dico che è bene per loro che se ne stiano come sto anch’io […] In ciò che ognuno fu chiamato, fratelli, in questo rimanga dinanzi a Dio […] per una persona in genere è bene di starsene così [ossia vergini] […] Chi non è ammogliato ha cura delle cose del Signore, del come potrebbe piacere al Signore […] Or questo dico per l’utile vostro proprio; non per tendervi un laccio, ma in vista di ciò che è decoroso e affinché possiate consacrarvi al Signore senza distrazione» (1 Cor 7,7s.24.26.32.35). Tutto il discorso che Paolo fece poi anche sulle nubili, poteva valere anche per i celibi. Paolo ammise che ognuno aveva al riguardo un «carisma» e concesse che fosse meglio sposarsi che bruciare (vv. 7.9). È chiaro che non poteva suggerire con grande enfasi che tutti i maschi rimanessero celibi come lui, per così dedicarsi più efficacemente all’opera del Signore (senza distrazioni coniugali e familiari), e poi pretendere che i conduttori delle chiese locali fossero tutti sposati! È una contraddizione logica e dottrinale.

     È chiaro che bisogna leggere 1 Timoteo 3 e Tito 1 alla luce di 1 Corinzi 7. I missionari e le loro squadre erano esempi di etica e di condotta per i conduttori, che essi eleggevano e riconoscevano nelle comunità. Paolo raccomandò a Timoteo, suo collaboratore nella missione: «Fuggi gli appetiti giovanili» (2 Tm 2,22); l’espressione «voglie giovanili» descriveva qui lo stato del celibe, indipendentemente dalla sua età, in cui poteva trovarsi in modo ricorrente: non era probabilmente sempre facile per lui gestire senza sofferenza gli aspetti sessuali e affettivi, ma ciò era possibile. Ciò non gli impediva di insegnare, d’esortare e di riprendere nelle chiese fondate (1 Tm 4,11; 6,2; 2 Tm 4,2; cfr. Tt 2,6.9.15; cfr. 1 Cor 16,10s).

     Timoteo non doveva essere più tanto giovane al momento delle due epistole tramandateci, visto che furono composte con molta probabilità dopo la prigionia di Paolo a Roma. Nonostante ciò, gli disse: «Nessuno sprezzi la tua giovinezza; ma sii d’esempio ai credenti, nel parlare, nella condotta, nell’amore, nella fede, nella castità» (1 Tm 4,12). Il termine «giovinezza» descriveva verosimilmente il suo stato di «verginità» e quindi di celibato.

     Un celibe poteva quindi non solo essere missionario e insediare anziani nelle chiese fondate, ma poteva essere anche un esempio di castità nel celibato. Sebbene celibe, poteva esortare «l’uomo anziano… come un padre; i giovani, come fratelli; le donne anziane, come madri; le giovani, come sorelle, con ogni castità» (1 Tm 5,1s). Il celibato di un cristiano non era allora quindi un impedimento a diventare ed essere missionario. Perché dovrebbe esserlo per diventare conduttore di una chiesa locale? {2007}

 

 

3. {Abele Aureli} 

 

Nota della redazione: L’autore parla qui di seguito in modo ricorrente di «apostoli». Come lui stesso però spiega, intende i singoli missionari fondatori di chiese locali. Oggigiorno «l’apostolo» (dal greco apostolos «mandato con un incarico» [ossia da una chiesa in missione]) corrisponde al «missionario fondatore» che è mandato da una o più chiese per fondare altrove altre chiese e opere. Ogni apostolo o missionario, dopo aver fondato una nuova chiesa locale, elegge dei «conduttori» in essa e li fa riconoscere dalla comunità, mantenendo su di essa una certa «paternità» spirituale, sia che resti in loco, sia che si trasferisca altrove per proseguire la sua opera. Ora segue il contributo di Abele Aureli.

 

Contributo: Secondo ciò che leggiamo nelle Sacre Scritture e sopratutto nelle lettere apostoliche, la questione non dovrebbe porsi perché se i «ministri» come Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, e altre colonne della Chiesa sono chiamati direttamente da Cristo (vedi Efesini 4), tutti gli altri che vengono scelti, oppure posti nelle chiese dai suddetti apostoli o ministri, in base ai loro requisiti (1 Tim 3), sono subalterni e sottoposti a chi li insedia in quell’ufficio.

     In Atti 20 l’apostolo Paolo manda a chiamare gli anziani che egli, oppure Timoteo o Tito, avevano stabilito come responsabili nelle varie chiese che essi avevano iniziato ed essi erano sottoposti sia a Paolo che a Timoteo e a Tito, che come vediamo sono incaricati da Paolo appunto a scegliere degli anziani per ogni chiesa. A parte la scelta dei sette diaconi, per i quali gli apostoli chiesero alla chiesa di scegliersi tra i membri di chiesa che conoscevano bene e li rispettavano, per la scelta degli anziani, le chiese non avevano nulla da dire su chi li avrebbero dovuti pasturare. Questa scelta era una prerogativa degli apostoli e ministri.

     Paolo raccomanda a Timoteo di non ricevere accuse contro un «anziano», se non sulla deposizione di due o tre testimoni. Questo per due motivi ben precisi:

     ■ 1) perché sono stati scelti in base alle loro qualità e quindi chi li aveva scelti aveva fatto una scelta ponderata, sapendo che davanti a Dio il responsabile sarebbe stato sempre chi li aveva scelti.

     ■ 2) perché è sempre facile trovare in chiesa un membro che ha da ridire sul modo di fare d’un anziano, e quindi ogni anziano potrebbe avere dei potenziali avversari nella chiesa.

     Per quanto poi riguarda la questione dell’essere sposati o meno e con figli d’una certa età, non la trovo per nulla una regola biblica! Paolo a Timoteo gli dà dei requisiti, dei quali uno dice che non deve essere «novizio» in modo che non s’innalzi e non cada nel laccio del diavolo. Però non credo che il fattore «tradizione, anzianità o denominazione» debba essere un problema se l’anziano si lascia guidare dallo Spirito Santo. Si potrà rispondermi che purtroppo ci sono nelle chiese troppi anziani che si lasciano guidare dalla loro età o tradizione, ma se è per questo, sono pochissimi gli anziani che si fanno guidare dalla propria carnalità piuttosto che dallo Spirito Santo. Anzi, dirò di più: troppi anziani si sono auto-insediati facendo leva sulla propria famiglia numerosa nella chiesa; in nome della «democrazia», si sono fatti votare come anziani, senza averne i requisiti biblici.

     Secondo ciò che dice la Parola di Dio, un giovane (non novizio), che si lascia guidare dallo Spirito Santo, è più qualificato a fare il «conduttore» (pastore, anziano) che non un padre di famiglia con figli adolescenti che si lascia guidare dai propri sentimenti e carnalità.

     Oltre a ciò, non credo che Paolo fosse sposato e avesse dei figli adolescenti (a meno che non ce lo ha nascosto), ma pare che egli non fosse solo un anziano, ma era apostolo, profeta e dottore! Il quale credo che fosse un ministero leggermente superiore a quello d’un anziano, se l’anziano, come possiamo ben leggere, era da lui insediato.

     Pertanto, giovane o anziano, singolo oppure sposato che sia, l’anziano deve prima d’ogni cosa essere un «seguace di Cristo», poi uno che sia d’esempio in ogni situazione, a tutta la chiesa, e deve dimostrare d’essere anche sottomesso a chi ha iniziato la chiesa (l’apostolo), il quale lo ha messo in quell’ufficio certo che egli s’atterrà ai suoi insegnamenti, perché l’apostolo rimane comunque responsabile davanti a Dio per quella chiesa.

     Se poi quando parliamo dei requisiti in 1 Timoteo 3, crediamo che si stia parlando di «perfezione» in senso assoluto, allora né tu e né io, ma neppure Paolo e Pietro, credo che avessero questa qualità! {2007}

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Qui di seguito voglio solo aggiungere alcune note al margine, dando degli spunti di ulteriore riflessione.

     ■ Che l'ecclesiologia delle diverse denominazioni attuali si possa differenziare da quella del primo secolo, salta all'occhio di ogni studioso. Ad esempio, la stragrande maggioranza delle chiese locali erano «chiese in casa» (cfr. Rm 16).

     ■ Quanto alla conduzione, c'erano delle differenze anche legate alla cultura d'appartenenza: le chiese giudaiche erano più collegiali nella conduzione (almeno in Palestina), ricalcando la struttura della sinagoga; le chiese ellenistiche erano più monarchiche, ossia erano guidate più da una singola persona, rispecchiando così più la mentalità greca. Il termine «anziano» (gr. presbyteroi) era più usato come retaggio del giudaismo e come termine tecnico fu introdotto dai missionari giudei, mentre «conduttore» (gr. episkopos «sorvegliante») rispecchiava più la percezione greca; è chiaro che i due termini si corrispondevano. Termini oggi ricorrenti per designare i conduttori di chiesa come «pastore», «reverendo» e «parroco» (questi ultimi due sono usati specialmente all'estero), non ricorrono mai nella Bibbia in senso tecnico; «pastore» nel NT non è un «titolo» (o ufficio) ma un «ministero» o una «funzione» del conduttore (oltre che del missionario e del «curatore d'anime»).

 

Per l’approfondimento delle questioni qui poste cfr. Nicola Martella (a cura di), «La conduzione quale chiave dell’unità», Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), pp. 30-36. Cfr. qui anche l'articolo «Caratteristiche di una conduzione funzionale», pp. 37-44.

 

     ■ Sebbene venga sempre ripetuto, è interessante notare che in At 6 non si parla di «diaconi». È vero che ricorre il termine «servire», ma esso è troppo generico e altrove nel NT viene applicato a tutti (apostoli, collaboratori degli apostoli e conduttori). È probabile che questi «sette uomini» siano gli stessi che in At 15 sono chiamati anziani. Si noti che Stefano era un uomo che conosceva la Parola e sapeva proclamarla e difendere pubblicamente la verità (At 7). Filippo era un «evangelista» (At 6,5; 21,8), un conoscitore della Parola, un uomo capace di portarla fuori dei confini della Giudea e di convincere con essa i Samaritani predicando Cristo (At 8,5ss; e contrastando Simone il mago). Egli fu in grado anche di parlare a una persona altolocata e istruita di convincerla riguardo alla verità (At 8,26ss). Successivamente si trasferì a Cesarea (At 21,8), certamente non per fare semplicemente il «diacono», termine con cui s'intende oggi perlopiù chi si occupa di cose piuttosto di natura pratica. È probabile che anche i «servitori» (gr. diakonoi) di 1 Tm 3 non erano semplicemente dei «diaconi» nel senso corrente del termine, ma gli stretti collaboratori del conduttore in questioni spirituali e gestionali, con cui formavano la «squadra d'azione». La stessa relazione c'era in una «squadra missionaria», ad esempio tra Paolo e i suoi collaboratori (Timoteo, Tito, Luca, ecc.). {2007}

 

 

5. {Tullio Vallerta, ps.}

 

Contributo: Gentile sig. Martella, ho scoperto da poco il suo interessante sito web. Sono rimasto colpito da alcune affermazioni riguardo a dottrine che si praticano da tempo nelle nostre chiese (chiese di Cristo).

     Come lei saprà nelle nostre chiese l’anziano deve essere per forza sposato e avere figli. Devo dire che la sua interpretazione biblica sul tema non mi convince del tutto e volevo sapere se poteva approfondire o indicarmi una pubblicazione (sua o d’altri) che tratti il tema in maniera approfondita. Per sua comodità le invio quanto si insegna nelle nostre chiese: «La prima cosa che balza agli occhi di chiunque legga il testo della 1 Timoteo è la necessità d’impiegare uomini sposati. Anzi, non soltanto sposati, ma che abbiano una famiglia. La famiglia, infatti, rappresenta la credenziale più importante riguardo alle sue capacità direttive. Se un uomo ha saputo dimostrare la propria capacità d’educare in senso ottimale la famiglia, tale prova è evidente agli occhi di tutti, quando dai risultati traspare la deferenza e il rispetto da parte dei figli ed egli sarà anche predisposto ad assumere la dirigenza d’una comunità (sempre insieme ad altri che abbiano analoghe capacità)». Mi faccia sapere. Grazie… {15 marzo 2009}

 

Nicola Martella: Alle questioni specifiche, poste dal lettore, le ho risposte già sopra [► 2.]; evito perciò di ripetermi. Le mie esperienze fatte con un «chiesa di Cristo» e con credenti di questa particolare denominazione, sono queste: ho incontrato anziani e responsabili che non avevano né una moglie né figli credenti eppure esercitavano il loro ministero. Quindi una deferenza e un rispetto da parte dei figli non potevano essere verificati. Posso immaginarmi che anche nella «chiesa di Cristo» esistano fratelli che sono anziani, che continuano a esercitare tale ministero anche dopo essere rimasti vedovi. Inoltre, sarebbe una gran bella contraddizione se in 1 Cor 7 Paolo richiedesse ai maschi di rimanere celibi come lui, ma in 1 Tm 3 e Tt 1 limitasse la conduzione ai soli sposati. Non pochi suoi collaboratori (p.es. Barnaba, Timoteo, Tito) erano celibi eppure guidarono chiese. L’accento stava invece sul fatto che nel caso l’aspirante alla conduzione fosse sposato, fosse monogamo; a quel tempo c’era la poligamia come legittima opzione (la gente si convertiva dal paganesimo). Come ho affermato sopra, i figli non erano scontati, sia perché la sterilità era ricorrente, sia perché anche la mortalità infantile era alta. Quindi tali brani non escludevano il celibato (1 Cor 7; 9,5); ma nel caso un conduttore fosse stato sposato, dovevano verificarsi quei prerequisiti descritti. Per i dettagli si veda sopra.

 

 

6. {Tullio Vallerta, ps.}

 

Contributo: Caro fratello, grazie per avermi risposto. Purtroppo la risposta non ha risolto i miei dubbi. Per esempio Barnaba: dove è scritto che era «anziano»? Inoltre, essendo scritto «uomo d’una sola donna» come si sarebbe scritto «uomo sposato»? Grazie ancora. Scusami per il disturbo ma ho capito che hai una profonda conoscenza biblica. Puoi indicarmi a chi rivolgermi per avere una risposta approfondita (capisco che tu sei impegnato e non vorrei toglierti del tempo prezioso). {18 marzo 2009}

 

Nicola Martella: Barnaba fu mandato dalla chiesa di Gerusalemme per guidare la chiesa di Antiochia (At 11,22ss). Egli associò a sé Saulo da Tarso e insieme ammaestrarono i credenti (vv. 25s). Essi fecero sviluppare altri ministeri, talché a un certo punto erano cinque guide nella chiesa (At 13,1). Ciò permise loro di lasciare la chiesa per un compito particolare momentaneo (At 11,29s; 12,25). L’aver organizzato tale colletta particolare e l’averla portata a Gerusalemme, fece sì che essi tornarono con una visione nuova per le chiese in genere e per la missione. Infatti presto Barnaba e Saulo andarono in missione.

     Paolo, parlando di sé e di Barnaba, affermò: «Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie, sorella in fede, così come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1 Cor 9,5). Barnaba e Paolo, sebbene fossero celibi, non solo poterono essere conduttori e insegnanti di chiesa, ma poi divennero missionari fondatori (apostoli), ossia coloro che insediarono altri nel ministero di conduzione. 1 Timoteo 3 e Tito 1 sono da leggere alla luce di tali fatti. Barnaba e Paolo mostrano che era possibile essere celibi e conduttori di chiesa. Tanto più che Paolo consigliò ai credenti di rimanere nella condizione, in cui si trovava al momento della conversione (1 Cor 7,17.24), e ai maschi consigliò: «Io vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io» (vv. 7s).

     Ho già spiegato che «uomo d’una sola donna» (così nell’originale) riguardava i conduttori nel caso fossero sposati e non intendeva solo «uomo sposato», ma «uomo monogamo» (allora si convertivano persone poligame).

     Come si vede qui ci vuole realismo e non ideologia. Bisogna vedere le cose non con gli occhi di una denominazione particolare o della convenzione, ma immedesimandosi nella vera realtà di quei tempi. Che tipo di risposta approfondita vuoi ancora? Io non saprei chi possa dartela.

 

 

7. {Tullio Vallerta, ps.}

 

Contributo: Grazie per la tua risposta. Chiarisce meglio alcuni aspetti. Sto prendendo atto della realtà iper-letteralista, come l’hai chiamata tu, e vedo che la Bibbia deve essere letta tutta. Ora non voglio prenderti altro tempo (ma come fai a gestire tutte queste informazioni?) e ti dico cosa mi è stato risposto: Apostolo non è Anziano. Sono due cose differenti e l’unico Apostolo che si dice anche Anziano, Pietro, è dimostrato che era sposato (guarigione della suocera nel libro degli Atti) e pertanto non possono essere portati ad esempio Paolo e Barnaba. Grazie per non aver cestinato questa mia richiesta. Ricambio le tue benedizioni. {21 marzo 2009}

 

Nicola Martella: A proposito degli interlocutori a cui il lettore ha riferito le mie risposte, mi viene in mente un detto: «Non c’è maggior sordo di chi non vuole ascoltare». Chissà perché Paolo e Barnaba non possono essere portati ad esempio!? Essi erano le guide della chiesa di Antiochia, quindi conduttori; per questo furono chiamati «proclamatori e insegnanti» insieme ad altri tre fratelli (At 13,1). Solo quando furono mandati successivamente in missione, divennero «apostoli» (lett. «mandati»), ossia missionari (vv. 3ss). Il primo brano, in cui Paolo e Barnaba furono chiamati «apostoli» fu Atti 14,4s.14; questo è anche l’unico brano in questo libro.

     Inoltre qui si applica il principio logico «dal maggiore al minore». Gli apostoli quali «missionari fondatori» erano gli unici conduttori delle chiese che fondavano fino a quando non eleggevano a tale ufficio dei fratelli locali e non andavano oltre (At 14,23s). Questo è ricorrente anche nell’esperienza mia e di altri che hanno fondato chiese. Paolo risedette in certi luoghi anche per uno o più anni (At 11,26; 20,31). Se perciò i missionari fondatori (apostoli) potevano essere celibi, quanto più valeva ciò per coloro che essi eleggevano come anziani! Tanto più che Paolo invitava i fratelli a rimanere celibi come lui per servire meglio il Signore (1 Cor 7,7s) e in vista della persecuzione che ci sarebbe stata.

     Quanto a Pietro, che si titolo come presbitero fra i presbiteri (1 Pt 5,1), qui il contesto non parla di matrimonio. Se però si vuole colare moscerini e inghiottire cammelli, faccio presente che anche Gesù fu chiamato da lui Pastore ed Episcopo (= sorvegliante; 1 Pt 2,25), lo stesso titolo con cui erano designati i conduttori di chiesa (1 Tm 3,1s; Tt 1,7); e notoriamente Gesù non era sposato. Come si vede, gli argomenti ideologici e pretestuosi non fanno molta strada. La storia delle chiese dei primi due secoli (per non andare troppo lontano) ci mostra il fatto che c’erano anche chiese guidate da episcopi celibi; nessuno si scandalizzò o pose neppure lontanamente la questione.

 

 

8. {Pino Catanese, ps.}

 

Nota della redazione: Sebbene a questa questione abbiamo già risposto, sia io sia altri, riporto le richieste di questo lettore col solo scopo di mostrare quanto siano diffuse certi convincimenti e come essi siano fonte di confusione, diverbi, sofferenze e prostrazione.

 

Contributo: Caro fratello Nicola, pace a te. Ti ringrazio ancora per il materiale che tu metti a disposizione gratuitamente online per tutti coloro che hanno sete e fame di conoscere la verità delle Scritture. Avrei una domanda da farti perché ultimamente su questo argomento non ci sto più capendo niente: c’è chi dice una cosa, chi un’altra... Può un fratello celibe, quindi non sposato, accedere alla carica pastorale e al ministero della Parola? Se un fratello è voluto dalla chiesa, perché riconosce in lui un ministero, può questo requisito essere di ostacolo alla sua elezione? Dico questo perché alcuni usano la Parola di Dio per dire che, anche se si vede una genuina chiamata in qualcuno, se non è sposato, deve essergli preclusa la possibilità di accedervi.

     Ora, che io sappia, sia Paolo che Barnaba non erano sposati. E lo stesso Paolo afferma nelle sue epistole che a volte, per servire meglio Dio, è utile anche non sposarsi; tuttavia, se si arde, ci si sposi. Vorrei che mi si spiegasse con la Scrittura tutti i punti, in modo che sia chiaro quello che è la volontà di Dio; in tal modo, io potrò poi cercare di spiegarlo a chi vuole veramente sapere come stanno le cose. Analizza, se puoi, tutti quei punti più ostici, di cui si parla nelle epistole a Timoteo e a Tito. Grazie mille.

    Spero mi risponderai presto, fratello. Che Dio continui a benedirti e usarti per la sua lode. Pace. {29 settembre 2009}

 

 

9. {Stefano Frascaro}

 

Caro fratello, è una disamina interessantissima questa che hai fatto e, come al solito, ne farò tesoro. Se non vado errato, il tutto è stato vagliato (giustamente) solo attraverso il «colino» della Parola di Dio. Ma non voglio dimenticarmi però che tutto ciò che è stato scritto, è stato scritto per gli uomini e per il loro ammaestramento.

     È indiscutibile tutto ciò che tu affermi sul ruolo e la «virtù» che deve avere un conduttore, ma in cuor mio aggiungo anche altre motivazioni che ti vado a esporre. È chiaro che gradirei una tua valutazione di quanto da me riportato.

     L’apostolo categorizza un elenco di «virtù» che deve avere un conduttore di chiese; a mio parere, oltre che le ottime motivazioni che hai riportato, va però ricordato il «gregge», a cui il conduttore fa capo è composto da uomini.

     Mi spiego: io ho due figli, uno dei quali particolarmente turbolento, ora, se dovessi rivolgermi a un anziano per un consiglio, come potrei chiederlo a uno giovane e che non ha figli? Che esperienze potrebbe portarmi? Quali consigli potrebbe darmi? Ciò che dice la Parola di Dio su molti argomenti, lo so pure io, ma un padre che si rivolge a un anziano per una cura pastorale, vuole sapere, oltre ciò che dice la Parola, anche un consiglio!

     E se non è sposato, questo conduttore come potrà parlare di problemi d’una coppia e dare consigli a essa? E se non è «abbastanza avanti in età» tu pensi che una persona avanti con gli anni si rivolga a lui serenamente per avere dei consigli? Potrei andare avanti con gli esempi ma mi fermo qui.

     E se il conduttore è troppo giovane, non c’è pericolo di «inorgoglirsi»?

     Si potrebbe obiettare che un anziano non debba essere per forza anche «curatore d’anime», ma a mio parere un pastore che non ha questa sensibilità, è un pastore a cui manca molto; oppure si dirà che molti giovani sono più saggi di tanti anziani… ma ritengo che l’apostolo Paolo, quando diede le caratteristiche che deve avere un anziano, valutò anche tutte queste situazioni.

     Il mio pensiero è quindi che in mancanza di conduttori «maturi» anche in età, ben venga un conduttore giovane, ma deve essere assolutamente un’eccezione. {31 ottobre 2009}

 

 

10. {Nicola Martella}

 

Il titolo del tema di discussione è «Conduttore solo se sposato e padre?», e non «Conduttore solo se non più giovane?». Quanto all’età Paolo ascrive nel catalogo delle qualità questa precondizione: «Che non sia novizio, affinché, divenuto gonfio [d’orgoglio], non cada nella [stessa] condanna del diavolo» (1 Tm 3,6). Per «novizio» s’intende un «neofita», uno convertito da poco. Questa non è tanto questione d’età anagrafica, ma specialmente d’età nella fede. Nel catalogo dell’epistola a Tito ciò non ricorre neppure. Importante è che tale conduttore sia, tra altre cose, irreprensibile e «attaccato alla fedele Parola quale gli è stata insegnata, affinché sia capace d’esortare nella sana dottrina e di convincere i contraddittori» (Tt 1,6.9).

     Un giovane sopra i 20 anni, che è cresciuto in una famiglia di credenti attivi e si è convertito in tenerissima età, ha più capacità di condurre una chiesa, sebbene ancora celibe, di un quarantenne sposato convertito da 2-3 anni. Come detto, però, in questa discussione abbiamo parlato di celibi, non di giovani d’età. Paolo e Barnaba erano celibi, ma non più giovani; anche Timoteo e Tito avranno avuto una certa età, quando Paolo scrisse loro.

     Quando mi reco da un conduttore mi aspetto che non mi dia un consiglio che vada «oltre ciò che dice la Parola». Chiaramente la competenza (p.es. di un medico) non si misura con l’età, sebbene l’esperienza abbia un certo ruolo. Paolo, che noi sappiamo, non è mai stato sposato e non ha avuto figli, ma ha saputo dare buoni consigli a genitori e figli, a mariti e mogli.

     Probabilmente Timoteo e Tito erano forse intorno alla quarantina e Paolo li mandò a riconoscere conduttori nelle chiese fondate (cfr. Tt 1,5). Anche loro ebbero problemi di diverso genere e alcuni li ritenevano troppo giovani per questo o per quello. Paolo li incoraggiò ad andare avanti: «Ordina queste cose e insegnale. Nessuno sprezzi la tua giovinezza» (1 Tm 4,11).

     Paolo con loro non fece un problema d’età e di sesso riguardo ai destinatari della loro azione, ma di stile: «Non riprendere aspramente l’uomo anziano, ma esortalo come un padre; i giovani, come fratelli; le donne anziane, come madri; le giovani, come sorelle, con ogni castità» (1 Tm 5,1s). Essi potevano esporre «le cose che si convengono alla sana dottrina» ai maschi anziani (Tt 2,2), alle donne attempate (vv. 3ss), ai giovani (v. 6), ai servi (vv. 9s).

     Paolo parlò di problemi di coppia e riteneva che anche i loro collaboratori fossero in grado di affrontare gravi problemi di dottrina e di etica nelle chiese; per questo li istruì e diede loro delle direttive. Egli ingiunse ai suoi collaboratori castità e autocontrollo in questioni sessuali (1 Tm 4,12; 5,2; 2 Tm 2,22).

     L’orgoglio non è legato all’età anagrafica, ma al carattere. Abbiamo visto sopra il problema di essere neofita nella fede (1 Tm 3,6), ma ciò non riguarda l’età anagrafica.

     Come mostrano le epistole di Paolo a Timoteo e a Tito, l’apostolo diede loro le direttive su come curare le anime, riprendere i contraddittori, istruire nella sana dottrina e così via. «Queste cose insegna e a esse esorta» (1 Tm 6,2). «Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo» (2 Tm 4,2). «Insegna queste cose, ed esorta e riprendi con ogni autorità. Nessuno ti disprezzi» (Tt 2,15). «Ora il servitore del Signore non deve contendere, ma dev’essere mite inverso tutti, atto a insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contraddicono» (2 Tm 2,24s; cfr. Tt 1,9).

     Se eccezione dev’essere, allora che lo siano i «conduttori di paglia», che non rispecchiano (più) i prerequisiti, che non hanno una mentalità di pastori del gregge ma di mercenari, che non si curano dei membri della loro comunità ma solo della loro immagine, che non hanno un atteggiamento morale e casto, che non hanno una visione del regno di Dio ma solo del proprio orgoglio o che cibano i credenti continuamente con simbolismi e blablaismi. E tutto ciò indipendentemente dell’età dei soggetti.

     Si spera che nella chiesa locale ci siano più di uno credente che rispecchia i prerequisiti di 1 Tm 3 e Tt1, cosicché si possa costituire un collegio di conduttori, che possano imparare gli uni dagli altri, integrarsi, sostenersi e completarsi, e tutto ciò di là dall’età anagrafica e dai particolari carismi.

 

 

11. {Francesco Lo Russo}

 

Contributo: Ecco, ad esempio, ciò che mi ha scritto un credente, che si è trovato spiazzato dalle tesi di un altro: «Vorrei porti un quesito, perché tu possa di darmi una risposta su ciò, che dice la Bibbia in merito. Ti spiego. Stamattina un fratello mi ha detto che il pastore di una comunità o un credente, che ha la vocazione di fare il pastore o è stato chiamato da Dio a ciò, non può espletare questo compito, se non è sposato; ossia, se è sposato può fare il pastore, se non lo è, non può farlo, perché non essendo sposato non ha il cuore di padre (paternità verso le pecorelle). E mi ha citato il passo di 1 Timoteo 3,1-5, dicendomi che si deve essere sposato con una sola moglie e si deve avere una famiglia e governarla bene, altrimenti non avendo il cuore di padre, non può esercitare il ministero pastorale; cioè chi non è sposato, non può fare il pastore. La mia domanda è cosa dice la Bibbia e quale è la verità in merito. Grazie in anticipo di cuore». {29-12-2010}

 

Nicola Martella: Come si vede da questa lettera, non solo verrebbero esclusi i celibi, ma anche gli sposati senza prole, i vedovi e coloro che hanno perso i figli per qualche disgrazia. Avendo affrontato vari aspetti sopra, mi limiterò qui alla questione se un conduttore celibe possa esprimere una paternità spirituale.

    Il principio è questo: se qualcosa vale per i conduttori di chiesa, quanto più vale per coloro che fondavano le chiese! Paolo e Barnaba erano certamente celibi (1 Cor 9,5s; cfr. 1 Cor 7,7s.26); lo stesso dicasi di Timoteo e Tito (1 Tm 4,11s; 2 Tm 2,22); ciò sarà valso di vari altri servitori di allora. Il celibato di Paolo, di Barnaba e di altri componenti della loro squadra missionaria non impediva loro di esprimere la loro paternità spirituale e di avere un «cuore di padre» (1 Cor 4,15; 1 Ts 2,11). Neppure a Timoteo e a Tito mancavano le capacità di esortare le diverse componenti delle chiese (1 Tm 5,1s; Tt 2,1-10), sebbene fossero celibi. Inoltre, Paolo chiamò Timoteo «mio vero figlio in fede» e simili (1 Tm 1,2.18; 2 Tm 1,2; 2,1) e lo stesso fece con Tito, chiamandolo «mio vero figlio secondo la fede» (Tt 1,4; cfr. Flm 1,10 Onesimo). Tale espressione di un servitore celibe vale al pari di quella di uno sposato, ad esempio di Pietro, che chiamò «Marco, il mio figlio» (1 Pt 5,13). Non sappiamo se Giovanni si fosse mai sposato, in ogni modo anch'egli chiamò continuamente i credenti come «figlioli [miei]» (1 Gv 2,1.12.14.18.28; 3,7.18; 4,4; 4,21), come fece Gesù con i suoi discepoli (Gv 13,33) e come fece anche Paolo con i credenti delle chiese da lui fondate (Gal 4,19).

    La paternità spirituale non dipende dalla paternità biologica.

 

 

12. {}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Conduttore_sposato_padre_S&A.htm

20-02-2007; Aggiornamento: 03-04-2015

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce