Per affrontare il
tema sarebbe necessario discernere in primo luogo se l’uomo naturale o adamico
sia in grado d’esercitare o meno il
libero arbitrio, o sia incapace per nascita di poter fare alcunché di
spiritualmente grado alla volontà di Dio. In
questa contrapposizione, che pur ha una sua valenza molto importante, il mio
approccio è identico al pensiero d’un Lutero, d’un Calvino e di tante altre
colonne della chiesa d’ogni secolo. L’uomo è per nascita incapace di piacere a
Dio, e di fare la volontà di Dio, poiché la sua mente è ottenebrata e
accecata dal dio di questo mondo, il nostro avversario, Satana, il diavolo. Solo
l’opera della grazia, infonde in noi la nuova vita e la dote spirituale di
poter sentire la nostra coscienza, che purgata dal sangue di Gesù, è
rivitalizzata e resa atta al fine di poter pensare con la mente di Cristo.
Naturalmente anche i
non-credenti hanno una loro coscienza, che li scusa e li accusa, anch’essi o
molti d’essi seguono una religiosità che spesso è il frutto del loro vissuto
anteriore, dell’educazione familiare e culturale, di compagnie frequentate,
dell’approccio ideologico o politico. La Scrittura c’istruisce che, malgrado le
più pie intenzioni, tutti costoro hanno di fatto una mala coscienza, che
anch’essa può essere redenta solo dal sangue di Gesù. E annunciare d’essere in
pace con Dio, essere sereni, mentre si è schiavi di false dottrine o di
varie forme di religiosità, è una mera e diabolica illusione. Le loro menti sono
contaminate dal peccato che li domina.
Anche nel mondo dei
seguaci di Gesù non sempre ciò che si ritiene d’esercitare o seguire, la
santa guida del Signore nelle nostre vite, risponde alla realtà oggettiva di
fatti concreti che si succedono nelle nostre vite. Quanti di noi si sono
accorti, in fasi successive del nostro vivere in Cristo, che malgrado la nostra
anima fosse convinta di seguire la volontà del Signore, con tutta serenità e
buona coscienza, tali sensazioni o certezze si sono rivelate successivamente
dubbie o addirittura fallaci.
Ad esempio, da giovane
credente, ero convinto che il seguire un certa denominazione evangelica,
fosse quello che più fedelmente m’attraeva al Signore e ai suoi insegnamenti, al
punto che sognavo certe manifestazioni spirituali anche quando m’addormentavo.
Successivamente mi sono accorto che, anche in buona fede e con il più completo
esercizio della serenità, stavo seguendo alcune dottrine non scritturali
(parlo in tal caso d’una esperienza soggettiva), per mancanza di discernimento o
mala coscienza.
Spesso capita, che pur
non avendo alcuna coscienza di peccato, o fatto alcunché di riprovevole,
questo non costituisce un buon canone per essere certi di fare del tutto la
volontà di Dio. Spesso, in tali casi la nostra sperimentalità della fede, se non
ancorata, ad altri valori specificatamente scritturali, rischia di promuoverci
amare delusioni. Solo abbandonandoci completamente nelle mani dello Spirito
di Cristo, Egli può mettere in luce, ogni angolo della nostra coscienza. Quando
la nostra coscienza è accompagnata da
altri segnali dell’azione divina, come il consenso dei nostri fratelli o dei
nostri sorveglianti, accumunati a una onestà spirituale e pensante, da un cuore
puro, da fede non finta, da una forte sensibilità nell’ascolto della Parola
immutabile di Dio, stiamo effettivamente vivendo la morte della nostra mala
coscienza. Poiché solo lo Spirito di Dio c’insegnerà che la buona coscienza a
volte non è sufficiente, e deve essere sempre accompagnata ad
altri elementi morali, in primo luogo in armonia con la Scrittura, affinché
per esperienza impariamo a praticare con fede e con umiltà il «non oltre
quello che è scritto», vivendo la
verità con amore, e l’amore con verità.
Non meravigliamoci,
dunque che anche tra le nostre fila, a volte, ci sono dei falsi maestri,
che avendo una mala coscienza marchiata a fuoco, si son dati a dottrine di
demoni, perché le loro coscienze non sono state rigenerate e asperse dal sangue
di Gesù. Benedizioni.
{22-06-2010}
3. {Nicola Martella}
▲
La questione del
libero arbitrio è chiaramente fuori tema qui. Quando però si pone tale
questione, bisogna sempre spiegare in funzione di che cosa. Che gli uomini
sappiano fare scelte in bene e in male, è evidente nella storia e al presente;
altrimenti l’umanità si sarebbe estinta. All’interno della cornice delle sue
possibilità, ogni uomo possiede il libero arbitrio e quindi la capacità di
scegliere fra diverse possibilità. Chi non ha il libero arbitrio, non può essere
chiamato a rendere conto delle proprie azioni, come invece reclama la Scrittura
(Mt 12,36; Rm 14,12; Eb 13,17; cfr. Lc 16,2), non potendo esercitare la capacità
di intendere e volere. Qui o si segue la via dottrinale o quella esegetica, o la
teologia dogmatica o quella biblica.
Anche la questione della
mente ottenebrata dell’uomo naturale
è qui fuori tema. In ogni modo, il fatto che «i loro pensieri si accusano o
anche si scusano a vicenda» (Rm 2,15), mostra che anche nell’uomo comune
esiste una coscienza.
Essendo stato premesso che tale persona, che stava facendo importanti scelte,
fosse credente, la prima metà del contributo è interessante ma superflua. La
questione centrale
è se la pace del cuore e la tranquillità d’animo siano criteri sufficienti,
perché la scelta sia giusta e conforme alla volontà di Dio.
È stato evidenziato giustamente che non avere coscienza di peccato non
basta per essere nella volontà di Dio. Bisogna che ci siano altri elementi
scritturali, comportamentali e contingenti che fungano da segnale indicatore,
prova e supporto. Il pericolo di sbagliarsi, di essere sedotti e ingannati da se
stessi o da falsi maestri e di rimanere amaramente delusi, è da prendere
assolutamente sul serio.
4. {Antonio Perretta}
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È uno degli slogan moderni per dire: «La risposta è dentro di te», «Devi solo crederci»,
«Credi in te stesso», eccetera. La coscienza umana non è assoluta ma
condizionabile, e in parte è anche frutto dell’educazione, dell’ambiente, in
cui si vive. Esiste, però, una sfera (nelle questioni non assolute - come indica
Romani 14) dove abbiamo libertà di coscienza. Cioè possiamo fare delle
scelte diverse o opposte tra di noi, eppure rimanere ciascuno in ordine davanti
a Dio ed essere nel giusto. Basta che «ciascuno sia pienamente convinto nella
propria mente» (Romani 14, 5). [►
L’etica della libertà e della responsabilità]
Di cosa parlava quella persona quando diceva «basta sentirsi a posto
con la coscienza»? Stava parlando di questioni riguardanti la legge morale di
Dio, oppure di «mangiare carne o soltanto verdura»? A noi piacerebbe avere
sempre una risposta assoluta a tutto. Ma non sempre l’abbiamo. E per grazia di
Dio, non possiamo controllare il cuore degli altri, né la loro coscienza.
{23-06-2010}
5. {Sara Iadaresta
Esposito}
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Una volta ho letto
che la coscienza ogni tanto deve essere «regolata», perché è vulnerabile;
infatti, si abitua, dopo qualche volta, a non avvertire più del male. Ad
esempio, se io rubassi una penna, la prima volta avrei la coscienza che mi
avverte, la seconda è già più lieve, la terza sono convinta che non sia male ciò
che ho fatto. Poi dipende da come ognuno «regola» la sua coscienza. Se uno è
radicato nel Signore, allora è ben regolata! Comunque sia, io
non mi fiderei solo della mia coscienza! {24-06-2010}
6. {Giuseppe Sottile}
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In merito a una
decisione presa, non credo basti sentirsi a posto
con la coscienza; parlo da credente.
Tante volte, riferito ai fidanzamenti, le scelte si fanno prima e poi si
va in preghiera con un progetto già definito, pronto solo per essere approvato
da Dio. Ma non è bene fare così; prima si va in preghiera, perché lì deve
nascere il desiderio di un fidanzamento, perché Dio ha il giusto progetto per
noi; solo facendo così avremo la certezza della giusta scelta. Quando Dio ha un
piano per noi, ce lo trasmette e ci dà la certezza che quella è la sua volontà.
Un esempio, credo, possa essere Mosè, il quale fu chiamato a guidare
600.000 mila uomini circa, dai 20 anni in su. Era chiamato ogni giorno a fare
scelte, eppure quello che si legge di lui è questo: Mose disse al Signore, il
Signore disse a Mose. La sua vita era caratterizzata da questo modo di fare:
prima chiedere a Dio e poi agire. Ma c’è da dire che Mosè era ubbidiente e Dio
parlava faccia a faccia con Lui.
Nicola dice bene: «La serenità interiore da sola non è un criterio oggettivo.
La buona coscienza deve accompagnarsi ad altri elementi morali per essere
genuina, ad esempio: onestà, cuore puro, fede non finta, timore di Dio (o di
Cristo), sensibilità alla volontà di Dio». {24-06-2010}
7. {Danilo Micelli}
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Se
l’anima è la sede dell’io, degli affetti, dei desideri e delle emozioni, lo
spirito è la sede della vita spirituale, della coscienza e del raziocinio.
Dunque quando non permettiamo allo Spirito Santo di
agire nella nostra vita, inevitabilmente l’anima carnale, l’io, prende il
sopravvento e ci comportiamo sempre più «animalescamente», carnalmente
contristando lo Spirito Santo, dove ha sede la nostra coscienza.
Lo Spirito ci riprende più volte tramite la coscienza,
ma se non diamo retta, essa viene «inglobata» dall’io, che lentamente ne
produrrà la «morte» (cioè la tua coscienza viene soffocata dalle sollecitudini
carnali). Allora un abisso chiama un altro abisso, ed è facile giungere alla
«bestemmia contro lo Spirito Santo», se non ci ravvediamo in tempo (ma agli
eletti la voce di Dio giunge sempre in tempo, alleluia). {24-06-2010}
8. {Nicola Martella}
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In questo tema di discussione non vogliamo parlare della coscienza in sé, ma del fatto se la
pace interiore sia un criterio per aver fatto la scelta giusta. In ogni
modo, l’anima è in
senso strutturale l’intera persona. «E l’Eterno Dio formò l’uomo, la
polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo
divenne un’anima vivente» (Gn 2,7). Non è un caso che nella maggior
parte dei brani, in cui in ebraico compare il termine
nefeš, esso è tradotto in italiano con persona. [Per l’approfondimento
rimando all’esegesi di Gn 2,7 in «Esegesi delle origini» (Le
Origini 2), pp. 115-127]. L’uomo è indivisibile.
È vero che in senso funzionale l’anima è legata alla sfera delle
emozioni, tuttavia l’ebraico non ha neppure una parola per «coscienza», ma usa
al riguardo termini come cuore e reni. Il termine «cuore» è usato per la
vita intellettiva, poiché l’ebraico non possiede un termine particolare per
«mente». In circa 40 versi della Bibbia i termini cuore e anima, da soli o con
altri termini (p.es. forze) si trovano l’uno accanto all’altro per descrivere
l’intero uomo; appunto «descrivere», poiché l’ebreo non è interessato a
un’analisi anatomica dell’uomo. [Per l’approfondimento dell’antropologia biblica
rimando al «Manuale
Teologico dell’Antico Testamento», pp. 86-92].
Difficilmente si troverà nella Bibbia la locuzione «anima carnale» nel
senso di «io». Nel NT greco si parla dell’intero uomo come
psichico, ossia soggetto al dominio della psiche (o moti dell'anima): «Ora,
un uomo psichico non riceve ciò
che è dello Spirito di Dio, perché gli è pazzia; e non lo può riconoscere,
perché lo si distingue spiritualmente» (1 Cor 2,14). Rispetto al «corpo
pneumatico» (o spirituale) della risurrezione, l'attuale corpo è chiamato in
greco «corpo psichico» (1 Cor 15,44.46); è un grande errore tradurre in
tali brani con «naturale». Contrariamente all’anatomia antropologica di questo
lettore, la «carne» è associata nella Bibbia non all'anima, ma alla «mente»
(Col 2,18 «mente della sua carne» o «sua mente carnale») o a una
sua attività (2 Cor 1,12 «sapienza carnale»; Gcm 3,15). Sia l'anima, sia
la mente (o cuore nell'AT), rappresentato l'io personale. «Anima» (o
persona) e «io» sono sinonimi in molti versi della Scrittura (Sal 11,1; 25,20;
30,3; v. 12 il mio fegato... io; 57,1; 63,1...). Lo stesso dicasi di «cuore» (=
mente) ed «io» (Sal 13,5; 22,14; 28,7; 73,21...).
Mi rimane un mistero l’espressione «lo Spirito Santo, dove ha sede la nostra
coscienza». La coscienza è un aspetto antropologico (dell’uomo), non
pneumatico (dello Spirito Santo). Anche i non cristiani hanno una coscienza (Rm
2,15), sebbene non abbiamo lo Spirito Santo.
La coscienza, che «viene “inglobata” dall’io», se non le si dà ascolto,
rimane un mistero speculativo, visto che la coscienza è l’io cosciente della
persona; un «io» è consapevole e cosciente di sé in qualunque individuo, a meno
che non è in coma o malato di mente. Meraviglia che il lettore scomodi perfino
qui la «bestemmia contro lo Spirito Santo».
Mi chiedo da dove abbia attinto questo lettore la sua singolare antropologia.
Misteri carismaticisti? In ogni modo, questo è
tutt’altro argomento rispetto a quello che stiamo discutendo.
9. {Salvatore Paone}
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L’approvazione di Dio, connessa al compimento della sua volontà, è il risultato
di avere una «coscienza a posto». Come dice Califano: tutto il resto e noia.
Si può essere moralmente apposto con la coscienza, quando si fa del bene al
prossimo, ma non credo che basti. Solo con la giustizia di Dio mediante la fede
nel figlio Cristo Gesù si ha la pace con se stessi, con gli altri e
sopratutto con Dio. {24-06-2010}
▬ Osservazioni (Nicola Martella): Nel contributo ci sono spunti positivi. Certo citare
Califano in questo ambito riguardo alla coscienza e alla moralità, mi sembra proprio
l’ironia della sorte, visto che la sua condotta morale non è stata delle più
nobili. Di Franco Califano, detto il «Califfo», a causa del suo consumo continuo
di «femmine» rese oggetto del suo desiderio, ne parlo nel mio libro
Disturbi e abusi (Sesso & Affini 3), nell’articolo «Don Giovanni
e Messalina» (pp. 394ss).
Inoltre, rimane aperta la questione se un cristiano biblico possa basarsi sulla
sua tranquillità d’animo per credere d’essere nella volontà di Dio.
Questo è il tema in esame.
▬
Osservazioni (Giuseppe Sottile): Tu scrivi sopra: «Inoltre,
rimane aperta la questione se un cristiano biblico possa basarsi sulla sua
tranquillità d’animo per credere d’essere nella volontà di Dio. Questo è
il tema in esame».
Volendo rispondere a questa questione, dico di no! Il cristiano non può
basarsi sulla sua tranquillità d’animo, ma si deve basare sulla sua ubbidienza
alla Parola di Dio.