Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Escatologia 1

 

Prassi di chiesa

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Norme di fair-play

 

 

Questa opera contiene senz’altro alcune novità. Leggendo i brani escatologici della Bibbia sorgono vari interrogativi, ad esempio i seguenti:
■ I credenti, quando muoiono, vanno in cielo o in paradiso?
■ I morti nell’aldilà sono solo inattivi o anche incoscienti?
■ I bimbi morti dove vanno?
■ Se nessuno sa il giorno e l’ora dell’avvento del Messia, perché diversi cristiani hanno fatto predizioni circostanziate per il loro futuro imminente?
■ Qual è la differenza fra escatologia e utopia?
■ In che cosa si differenzia la speranza biblica dalla speranza secolarizzata di alcuni marxisti?
■ Il «rapimento» precederà o seguirà la tribolazione finale?
■ Quando risusciteranno i credenti dell’AT?
■ Il regno millenario è concreto o solo spirituale?
■ Durante il suo regno futuro col Messia regnerà sono Israele o anche la chiesa?
■ Nella nuova creazione i credenti abiteranno in cielo o sulla nuova terra?
■ Lo stagno di fuoco esisterà per sempre?
■ I morti si riconoscono nell’aldilà?
■ Non sarà noioso vivere nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il tempo nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il matrimonio nel nuovo mondo?
■ Eccetera...

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Escatologia 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAMBIARE COMUNITÀ? PARLIAMONE 2

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui proseguiamo la discussione dell’articolo Cambiare comunità», cominciata nella prima parte. Rimandiamo a quest’ultima per l’introduzione al tema, in cui accenniamo ai molteplici e svariati motivi, legittimi o discutibili che siano, perché qualcuno lascia la sua comunità.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Dario Giusiano

2. Fortuna Fico

3. Giovanni Cappellini

4. Pietro Renna

5. Luca Matranga

6.

7.

8.

9.

10.

11. Vari e medi

12. Vari e brevi

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Dario Giusiano}

 

Contributo: Nella comunità non bisognerebbe mai ricercare la perfezione, il pastore che predica bene o i fratelli simpatici, ma una sana dottrina e la possibilità di realizzare un vero incontro con Dio.

     Far parte di una comunità, non significa necessariamente frequentare sempre la stessa chiesa, ma essere a contatto, avere comunione o frequentare altri fratelli e sorelle, per confrontarci nella lettura, meditazione e studio della Parola è una buona cosa.

     Per esempio, io tutti i venerdì mi vedo con altri fratelli cristiani (c’è chi va nelle ADI, chi nelle evangeliche libere e altri...). Ci ritroviamo assieme per studiare e meditare sulla Bibbia su determinati argomenti e confrontando le nostre idee e quello, che Dio ci ha rivelato; abbiamo comunione, preghiera e crescita personale. Quando poi si va nel locale di culto, lo si fa per andare incontro a Dio, per lodare il Signore; e non è necessario andare sempre dallo stesso pastore. Lo Spirito Santo opera comunque come vuole. {14-09-2012}

 

Nicola Martella: Quindi, Dario Giusiano, secondo te si potrebbe fare a meno delle chiese locali e dell’appartenenza effettiva a una di esse? Perché è necessario andare «nel locale di culto… per andare incontro a Dio, per lodare il Signore»? Un locale di culto non costituisce una comunità, ma è essa come famiglia spirituale a radunarsi, dove si vuole o dove è possibile. Con tali tue premesse, tanto vale che il vostro gruppo del venerdì si costituisca esso stesso come comunità e adoriate e serviate Dio insieme, invece di vivere tale dicotomia ecclesiale. Il credente non si va in una chiesa locale né tanto meno «dallo stesso pastore», ma è parte di una comunità come della propria famiglia spirituale.

 

 

2. {Fortuna Fico}

 

Contributo: Avrei fiumi di parole da scrivere sull’argomento, ma non posso, perché la nostra assemblea sta attraversando un problema del genere. Ma mi permetto di dire solo una cosa: quella della falsa dottrina è una scusa poco convincente e soggettiva, infatti qualcuno ha lasciato la comunità, sentendo parlare di «dicotomia e tricotomia», facendole passare come «strane dottrine»; e, poi, ora, frequenta un’altra chiesa, parlando lingue strane e, aspettando il battesimo nello Spirito, persevera fino alla fine. Ora, seppur donna, vorrei permettermi di dare un consiglio a tutti i miei fratelli delle «assemblee dei Fratelli» (scusate il gioco di parole), concentratevi più sull’amore fraterno sincero, e non alla corsa al pulpito o ad accuse alle spalle e «lotte di potere», che non costruiscono ma demoliscono. Solo così, vedendo l’amore che c’è tra di noi, la buona testimonianza e la collaborazione sincera, le nostre Assemblee cresceranno e non si svuoteranno! Bisogna rimanere lì, dove il Signore ci ha messi, formando quell’unico corpo, composto da tante membra, ed essere convinti che, parlando male o accusando un altro fratello, parliamo male di noi stessi, perché tutti noi siamo la «chiesa». «Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno» (Eb 10,24s).

     Quindi il vero antidoto a tutti i problemi è l’amore! Non quello che si predica dal pulpito, ma quello che si testimonia attraverso i fatti: «Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente» (Rm 12,10). {15-09-2012}

 

Nicola Martella: Capisco che quando si passa per un certo problema personale, familiare o ecclesiale, si tende a filtrare la realtà con la propria esperienza del momento. Quando i motivi del contendere sono secondati, effettivamente quella, che viene dichiarata come «falsa dottrina, è una scusa poco convincente e soggettiva». Come mostrano le epistole del NT (cfr. 1-2 Cor, Gal, Col), esistono effettivamente casi di falsa dottrina, di infiltrazione di falsi fratelli e di cattivi maestri nelle chiese locali; non di rado, tutto ciò ha portato a gravi sofferenze, a fazioni (cfr. Corinto) e a lacerazioni.

     Detto questo, non bisogna contrapporre «dottrina» e «amore», poiché non ci guadagnerebbe nessuno. Anche i seguaci di false dottrine simpatizzano fra di loro. La dottrina è «sana», se si basa sull’esegesi contestuale e non sulle ideologie cristianizzate e sul consenso tradizionale. L’amore per la verità (quindi per Dio) e l’amore per i fratelli devono essere coniugati insieme, osservando che quest’ultimo è l’efflusso del primo. «Avendo purificato le anime vostre con l’ubbidienza alla verità, per giungere a un sincero amore fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore, perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio» (1 Pt 1,22s).

     L’altra questione riguarda i conduttori autorevoli, che siano irreprensibili, che sappiano tagliare (= dispensare) rettamente la Parola della verità (2 Tm 1,15) e sappiano curare il gregge come fanno i pastori. Essi saranno allora capaci di realizzare questo: «Ora il servitore del Signore non deve contendere, ma dev’essere mite inverso tutti, atto a insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli, che contraddicono, se mai avvenga che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità» (2 Tm 2,24s). Chi vorrà andarsene dalla comunità, quando ha validi conduttori e buoni curatori d’anime?

 

Fortuna Fico: Caro fratello, figurati so che non è una polemica, anche perché non vedo cosa c’è da polemizzare; ciò che hai scritto, è anche il mio pensiero. La sana dottrina va curata e difesa. E soprattutto i problemi vanno risolti, non nascosti o passarci sopra; ma spesso è proprio questo che è malvisto, poiché gli errori non vengono ammessi, ma ognuno vuole la propria ragione (e qui c’entra il carattere, che non dovrebbe ma entra in chiesa). Per questo parlavo dell’amore, che deve regnare fra i fratelli, e non a scapito della sana dottrina. Diciamo esattamente le stesse cose, ma forse io non ho reso il concetto! {15-09-2012}

 

 

3. {Giovanni Cappellini}

 

Contributo: Un cammino d’indipendenza spirituale da una realtà locale non solo è possibile, ma è l’unica strada percorribile per chi ha, come me, il vizio di mettere in discussione qualsiasi cosa ed è un dipendente affettivo. In tutte le chiese, che ho frequentato, sono sempre stato visto come un «caro fratello» per i «laici» e una minaccia per i conduttori. Per me le alternative sono due: o andare a scaldare la sedia, oppure farmi dire più o meno apertamente che sono orgoglioso, testardo, che non posso capire, ecc. Soffro parecchio, quando mi vengono dette queste cose, e mi annoio quando sento sempre le stesse prediche. {17-09-2012}

 

Nicola Martella: Quanto segue, non ha un intento polemico, ma vuol essere un approccio dal punto di vista della cura pastorale. Sono conscio che chi è un «disadattato ecclesiale», non sempre trova chi lo sa aiutare a risolvere le questioni, che sono alla base di tale «patologia» ecclesio-sociale. Le chiese a conduzione monocratica, che spesso assomigliano ad aziende del pastore (e della sua famiglia) e che spesso vengono condotte in modo autoritario, non sempre sono un buon esempio del «pari consentimento» neotestamentario.

     Non so il tipo di chiese, che Giovanni Cappellini ha frequentato finora, ma col suo atteggiamento potrebbero chiudere presto tutte. Si presume che il progetto del Signore riguardo alla sua assemblea deve avere qualche difetto di fabbrica! E questo tanto più che alcuni hanno abbracciato la vocazione dei «senza chiesa», che essi chiamano «cammino d’indipendenza». In effetti, è un segno di immaturità cognitiva e affettiva, che perde di vista gli obiettivi (p.es. fornire reciprocamente servizio, edificazione, sottomissione, sostegno) e il fatto che, entrando nel nuovo patto, il credente ha preso il giogo di Cristo e si è impegnato a vivere secondo la sua volontà, non la propria.

     Se tutte le chiese, che Giovanni Cappellini ha frequentato, lo hanno deluso, probabilmente farebbe bene ad aprirne una a sua immagine e somiglianza; i risultati non sono scontati. Tuttavia, egli è affetto probabilmente da «nevrosi ecclesiogena», che è fonte di problemi e di sofferenze.

     In una «chiesa partecipata», come cerchiamo di costruire noi, probabilmente Giovanni Cappellini troverebbe la terza e valida alternativa, a cui contribuire e dove non avrebbe tempo per annoiarsi.

 

 

4. {Pietro Renna}

 

Contributo: Vorrei portare una mia piccolissima esperienza in merito. In una comunità, che ho frequentato, a causa di un problema di adulterio mal gestito secondo me, ho chiesto chiarimenti (visto che io considero una comunità una famiglia locale, dove nessuno deve essere escluso dai problemi della famiglia). Mi e stato detto: gli anziani hanno deciso quello, che hanno deciso; bisogna fidarsi. Quando ho espresso il mio pensiero che in una comunità non si può vivere al buio, sono stato considerato come un sasso che non mette su di esso del muschio, come una pietra che rotola da un posto a l’altro.

     Io prima di dare una risposta a questa osservazione, sono andato in un letto di un fiume, dove ci sono molti sassi e li ho osservati. Osservandoli, ho visto un immobilismo totale di queste pietre; quelle ai margini del fiume in qualche pozzanghera erano quelle, che avevano parzialmente coperte di muschio. Passeggiando sopra di esse, con il mio peso le ho smosso, o le ho smosso di proposito, girandole su un lato senza muschio. Guardando quelle pietre senza muschio, mi sono chiesto di chi la colpa. Ho capito che due sono le condizioni, che non fa crescere il muschio su alcune pietre: quando uno le smuove o quando ci sono delle piene, ma le pietre non si muovono da sole.

     Sui vari esempi che tu hai fatto sul’argomento, credo che una pecora da sola non scappa mai dal suo ovile, se il pastore non crea le condizioni per farle scappare. {17-09-2012}

 

Nicola Martella: Alcuni conduttori hanno sì il senso della famiglia, ma agiscono verso i membri della chiesa come fanno i genitori con i figli minorenni. Gesù ha insegnato, però, che di Padre c’è n’è uno solo e tutti i discepoli di Gesù sono fratelli. Quindi, i conduttori fanno bene a trattarli come fratelli maggiorenni. Inoltre, nel NT certi tipi di peccati venivano trattati come assemblea intera (1 Cor 5), non come gruppo elitario.

 

 

5. {Luca Matranga}

 

Contributo: Parlare di questo, è come parlare dei motivi, che portano due persone a litigare: ce ne sono tantissimi e ogni caso è diverso dall’altro. I pastori tenderanno a incolpare i membri o l’assemblea, ed è vero anche il contrario. Non ha senso parlare di queste cose in questi termini, crea solo confusione, secondo me. Perché alle volte è vero che chi se ne va, lo fa per orgoglio, per mancanza di sottomissione, per incomprensioni, mancanza di perdono, ecc.; ma, alle volte, invece, le cause sono giustificate. Come anche è vero il contrario. Si può dire che sbagliano solo quelli, che non vogliono essere inseriti in una chiesa locale. Il resto ammette troppa variabilità. Potresti invece presentarci, caro Nicola, alcuni «case studies», chiedendoci di dire secondo noi cosa sarebbe giusto. {18-09-2012}

 

Nicola Martella: Nell’articolo di riferimento ho mostrato che la variabilità delle cause è tanta e non si può addurre a un solo motivo. Nel tema di discussione ho anche fatto obiezioni a chi voleva polarizzare il tutto in un modo o nell’altro, mostrando che ci sono responsabilità in chi resta e in chi va, in chi guida una chiesa in modo irresponsabile e chi preferisce una facile transumanza; ho parlato pure di «giusta causa» per alcune situazioni, in cui qualcuno se ne va.

     Discutere insieme di tali cose non è inutile, né genera confusione, come tu affermi, ma fa parte dell’ovvio processo di chiarimento progressivo, come succede in una decantazione dialettica. Già rendersi conto dei problemi reali, aiuta a interrogarsi e a prepararsi all’evenienza e possibilmente a elaborare le cause e a porre rimedio a tempo. Non credo che accendere le menti su tali problematiche sia un’attività oziosa.

     Con la tua capacità intellettiva, potresti dare di più quanto a un’analisi e alle giuste prospettive. Fermarsi al «c’è tutto e il contrario di tutto», è facile e comodo; sebbene sia lecito, non è utile ai fini della discussione né è costruttivo (cfr. 1 Cor 6,12; 10,23).

     Aspettiamo qualcosa d’illuminante sull’argomento da parte tua. Se ti applichi, qualcosa di edificante e salutare può ancora venire. Io credo ancora ai miracoli.

 

Luca Matranga: Tra l’altro c’è uno studio abbastanza serio condotto su circa un migliaio di chiese sui motivi che spingono a cambiare comunità; comunque forse lo conosci già. E credo che una statistica imparziale sia molto meglio per descrivere una situazione del genere. {09-10-2012}

 

Nicola Martella: Faccene un sunto, se puoi. Poi, su ciò che sia utile o molto meglio, potremmo discuterne a lungo. Far parlare dei credenti su certi temi e far portare le loro esperienze, è sempre utile. Riguardo alle statistiche ci sarebbe molto da dire: chi la fa, come la fa, quali domande pone, con quali obiettivi, a chi vengono poste le domande, quante sono le persone intervistate, a quale ambiente appartengono, eccetera. Nelle statistiche non è sempre tutto oro (scientifico) quel, che luccica.

 

Luca Matranga: Lo studio, condotto dal Dr. Richard J. Krejcir dello Francis A. Schaeffer Institute of Church Leadership, è iniziato nel 1992 e terminato nel 2004, con una revisione del 2007. Riguarda 1.103 chiese di 23 denominazioni, scelte a caso. I risultati di questo studio sono stati confrontati con altri studi simili, fatti da altre organizzazioni, e con dei questionari somministrati via web, anche più ampi; e hanno mostrato una sostanziale costanza delle percentuali.

     ● Di 894 persone intervistate di persona, e 2.909 persone contattate online, l’88% di esse dicono di aver lasciato la propria chiesa, perché si sono sentite «costrette a farlo». il 19% del primo gruppo e il 22% del secondo gruppo invece sono andati via a causa di mutamenti nella vita lavorativa o scolastica.

     ● Quindi, di 3.803 persone andate via, 3.348 hanno dichiarato di essersi sentite «costrette a farlo» per questi motivi:

            — Il 61% lo ha fatto a causa di un conflitto con un altro membro, che si è originato da pettegolezzi e contese, che non cessavano, non erano veri, o non venivano affrontati nel modo giusto. Hanno sottolineato anche una mancanza di ospitalità e una mancanza d’insegnamento biblico come seconda e terza ragione.

            — Il 19% non si sentiva connesso agli altri. La mancanza di ospitalità era la prima ragione. Secondo i casi, hanno sottolineato la mancanza d’insegnamento biblico come seconda o terza ragione, e il pettegolezzo come seconda o terza ragione.

            — Il 18% lo ha fatto per la mancanza di un solido insegnamento biblico; hanno indicato pettegolezzi e contese e mancanza di ospitalità come seconda e terza ragione.

            — Il 4,5% lo ha fatto per altri inconvenienti (chiesa troppo distante, poco parcheggio, culti troppo lunghi, predicazione noiosa, piccole divergenze teologiche). È interessante notare che l’attenzione della leadership della chiesa è spesso più orientata a migliorare questi punti (che sono quantitativamente meno significativi) che gli altri.

 

(Il fatto che la somma delle percentuali dia il 102,5% può essere dovuta al fatto che alcuni abbiano descritto come ragioni principali più ragioni, ma non è indicato nello studio.) {09-10-2012}

 

Nicola Martella: Grazie, Luca Matranga, questo è un buon contributo. Presumo che tale inchiesta sia stata svolta in inglese e abbai coinvolto specialmente persone negli USA. Rimane comunque significativo per le problematiche elencate. Certamente, oltre ai motivi perché «tu», credente, hai abbandonato una certa chiesa (coinvolgimento personale), bisognerebbe tener presente (e farne oggetto d’inchiesta) i seguenti aspetti di terzietà:

     ● Secondo te, che sei un membro di una comunità, perché le persone abbandonano la propria chiesa?

     ● Secondo te, che sei un missionario, un conduttore di chiesa o una persona impegnata in essa, perché le persone abbandonano la propria chiesa?

 

Soltanto così il quadro potrà risultare più completo.

 

Luca Matranga: Prego, Nicola Martella, sì, in effetti, è uno studio fatto negli Stati Uniti, e io ho riassunto solo i dati relativi al «perché» una persona va via dalla chiesa. In realtà lo studio era molto più complesso, e riguardava molto la crescita e la decrescita delle comunità, e il perché. C’erano anche altri risultati. {10-10-2012}

 

 

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11. {Vari e medi}

 

Maurizio Marino: Una separazione è sempre dolorosa. Non prenderei in considerazione quei «credenti», che spessissimo vanno di qua e di là, calunniando e sparlando. Per un cristiano, discepolo di Gesù, nato di nuovo magari nella sua chiesa di appartenenza, il separarsi dalla propria chiesa locale dovrebbe avvenire in accordo con la propria chiesa, per fondare o aiutare comunità nascenti. In caso contrario, si provoca una ferita profonda nello spirito, che solo il Signore potrà guarire. In ogni cosa, come fratelli, siamo chiamati a cercare il «pari consentimento». Quando non c’è questo ingrediente speciale, la chiesa diventa una democrazia, dove la maggioranza impone le proprie idee a scapito della minoranza; oppure diventa una oligarchia, dove una cerchia ristretta (nella fattispecie i conduttori) governa in modo assolutistico. In ambedue i casi la chiesa, secondo me, perde quella caratteristica necessaria alla presenza del Signore, trasformandosi in un realtà umana e carnale... altro che spirituale. {14-09-2012}

 

Adolfo Monnanni: Molte volte, questi problemi non vengono affrontati in modo limpido da tutti i coinvolti. La chiesa, che accoglie tutti, comunque non aiuta nessuno. Coloro, che respingono tutti, danneggiano quanto la prima; con un dialogo serio davanti al Signore si abbasserebbe il numero [di coloro, che vano via, N.d.R.]. Secondo me, vivere una chiesa locale lontana sembra dare più libertà; in realtà avvicina alla solitudine e al nemico. Quest’ultimo ha lo scopo di smembrare la chiesa locale per indebolire la chiesa nel suo complesso. Tutti dovremmo meditare su questo. {14-09-2012}

 

Edoardo Piacentini: L’unico motivo valido, per lasciare la propria comunità, oltre al caso di un trasferimento della propria residenza altrove, è quando il credente si accorge che dal pulpito si predicano false dottrine o quando avverte il bisogno spirituale di ricevere del cibo più sodo e una cura pastorale più certa. {14-09-2012}

 

Giuseppe Ricciardi: Questo fenomeno è frequente, e devo dire che anche io l’ho fatto. La mia questione, però, era che, quando frequenti una chiesa e dopo un po’ di tempo, scopri certe cose, che non ti fanno piacere: i conduttori sono inappropriati al lavoro, che svolgono, perché non hanno né le capacità né i requisiti; e molti hanno rovinato chiese intere per la loro negligenza. {14-09-2012}

 

Giuseppina Fierro: Non è possibile cambiare comunità. La Bibbia dice di non abbandonare la comune adunanza! (Ebrei [10,25, N.d.R.]). Ciò può avvenire, solo se una persona ha un dono come missionario. Comunque siamo un unico Corpo in Cristo! {17-09-2012}

Nicola Martella: Qui discutere Ebrei 10,25 ci porterebbe troppo fuori tema. In ogni modo, esiste il caso normale e le sue eccezioni. Abbiamo visto sopra che ci sono altri casi legittimi, per cui è possibile abbandonare una comunità, ad esempio per falsa dottrina insegnata o per gravi peccati tollerati o addirittura praticati dai conduttori.

 

Matteo Cavallaro: Oggi cambiare moglie, o marito, è come cambiare l’auto. E cambiare sesso, è come andare dal parrucchiere. Come la stabilità di un albero dipende dalle sue forti radici, così è chi ha la sua vita innestata in Cristo. Chi segue le orme di Cristo, sta lontano dalle adulazioni e non va in cerca di un posto, dove stare bene, in quanto solo in Cristo si trova la pace. Naturalmente, bisogna trovare l’ospedale, dove i malati vengono curati, ma soprattutto bisogna riconoscer di essere malati e di avere bisogno del dottore; infatti, non sono i sani, ad avere bisogno del medico, ma i malati, questo è ciò che dice Cristo. Cristo è la via, la verità e la vita; chi segue altre vie, cercando la comodità, prima o poi, si accorgerà che tutto ciò, che ha, è solo vanità. Un esperto conosce i funghi prima di mangiarli; per questo bisogna chiedere a Dio Padre la sapienza, per poter discernere la strada da fare. {19-09-2012}

 

 

12. {Vari e brevi}

 

Zoila Guzman: A che serve cambiare comunità (!), se il credente non è disposto a ubbidire Dio. {14-09-2012}

 

Giacomo Bellini: Ma, quindi, è colpa dei conduttori, che non sanno accudire i loro membri? {14-09-2012}

Nicola Martella: Non sempre è così. Chi legge l'intero articolo di riferimento, se ne rende conto.

 

Agostino Di Giovanni: Quando è possibile, è buono rimanere nella propria comunità. Diversamente si può cambiare, per vari motivi, ma sarebbe bene chiedere cosa ne pensa Dio, può darsi che Dio ha un piano particolare per ognuno di noi. {14-09-2012}

 

Alessio Rando: Si può cambiare chiesa locale, ma i motivi devono essere legittimi, non secondo le proprie voglie! {15-09-2012}

 

Silvano Creaco: Grazie, Nicola, per questi articoli che mettono alla luce seri e reali problemi. {17-09-2012}

 

Gianfranca Dettori: Bisogna che se ne parli perché è un fenomeno in crescita. Sono molto interessanti le scappatoie, che vengono usate, per giustificare le diserzioni dalle proprie comunità. {17-09-2012}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Cambia_comunita2_Esc.htm

21-09-2012; Aggiornamento: 16-10-2012

 

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