Certamente
non posso capire fino in fondo che cosa significhi per una donna essere rimasta
incinta e poi perdere il bimbo, ma posso tentare. Mia moglie e io ci
siamo trovati due volte in questa situazione; ambedue le volte sono state
abbastanza
drammatiche e pesanti per le complicanze fisiche, psichiche ed
esistenziali e per la salute.
Quando una donna rimane incinta e accetta la
gravidanza, il suo corpo e la sua mente sperimentano un mutamento in
tanti sensi. La psiche si abitua a questa nuova presenza, che si sta
sviluppando. I pensieri girano spesso intorno al bimbo, che nascerà; l’ansia e
l’attesa si alternano. Quando, poi, accade che la gravidanza si interrompe
improvvisamente o drammaticamente, è come se il mondo stesso traballasse e
crollasse. Subentrano l’angoscia, il lutto e la depressione. Ci si
chiede: «Perché?».
Nel primo contributo riportiamo l’esperienza
personale di una donna, mia cara amica, che è passato per tale particolare
prova. In mezzo a vari problemi esistenziali, ella parla della gioia
della gravidanza, del conflitto con un marito, che rifiutava tutto ciò,
della minaccia d’aborto e della perdita del bimbo. Poi, descrive il
tipico corso del lutto da perdita e il cammino con Dio verso la
liberazione e la pace. Tale cammino personale può essere d’aiuto per
altre donne, che si trovano nella stessa situazione. Volentieri aggiungeremo le
voci di altre donne, che sono passate per tale «valle dell’ombra della morte».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1.
{Carmela Trombacco}
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Era il 1993 e, da un anno, mio marito se n’era andato di casa, per
convivere con un’altra donna. Immaginate come potevo sentirmi, completamente
sola con due ragazzi adolescenti da crescere. La prima cosa che avrei voluto
fare, era sicuramente vendicarmi; ma non è così facile se credi nel matrimonio e
ami quella persona, che credevi di conoscere così bene, da stare tranquilla che
quel matrimonio non sarebbe mai finito.
Così mi rimboccai le maniche per ricostruire le nostre
vite, ma da sola non riuscivo ad andare avanti. Ci volle tutta la pazienza di
mia madre, che da anni mi parlava di un Dio pieno d’amore per me, e
finalmente un bel giorno aprii il mio cuore a Lui; ed Egli mi dette tanto amore,
che non si poteva contenere.
Mi sentii subito un’altra persona, cambiata, più forte
per affrontare le prove della vita. E non si fecero attendere. Mentre
pensavo di vivere sopra una bella nuvoletta, arrivò il primo esame da
affrontare.
Dopo un anno e mezzo circa, mio marito si rifece
vivo, dicendomi che voleva ritornare con noi, per ricostruire la famiglia;
io ne fui felice e lo feci tornare a casa. Le sue intenzioni non erano però così
buone; lui aveva solo bisogno di una casa e di un lavoro, visto che non aveva
più né l’uno né l’altro. Lo accogliemmo con tanto amore, ma non ci fu ripagato;
e, mentre aspettavamo un segno positivo, io rimasi incinta.
Non vi dico la mia gioia, questo figlio,
pensavo, avrebbe cambiato le cose, ero una figlia di Dio e confidavo in Lui per
questa cosa meravigliosa, che mi stava accadendo. Purtroppo però avevo fatto
male i miei conti, infatti la notizia non fu accolta bene da mio marito e ci fu
una brutta reazione da parte sua e quasi mi volle picchiare; e questa
cosa mi provocò minacce di aborto.
Per me cominciò così un periodo di grande dolore.
Mi misi subito a letto per cercare di bloccare la situazione, ma purtroppo non
ci fu nulla da fare e all’ottava settimana fu necessario un raschiamento.
Tornai a casa dall’ospedale completamente disperata
e sola. Cercai la forza di tirarmi su da questa esperienza per me
devastante. Desideravo quel bambino con tutta me stessa, pensavo che avrebbe
potuto riunirci, e invece fu il motivo di allontanamento totale
da parte sua.
Soffrivo cosi tanto, piangevo dalla mattina alla
sera per quella piccola vita, che se ne era andata via da me; un dolore
così grande in vita mia non l’avevo mai provato. Mi ripetevo che se era andata
così, il Signore aveva un motivo, una ragione, ma io non l’accettavo e il dolore
cresceva ogni giorno di più fino a ridurmi a uno straccio. Non mangiavo, non
dormivo, volevo solo finire anch’io come il bimbo, che non c’era più.
Poi, finalmente mi misi davanti a Dio, implorandolo di
togliermi quel dolore, perché non ce la facevo più; e potei sperimentare la
gioia della liberazione, l’amore di quel Padre, che soffre, se i suoi figli
soffrono; e capii che la sua volontà era perfetta per me, così come erano
avvenute tutte le cose.
Sono passati tanti anni da quell’avvenimento, e ho
potuto capire perché il Signore aveva permesso tutto quello. I suoi progetti
erano altri, la sua volontà era un’altra e tante volte è proprio quella, che non
riusciamo ad accettare. Pensiamo che come vediamo le cose e come le facciamo
noi, siano le migliori, ma non è così! Solo se riflettiamo e capiamo che la sua
volontà è perfetta, allora abbiamo pace.
Così vorrei dirti cara amica, se stai attraversando un
momento difficile, una prova grande, sappi che è tutto sotto la sua
supervisione; ed anche se non capisci perché ti sta accadendo, mettiti
nelle sue mani. Infatti, solo così potrai ritrovare la gioia, la pace nel cuore
e soprattutto la liberazione dai pesi, che noi non possiamo assolutamente
portare.
Fatti coraggio e percorri la via, mano nella mano con
Lui! {04-2007}
2.
{Fortuna Fico}
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■
Contributo:
Anch’io ho vissuto la triste esperienza dell’aborto e conosco le profonde
ferite, che lascia. La cosa, che non dimenticherò mai, è il dolore,
che provavo nello stare nella stessa camera di madri che stringevano fra le
braccia il frutto ripagato delle doglie, mentre io, con doglie provocate,
rimanevo a braccia vuote, e il cuore ancora più vuoto. Ma alla fine, il
Signore mi ha ricompensato con due splendide figlie, anche se, in fondo in
fondo, c’è sempre il dolore per quella vita non nata! {05-04-2013}
▬
Nicola Martella:
Potresti descrivere meglio e più dettagliatamente il tuo «travaglio»,
avvenuto in concomitanza e dopo tale perdita. E poi come hai fatto a uscire da
tale fase di lutto?
■
Fortuna Fico:
Il travaglio psicologico
è ben più doloroso di quello fisico. La natura dota la donna di una particolare
sostanza chimica, che il cervello secerne, che le fa dimenticare l’effettiva
entità delle doglie; altrimenti ci sarebbe l’estinzione della specie. Tuttavia,
purtroppo, nessuna sostanza chimica fa dimenticare il dolore del travaglio
psicologico. Quello rimane sempre così, anche dopo anni, nel momento in cui ci
pensi, tu cerchi di rimuoverlo, ma esso ritorna con tutta l’intensità di
allora. È doloroso portare dentro una vita per 4 mesi e poi sentire che il suo
cuoricino non batte più. È un pezzo di te, che ti viene strappato. Ad
esempio, ora che ne sto parlando, penso che oggi avrebbe 30 anni, che forse
sarebbe stato il maschietto, che non ho mai avuto; e questo mi rende tanto
triste. Quando si supera il lutto? Forse nel momento, in cui per la prima
volta stringi tra le braccia tuo figlio! {05-04-2013}
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Aborto_spontaneo_Lv.htm
26-04-2007; Aggiornamento: 11-05-2013
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