Come «assaggio di lettura» del mio libro umoristico
«Motti di spirito» avevo messo sul sito «
Come uccido la mia chiesa locale». Stando in un libro di umorismo religioso, si
trattava chiaramente di un testo ironico, ossia che affermava una cosa intendendo il contrario. Pensavo che bastasse dichiarare
la fonte di tale mio testo — indicando: «Tratto da Nicola Martella, Motti di Spirito (Punto°A°Croce, Roma 1995), p. 76» —
per far capire che si trattava di ironia, ma non tutti hanno probabilmente le
antenne per per sintonizzarsi su un simile programma. Se però non si è
abbastanza distratti e si vede bene, tale composizione è contenuta nel capitolo
«Ad acta», che è sottotitolato così: «Variabili fisse e composizioni
elefantastiche». Riporto tale testo anche in un box d’approfondimento in: Nicola
Martella,
Elementi della fede: Dottrine fondamentali della fede cristiana
(Associazione Soli Deo Gloria, Piacenza 2009), p. 39. Qui lo scopo è quello di
fare da contrasto con capitolo, a cui appartiene: «La chiesa biblica»; in tal
modo diventa chiaro che è solo una provocazione, su cui riflettere e
discutere!
Un giorno mi arrivò però un testo, in cui Sandro Bertone stirava «in chiaro» ciò, che io avevo
espresso come ironia. [►
Come (non) uccido la mia chiesa locale] Da lì nacque un confronto interessante e non pensavo mai che fosse solo l’apice
di un iceberg di tutt’altra natura… un’analisi sarcastica sui vezzi di alcune
Assemblee, da lui conosciute (cfr. 1° contributo).
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Sandro Bertone} ▲
Caro Nicola, l’ironia è un’arma a doppio taglio, come
vedo! Quella che ho scritto, non era, nelle mie intenzioni «una lista di
precetti ecclesiali»; se noti ho scritto che «personalmente avevo dei dubbi» che
bastasse seguire quelle poche regole per far vivere e crescere la Chiesa locale.
Ma anche in modo esplicito non sono riuscito a comunicare la sollecitazione a
verificare cosa mancava in tuta quella serie di cose pratiche. E ora mi tocca
rivelarlo togliendo il gusto ad altri di farlo!
Alcuni esempi
■
Sia che non
partecipi alle riunioni, sia che partecipi a tutte, quello che manca è la
rilevazione della motivazione! Molti non
partecipano, pur essendo presenti, il loro Spirito è assente. Nelle nostre
chiese prevale il concetto di presenzialismo, chi fisicamente è presente a
tutte le riunioni, di fatto è colui
che ha o meglio esercita il «potere»; l’assiduità alle riunioni autorizza a
esserne «proprietari».
■
Che ci s’aspetti o no qualcosa d’eccezionale, poco importa, se chi
partecipa ha qualcosa da portare; ma se lo Spirito è abbattuto, se la
considerazione e la stima degli altri (quelli sempre presenti sono la categoria
peggiore per quanto riguarda il giudizio), che cosa si può pensare di portare?
■
Se evidenzio
pregi e difetti, ma con amore fraterno e spirito di riprensione, non
sarei più credibile di quanti pubblicamente tessono elogi e privatamente ne
evidenziano le carenze? Ma il «potere» non ama le critiche e non distingue tra
costruttive e distruttive. Per cui qualsiasi critica è distruttiva e va evitata,
la strada porta all’ipocrisia reciproca che regola gruppi omogeneizzati. Qui si
fa così, se non ti piace, la porta è aperta…
■
In base al presenzialismo, la riunione infrasettimanale è un vero
concentrato di credenti, quelli «veri», quelli che si staccano dalla TV per
recarsi in chiesa, con qualsiasi tempo; loro sono più chiesa di «quelli della
domenica» («della domenica» è un attributo ormai entrato nel lessico per
identificare persona da nulla, «guidatore della domenica» è quasi un insulto).
In quelle riunioni che hanno come scopo la preghiera gli uni per gli altri, gli
assenti sono molto citati, al limite della violazione della privacy e onde
pregare per loro si fa un bell’elenco delle loro magagne. I presenti, possono
esserne esenti! Loro sono attivi e propositivi.
■
Portare amici e conoscenti, certo se la
chiesa ha le caratteristiche che condividiamo; ma quando non le ha?
■
La mia esperienza mi porta a vedere una certa propensione a divenire proprietari
di chiesa. Tipicamente le Chiese dei Fratelli non hanno un pastore, ma a volte
c’è un proprietario e di solito ha dietro a se una famiglia o un clan.
Assumersi responsabilità in questi casi significa obbedire al capo, fare ciò
che lui dice o che il clan sostiene. Se s’agisce in autonomia si dura «il breve
spazio d un mattino».
Riepilogo
C’è poco da ironizzare, nel
male e nel bene! Non ci sono regole che permettono di far vivere la
Chiesa e non c’è modo d’ucciderla. Occorre vivere la realtà quotidiana senza
arrendersi dinnanzi alle difficoltà.
Lungi dal cercare in noi
stessi le cause del «disastro», sposiamo questi elenchi, il tuo e il mio, con
ciò che fanno o non fanno gli altri e ci sentiamo vittime e non responsabili
del degrado
spirituale in cui versano le chiese.
Si tenta in tutti i modi di
risvegliare le coscienze, e tu l’hai fatto con quel tipo d’ironia, ma se la
riporti sul giornalino di chiesa, essa risulta un atto d’accusa per chi non
partecipa (fisicamente), per chi non prega, per chi evidenzia le cose che non
vanno, ecc. Creando un clima, anzi esasperandone uno già presente
d’ostracismo.
Io sono convinto che questa
non fosse la tua intenzione, così come quella di Gesù che ci chiama sempre
all’introspezione e all’autocritica, ma… Un abbraccio fraterno… {30
settembre 2009}
2.
{Nicola Martella} ▲
Devo ammettere che
la versione di Sandro Bertone, poiché non era accompagnata da alcuna nota
interpretativa, lasciava intendere che avesse semplicemente riportato «in
chiaro», ciò che avevo espresso come ironia. Probabilmente mi sono sbagliato e
non ho colto il suo sarcasmo. Si noti al riguardo quanto segue.
■ L’ironia
dice il contrario di ciò che intende. Ecco qui di seguito un esempio biblico.
Visto che i profeti di Achab dicevano ciò che lui voleva, Giosafat lo sollecitò
di far venire il profeta Mikajah per consultare l’Eterno. «E, come fu giunto
dinanzi al re [Achab], il re gli disse: “Mikajah, dobbiamo noi andare a far
guerra a Ramoth di Galaad, o no?”. Quegli rispose: “Va’ pure, tu vincerai!
L’Eterno la darà nelle mani del re!”» (1 Re 22,15). In pratica aveva
risposto come i falsi profeti del re (v. 12s). Achab però, marpione com’era,
aveva ben capito l’antifona (v. 16) e chiese la verità, cosa che Mikajah non
mancò poi di dirgli (vv. 17ss).
■ Il
sarcasmo accentua ed esagera l’espressione; in tal caso bisognerebbe
esprimere meglio la cosa, magari aggiungendo una qualche particella o un qualche
avverbio, ad esempio: «Sì, và sempre a tutte le riunioni!». Un
caso biblico riguarda l’incitazione di Elia verso i 400 sacerdoti (e falsi
profeti) di Ba`al, al soldo di Achab e Izebel, durante la sfida sul monte
Carmelo. Dopo che essi avevano invocato Ba`al tutta la mattinata, facendo danze
rituali intorno all’altare (1 Re 18,26), è scritto: «E a mezzogiorno accadde
che Elia li beffò e disse loro: “Gridate forte, poiché egli è un dio! Egli sta
sicuramente meditando, o ha la sua defecazione, o è in viaggio. Forse dorme,
allora si risveglierà!» (v. 27). Ed essi diventarono ancora più compulsivi e
sfrenati nei loro rituali fino a verso sera (vv. 29s).
Dopo il chiarimento
di Sandro Bertone le cose sembrano più chiare. Probabilmente avrebbe fatto bene
a spiegare le sue intenzioni fin dall’inizio, quando ha mandato il mio testo
ironico rigirato sarcasticamente «in chiaro».
Quanto agli
esempi che lui fa, ciò dipende dal tipo di chiese che lui ha frequentato. Le
cose che afferma, sono comunque drammatiche, se stanno veramente così. Possibile
che siamo arrivati al punto di dover «buttare via il bambino con tutta
l’acqua sporca», ossia le Assemblee con tutte le sue incrostazioni
tradizionalistiche che si sono accumulate? Possibile che la situazione sia così
tragica che non si possano rinnovare? Non sono sicuro che le cose stiano così.
Anche all’estero le Assemblee aperte stanno seriamente riflettendo su un
rinnovamento, non sul tipo del misticismo, ma ritornando allo spirito
partecipatorio delle origini e al metodo di studio biblico di scoperta
personale.
Alle chiese, in cui io e mia moglie siamo stati attivamente coinvolti nella
fondazione, abbiamo dato un’impronta partecipativa; non solo abbiamo
cellule bibliche nelle case o il discepolato di gruppo (attività chiaramente
partecipative), ma anche la predicazione è da noi partecipativa e chi si prepara
ed è di turno, sa che può essere interrotto in qualsiasi momento per chiedere
qualcosa, per fare un’applicazione, per aggiungere o per rettificare.
Le chiese dei Fratelli erano nate come assemblee partecipative (tutti
attivamente di fronte a tutti), poi si sono adeguate alla «messa evangelica» (un
referente di fronte a tutti passivi). Per questo noi abbiamo cercato di
ritornare allo spirito dei primi Fratelli. La cosa singolare è che mentre le
chiese dei Fratelli negli ultimi decenni si è in genere involuta in una chiesa
gestita da pochi e in una massa che consuma, il cosiddetto «movimento di
fondazione di chiese» ha riscoperto lo stile partecipatorio, che sta
propagando e attuando. Quest’ultimo, invece di creare sale attraenti, in cui
invitare, porta l’Evangelo nelle case e usa il metodo dell’esplorazione
personale della Bibbia: questo è quello che facevano i primi Fratelli!
■ La differenza è che non si va in chiesa, ma si è chiesa. Non si va in
un «luogo neutrale», magari distante, ma si aprono le proprie case a
coloro che stanno intorno e vivono nello stesso ambiente. Non si consuma, ma si
comunica o, almeno, si partecipa attivamente. Così facendo, non si necessita di
specialisti o tutt’al più essi sono allenatori e non addomesticatori.
■ Allora la
cosa eccezionale, da aspettarsi, è scoprire insieme la Bibbia, usando il
metodo dell’esploratore insieme a coloro che non la conoscono ancora così bene,
invece di pretendere di indottrinarli.
■ In un ambiente culturale circonvicino o domestico, in cui si è sensibile verso
l’anello più debole della catena, pregi e difetti
vengono stemperati, poiché il primo serve l’ultimo. Inoltre, scoprendo insieme
la Parola di Dio, essa parla, ammonisce, esorta, convince e incoraggia ognuno.
■ Le persone, per le quali abbiamo mostrato interesse e affetto durante la
settimana e con cui ci siamo incontrati a tu per tu per scoprire insieme la
sacra Scrittura, in genere avranno piacere di incontrarci anche di domenica. La
premessa è che di domenica non si proponga loro la «messa evangelica», ma si usi
uno stile partecipatorio.
■ Gli
amici e conoscenti
bisogna incontrarli prima nel loro ambiente, invitandoli a scoprire
insieme le verità della Parola di Dio. Quando ciò accade, in genere non hanno
grandi difficoltà a venire anche ai culti, premesso che non si voglia
renderli spettatori di uno spettacolo religioso con pochi attori, sempre uguali,
con un programma sempre uguale.
In una chiesa diffusa nelle case (chiese in casa), ogni cellula ha abbastanza
spazio per sperimentare responsabilità. Le persone più mature nella fede
che esercitano una supervisione, invece di fare gli addomesticatori, possono
esercitarsi a fare gli allenatori, incoraggiando l’impegno, lo sviluppo dei
carismi, eccetera, e lasciando sempre più spazio alle nuove vocazioni. Quando la
cellula può camminare da sé, il supervisore può aprirne un’altra.
Andando alle
conclusioni, si noti quanto segue.
■ Le regole
servono per creare un clima di ordine e decoro. Non sono il fine, ma un mezzo.
Gli obiettivi rimangono anche quando gli strumenti cambiano. La questione è la
vicinanza e la partecipazione («pari consentimento») fra i credenti nella vita
(non solo nei culti), possibilmente là dove si vive e nelle case.
■ Elenchi ironici o quelli sarcastici sono stimoli forti e provocanti alla
riflessione e al cambiamento. Essi non presentano soluzioni, ma interrogativi.
Non cercano
responsabili (colpevoli), ma vogliono rendere responsabili (ragionevoli,
impegnati).
■ L’Ecclesiaste affermò verso la fine del suo libro provocatorio, appena
prima della sua conclusione: «Le parole dei sapienti sono come degli stimoli,
e le collezioni delle sentenze sono come dei chiodi ben piantati» (Ec
12,13). Egli cercò di risvegliare le coscienze per rendere chiaro questo: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché
questo è tutto l’uomo» (v. 15). Chiaramente le parole dei saggi possono
essere strumentalizzate e usate come pretesto per avvelenare le fonti. Tuttavia
non si può attribuire tale responsabilità a chi scrive aforismi e sentenze. Nel
nostro gruppo di discepolato stiamo studiando in modo partecipato il su nominato
libretto «Elementi
della fede»; di là se sarò presente o meno, come per le altre cose non ci sarà difficoltà a leggere, interpretare e
commentare il testo del box «Come uccido la mia chiesa locale», anzi sarà un motivo di crescita.
■ Tutto dipende dal clima. Se esso è già avvelenato dalle «opere della
carne» (Gal 5,19ss), ogni stuzzicadenti che punzecchia sembra un palo, ogni
fiammifero viene considerato un incendio! Qui bisogna semplicemente ravvedersi.
Se invece si crea un clima determinato dal «frutto dello Spirito» (vv. 22ss),
allora per il bene che ci si vuole in Cristo e anche sul piano umano, si è
disposti ad ammantare tante cose col manto dell’amore (1 Pt 4,8), poiché ci si
considera come alleati (non come concorrenti), che tirano la corda dalla stessa
parte.
■ Quanto ai pregiudizi che portano all’ostracismo, ricordo che quando
pubblicai «Motti di spirito», inviai una copia al direttore di un mensile per la
moglie che era malata, credendo così di alleviare almeno un po’ le sue
sofferenze. Vi risparmio ciò che mi scrisse, menzionando solo il suo consiglio
di dare alle fiamme l’intera edizione! Ho dovuto pensare a 2 Corinzi 6,12: «Voi
non siete allo stretto in noi, ma è il vostro cuore che si è ristretto».
Inoltre spesso si giudica gratuitamente ciò che non si è capaci di comprendere
veramente.
3.
{Sandro Bertone} ▲
Amare significa non
dover mai dire: «Mi dispiace». In ogni modo mi
spiace, Nicola, se ti ho indotto in un errore di valutazione; come scrivi al
fondo del tuo apprezzabile e condivisibile articolo: «Spesso si giudica
gratuitamente ciò che non si è capaci di comprendere veramente».
Non era mia intenzione tendere
una trappola e non ho scritto commenti o spiegazioni,
perché
il tuo articolo, è stato riportato su «Vitamine» (il
nostro giornalino di Chiesa)
senza commenti e senza spiegazioni. In fondo la mia domanda iniziale era
molto semplice (per
me) e la ponevo in oggetto: «È questo il metodo per
far vivere e crescere una chiesa locale?».
Ho commesso però l’errore d’inviarlo a te e per
conoscenza alla redazione del giornalino, mentre avrei dovuto fare il contrario
(ora me ne rendo conto!).
Mi spiace aver scritto con l’inchiostro dell’amara
constatazione la spiegazione della prima e-mail, ma sono felice della tua
risposta, mi rincuora e mi dà speranza...
Più volte ho pensato d’arrendermi, ma non ce la faccio, non so nemmeno dove ci
si vada ad arrendere; le volte in cui sono andato al
Signore per
farlo, Lui mi ha incoraggiato a continuare, a crederci
contro ogni evidenza. Io amo la mia Chiesa e vado a essere chiesa con i miei
Fratelli, ma sovente (e sicuramente per colpa mia)
mi sento come un pesce fuor d’acqua, ho difficoltà nel
dire la verità, per non toccare la suscettibilità o
recare offesa alla dignità (all’orgoglio?). Questa è la verità, ben inteso con
la «v» minuscola, la cosa che vedo e che penso…
Io non m’accontento di vivacchiare, vorrei vivere e
condividere una esperienza con il Signore; da solo non ci
riesco e intorno a me trovo troppo formalismo
religioso.
Ben vengano le regole, se nascono da un comune
sentimento di rispetto.
Ad esempio, l’orario del culto (da noi) non
viene rispettato da alcuni in modo sistematico e già questo a me provoca un
senso di disagio… che faccio? Lo dico e o
ridico… ma nulla cambia!
Ne discutiamo in senso lato… ma si ripete sempre.
Come si spiega il rispetto del tempo altrui, come si fa capire che il rubare
tempo è furto? Come essere chiesa quando non si colgono aspetti minimi di questo
genere?
Poi mi faccio un
corso su come
guarire le ferite interiori
alla luce
della Parola, ma chi insegna a non provocarle?
Non sarebbe meglio prevenire?
Sarò un «Bastian
Contrario», come mi hai scritto tu scherzando in privato, e cercherò di mettere
a frutto i tuoi insegnamenti e suggerimenti, ma ti prego di credere che faccio
ogni cosa e scrivo ogni cosa sospinto da un unico desiderio, quello d’avvertire
dei rischi e dei pericoli. Sicuramente non ho le
soluzioni, ma, come una sentinella, grido a che punto vedo la notte. Un
affettuoso abbraccio {2 ottobre 2009}
4.
{Nicola Martella} ▲
Chi ama, può anche
dire: «Mi dispiace», e cioè sia per non diventare complice, sia quando si
è stati gretti d’animo. Poi la comunicazione è una creatura molto
sensibile, come una farfalla nella mano: se si stringe troppo, la si schiaccia;
se si apre troppo, vola via. Si rischia di essere fraintesi sia che si dica
poco, sia che si dica tanto. D’altro conto bisogna sforzarsi per farsi capire,
poiché non tutti sono sintonizzati sulla nostra lunghezza d’onda e possono
intuire ciò che intendiamo. La cosa più fuorviante per gli altri è sempre il
nostro silenzio, poiché si presta a molte interpretazioni.
Alla domanda: «È questo il metodo per far vivere e crescere una
chiesa locale?», se unito al mio testo, bisogna rispondere certamente:
«No». Una ironia mostra ciò che non bisogna fare, magari comandandolo. Per
brevità ho riassunto la questione nell’articolo «
Ironia» del «Dizionario Biblico».
La comunione e il pari consentimento in una chiesa locale non sono
entità stabili e standardizzate, ma bisogna scoprirle sempre di nuovo. Esse
sono, per così dire, liquide e necessitano di contenitori culturali. Al riguardo
non bisogna rimanere alla reazione (amara
constatazione), ma bisogna passare all’azione, creando otri nuovi
per il vino nuovo (Mt 9,17). Il problema è che mentre l’ambiente si evolve,
vogliamo usare vecchi ponti che non portano più di là dal fiume ma nel nulla. Si
vogliono usare otri vecchi per un vino giovane, appellandosi alla tradizione dei
padri; e così ci si meraviglia che i vecchi contenitori culturali fanno acqua da
tutte le parti. È il loro spirito pionieristico e giovane dei padri che bisogna
usare, non i loro contenitori culturali (convenzioni, tradizioni, ecc.)!
Il
formalismo religioso
è la conseguenza degli otri vecchi. Una chiesa in movimento non ha problema di
tempi e di orari, poiché abbraccia tutta la sfera della vita e si svolge
soprattutto nelle case.
Chiaramente le
regole ci vogliono, ma esse dipendono dagli obiettivi. Quanto all’orario,
all’inizio degli incontri e ai ritardatari, nelle due chiese, in cui sono stato
in prima persona coinvolto nella fondazione, non abbiamo mai avuto questo
problema fintantoché sono stato uno dei conduttori. Invece di dire o ridire le
cose, noi iniziamo semplicemente alle «virgola zero», senza se e senza ma,
chiunque c’è o non c’è. La nostra esperienza attuale è che spesso ci siamo tutti
già 10 minuti prima e, a volte, iniziamo già cantando. I ritardatari sanno di
essere tali, solo se la maggior parte è puntuale e i conduttori cominciano a
orario.
La mia esperienza personale e l’attività di consulente spirituale mi hanno
mostrato che le ferite interiori non dipendono solo dagli altri, ma anche
dalla nostra penetrabilità, dal materiale con cui siamo fatti. Certo prevenire
sarebbe meglio, ma visto che non possiamo impedirlo, tanto vale imparare a
sviluppare anticorpi e resistenza. Chi ama l’opera di Dio, deve imparare
a guardare oltre, a fare il callo. Deve mettere la propria sensibilità (tessuti
molli) da parte e deve temperarsi, allenandosi nella scuola della vita e della
fede, per sviluppare resistenza (muscoli morali). Deve rinunciare a difendere la
propria reputazione e non deve occupare il proprio tempo a raccogliere in giro
le piume che altri hanno gettato al vento su di lui.
Chi fa la
sentinella, ministero importante oggigiorno, ha come compagni di via Isaia
(Is 21,6.11s; 62,6), Habakuk (Hb 2,1) ed Ezechiele (Ez 3,17; 33,7). Buona
guardia, segugio!
Tale ministero è tanto più
importante, visto che in giro ci sono tante sentinelle stolte che hanno perso il
senso della realtà e della loro responsabilità e sono diventate oziose,
sonnacchiose e distratte (Ez 33,6). Altre hanno la mentalità del mercenario e si
danno alla fuga, quando vedono arrivare il pericolo (Gv 10,12). Di simili
guardiani è scritto quanto segue: «I guardiani d’Israele sono tutti ciechi,
senza intelligenza; sono tutti dei cani muti, incapaci d’abbaiare; sognano,
stanno sdraiati, amano sonnecchiare. Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia
l’essere satolli; sono dei pastori che non capiscono nulla; sono tutti volti
alla loro propria via, ognuno mira al proprio interesse, dal primo all’ultimo.
"Venite", dicono, "io andrò a cercare del vino, e c’i inebrieremo di bevande
forti! E il giorno di domani sarà come questo, anzi sarà più grandioso ancora!"»
(Is 56,10ss; le conseguenze poi sono ovvie: Is 57,1ss).
Poi è anche vero che le sentinelle, che avvertono dei pericoli, non sono tanto
amate. Alcuni li vedono come menagramo e scocciatori. Le persone non vogliono
sentire parlare di rischi e di pericoli, ma preferiscono vivere una vita
spensierata e ricevere previsioni propizie e favorevoli. Anche
fra i credenti ci sono ribelli che si pascono di menzogne, rifiutando gli
avvertimenti della Parola di Dio; anzi, per usare un'immagine dell'AT, «dicono
ai veggenti: "Non vedete!", e a quelli che hanno delle visioni: "Non ci
annunziate visioni di cose vere! Diteci delle cose piacevoli, profetateci delle
chimere!"» (Is 30,9ss). Poi in vero si parla di
«disastro annunciato», ma solo dopo che la
catastrofe è avvenuta ed è oramai senza rimedio.
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8.
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9.
{} ▲
10.
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11.
{} ▲
12.
{} ▲
►
Chiese partecipate o chiese visitate? {Tonino Mele} (A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Come_uccido_chiesa_no_UnV.htm
01-10-2009; Aggiornamento: 03-10-2009
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