Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.

 

Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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COME (NON) UCCIDO LA MIA CHIESA LOCALE?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Come «assaggio di lettura» del mio libro umoristico «Motti di spirito» avevo messo sul sito « Come uccido la mia chiesa locale». Stando in un libro di umorismo religioso, si trattava chiaramente di un testo ironico, ossia che affermava una cosa intendendo il contrario. Pensavo che bastasse dichiarare la fonte di tale mio testo — indicando: «Tratto da Nicola Martella, Motti di Spirito (Punto°A°Croce, Roma 1995), p. 76» — per far capire che si trattava di ironia, ma non tutti hanno probabilmente le antenne per per sintonizzarsi su un simile programma. Se però non si è abbastanza distratti e si vede bene, tale composizione è contenuta nel capitolo «Ad acta», che è sottotitolato così: «Variabili fisse e composizioni elefantastiche». Riporto tale testo anche in un box d’approfondimento in: Nicola Martella, Elementi della fede: Dottrine fondamentali della fede cristiana (Associazione Soli Deo Gloria, Piacenza 2009), p. 39. Qui lo scopo è quello di fare da contrasto con capitolo, a cui appartiene: «La chiesa biblica»; in tal modo diventa chiaro che è solo una provocazione, su cui riflettere e discutere!

     Un giorno mi arrivò però un testo, in cui Sandro Bertone stirava «in chiaro» ciò, che io avevo espresso come ironia. [► Come (non) uccido la mia chiesa locale] Da lì nacque un confronto interessante e non pensavo mai che fosse solo l’apice di un iceberg di tutt’altra natura… un’analisi sarcastica sui vezzi di alcune Assemblee, da lui conosciute (cfr. 1° contributo). 

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Sandro Bertone

2. Nicola Martella

3. Sandro Bertone

4. Nicola Martella

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Sandro Bertone}

 

Caro Nicola, l’ironia è un’arma a doppio taglio, come vedo! Quella che ho scritto, non era, nelle mie intenzioni «una lista di precetti ecclesiali»; se noti ho scritto che «personalmente avevo dei dubbi» che bastasse seguire quelle poche regole per far vivere e crescere la Chiesa locale. Ma anche in modo esplicito non sono riuscito a comunicare la sollecitazione a verificare cosa mancava in tuta quella serie di cose pratiche. E ora mi tocca rivelarlo togliendo il gusto ad altri di farlo!

 

Alcuni esempi

     Sia che non partecipi alle riunioni, sia che partecipi a tutte, quello che manca è la rilevazione della motivazione! Molti non partecipano, pur essendo presenti, il loro Spirito è assente. Nelle nostre chiese prevale il concetto di presenzialismo, chi fisicamente è presente a tutte le riunioni, di fatto è colui che ha o meglio esercita il «potere»; l’assiduità alle riunioni autorizza a esserne «proprietari».

     Che ci s’aspetti o no qualcosa d’eccezionale, poco importa, se chi partecipa ha qualcosa da portare; ma se lo Spirito è abbattuto, se la considerazione e la stima degli altri (quelli sempre presenti sono la categoria peggiore per quanto riguarda il giudizio), che cosa si può pensare di portare?

     Se evidenzio pregi e difetti, ma con amore fraterno e spirito di riprensione, non sarei più credibile di quanti pubblicamente tessono elogi e privatamente ne evidenziano le carenze? Ma il «potere» non ama le critiche e non distingue tra costruttive e distruttive. Per cui qualsiasi critica è distruttiva e va evitata, la strada porta all’ipocrisia reciproca che regola gruppi omogeneizzati. Qui si fa così, se non ti piace, la porta è aperta…

     In base al presenzialismo, la riunione infrasettimanale è un vero concentrato di credenti, quelli «veri», quelli che si staccano dalla TV per recarsi in chiesa, con qualsiasi tempo; loro sono più chiesa di «quelli della domenica» («della domenica» è un attributo ormai entrato nel lessico per identificare persona da nulla, «guidatore della domenica» è quasi un insulto). In quelle riunioni che hanno come scopo la preghiera gli uni per gli altri, gli assenti sono molto citati, al limite della violazione della privacy e onde pregare per loro si fa un bell’elenco delle loro magagne. I presenti, possono esserne esenti! Loro sono attivi e propositivi.

     Portare amici e conoscenti, certo se la chiesa ha le caratteristiche che condividiamo; ma quando non le ha?

     La mia esperienza mi porta a vedere una certa propensione a divenire proprietari di chiesa. Tipicamente le Chiese dei Fratelli non hanno un pastore, ma a volte c’è un proprietario e di solito ha dietro a se una famiglia o un clan. Assumersi responsabilità in questi casi significa obbedire al capo, fare ciò che lui dice o che il clan sostiene. Se s’agisce in autonomia si dura «il breve spazio d un mattino».

 

Riepilogo

     C’è poco da ironizzare, nel male e nel bene! Non ci sono regole che permettono di far vivere la Chiesa e non c’è modo d’ucciderla. Occorre vivere la realtà quotidiana senza arrendersi dinnanzi alle difficoltà.

     Lungi dal cercare in noi stessi le cause del «disastro», sposiamo questi elenchi, il tuo e il mio, con ciò che fanno o non fanno gli altri e ci sentiamo vittime e non responsabili del degrado spirituale in cui versano le chiese.

     Si tenta in tutti i modi di risvegliare le coscienze, e tu l’hai fatto con quel tipo d’ironia, ma se la riporti sul giornalino di chiesa, essa risulta un atto d’accusa per chi non partecipa (fisicamente), per chi non prega, per chi evidenzia le cose che non vanno, ecc. Creando un clima, anzi esasperandone uno già presente d’ostracismo.

     Io sono convinto che questa non fosse la tua intenzione, così come quella di Gesù che ci chiama sempre all’introspezione e all’autocritica, ma… Un abbraccio fraterno… {30 settembre 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Devo ammettere che la versione di Sandro Bertone, poiché non era accompagnata da alcuna nota interpretativa, lasciava intendere che avesse semplicemente riportato «in chiaro», ciò che avevo espresso come ironia. Probabilmente mi sono sbagliato e non ho colto il suo sarcasmo. Si noti al riguardo quanto segue.

     ■ L’ironia dice il contrario di ciò che intende. Ecco qui di seguito un esempio biblico. Visto che i profeti di Achab dicevano ciò che lui voleva, Giosafat lo sollecitò di far venire il profeta Mikajah per consultare l’Eterno. «E, come fu giunto dinanzi al re [Achab], il re gli disse: “Mikajah, dobbiamo noi andare a far guerra a Ramoth di Galaad, o no?”. Quegli rispose: “Va’ pure, tu vincerai! L’Eterno la darà nelle mani del re!”» (1 Re 22,15). In pratica aveva risposto come i falsi profeti del re (v. 12s). Achab però, marpione com’era, aveva ben capito l’antifona (v. 16) e chiese la verità, cosa che Mikajah non mancò poi di dirgli (vv. 17ss).

     ■ Il sarcasmo accentua ed esagera l’espressione; in tal caso bisognerebbe esprimere meglio la cosa, magari aggiungendo una qualche particella o un qualche avverbio, ad esempio: «, và sempre a tutte le riunioni!». Un caso biblico riguarda l’incitazione di Elia verso i 400 sacerdoti (e falsi profeti) di Ba`al, al soldo di Achab e Izebel, durante la sfida sul monte Carmelo. Dopo che essi avevano invocato Ba`al tutta la mattinata, facendo danze rituali intorno all’altare (1 Re 18,26), è scritto: «E a mezzogiorno accadde che Elia li beffò e disse loro: “Gridate forte, poiché egli è un dio! Egli sta sicuramente meditando, o ha la sua defecazione, o è in viaggio. Forse dorme, allora si risveglierà!» (v. 27). Ed essi diventarono ancora più compulsivi e sfrenati nei loro rituali fino a verso sera (vv. 29s).

 

Dopo il chiarimento di Sandro Bertone le cose sembrano più chiare. Probabilmente avrebbe fatto bene a spiegare le sue intenzioni fin dall’inizio, quando ha mandato il mio testo ironico rigirato sarcasticamente «in chiaro».

     Quanto agli esempi che lui fa, ciò dipende dal tipo di chiese che lui ha frequentato. Le cose che afferma, sono comunque drammatiche, se stanno veramente così. Possibile che siamo arrivati al punto di dover «buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca», ossia le Assemblee con tutte le sue incrostazioni tradizionalistiche che si sono accumulate? Possibile che la situazione sia così tragica che non si possano rinnovare? Non sono sicuro che le cose stiano così. Anche all’estero le Assemblee aperte stanno seriamente riflettendo su un rinnovamento, non sul tipo del misticismo, ma ritornando allo spirito partecipatorio delle origini e al metodo di studio biblico di scoperta personale.

     Alle chiese, in cui io e mia moglie siamo stati attivamente coinvolti nella fondazione, abbiamo dato un’impronta partecipativa; non solo abbiamo cellule bibliche nelle case o il discepolato di gruppo (attività chiaramente partecipative), ma anche la predicazione è da noi partecipativa e chi si prepara ed è di turno, sa che può essere interrotto in qualsiasi momento per chiedere qualcosa, per fare un’applicazione, per aggiungere o per rettificare.

     Le chiese dei Fratelli erano nate come assemblee partecipative (tutti attivamente di fronte a tutti), poi si sono adeguate alla «messa evangelica» (un referente di fronte a tutti passivi). Per questo noi abbiamo cercato di ritornare allo spirito dei primi Fratelli. La cosa singolare è che mentre le chiese dei Fratelli negli ultimi decenni si è in genere involuta in una chiesa gestita da pochi e in una massa che consuma, il cosiddetto «movimento di fondazione di chiese» ha riscoperto lo stile partecipatorio, che sta propagando e attuando. Quest’ultimo, invece di creare sale attraenti, in cui invitare, porta l’Evangelo nelle case e usa il metodo dell’esplorazione personale della Bibbia: questo è quello che facevano i primi Fratelli!

     ■ La differenza è che non si va in chiesa, ma si è chiesa. Non si va in un «luogo neutrale», magari distante, ma si aprono le proprie case a coloro che stanno intorno e vivono nello stesso ambiente. Non si consuma, ma si comunica o, almeno, si partecipa attivamente. Così facendo, non si necessita di specialisti o tutt’al più essi sono allenatori e non addomesticatori.

     ■ Allora la cosa eccezionale, da aspettarsi, è scoprire insieme la Bibbia, usando il metodo dell’esploratore insieme a coloro che non la conoscono ancora così bene, invece di pretendere di indottrinarli.

     ■ In un ambiente culturale circonvicino o domestico, in cui si è sensibile verso l’anello più debole della catena, pregi e difetti vengono stemperati, poiché il primo serve l’ultimo. Inoltre, scoprendo insieme la Parola di Dio, essa parla, ammonisce, esorta, convince e incoraggia ognuno.

     ■ Le persone, per le quali abbiamo mostrato interesse e affetto durante la settimana e con cui ci siamo incontrati a tu per tu per scoprire insieme la sacra Scrittura, in genere avranno piacere di incontrarci anche di domenica. La premessa è che di domenica non si proponga loro la «messa evangelica», ma si usi uno stile partecipatorio.

     ■ Gli amici e conoscenti bisogna incontrarli prima nel loro ambiente, invitandoli a scoprire insieme le verità della Parola di Dio. Quando ciò accade, in genere non hanno grandi difficoltà a venire anche ai culti, premesso che non si voglia renderli spettatori di uno spettacolo religioso con pochi attori, sempre uguali, con un programma sempre uguale.

     In una chiesa diffusa nelle case (chiese in casa), ogni cellula ha abbastanza spazio per sperimentare responsabilità. Le persone più mature nella fede che esercitano una supervisione, invece di fare gli addomesticatori, possono esercitarsi a fare gli allenatori, incoraggiando l’impegno, lo sviluppo dei carismi, eccetera, e lasciando sempre più spazio alle nuove vocazioni. Quando la cellula può camminare da sé, il supervisore può aprirne un’altra.

 

Andando alle conclusioni, si noti quanto segue.

     ■ Le regole servono per creare un clima di ordine e decoro. Non sono il fine, ma un mezzo. Gli obiettivi rimangono anche quando gli strumenti cambiano. La questione è la vicinanza e la partecipazione («pari consentimento») fra i credenti nella vita (non solo nei culti), possibilmente là dove si vive e nelle case.

     ■ Elenchi ironici o quelli sarcastici sono stimoli forti e provocanti alla riflessione e al cambiamento. Essi non presentano soluzioni, ma interrogativi. Non cercano responsabili (colpevoli), ma vogliono rendere responsabili (ragionevoli, impegnati).

     ■ L’Ecclesiaste affermò verso la fine del suo libro provocatorio, appena prima della sua conclusione: «Le parole dei sapienti sono come degli stimoli, e le collezioni delle sentenze sono come dei chiodi ben piantati» (Ec 12,13). Egli cercò di risvegliare le coscienze per rendere chiaro questo: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è tutto l’uomo» (v. 15). Chiaramente le parole dei saggi possono essere strumentalizzate e usate come pretesto per avvelenare le fonti. Tuttavia non si può attribuire tale responsabilità a chi scrive aforismi e sentenze. Nel nostro gruppo di discepolato stiamo studiando in modo partecipato il su nominato libretto «Elementi della fede»; di là se sarò presente o meno, come per le altre cose non ci sarà difficoltà a leggere, interpretare e commentare il testo del box «Come uccido la mia chiesa locale», anzi sarà un motivo di crescita.

     ■ Tutto dipende dal clima. Se esso è già avvelenato dalle «opere della carne» (Gal 5,19ss), ogni stuzzicadenti che punzecchia sembra un palo, ogni fiammifero viene considerato un incendio! Qui bisogna semplicemente ravvedersi. Se invece si crea un clima determinato dal «frutto dello Spirito» (vv. 22ss), allora per il bene che ci si vuole in Cristo e anche sul piano umano, si è disposti ad ammantare tante cose col manto dell’amore (1 Pt 4,8), poiché ci si considera come alleati (non come concorrenti), che tirano la corda dalla stessa parte.

     ■ Quanto ai pregiudizi che portano all’ostracismo, ricordo che quando pubblicai «Motti di spirito», inviai una copia al direttore di un mensile per la moglie che era malata, credendo così di alleviare almeno un po’ le sue sofferenze. Vi risparmio ciò che mi scrisse, menzionando solo il suo consiglio di dare alle fiamme l’intera edizione! Ho dovuto pensare a 2 Corinzi 6,12: «Voi non siete allo stretto in noi, ma è il vostro cuore che si è ristretto». Inoltre spesso si giudica gratuitamente ciò che non si è capaci di comprendere veramente.

 

 

3. {Sandro Bertone}

 

Amare significa non dover mai dire: «Mi dispiace». In ogni modo mi spiace, Nicola, se ti ho indotto in un errore di valutazione; come scrivi al fondo del tuo apprezzabile e condivisibile articolo: «Spesso si giudica gratuitamente ciò che non si è capaci di comprendere veramente».

     Non era mia intenzione tendere una trappola e non ho scritto commenti o spiegazioni, perché il tuo articolo, è stato riportato su «Vitamine» (il nostro giornalino di Chiesa) senza commenti e senza spiegazioni. In fondo la mia domanda iniziale era molto semplice (per me) e la ponevo in oggetto: «È questo il metodo per far vivere e crescere una chiesa locale?». Ho commesso però l’errore d’inviarlo a te e per conoscenza alla redazione del giornalino, mentre avrei dovuto fare il contrario (ora me ne rendo conto!).

     Mi spiace aver scritto con l’inchiostro dell’amara constatazione la spiegazione della prima e-mail, ma sono felice della tua risposta, mi rincuora e mi dà speranza... Più volte ho pensato d’arrendermi, ma non ce la faccio, non so nemmeno dove ci si vada ad arrendere; le volte in cui sono andato al Signore per farlo, Lui mi ha incoraggiato a continuare, a crederci contro ogni evidenza. Io amo la mia Chiesa e vado a essere chiesa con i miei Fratelli, ma sovente (e sicuramente per colpa mia) mi sento come un pesce fuor d’acqua, ho difficoltà nel dire la verità, per non toccare la suscettibilità o recare offesa alla dignità (all’orgoglio?). Questa è la verità, ben inteso con la «v» minuscola, la cosa che vedo e che penso…

     Io non m’accontento di vivacchiare, vorrei vivere e condividere una esperienza con il Signore; da solo non ci riesco e intorno a me trovo troppo formalismo religioso. Ben vengano le regole, se nascono da un comune sentimento di rispetto. Ad esempio, l’orario del culto (da noi) non viene rispettato da alcuni in modo sistematico e già questo a me provoca un senso di disagio… che faccio? Lo dico e o ridico… ma nulla cambia! Ne discutiamo in senso lato… ma si ripete sempre. Come si spiega il rispetto del tempo altrui, come si fa capire che il rubare tempo è furto? Come essere chiesa quando non si colgono aspetti minimi di questo genere?

     Poi mi faccio un corso su come guarire le ferite interiori alla luce della Parola, ma chi insegna a non provocarle? Non sarebbe meglio prevenire?

     Sarò un «Bastian Contrario», come mi hai scritto tu scherzando in privato, e cercherò di mettere a frutto i tuoi insegnamenti e suggerimenti, ma ti prego di credere che faccio ogni cosa e scrivo ogni cosa sospinto da un unico desiderio, quello d’avvertire dei rischi e dei pericoli. Sicuramente non ho le soluzioni, ma, come una sentinella, grido a che punto vedo la notte. Un affettuoso abbraccio {2 ottobre 2009}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Chi ama, può anche dire: «Mi dispiace», e cioè sia per non diventare complice, sia quando si è stati gretti d’animo. Poi la comunicazione è una creatura molto sensibile, come una farfalla nella mano: se si stringe troppo, la si schiaccia; se si apre troppo, vola via. Si rischia di essere fraintesi sia che si dica poco, sia che si dica tanto. D’altro conto bisogna sforzarsi per farsi capire, poiché non tutti sono sintonizzati sulla nostra lunghezza d’onda e possono intuire ciò che intendiamo. La cosa più fuorviante per gli altri è sempre il nostro silenzio, poiché si presta a molte interpretazioni.

     Alla domanda: «È questo il metodo per far vivere e crescere una chiesa locale?», se unito al mio testo, bisogna rispondere certamente: «No». Una ironia mostra ciò che non bisogna fare, magari comandandolo. Per brevità ho riassunto la questione nell’articolo « Ironia» del «Dizionario Biblico».

     La comunione e il pari consentimento in una chiesa locale non sono entità stabili e standardizzate, ma bisogna scoprirle sempre di nuovo. Esse sono, per così dire, liquide e necessitano di contenitori culturali. Al riguardo non bisogna rimanere alla reazione (amara constatazione), ma bisogna passare all’azione, creando otri nuovi per il vino nuovo (Mt 9,17). Il problema è che mentre l’ambiente si evolve, vogliamo usare vecchi ponti che non portano più di là dal fiume ma nel nulla. Si vogliono usare otri vecchi per un vino giovane, appellandosi alla tradizione dei padri; e così ci si meraviglia che i vecchi contenitori culturali fanno acqua da tutte le parti. È il loro spirito pionieristico e giovane dei padri che bisogna usare, non i loro contenitori culturali (convenzioni, tradizioni, ecc.)!

     Il formalismo religioso è la conseguenza degli otri vecchi. Una chiesa in movimento non ha problema di tempi e di orari, poiché abbraccia tutta la sfera della vita e si svolge soprattutto nelle case.

     Chiaramente le regole ci vogliono, ma esse dipendono dagli obiettivi. Quanto all’orario, all’inizio degli incontri e ai ritardatari, nelle due chiese, in cui sono stato in prima persona coinvolto nella fondazione, non abbiamo mai avuto questo problema fintantoché sono stato uno dei conduttori. Invece di dire o ridire le cose, noi iniziamo semplicemente alle «virgola zero», senza se e senza ma, chiunque c’è o non c’è. La nostra esperienza attuale è che spesso ci siamo tutti già 10 minuti prima e, a volte, iniziamo già cantando. I ritardatari sanno di essere tali, solo se la maggior parte è puntuale e i conduttori cominciano a orario.

     La mia esperienza personale e l’attività di consulente spirituale mi hanno mostrato che le ferite interiori non dipendono solo dagli altri, ma anche dalla nostra penetrabilità, dal materiale con cui siamo fatti. Certo prevenire sarebbe meglio, ma visto che non possiamo impedirlo, tanto vale imparare a sviluppare anticorpi e resistenza. Chi ama l’opera di Dio, deve imparare a guardare oltre, a fare il callo. Deve mettere la propria sensibilità (tessuti molli) da parte e deve temperarsi, allenandosi nella scuola della vita e della fede, per sviluppare resistenza (muscoli morali). Deve rinunciare a difendere la propria reputazione e non deve occupare il proprio tempo a raccogliere in giro le piume che altri hanno gettato al vento su di lui.

     Chi fa la sentinella, ministero importante oggigiorno, ha come compagni di via Isaia (Is 21,6.11s; 62,6), Habakuk (Hb 2,1) ed Ezechiele (Ez 3,17; 33,7). Buona guardia, segugio!

    Tale ministero è tanto più importante, visto che in giro ci sono tante sentinelle stolte che hanno perso il senso della realtà e della loro responsabilità e sono diventate oziose, sonnacchiose e distratte (Ez 33,6). Altre hanno la mentalità del mercenario e si danno alla fuga, quando vedono arrivare il pericolo (Gv 10,12). Di simili guardiani è scritto quanto segue: «I guardiani d’Israele sono tutti ciechi, senza intelligenza; sono tutti dei cani muti, incapaci d’abbaiare; sognano, stanno sdraiati, amano sonnecchiare. Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia l’essere satolli; sono dei pastori che non capiscono nulla; sono tutti volti alla loro propria via, ognuno mira al proprio interesse, dal primo all’ultimo. "Venite", dicono, "io andrò a cercare del vino, e c’i inebrieremo di bevande forti! E il giorno di domani sarà come questo, anzi sarà più grandioso ancora!"» (Is 56,10ss; le conseguenze poi sono ovvie: Is 57,1ss).

    Poi è anche vero che le sentinelle, che avvertono dei pericoli, non sono tanto amate. Alcuni li vedono come menagramo e scocciatori. Le persone non vogliono sentire parlare di rischi e di pericoli, ma preferiscono vivere una vita spensierata e ricevere previsioni propizie e favorevoli. Anche fra i credenti ci sono ribelli che si pascono di menzogne, rifiutando gli avvertimenti della Parola di Dio; anzi, per usare un'immagine dell'AT, «dicono ai veggenti: "Non vedete!", e a quelli che hanno delle visioni: "Non ci annunziate visioni di cose vere! Diteci delle cose piacevoli, profetateci delle chimere!"» (Is 30,9ss). Poi in vero si parla di «disastro annunciato», ma solo dopo che la catastrofe è avvenuta ed è oramai senza rimedio.

 

 

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Chiese partecipate o chiese visitate? {Tonino Mele} (A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Come_uccido_chiesa_no_UnV.htm

01-10-2009; Aggiornamento: 03-10-2009

 

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