La
preghiera cristiana non ha un valore sociale e di casta come nella religione (v.
5) o un valore magico come nel paganesimo (v. 7). Essa è un mezzo straordinario
per entrare sempre più in sintonia con Dio (v. 6), il suo piano e la sua volontà
(v. 10). La preghiera cristiana non è un’alternativa all’azione, una forma di
«quietismo», in attesa che Dio faccia tutto. Oscar Cullmann si spinge persino a
dire che «è certamente condannabile una preghiera che distolga da un’azione
ancora possibile: sarebbe una preghiera sbagliata». E aggiunge: «Secondo il
Nuovo Testamento la retta preghiera ci spinge invece ad agire». [O.
Cullmann,
La preghiera nel Nuovo Testamento (Claudiana, Torino 1995), p. 202.]
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»
(v. 11) non significa che non dobbiamo darci da fare per procurarcelo. «Rimettici
i nostri debiti» presuppone che «noi li abbiamo rimessi ai nostri
debitori»
(v. 12), quindi un’azione da parte nostra. Addirittura, una mancata azione
in questo caso pregiudica l’esaudimento della nostra preghiera da parte di Dio
(vv. 14s). Altresì, «non c’esporre alla tentazione»
e
«liberaci dal maligno»
(v. 13) non significano che non dobbiamo premunirci con una serie d’azioni,
se necessario drastiche (pensiamo agli alcolisti), per realizzare quel fine.
La preghiera è l’attività spirituale d’un popolo in
cammino, non d’un popolo che sta fermo. Il popolo di Dio ha dovuto mettersi in
marcia per giungere alla terra promessa. Giosuè ha dovuto combattere delle
battaglie per conquistarla. Eppure era una terra «promessa». La preghiera è la
richiesta fiduciosa che Dio ci accompagni nella realizzazione delle promesse che
Egli ci ha fatto, ma poi dobbiamo metterci in marcia e combattere le «battaglie»
che Egli mette dinanzi a noi. «Ora et labora»,
dicevano i monaci benedettini.
Non possiamo chiedere a Dio che converta le persone, se
non diciamo loro niente di Cristo (Rm 10,14). Non possiamo chiedere a Dio che i
nostri figli diventino saggi e fedeli, se li sbattiamo tre ore al giorno dinanzi
alla TV. Non possiamo chiedere che il Signore ci liberi dal vizio, se poi siamo
indulgenti con quelle abitudini e con quelle compagnie che ci portano nelle sue
fauci (1 Cor 15,33s). Un credente ha raccontato che, nella sua dura lotta contro
il vizio, ha vinto solo quando, insieme alla preghiera, ha anche smesso di
passare accanto al distributore automatico.
Nella vita cristiana non ci sono «automatismi» che ci
assicurano le benedizioni del Signore, senza il nostro impegno e la nostra
ubbidienza. I cosiddetti «mezzi di grazia» (battesimo, cena del Signore, ma
anche pregare, leggere la Bibbia, frequentare, cantare, digiunare, ecc.; vv.
2.5.16), non aiutano se non c’è la volontà d’ubbidire, la decisione di fare
veramente sul serio, il mettere in campo una serie d’azioni che ci portano a
rinunciare ai desideri della carne.
Tutto questo non vuol dire: «Aiutati che Dio t’aiuta»,
perché questo motto, nella filosofia popolare, è un atto di fiducia in se stessi
e un fare a meno di Dio. Piuttosto, si deve dire: «Invoca l’aiuto di Dio e
mettiti in marcia fiducioso che quest’aiuto verrà». Si tratta di compiere atti
d’ubbidienza e di fiducia nel Dio che può tutto.
Ricordiamo le parole di Pietro:
«Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla;
però, secondo la tua parola, getterò le reti» (Lc 5,5); esse esemplificano
molto bene ciò che stiamo dicendo. Qui c’è tutto: fallimento, scoraggiamento,
parola, preghiera, azione. L’azione che muore nel suo fallimento, risorge
attraverso la Parola e la preghiera. Impariamo anche noi a fare come Pietro.
Preghiamo: «Signore, tu mi chiedi di fare ciò che finora non sono riuscito a
fare. Sono stanco, demoralizzato, ma mi voglio aggrappare alla tua Parola. Farò
quello che mi chiedi». Dopo di che bisogna prendere il largo e calare
le reti. È così che la nostra debole azione, incontrerà la potente
azione di Dio.
Se noi facciamo seguire alla
nostra preghiera, passi d’ubbidienza e di fede, fondati sulla volontà e le
promesse di Dio, allora vedremo Dio in azione, vedremo come a Lui è possibile
quello che è impossibile a noi (Mc 10,27). La nostra preghiera diventa così
premessa e movente dell’azione. La preghiera invoca le benedizioni di Dio, e
l’azione fiduciosa le raccoglie. La preghiera toglie all’azione ogni movente
umano (vanagloria, v. 5; ambizione, superbia, ecc.) e le dà un movente tutto
divino («secondo la tua parola»,
Lc 5,5). La nostra
azione diventa l’azione di Dio. Dio si glorifica in quell’azione (Gv
12,28) e noi, suoi servi, troviamo in questo tutto il nostro appagamento.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Preghiera_azione_Mt.htm
16-09-2007; Aggiornamento: 06-07-2010
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