Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’ACCADEMICO E L’ACCADEMISMO

 

 a cura di Nicola Martella

 

L’articolo «Il verme dell’accademismo» intendeva far discutere gli addetti ai lavori degli «istituti biblici» sugli obiettivi di questi ultimi, coinvolgendo anche altri credenti come ex studenti di «istituti biblici» e persone inserite nel mondo dell'istruzione. I risultati apparivano scarsi; specialmente gli «addetti ai lavori» si sono mostrati reticenti a parlare di ciò che li tocca in prima persona. Alcuni hanno preso timidamente la parola, chiedendo di rimanere perlopiù anonimi e i loro contributi sono stati riportati nel seguente tema di discussione: ► Parlando del verme dell’accademismo. Ciò ha incoraggiato altri a intervenire.

    Paolo Jugovac ha esteso addirittura la problematica dell'accademismo al panorama ecclesiale generale («Il verme dell’accademismo nelle chiese»). Qui di seguito presento uno scritto di Tonino Mele, ex studente dell'Ibei, riguardo al tema degli «istituti biblici» e dell'accademismo. Ad esso seguono alcune mie riflessioni su di esso, visto che sono stato chiamato in causa. Il tutto appare qui extra solo per la lunghezza dei contributi.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Tonino Mele

2. Nicola Martella

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Tonino Mele} ▲

 

NON TUTTO CIÒ CHE È ACCADEMICO È ACCADEMISMO

Riflessioni intorno al sapere

 

 

1.  CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: Caro Nicola, come da te chiestomi, interagisco col tuo j’accuse sull’accademismo. Ho aspettato a dire la mia, perché ritengo che ci sia gente più «titolata» di me per parlare su quest’argomento e, spero che prima o poi lo facciano, in maniera altrettanto pubblica, se non altro, per dare a tutti noi un quadro più obiettivo della questione. In fondo, senza per questo banalizzare o screditare la tua esperienza d’accademico e di docente, credo che essa vada comunque bilanciata da come vede le cose, la «direzione» d’una scuola o istituto biblico. Indubbiamente, la prospettiva è diversa e foriera di tensioni, ma non credo insormontabili, soprattutto in un ambito cristiano… Se lo scopo precipuo di tutte «le parti» è la ricerca della volontà di Dio, credo che tali «fratture» possano essere ricomposte.

     Certamente, devo ammettere che io parlo da ex studente, che all’Ibei è stato solo di passaggio, anche se continuo a portarla nel cuore, mentre tu, ci sei stato, mi pare, più d’un terzo della tua vita in qualità di docente e questo ti da sicuramente molti più «titoli per parlare», ma permettimi di dire che si tratta comunque d’una titolarità «soggettiva», legata a come tu hai vissuto il problema, alle tue ragioni, che, a torto o a ragione, restano le «tue» ragioni. In seconda battuta abbiamo appreso, che ci sono altri docenti che la pensano come te e questo rende sicuramente meno soggettiva la tua riflessione, ma resta sempre una riflessione «di parte», proveniente dal corpo docente, a cui bisogna affiancare le riflessioni del «corpo dirigente», e spero lo facciano presto.

     In merito all’accademismo io sottoscrivo quanto affermato da Pietro Micca (ps.): «Bisogna continuare a essere biblici oltre che credibili da un punto di vista accademico». Ben venga la tua critica contro l’accademismo «chiuso e fine a se stesso», però talvolta ho l’impressione che metti troppe cose nello stesso calderone, rischiando di demonizzare ciò che invece può avere una valenza positiva. Anche se la tua esposizione è, come al solito granitica e stringente, non tutto è così logico e conseguente. Mi riferisco ad accostamenti del tipo: «Altra cosa è il culto d’un accademismo erudito, chiuso e fine a se stesso»; «L’accademismo pensa che la meta desiderabile sia quella d’alzare maggiormente il livello d’insegnamento. In tal modo diventa un’attività elitaria»; «I suoi «termini tecnici» diventano il cifrario di un’elite d’iniziati»; «quando iniziai a insegnare era una “scuola biblica”, quando smisi, ventilava d’essere “facoltà teologica”»; «il sistema dei crediti mi sembra la raccolta punti delle merendine, si promuove la mediocrità, la mancanza di spirito, di fantasia, d’indipendenza intellettuale». Fammi capire: l’erudizione è un male? È così deleterio alzare il livello d’insegnamento? È talmente tragico che una scuola biblica miri a diventare una facoltà teologica? Il sistema dei crediti promuove necessariamente la mediocrità?

     Qui di seguito tenterò brevemente di rivedere alcune questioni da un’angolatura diversa, soprattutto per dimostrare che non tutto quello che è accademico e accademismo. Del resto, tu hai fatto bene a parlare del «verme dell’accademismo», ossia d’un corpo estraneo che cerca d’attaccare la pianta del sapere e della sua presentazione, anche se il gran numero di temi, rischiano, a mio modesto avviso di confondere un po’ le idee e di creare una clima di linciaggio non solo del verme, ma della pianta stessa, dell’accademismo e dell’accademico stesso.

 

 

2.  LIVELLAMENTO DEL SAPERE: Con la tua competenza e professionalità accademica, hai saputo circoscrivere il discorso e non andare oltre, ma c’è chi, per questa via, dilaga nel terreno accidentato dei luoghi comuni, dove la semplicità (leggi ignoranza) è più auspicabile della conoscenza, «la conoscenza gonfia», la conoscenza equivale necessariamente a orgoglio o fragilità caratteriale ed emozionale e così via. Personalmente, avrei voluto frequentare un istituto biblico non solo fedele alla Scrittura, ma con un livello accademico più alto. Mi son preso quello che ho ricevuto e mi sono accontentato. Sono tornato nella mia comunità dove sono pienamente e felicemente inserito, svolgo un lavoro secolare estremamente manuale, tratto con persone d’ogni tipo e non ho smesso di coltivare i miei studi e le mie conoscenze.

     Alzare il livello degli studi non è un male, come non è di per se un male essere ricchi… tutto dipende da cosa ne facciamo di tali cose. Alzare il livello degli studi non nasce solo dal desiderio d’accreditarsi nel panorama accademico, ma può essere legittimato, ad esempio, anche dal bisogno di sfornare insegnanti d’un certo livello, pur restando fortemente ancorati alla Scrittura. O vogliamo che siano ancora le scuole liberali a influenzare certi ambienti? Ma senza andare molto lontano: chi prenderà il posto dell’attuale corpo docente dell’Ibei? Professorucci che a suo tempo sono stati studentucci a cui si è voluto risparmiare lo studio duro per livellarli su gradi accademici di ripiego? Si vuole continuare a importare docenti da realtà accademiche straniere, non solo per lingua, ma anche per cultura, o si vuole dare a studenti italiani seri e avvezzi allo studio non livellato, la possibilità, tutta italiana, di costruirsi un bagaglio accademico di tutto rispetto? Perché è così tragico che un istituto biblico diventi una facoltà teologica? In fondo, molte delle risorse che circolano presso gli istituti biblici, docenti compresi, non provengono da facoltà teologiche?

 

 

3.  INCENTIVAZIONE E VALUTAZIONE DEL SAPERE: In merito alla critica sul sistema dei crediti, mi pare che si sottovaluti la sua valenza positiva. Si dimentica infatti, che esso è un importante stimolo che serve a incentivare non la mediocrità ma l’eccellenza, ed è anche un buon correttivo contro il soggettivismo, il clientelismo e il nepotismo nella scuola. Fabio Mussi, ministro dell’Università e della Ricerca, ha affermato: «A parte i casi d’aperta corruzione, per i quali c’è la magistratura che m’auguro usi la mano pesante, nella formazione, nella scienza e nella ricerca il corporativismo lobbistico è una malattia e il nepotismo è un delitto. Sono stati provati tutti i metodi concorsuali immaginabili senza ridurre significativamente quella dose d’arbitrio e di manipolazione che persiste. C’è una sola via: fortissimi meccanismi di valutazione dei risultati che premino il merito, e affidare alla valutazione una quota negli anni crescente del budget complessivo dei finanziamenti (La Repubblica, 5 Settembre 2006).

     La scuola ha bisogno di sistemi d’incentivazione e di valutazione il più possibile oggettivi, ove il rischio di manipolazione e d’arbitrio sia ridotto al minimo e immagino che questo discorso non valga solo per il sistema dei crediti, ma anche per il ricorso al «piano di studi» e a programmi ben definiti. Tra i «mali della cultura scolastica», non esiste solo il verme dell’accademismo, con la sua ossessione del «grado accademico», lo scolasticismo ecc., ma anche quello del clientelismo e del nepotismo, ove si rischia di premiare il più «simpatico» e il più «affabile» a scapito di chi invece si butta a capofitto negli studi con impegno e sacrificio e non ha tempo per lesinare le simpatie «extra-curriculari» dei professori. Fai bene a incoraggiare un rapporto più umano tra docenti e studenti, ove l’insegnante diventa anche un maestro di vita, tuttavia, bisogna tener presente, che i pericoli non sono insiti solo nella chiusura d’un accademismo vuoto, ma anche nell’apertura d’un rapporto di tipo preferenziale, clientelare e nepotista. Da questo versante, una logica granitica e stringente ci porta a immaginare un soggettivismo senza freni, un individualismo esasperato e un’indipendenza che rasenta più l’anarchia che una vera libertà e fecondità di spirito.

 

 

4.  ASTRAZIONE DEL SAPERE: L’equilibrio tra teoria e prassi è indubbiamente auspicabile, tuttavia, sul modo di raggiungerlo c’è molto da dire. Anche qui s’annida qualche luogo comune, tipo: astrazione = irrealismo e sterilismo pratico. Si dice che Eintein quando scoprì la sua famosa formula E=mc2, pensava che tutto il suo valore fosse nella sua linearità espressiva, senza alcuna valenza pratica. Oggi noi sappiamo quanto si sbagliava e come quella formula abbia trovato applicazioni in molteplici campi. Chi stabilisce il grado d’astrazione del sapere? Quante ricerche sono state abbandonate perché giudicate troppo astratte, per poi esser riprese da altri, con un senso pratico migliore o con qualche conoscenza in più che schiudeva la porta a tutte le sue possibili applicazioni. Quanti eroi, chiusi in laboratori asettici, alle prese tutta la vita con ricerche «prive di risultati», che poi, spesso dopo la loro morte, hanno gettato le basi di scoperte rivoluzionarie, gravide di risultati pratici. Chi può dire che la loro era una vita buttata al vento dell’astrazione e dell’irrealismo? Quanti accademici inascoltati, incompresi, accademicamente soli, non per loro volontà, ma perché incapaci di parlare un linguaggio meno tecnico e meno cifrato. Ma siamo tutti dei Piero Angela? Viviamo in un mondo che vuole tutto e subito e mal sopporta le lungaggini, i giri tortuosi, i deserti e i miraggi che spesso bisogna rincorrere per arrivare al sapere. E quest’impazienza è motivata spesso dall’avidità di concretizzare economicamente il sapere. Stiamo attenti a fissare troppo facilmente linee di demarcazione tra l’astratto e il concreto, la teoria e la pratica. Forse, non sta a noi fissare queste linee, ma al sapere stesso. Talvolta s’esce barcollanti dalla lettura di studi esegetici e filologici d’un certo livello e la tentazione di considerarli astrusità teologiche è forte, perché non se ne vede un’immediata finalità pratica. Eppure, proprio la Bibbia che leggiamo tutti i giorni è il «risultato» di ricerche di questo tipo!

 

 

5.  SVECCHIAMENTO DEL SAPERE: Svecchiare il sapere teologico e non, dalle sue incrostazioni ideologiche è altresì importante, ma anche qui bisogna stare attenti a una rottura drastica e totale col passato. In fondo, la teologia nasce da una retrospettiva di come Dio ha parlato e agito nella storia. E non è vero che il passato equivale necessariamente a vecchio e sterile.

     Al riguardo, è risaputo che il Rinascimento, con tutto il suo rifiorire nel campo delle arti, delle lettere, delle scienze ecc. ha tratto origine dalla riscoperta dei testi greci e latini. Nel sito Wikipedia, alla voce Rinascimento Italiano, si legge: «il Rinascimento iniziò con la riscoperta di testi greci e latini conservati nell’Impero Bizantino e nei principali monasteri europei, testi che, una volta scoperti, incoraggiarono tutta una serie di nuovi studi e invenzioni nel secolo successivo». Anche la Riforma si è avvantaggiata di questo clima di riscoperta del passato, perché ha portato a una riedizione dei testi originali del Nuovo Testamento. Non sempre il passato è la tomba del sapere e della libera iniziativa, o un territorio di fuga dal presente con le sue incombenze e responsabilità, anzi, può essere il trampolino di lancio verso nuovi orizzonti. Rileggere il passato è spesso molto stimolante proprio per fecondare un presente misero di stimoli e di valori.

     Per contro si può citare l’esperienza non proprio positiva del Futurismo del primo ‘900, che, pur avendo contribuito allo svecchiamento delle arti e della letteratura, in forte opposizione all’accademismo imperante[1], ha poi finito per diventare palestra d’una gretta ideologia (il nazionalismo), d’un violento e tirannico potere politico (il fascismo) e d’un certo potere economico (il capitalismo automobilistico). Pur avendo dato un valido contributo al rinnovamento delle arti e della letteratura, esso ha commesso l’errore di rompere totalmente e troppo drasticamente col passato, fino a inneggiare alla guerra, alla violenza (non solo verbale) per ribaltare lo status quo. E qui, i fascisti hanno trovato la strada spianata. Indubbiamente, questo è un caso limite ben lontano dalla nostra realtà, ma utile per illustrare che c’è modo e modo per svecchiare il sapere.

 

 

6.  CONCLUSIONI: In definitiva, è giusto dire NO all’accademismo, e tu lo hai fatto efficacemente, ma diciamo un altrettanto chiaro NO al luogo comune che tutto quello che è accademico è accademismo, altrimenti, non si metteranno al bando solo le facoltà teologiche, ma anche gli istituti biblici in genere e la «caccia all’accademico» ci perseguiterà fin dentro le nostre chiese locali. Le scuole bibliche continuino a offrire un insegnamento vicino alla realtà degli studenti, delle missioni e delle chiese locali, perché questo è uno degli aspetti della loro missione, ma puntino pure a un insegnamento più alto, più vicino alla ricerca e alla «costruzione» del sapere, perché solo da ciò, possono venire i criteri d’una corretta presentazione e «volgarizzazione» (nel senso positivo) del sapere nel tempo. Siano «fucine» del sapere teologico nel presente; non fuggano nel passato, ma neppure fuggano da esso. Qualsiasi livello del sapere caratterizzi il loro servizio, ricordino sempre che è una grazia di Dio che va vissuta appunto come un servizio e non come un accademismo egoista ed elitario.

 
 

[1]. Nel manifesto futurista del 1909 si può leggere la seguente descrizione del movimento: «Chi pensa e si esprime con originalità, forza, vivacità, entusiasmo, chiarezza, semplicità, agilità e sintesi. Chi odia i ruderi, i musei, i cimiteri, le biblioteche, il culturismo, il professoralismo, l’accademismo, l’imitazione del passato, il purismo, le lungaggini e le meticolosità. Chi vuole svecchiare, rinvigorire e rallegrare l’arte italiana, liberandola dalle imitazioni del passato, dal tradizionalismo e dall’accademismo e incoraggiando tutte le creazioni audaci dei giovani».

 

 

2. {Nicola Martella}

 

La problematica dell’accademismo in connessione con gli «istituti biblici»

     Sono grato a Tonino Mele per essersi confrontato con serietà con questo tema e per aver dato il suo contributo. Mi dispiace soltanto che la questione si sia ridotta all’Ibei, mentre il mio scopo era quello di avviare una discussione più generale sugli «istituti biblici» in Italia che prescindesse dalla situazione particolare. Ciò è quello che ho scritto ad alcuni cristiani che mi hanno interpellato al riguardo. Il problema in Italia è che c’è scarsa prontezza al dialogo fra gli addetti ai lavori. Ho mandato un avviso di lettura a vari dirigenti e responsabili di «istituti biblici», menzionati nell’articolo, ma i risultati sono stati scarsi. Temo che uno dei punti sia il fatto che avrebbero dovuto spiegare che i titoli accademici promessi sono spesso solo ipotizzati per il futuro (e in collegamento con istituti esteri) e, in ogni modo, non riconosciuti attualmente dallo Stato italiano.

     Quindi sono dispiaciuto (e un po’ contrariato) che tutta la questione si sia ora concentrata sull’Ibei. D’altra parte ciò è comprensibile, poiché le persone che hanno preso la parola (anonimi e titolari) sono stati tutti legati o lo sono a vario titolo a questo specifico «istituto biblico». Detto questo, non voglio mancare di rispondere a Tonino Mele, vista la briga che s’è data.

     È chiaro che il mio augurio è quello che tutte le parti in causa (insegnanti, dirigenti e studenti) di un «istituto biblico» possano sinceramente, rispettosamente e razionalmente dialogare su questo tema. Ma questo può solo accadere se queste parti lo vogliono. Fra gli ex studenti alcuni hanno preso la parola, cosa che apprezzo. Fra insegnanti (attuali ed ex) e dirigenti la cosa è stata scarsa, e coloro che hanno scritto hanno chiesto l’anonimato, ripromettendosi che in futuro avrebbero scritto qualcosa (spesso ciò equivale a un disimpegno).

     Quanto ai termini «accademico» e «accademismo» non volevo certamente dare l’impressione che significhino la stessa cosa. Io credo personalmente al grande valore degli «istituti biblici» nell’opera di Dio (oltre alla chiesa locale, alla missione e ad altre opere paraecclesiali) e credo che bisogna avere docenti competenti in tutti i settori dell’insegnamento.

     La questione riguarda la vocazione principale degli «istituti biblici», ossia se corrispondono ai bisogni reali presenti nella nostra nazione e nelle chiese, o se coltivano (oltre se stessi per avere un «posto al sole» fra gli altri «istituti biblici») uno scolasticismo fine a se stesso. L’erudizione non è un male, ma gli «istituti biblici» hanno primariamente una missione concreta da compiere, che deve corrispondere ai bisogni reali. Alzare il livello d’insegnamento non è di per sé sbagliato, ma allora bisogna allungare gli anni scolastici. Il rischio è come è, come un ex studente ha lamentato, che gli studenti perseguano per tutti gli anni di studio solo obiettivi accademici, restando incapaci di comunicare addirittura fra di loro e di crescere in tale comunione spirituale e di azioni concrete comuni.

     Neppure le «facoltà teologiche» sono di per sé negative, ma ciò presenta alcune problematiche, ad esempio le seguenti.

     ■ 1) Gli «istituti biblici» dovrebbero rendere le persone, che ricevono ogni anno come studenti (spesso sono pochi), idonei a servire nel modo migliore possibile riguardo a ciò che sono e faranno oppure li inquadrano in specializzazioni e programmi che dopo lo studio non gli serviranno a molto?

     ■ 2) I titoli che promettono tali «facoltà», sono veramente riconosciuti in Italia? In parecchi casi abbiamo seri dubbi. Gli «istituti biblici» devono promettere solo ciò che possono realmente mantenere attualmente. Avere prospettive è cosa buona, ma il realismo è salutare; si fa sempre bene a dire come le cose stanno veramente.

     ■ 3) Devo pensare ad alcuni fratelli che attualmente sono molto impegnati praticamente nell’opera, i quali sono passati per un «istituto biblico». Essi hanno un dinamismo incredibile, ma una scarsa attitudine allo studio di lingue e materie teoriche. Un «istituto biblico», o comunque lo si voglia chiamare, deve preparare una tale persona secondo la sua indole e secondo il ministero che vuole svolgere. Lo scolasticismo in certi casi può reprimere la loro vocazione reale e creare (almeno sul momento) falsi obiettivi. Detto con un po’ di umorismo, penso che la cosa migliore che alcuni di questi servitori del Signore abbiano trovato in un tale «istituto biblico» sia stata la compagna di vita e di servizio.

     ■ 4) Che ci sia bisogno anche di intellettuali che perseguano un «mandato culturale» in Italia (anche questa è missione!), è vero. Abbiamo certamente bisogno di persone preparate e competenti in molti settori (i «tuttologi» improvvisati fanno molto danno per la loro limitatezza e spesso per affermazioni categoriche in cose che non comprendono fino in fondo); al riguardo gli «istituti biblici» hanno un loro ruolo, comunque si chiamino e qualunque sia il loro livello d’istruzione. La questione dell’accademismo però è quello di creare falsi obiettivi, facendo dimenticare la chiamata specifica degli «istituti biblici» in corrispondenza alla situazione concreta e alle persone reali che hanno come studenti.

     ■ 5) Studenti che «scoppiano» all’interno di un «istituto biblico» per adempiere ai doveri scolastici, mettendo in secondo piano la cura della propria anima, la crescita morale, la cura dei rapporti interpersonali, la comunione col Signore e con i credenti e così via — sono una misera testimonianza per lo stesso «istituto biblico». A ciò si aggiunga che gli studenti arrivano — non solo con molte domande concrete su se stessi, su Dio, sul mondo, sulla ricerca della volontà di Dio, sui propri doni e sul proprio ministero futuro — ma anche con molti problemi che sperano di risolvere. Lo scolasticismo fine a se stesso è la risposta meno adeguata a dare tali risposte. Di studenti andati in profonda crisi spirituale ed esistenziale, ne ho visti parecchi.

 

Ha detto bene Tonino Mele che il «verme dell’accademismo» è un corpo estraneo, riprendendo l’immagine che avevo presentata. Infatti non bisogna «gettare via il bambino con tutta l’acqua sporca». Io, come detto, credo nel mandato specifico degli «istituti biblici», ho insegnato (e imparato) con passione, studiare è entusiasmante, sono rimasto curioso e sono oltremodo entusiasta per ogni nuova scoperta; è fuori dubbio che tornerei volentieri a insegnare in uno o più «istituti biblici».

 

Mediocrità e ignoranza sono «vermi» peggiori

     È fuori dubbio che mediocrità e ignoranza sono «tarli» che fanno tanto danno nelle menti e nelle vite di tante persone. La ricerca della verità è importantissima. A ignoranti «tuttologi» bisogna preferire persone competenti in uno o più campi specifici del sapere. Un vero studioso è chi sa che «conosciamo in parte», come affermò Paolo; chi scava sulla superficie di un iceberg, sa che più scava e più è enorme ciò che sta sotto. La saccente ignoranza e l’arrogante mediocrità, accompagnata dalla pretesa del «tuttologo», mi ripugnano da qualunque «pulpito» o «cattedra» partano. La questione dell’accademismo è un’altra, come mostro qui di seguito.

 

Qual è la vocazione degli «istituti biblici»?

     In un vivaio c’è una grande varietà di piante diversissime fra loro per natura, specie, frutti, eccetera. Trattare tutte queste piante allo stesso modo è sbagliato: hanno bisogno di un clima, di un terreno e di una cura differente; alcune si possono innestare solo con altre; e così via. Il gestore di tale vivaio vuole trarre il massimo da ogni pianta in riferimento alla natura della singola pianta, agli obiettivi che si è prefissato e all’impiego concreto che ne farà chi l’acquisisce. Penso che gli «istituti biblici» debbano esser come vivai, dando a ognuno il suo in corrispondenza di ciò che ognuno è (anche fra gli studenti ci sono indoli, «specie» e vocazioni differenti) e del bisogno concreto che si ha. (Far studiare ad esempio lingue bibliche a una persona con una predisposizione pratica per avere almeno tre studenti in una classe, non solo crea un problema a tale studente durante gli studi, ma probabilmente anche agli altri studenti per la mediocrità del livello e successivamente alle chiese per l’uso limitativo ed erroneo che farà di tale infarinatura linguistica, poiché un saccente ignorante spesso radicalizza ciò che crede di sapere.)

     Mi piace anche l’immagine dell’allenatore (a differenza dell’addomesticatore), il quale allena ogni giocatore secondo la sua indole e il suo potenziale concreti, traendo da lui il massimo per eccellere nel suo ruolo. Si potrebbe aggiungere anche l’immagine della fucina, in cui il fabbro tratta ogni metallo secondo la sua natura specifica, per trarne strumenti e oggetti confacenti alla natura stessa del singolo metallo.

     Questa è la mia visione di un «istituto biblico»: un vivaio, un campo d’allenamento e una fucina. Chi ha una predisposizione accademica o intellettuale, lo si aiuti a eccellere in ciò; lo stesso vale per chi ha una predisposizione di tipo più pratico: si tragga il massimo da lui. La cosa peggiore che possa fare un medico, è curare una malattia con le medicine sbagliate. I bonsai possono apparire affascinanti, ma sono naturalmente e praticamente dei menomati. Studenti che escono da un «istituto biblico» come «limitati nell’efficienza» o addirittura come dei malformati nella personalità, nella spiritualità e nella morale, è la cosa peggiore che si possa fare o desiderare.

     È fuori dubbio che ci vogliono docenti preparati e competenti: chi non eccelle di per sé, difficilmente aiuterà altri a eccellere. Come detto però la questione è quella degli obiettivi che un «istituto biblico» deve avere. Penso che ognuno di essi faccia bene a non perdere di vista la vocazione che ha nel panorama concreto in cui è inserito; deve avere un equilibrio (continuamente cercato) fra informazioni da trasmettere e formazione della personalità, fra obiettivi scolastici (curriculum, programmi) e bisogni concreti (degli studenti e dell’opera di Dio nella propria nazione).

     Non è tragico che un «istituto biblico» diventi una facoltà teologica, ma poi lo sia veramente. Restano comunque alcune domande al riguardo: È vero ciò che si promette? (curriculum, titoli, ecc.). I docenti hanno veramente la preparazione necessaria? Si hanno abbastanza studenti per essere facoltà? Che cosa faranno in pratica tali studenti con un titolo del genere, dopo aver terminato gli studi? E così via.

 

Il sistema dei crediti

     La questione dei crediti è stata sollevata da uno studente di università all’interno di una critica verso l’intero sistema scolastico. Premiare il merito è cosa sacrosanta. La questione è per che cosa si dà un credito. Se si dà dei crediti solo per gli aspetti accademici (assimilazione dei saperi e loro riproduzione scritta e orale), si è delle «anatre zoppe» che creano altre «anatre zoppe»; ciò discriminerà certamente tutto ciò che è di pratico (servizio) e anche la formazione della personalità e lo sviluppo del carattere (aspetti spirituali, morali, ecc.). È chiaro che ciò rappresenterebbe una forte discriminazione verso coloro che non vogliono solo acquisire dei saperi, ma vogliono imparare a servire e specialmente a diventare dei cristiani migliori. Lo stesso vale anche viceversa, ad esempio, nelle «scuole di vita», dove spesso si ritiene che la formazione sia più importante dei saperi (che possono essere approssimativi o generalistici). Anche le «scuole di vita» sono importanti, ma anche in esse non ci dev’essere mediocrità e pressappochismo.

     Ho visto studenti a caccia di crediti accademici che hanno trascurato di vivere da cristiani e di crescere a 360° come credenti. A volte, i problemi con cui sono arrivati, non sono stati risolti; tutto è stato «rimosso» ai fini degli obiettivi accademici, per ripresentarsi poi alla fine degli studi. Tornando al vivaio, alcuni «alberi» si sono messi (e sono stati messi) in curriculum e specializzazioni adatti ad altri «alberi», ma non a loro stessi, poiché hanno percepito che gli obiettivi accademici erano il massimo a cui si poteva aspirare. Come si sa, solo alberi con grandi e profonde radici possono sorreggere un alto o grande albero.

     Il sistema dei crediti non è sbagliato, se ogni «albero» è trattato secondo la sua natura e specie e se i crediti sono consoni per valutare ciò che in tale studente veramente c’è e non solo secondo mire accademiche (adatte per l’uno, ma non per l’altro).

 

Equilibrio del curriculum e il bene dello studente

     L’equilibrio nel curriculum è necessario per dare a ognuno il suo, senza prevaricazione e strumentalizzazione. Il rispetto della natura dell’allievo è un punto fondamentale nella pedagogia. È un punto fondamentale anche dell’educazione biblica. «Inizia il fanciullo secondo la sua via; non se ne discosterà neanche quando sarà anziano» (Pr 22,6). L’espressione ebraica «secondo la sua via» non è da intendere tanto «secondo la condotta che deve tenere» (così alcune traduzioni), ma «secondo la sua indole (natura, ecc.)»; non è tanto un «livello» che deve assolutamente raggiungere, ma che venga istruito secondo la sua propria «costituzione».

     È strano che si possa aver pensato che uno studioso — ho sempre preferito chiamarmi «studiante» (studiare è una delle mie passioni più forte») — sia contro lo studio, l’analisi e la ricerca! Qui stiamo però parlando d’altro, ossia della vocazione e del servizio degli «istituti biblici».

 

Alternativa fra vecchio e nuovo

     Non ho posto l’alternativa fra vecchio e nuovo. Se dovessi porre un’alternativa, privilegerei certamente l’esegesi invece che i sistemi ideologici e le sovrastrutture dogmatiche nate durante la storia in contrapposizione con altri. Ma di ciò non ho parlato. Non so da dove Tonino abbia voluto trarre tale alternativa fra vecchio e nuovo. Ci sono vecchie stoltezze e nuove follie. Ci sono vecchie saggezze e nuove intuizioni. Gesù disse che «ogni scriba ammaestrato per il regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale trae fuori del suo tesoro cose nuove e cose vecchie» (Mt 13,52). Quindi l’alternativa è fra cose giuste e non, fra cose utili e non, fra cose vere e non, siano esse vecchie o nuove.

 

Alternativa fra accademia e accademismo

     Da «studiante» non posso certo disprezzare lo studio serio e profondo, l’analisi accurata e la ricerca rigorosa. Chi legge i miei libri, sa dello scrupolo che mi pongo nell’illuminare un soggetto da vari punti di vista. Non ho mai messo in dubbio una cosa del genere. Gli «istituti biblici» sono importantissimi per l’opera di Dio. Ma qui non devo ripetere ciò che ho già detto sopra. Ho sopra parlato di «vivai», di «campi di allenamento» e di «fucina»: questi sono immagini che amo. Gli «istituti biblici», qualunque siano i loro obiettivi accademici, siano proprio questo e inizino ogni studente al sapere biblico e teologico, ognuno «secondo la sua via».

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Accademico_accademismo_Sh.htm

28-04-2007; Aggiornamento: 06-07-2010

 

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