Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.

 

Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAMBIARE COMUNITÀ? PARLIAMONE 1

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nell’articolo «Cambiare comunità» abbiamo visto che i motivi, che inducono a fare questo passo, sono tanti. Detto in breve, alcune cause sono dovute a chi resta e altre risiedono in chi se ne va. Alcuni motivi risiedono nella conduzione della chiesa locale di partenza, che è troppo massimalista o tropo liberale, troppo dominatrice o troppo manipolabile, eccetera. Altre cause dipendono dalla dottrina, che lì si insegna. Altri motivi ancora sono dovuti alla mancanza di cura pastorale. C’è pure l’eventuale clima pesante, che si respira in tale comunità (negativismo, critica, litigi, maldicenza, ecc.). Ci sono però anche altri motivi, che risiedono in chi se ne va: spirito fazioso, immaturità, opportunismo, mancanza di sottomissione agli altri, mancanza d’amore, ricerca di potere personale e così via. Infine, non bisogna dimenticare che in certi casi si cambia comunità, poiché si vive nel peccato o si è stati messi per questo fuori comunione; cambiando aria, si pensa di poter andare in una comunità, in cui nessuno lo conosce e in cui si potrà tacere su certe cose.

     Elaborando i contributi dei lettori, ho preso atto che alcuni di loro non sappiano neppure che cosa sia una chiesa locale e che cosa significa appartenere a una famiglia spirituale, in cui servire e imparare. Essi confondono la comunità con il locale di culto; invece di parlare dell’essere chiesa, parlano di andare in chiesa. Si tratta proprio di una concezione ecclesiologica distorta. Per questo, con la scusa di una presunta «chiesa universale», preferiscono la continua «transumanza ecclesiale» o addirittura la vocazione del «senza chiesa», vivendo la fede soltanto in modo virtuale, in Internet.

     Ci sono poi anche casi di «disadattamento ecclesiale», dovuto a immaturità, a una specie di «patologia» ecclesio-sociale o a una «nevrosi ecclesiogena». Ritengo che una «chiesa partecipata» sia la «medicina» giusta per tali casi.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Matteo Ricciotti

2. Nicola Carlisi

3. Salvatore Paone

4. Stefano Frascaro

5. Peppe Guerriera

6. Daniele Guadagnino

7. Giuseppe Diliberto

8. Angela Palmieri

9. Amalia Diletti

10. Francesca Cutrupi

11. Salvatore Paone

Seconda parte

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Matteo Ricciotti}

 

Contributo: La storia del nostro movimento delle «chiese dei Fratelli» è fatta di molti casi di divisioni e di fratelli che lasciano la propria comunità per andare in un’altra. Quindi, le motivazioni, quando riguardano dottrina, etica-morale, tolleranza del peccato, uso della Parola di Dio per terrorizzare con la messa fuori comunione o la disciplina da parte di chi è massimalista e attaccato alle tradizioni degli uomini, che vede un solo modello di chiesa, cioè quello da cui proviene, sono conseguenze quasi naturali. Il tema è suggestivo e andrebbe approfondito e analizzato. Credo che all’elenco, che il fratello Martella Nicola, ha fornito vada aggiunto un altro punto: le condizioni di contorno, che alcuni gruppetti coalizzati creano per costringere alcuni ad andar via, creando ad arte situazioni di disagio e di pura cattiveria. Costringendo alcuni ad andar via, fanno poi ricadere su loro il fatto di aver lasciato la comunità. Questa è una tecnica diabolica, della quale chi lo ha fatto e non si è pentito, sarà chiamato a rispondere davanti al Signore in quel giorno. {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Nel lungo elenco, presente nell’articolo di riferimento, riporto i motivi, legittimi o illegittimi che siano, perché qualcuno cambia comunità. Essi non sono pochi né sempre gli stessi. Il fine è rendersene conto come conduttori e come membri di chiesa, per cambiare le cose in conformità della Scrittura. Alla fine c’è un nutrito elenco di versi attinenti al tema, che mostra varie sfaccettature del problema.

     È vero, comunque, che l’immobilismo in certe chiese dei Fratelli (che si chiamano Movimento!) su alcune forme cristallizzate nel tempo, fa vedere con sospetto ogni diversità, ogni altro approccio, ogni altra forma, ogni altro modo di rapportarsi, ogni altra proposta e così via. La prima (e ovvia) reazione è emarginare come singolare, strano ed estraneo tutto ciò, che non è nell’abitudine, nella tradizione, nel consenso. Non poche assemblee locali, incapaci di rinnovarsi, si sono estinte o per forte emigrazione ecclesiale, per auto-fagocitazione o per mancanza di riproduzione.

     Le «pecore» desiderano pace, sicurezza, cura e cibo; quando non hanno ciò, si disperdono o si cercano altri «pastori». In tali casi, la cosa peggiore, che possono fare i conduttori, è prendersela con le «pecore» e inveire contro di loro, adducendo pure false motivazioni e argomentazioni.

 

Antonio Tuccillo: Grazie, Nicola, per questi spunti di riflessione, spero che tanti li leggano e ci riflettano. Mi ritrovo con quanto detto soprattutto nelle parole di Matteo Ricciotti. Sono diversi quelli costretti a cambiare chiesa senza essere colpevoli davanti al Signore; e nel loro cuore resta sempre l’amaro per quanto gli è successo e non sempre si sentono liberi di servire il Signore per paura che gli possa ricapitare.

     Che il Signore illumini tutti i conduttori, affinché curino e aiutino tutti coloro, che il Signore ha affidato loro. {18-09-2012}

 

 

2. {Nicola Carlisi}

 

Contributo: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguitano. Ed io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e niuno li rapirà di man mia. Il Padre mio, che me le ha date, è maggiore di tutti; e niuno le può rapire di man del Padre mio. Io e il Padre siamo una stessa cosa» (Gv 10,27.30).

     Se ci atteniamo a queste sacre parole del nostro Signore Gesù, una pecora, che ha ascoltata la sua voce, non sentirà mai il bisogno di sentire un’altra voce, per fare un confronto e dopo scegliere, perché la voce del buon Pastore è «unica». Colui che la conosce, non la conosce per mezzo della parola scritta, ma per mezzo della parola «parlata», perché la parola si è incarnata nella pecora; è nel proprio interiore, arrecando certezza, fermezza, verità, vita eterna; che non è solo lunghezza di giorni, ma, una qualità di vita eccellente; è la vita di Dio Padre e la vita di Dio Figlio. Solo mediante il conoscere personalmente il Padre e il Figlio, che si viene a unire al proprio spirito, si ha la vita eterna (Gv 17,3.21). Tale pecora essendo radicata ed edificata in Lui (Col 2,7; Ef 3,18), non può essere trasportata da ogni vento di dottrina, ma seguitando verità in carità, crescerà in colui che è il capo, cioè in Cristo (Ef 4,15-16).

     Nessuna delle pecore, che appartengono al Signore, può perire, perché Dio conosce le sue pecore, hanno ricevuto il suggello (2 Tim 2,19). Queste anime, che abbandonano la comunità, non hanno sete della verità, vogliono solo una religione; sono coloro che dicono: «Non vogliamo che costui regni su di noi!» (Luca 19,14). {14-09-2012}

 

Nicola Martella: La questione di base non sono questi principi biblici, ma i problemi reali nelle comunità. Chi cambia comunità, non intende uscire dal gregge del Signore, ma ciò ha altre cause. Esse possono risiedere sia nei conduttori (p.es., secondo i casi, padri-padroni, tiranni, accentratori di potere, sfruttatori, analfabeti della Bibbia, fautori di false dottrine, disinteressati al bene del gregge, massimalisti o liberali), sia nei membri della comunità (p.es., secondo i casi, ribelli, iper-critici, qualunquisti, superficiali, non sottomessi alla Scrittura, amorali). A ciò si aggiunga che in alcune comunità, come è successo a Corinto, prendono il potere alcuni «super-apostoli», che mutano la natura della comunità e la sfruttano a loro piacimento, appellandosi a una particolare «chiamata» celeste e a presunti carismi spettacolari. In altre s’inseriscono particolari legalisti, come è successo nella Galazia, che snaturano l’Evangelo della grazia. Inoltre, come mostrano le lettere di Cristo ai sette conduttori di altrettante chiese della provincia romana Asia, il comportamento di questi ultimi è salutare per i credenti o deleterio per loro.

     Quelli presentati sono soltanto alcuni motivi, perché un credente cambia comunità. È di tali motivi reali, che vogliamo parlare qui, mettendoli alla luce e cercando vie per la soluzione.

 

Nicola Carlisi: L’argomento è vasto, e io mi sono attenuto a un principio che ho ritenuto plausibile.

     Per fare una giusta valutazione e, quindi, per poter intervenire per cercare di risolvere questo problema, per prima cosa bisogna essere certi che tali credenti, che passano da un locale di culto a un’altro, siano veramente persone nati di nuovo. Perché un vero figliuolo di Dio non abbandonerà mai un gruppo o una comunità, senza prima aver provato, qualora fosse necessario, chiarire certi fatti avvenuti, per cui si può essere portati a uscire fuori da quella comunità. Solo dopo si dovrebbe decidere se non si è compresi, o non si pone rimedio a quei fatti, che possono danneggiare la testimonianza evangelica, e arrecare danno ai credenti, che per poca conoscenza potrebbero seguire quella cattiva condotta, che indubbiamente non edifica.

     In questo tempo sono tanti di quei credenti, che vogliono un servitore alla propria misura, secondo il proprio punto di vista e non secondo verità biblica, che è la sana dottrina. Alcuni vogliono un servitore, che somiglia a babbo natale, pronto a dare regali a tutti, o a quei servitori accondiscendenti, accettando qualsiasi testimonianza, o leggendo un brano della Parola, e dopo si dice ciò che il brano non dice, quindi usando il proprio pensiero a discapito della Parola. Servire la verità non è un gioco, ma sofferenza! {14-09-2012}

 

 

3. {Salvatore Paone}

 

Contributo: È un’ottima analisi. Volevo chiedere al fratello Nicola, in tali casi a parte per coloro, che sono stati disciplinati per i motivi elencati nella Parola di Dio: fornicazione, adulterio, ecc., le comunità, che accolgono tali membri, come dovranno comportarsi verso coloro, che lasciano la loro chiesa per i motivi, che tu hai elencati nella nota? {14-09-2012}

 

Massimo Galante: Io penso che sia «giustificato» cambiare comunità solo ed esclusivamente per deviazioni dottrinali. Per il resto, penso che ognuno dovrebbe restare nella comunità, dove il Signore lo ha posto. Per quelli che lasciano la comunità per motivi futili, io penso che le altre comunità non dovrebbero accoglierli. In questo modo non ci sarebbe la «transumanza» dei credenti da una a un’altra comunità e poi ancora un altra! {14-09-2012}

 

Salvatore Paone: Beh! Sono d’accordo su quanto dici, però nella vita ecclesiale le vicissitudini sono molteplici, per cui è molto riduttivo dire: «sia “giustificato” cambiare comunità solo ed esclusivamente per deviazioni dottrinali». L’esperienza c’insegna che spesso le motivazioni di membri, che vanno via, sono tante, come il fratello Nicola Martella ne ha fatto un lungo elenco. Ciò dimostra che i motivi possono essere veramente tanti. Ammettiamo che in un’adunanza ci sono «anziani di paglia», che sono troppo legalisti o massimalisti, che impartiscono insegnamenti, che vanno fuori dal canone biblico; in tal caso, per amore della verità, preferisco cambiare, «parrocchia». Al contrario, in una adunanza ci sono «anziani» molto liberali, che permettono anche alcuni peccati; quando ho fatto presente e ho lottato per denunciare tale peccato e non viene preso nessun provvedimento, perché continuare a frequentare? {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Com’è stato ricordato, sul sito i possibili motivi elencati sono tantissimi; alcuni di essi sono legittimi e altri illegittimi. Non bisogna sminuire le cause, ma bisogna affrontarle di caso in caso.

     Chi cambia comunità per una ragione legittima, per essere accettato da una nuova comunità, non deve per forza aver risolto le questioni alla base, che non dipendono sempre da lui (p.es. conduttori padri-padrone, mancanza di cura pastorale, differenze di vedute nella chiesa su temi importanti, continue contrapposizioni nella conduzione o nell’assemblea), ma deve andarsene in pace da tale comunità. A volte ci sono anche motivi pratici per cambiare comunità, come ho elencato (trasferimento in altra zona, maggiore vicinanza di un’altra comunità, possibilità di servire meglio con i propri carismi, ecc.).

     In caso di motivi negativi nel credente, che se ne va, come falsa dottrina, ribellione, fuori comunione legittima (motivi veri come adulterio, fornicazione, ladrocinio, falsa testimonianza, ecc.) e simili, i conduttori della chiesa ospitante fanno bene a vagliare il caso con attenzione, prima di caricarsi di un peso del genere e di mettere fuoco nella comunità.

     In caso di fuori comunione illegittima (motivi futili, capriccio e arbitrio dei conduttori, carnalità dei conduttori, nepotismo, emarginazione ministeriale, ecc.) e di false accuse non opportunamente motivate con prove da tali conduttori della chiesa d’origine, i conduttori della nuova comunità dovranno vagliare il caso, agendo secondo verità e giustizia.

 

Salvatore Paone: Ed è proprio quello, che cercavo di dire. I motivi sono svariati, e ogni caso è a parte.

 

 

4. {Stefano Frascaro}

 

Contributo: Personalmente ritengo che il cambiare chiesa sia importante nel momento, in cui ci si rende conto che i propri doni non vengono messi a disposizione dell’assemblea. Questo può succedere per vari motivi, ma credo che se c’è la consapevolezza che questo stia accadendo, credo che si abbia l’obbligo di cambiare «campo da seminare».

     Il Signore ha detto che «la messe è grande». Perché allora non mettere i propri doni a disposizione di una piccola comunità, a cui invece servono? {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Ciò, che afferma Stefano Frascaro, è vero. In alcune chiese locali ci sono così tanti carismi praticati, che alcuni sono condannati a fare i «chierichetti» per l’intera vita. In altre comunità nascenti o carenti di carismi o di persone mature, tali credenti possono essere molto preziosi, sia per dare agli altri, sia per imparare. L’importante è che tale passaggio per motivi ministeriali avvenga in comune accordo. Stefano stesso è un esempio del genere; quella che noi chiamiamo la «scuola di Tivoli», è stata utile a lui ed è utile per la comunità, in cui è diventato un valido collaboratore.

 

 

5. {Peppe Guerriera}

 

Contributo: Condivido appieno la tua analisi, fratello. Questo fenomeno, purtroppo, oggi è in continua espansione ed è il risultato di ciò, che Gesù predicava già duemila anni or sono e di ciò che lo Spirito Santo parlava nelle epistole attraverso Paolo e Pietro. «Infatti, verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole» (2 Tim 4,3-4). «Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni» (1Tim 4,1). {14-09-2012}

 

Nicola Martella: È vero che alcuni vanno in cerca di «maestri… secondo le proprie voglie» e danno «retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni». Tuttavia, questo non è sempre il vero motivo per tutti coloro, che cambiano comunità. Ci sono altri credenti, che abbandonano la comunità di appartenenza, ad esempio perché è cambiata in essa la linea dottrinale e si insegnano ora cose contrarie alla sana dottrina e alla morale cristiana.

 

 

6. {Daniele Guadagnino}

 

Contributo: Io penso che ognuno è libero di andare dove vuole; sono tutti fratelli, e il Signore è dovunque. Un solo popolo, un solo gregge... altrimenti le comunità diventano dei partiti politici. {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Che significa tutto ciò? Visto che non lo hai spiegato bene il tuo pensiero, esso risulta un po’ ambiguo. Dobbiamo mettere fine alle chiese locali, cosicché ognuno non ne sia più membro stabile? Possiamo andare ogni volta in un’altra chiesa locale, visto che c’è un solo gregge? Non dovremmo impegnarci per una chiesa locale specifica? Dovremmo fare come le pecore senza pastore e brucare l’erba, ora qui, ora lì, come ci passa per la mente, senza curarci stabilmente degli altri e agire in modo spensierato, pensando che tanto non esistono i lupi? Dovremmo seguire «ogni vento di dottrina», senza avere chi c’insegna la «sana dottrina» in modo coerente con la Scrittura e con una vita irreprensibile? E così via.

     Visto che non credo che tu voglia incoraggiare i crescenti «senza chiesa», che cosa vuoi veramente affermare?

 

 

7. {Giuseppe Diliberto}

 

Contributo: Io, invece, non vado in nessuna comunità, perché non voglio lavato il cervello e voglio realizzare io da solo ciò, che Gesù vuole da me e dalla mia vita; e per tanto, vado dove capita e cerco di discernere ciò, che è buono, da ciò, che è sconveniente! {alias «Zuvie Moeller»; 14-09-2012}

 

Massimo Galante: Bisogna avere una famiglia (comunità locale), a cui appartenere! {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Di tale atteggiamento abbiamo già parlato in vari articoli a proposito del fenomeno dei «senza chiesa», a cui rimandiamo:

Dottori di dottrina in rete, «senza chiesa» a casa {Nicola Martella} (T)

I «senza chiesa» {Nicola Martella} (A) [Link esterno]

 

I «senza chiesa» cronici vogliono appartenere al corpo di Cristo, pur non desiderando stare in un organo particolare e pur non volendo esercitare alcuna funzione per il bene comune. Conducono una vita propria come una protuberanza, una specie di «neo» o «porro» vagante sulla superficie del corpo. Altri pensano che siano dei «parassiti», che si nutrono di ciò, che produce il corpo, senza appartenergli.

     Il problema è spesso, come abbiamo mostrato in tali scritti, che tali «senza chiesa» si sentono dei «dottori della legge» per l’intero corpo e si sentono investiti di un mandato divino particolare, pur non appartenendo a nessuna chiesa locale!

 

 

8. {Angela Palmieri}

 

Contributo: Credo che appartenere a una comunità sia una necessità di ogni credente, pur facendo parte tutti della chiesa universale. Ciò non toglie che per uno od alcuni motivi elencati nell’articolo di riferimento ci siano delle buone ragioni (un cibo spirituale annacquato o litigi) per allontanarsi da una comunità e preferirne un’altra più idonea per una migliore crescita spirituale sempre alla gloria di Dio. {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Premetto che bisogna frequentare la comunità, con cui ci si deve identificare come famiglia spirituale. Detto questo, abbandonare una comunità senza giusta causa, ma per opportunismo, rende colpevoli verso il Signore. La mancanza di sottomissione ad altri credenti nella stessa famiglia locale è un cattivo segno e parla d’immaturità, disordine spirituale e morale e così via. Prima di cambiare comunità, si fa bene a ricercare la volontà di Dio e a risolvere tutti i problemi, che sono alla base.

     Cambiare comunità dev’essere un atto estremo ben ponderato e basato su fatti certi e concreti, a cui non v’è alternativa (p.es. spostarsi per motivi di lavoro, falsa dottrina dei conduttori, accertata immoralità nella comunità e insensibilità a porvi rimedio, ecc.).

     La «transumanza ecclesiale» (oggi qui, domani là) o il vivere cronicamente da «senza chiesa» è un segno di disordine e faziosità, quindi di colpevolezza dinanzi a Dio. Da ciò bisogna prendere le distanze, né bisogna accettare insegnamenti da persone così disordinate e poco ubbidienti all’insegnamento e alla prassi degli apostoli.

 

 

9. {Amalia Diletti}

 

Contributo: «Vi è un unico corpo e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati nell’unica speranza della vostra vocazione. Vi è un unico Signore, un’unica fede, un unico battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in voi tutti» (Efesini 4). Non penso che al nostro Padre interessi se frequentiamo questa o quella comunità, sono certa che a Lui interessi che siamo suoi, che la pace regni nel nostro cuore, che la sua luce possa illuminare questo mondo di tenebre. Penso che gli interessi vivere in noi e attraverso noi, penso che gli interessi avere totalmente il nostro cuore, penso che non solo gli interessi che abbiamo comunione con Lui, ma sono certa che gli interessi che abbiamo anche comunione gli uni con gli altri. E gli altri sono anche tutti quei fratelli usciti da comunità per andare in altre, gli altri sono anche tutti quei fratelli e quelle sorelle, che per varie situazioni [si sono resi colpevoli?, N.d.R.] — e non entriamo nei meriti delle colpe, che penso che ce ne siano per tutti noi (chi è senza peccato può scagliare la prima pietra).

     A nostro Padre non interessa quale comunità frequentiamo, ma gli interessa quanto dimoriamo in Lui personalmente fuori di essa ogni giorno e mettiamo in pratica le sue parole. A nostro Padre interessa che portiamo le persone al cielo e le aiutiamo a meditare la sua parola, gli interessa che predichiamo più dalla nostra testimonianza personale che dai pulpiti. L’unità di cui parla Gesù in Giovanni 17 non è utopia, niente è impossibile per chi crede; il suo amore in noi può aiutarci ad andare oltre tutto ciò, che vediamo di negativo nelle nostre comunità, nelle autorità (che benedico con tutto il mio cuore). Inutile continuare a guardare alle diversità, alla virgola o al punto; lo vedremo sempre diverso se guardiamo con i nostri occhi, ma se il nostro sguardo sarà fisso su Cristo, guarderemo gli altri attraverso i suoi occhi, e ci ameremo finalmente attraverso il suo cuore.

     Non c’è desiderio più grande nel cuore di Dio, che tutti noi collaboriamo con Lui, collaborando gli uni con gli altri, nell’amicizia e nelle diversità amandoci e stimandoci, apprezzandoci per i vari doni diversi, che Lui ha sparso per come ha voluto per l’edificazione della sua chiesa. Se non riusciremo a comprendere la preziosità del suo corpo, se non riusciremo a comprendere quanto non abbiamo bisogno solo di Dio, ma anche gli uni degli altri, per colpire il bersaglio e fare avanzare il suo regno. Sia fatta la sua volontà e venga il suo regno in questa nazione! Dio vi benedica cari fratelli! {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Vedo un grande equivoco. Nessuno ha suggerito che una chiesa locale, se basata sui principi biblici, sia migliore dell’altra. Qui stiamo discutendo dei motivi, legittimi o meno, perché un credente lasci la sua comunità per frequentarne un’altra o per darsi alla «transumanza ecclesiale», brucando ora qui, ora là.

     Quindi, Amalia Diletti, da domani i missionari possono smettere di fondare chiese. I conduttori possono smettere di pasturare le pecore, che gli sono state affidate localmente. I credenti in un certo posto possono smettere di sentirsi chiesa e radunarsi, se proprio vogliono, ora qui, ora lì. Questa è la fine delle chiese e dell’opera di Dio!

     Quando Paolo chiamò a Mileto i conduttori della chiesa di Efeso, parlò di loro e degli specifici credenti a loro affidati, non di una sedicente «chiesa universale». «Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti sorveglianti, per pascere la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata col proprio sangue» (At 20,28).

     L’apostolo mise in guardia tali conduttori che nella loro propria chiesa sarebbero entrati lupi rapaci e che dal loro stesso mezzo sarebbero sorti falsi maestri, che avrebbero cercato di pervertire i discepoli. «Io so che dopo la mia partenza s’introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate...» (vv. 29ss).

     Certo, ognuno deve frequentare quella comunità, con cui s’identifica come famiglia spirituale, quindi, dove può ricevere ciò, di cui necessita, e dare ciò, che necessitano gli altri, servendo il Signore e imparando la sottomissione reciproca. Detto questo, non possiamo alimentare la continua «transumanza» da chiesa a chiesa, né dar man forte alla crescente schiera dei «senza chiesa», che vivono di un «pressappochismo dottrinale» e spesso vogliono farla da maestri verso tutti. Essi non stanno nella volontà di Dio, ma mostrano, così facendo, soltanto disordine spirituale e immaturità. Chi fa così, non gode l’approvazione di Dio, né le sue benedizioni. Siffatte persone si trasformano nel tempo in falsi profeti e in cattivi maestri.

 

Amalia Diletti: Sono d’accordo con te, «ognuno deve frequentare quella comunità, con cui s’identifica come famiglia spirituale, quindi, dove può ricevere ciò, di cui necessita, e dare ciò, che necessitano gli altri, servendo il Signore e imparando la sottomissione reciproca»... e non solo, ma dove può crescere «in ogni cosa verso Colui che è il capo, cioè Cristo. Dal quale tutto il corpo ben connesso e unito insieme, mediante il contributo fornito da ogni giuntura e secondo il vigore di ogni singola parte, produce la crescita del corpo per l’edificazione di se stesso nell’amore» (Ef 4,15). {14-09-2012}

 

 

10. {Francesca Cutrupi}

 

Contributo: Quelli che lasciano la loro comunità, non sono veri credenti. Non si pongono domande, non meditano, non si confrontano, non parlano, non partecipano, non discutono, non cambiano, non si adoperano, non si studiano, non si sforzano, non si affaticano, non pregano, non ascoltano, non mettono in pratica, eccetera. Se ne vanno! E dove vanno? Troveranno sempre qualcosa che non va. Dio ci dia la forza di cambiare e di saper accettare la sua volontà. {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Questa è una parte della medaglia. Poi c’è l’altra, costituita da conduttori, che lo dominano da padri-padroni e disperdono il gregge, a causa delle loro carnalità. Ambedue gli atteggiamenti sono colpevoli.

     Alcune «pecore» (credenti) lasciano «l’ovile» (comunità) alla ricerca di «pastori» (conduttori), che nella cura assomiglino al sommo Pastore del Salmo 23 o al buon Pastore Gesù, che è stato disposto a mettere finanche la sua vita per le pecore (Gv 10,11.15). Ad esso si riferiva probabilmente Pietro, quando consigliava ai conduttori di chiesa quanto segue: «Pascete il gregge di Dio che è fra voi, non forzatamente, ma volonterosamente secondo Dio; non per un vile guadagno, ma di buon animo; e non come signoreggiando quelli che vi sono toccati in sorte, ma essendo gli esempi del gregge. E quando sarà apparso il sommo Pastore, otterrete la corona della gloria che non appassisce» (1 Pt 5,2ss).

 

Francesca Cutrupi: In ogni caso, chiediamo a Dio saggezza e discernimento, consultando anche le Scritture, che confermano quello che viene detto, avendo rispetto gli uni con gli altri. {14-09-2012}

 

 

11. {Salvatore Paone}

 

Contributo: Premetto che, ogni credente, che fa parte di una chiesa locale, non ha stipulato alcun contratto con essa; infatti, l’unico patto o l’unico debito, che abbiamo, è quello di ubbidire al nostro Signore. Quando ci siamo convertiti e abbiamo iniziato a frequentare una comunità locale e abbiamo scelto di essere membri di tale chiesa, dobbiamo iniziare a lavorare per essa.

     Quando si manifestano delle controversie su punti secondari, tali problemi andrebbero risolti in una maniera serena e senza causare rotture e divisioni. Tuttavia, le cose cambiano nel momento in cui le cose riguardano punti dottrinali importanti, situazioni di peccati non confessati, anziani che si accaniscono sui membri e fanno due pesi e due misure, perché ci sono questioni personali o interpersonali. In ogni modo, credo che un membro, dopo aver lottato, sperato e agito per ripristinare le cose, ma non viene preso in considerazione, abbia tutte le carte in regola per cambiare chiesa locale. Ovviamente ciò, che tengo a precisare, è che sia giusto rimanere in pace con il gruppo, che sta per lasciare, almeno se gli è possibile.

     Non sono d’accordo con quei fratelli, che impartiscono insegnamenti del tipo: «Siamo tutti figli di Dio; e ogni chiesa è chiesa». C’è da specificare che in parte è vero, ma è pure vero che, se io ho un impegno con la comunità locale, di cui faccio parte, non posso andarmene in un’altra comunità, senza aver comunicato ai fratelli che la mia mancanza sarà solo per visitare tali fratelli. Non sono d’accordo con alcuni, che sono abituati ad avere delle comunità per il loro comodo. Conosco fratelli, che, pur di frequentare la propria chiesa locale, fanno tanti chilometri per raggiungere tale destinazione; potrebbero frequentare una comunità più vicino a casa loro, ma preferiscono andare in tale chiesa, perché ne sono diventati membri e come tali si comportano, amando la fratellanza e amando la testimonianza in tale luogo, assegnatagli dal Signore.

     Non sono d’accordo con quei fratelli, che al primo ostacolo o alla prima difficoltà, cercano altrove un «tetto sotto cui riparasi». Non sono altrettanto d’accordo che si continui a frequentare una chiesa locale, dove gli «anziani» si sentono i potenti e dominatori per fino dell’aria, che si respira.

     Siamo chiamati a sopportare e supportare l’opera, che ci è stata affidata come membri e come guide della chiesa e come dei buoni soldati c’impegniamo a consolidare i rapporti personali con la fratellanza, senza indugiare. {14-09-2012}

 

Gianni Di Marco: Salvatore Paone dice: «Non sono altrettanto d’accordo che si continui a frequentare una chiesa locale, dove gli “anziani” si sentono i potenti e dominatori per fino dell’aria, che si respira». Sono d’accordo con Salvatore. Hai fatto bene a mettere le virgolette [ad «anziani», N.d.R.], perché tutto si può dire, fuorché che costoro siano degli anziani di chiesa. Vorrei ricordare le qualifiche degli anziani, che si possono leggere in 1 Timoteo 3,1-7. Queste qualifiche bisogna che ci siano. Quando si denuncia un comportamento di abuso di potere o di altri peccati (ovviamente tutto dev’essere provato), che coinvolgono presunti anziani, s’impegnino le comunità vicine a intervenire, per non mandare la testimonianza dell’Evangelo allo sfascio totale; e finiamola di «curare ognuno il proprio orticello» con la scusa della gestione autonoma della chiesa. Dio chiederà conto anche alle comunità vicine che, pur sapendo, si sono fatti i «fatti propri». {14-09-2012}

 

Cambiare comunità? Parliamone 2 {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Cambia_comunita_UnV.htm

13-09-2012; Aggiornamento: 16-10-2012

 

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