Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il Levitico 1

 

Prassi di chiesa

 

 

 

 

Il Levitico — Libretto di studio:

   Dopo le istruzioni d’uso e l’introduzione generale, seguono le domande sul testo, che rimarcano le parti principali del Levitico:
■ I sacrifici (Lv 1-7)
■ Il sacerdozio (Lv 8-10)
■ Purificazione del popolo (Lv 11-15)
■ Giorno della riconciliazione (Lv 16)
■ Ordinamenti per il popolo (Lv 17-20)
■ Ordinamenti per il sacerdozio (Lv 21-22)
■ Ordinamenti per le feste (Lv 23-24)
■ Ordinamenti per il paese (Lv 25-26)
■ Appendice: voti e decime (Lv 27).

 

Il Levitico — Libretto di testo

   Si tratta di una traduzione letterale che ricalca da vicino l’ebraico e che è strutturata secondo le parti evidenti del libro. Può risultare molto utile per chi vuole studiare il Levitico in modo profondo.

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Il Levitico 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PREGHIERA BIBLICA FRA ARBITRIO E ABUSI 2

 

 di Tonino Mele

 

Qui presentiamo la parte seconda di questo studio sulla preghiera.

Nella prima parte l’autore ha trattato i seguenti aspetti:

     ■ Dalla preghiera alla «preghiera cristiana»

     ■ La preghiera ipocrita

     ■ La logica del merito

     ■ La preghiera «magica»

 

La tirannia della paura

     Abbiamo parlato della preghiera «magica», ma a essa si aggiungono altri elementi concomitanti; infatti bisogna anche tener presente il presupposto di fondo su cui essa si basava. Se non ne teniamo conto probabilmente ci lasciamo sfuggire l’altro polo fondamentale dell’insegnamento di Gesù sulla preghiera.

     Di questo Gesù ci dà una traccia con le parole che introducono il «Padre nostro» (v. 9): «il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, anche prima che gliele chiediate» (v. 8). A prima vista, esse paiono un riferimento alla prescienza di Dio, ma la cosa interessante è che vengono contrapposte a ciò che fanno i pagani quando pregano, e quindi alla loro ricerca spasmodica dell’esaudimento. Con questa frase Gesù mostra che alla base di questo modo di pregare dei pagani c’è il rapporto che essi hanno con i loro bisogni, o, per meglio dire, con «le cose di cui avete bisogno». Il termine «avete» traduce un verbo greco (echete) che indica il possesso di cose perlopiù materiali. Questo è confermato dal termine «bisogno», il cui corrispondente greco (chreian) deriva dal termine mano (cheir). Il senso è dunque quello di «cose che si possono tenere nella mano», quindi cose materiali.

     Gesù non addita questi bisogni perché sono i «nostri bisogni» e riguardano «cose materiali», ossia non sono sufficientemente altruisti o «spirituali». La richiesta che Gesù insegna più avanti: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (v. 11), che è una richiesta «per noi» (dacci) e riguarda cose materiali (il pane). Neppure al verbo usato (aiteô) si deve dare un valore peggiorativo, visto che viene usato più avanti per spronare i discepoli a chiedere in preghiera (7,7-11), senza specificare un oggetto particolarmente «altruistico» o «spirituale». Anzi, l’esempio che lì fa del figlio che «chiede un pane» (7,9), richiama proprio un tipo di richiesta orientata verso i nostri bisogni materiali. Più semplicemente Gesù dice che il Padre conosce i nostri bisogni, anche prima che li sottoponiamo alla sua attenzione. Dov’è allora il punto?

     È estremamente importante per la comprensione di queste parole, il fatto che esse compaiano, più avanti, nel brano del «sermone sul monte», dove Gesù parla delle preoccupazioni (v. 32). Anche li vengono contrapposte a quanto fanno i pagani: «Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?”. Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose» (v. 31-32).

     L’argomento qui non è la preghiera, ma qualcosa che spesso le soggiace: i nostri bisogni più essenziali (ossia le cose che ci preoccupano) e il modo in cui li affrontiamo (con più o meno agitazione). Ed è il modo in cui trattiamo questi bisogni che spesso determina la nostra preghiera e rivela cosa domina il nostro cuore (cfr. v. 21). Ecco perché la frase risolutoria «il Padre vostro sa…» compare sia in questo brano (v. 32) che in quello del «Padre nostro» (v. 8).

     In questo contesto (vv. 25-34) si capisce che è la paura, l’ansia, l’agitazione per i propri bisogni (mangiare, bere, vestire, v. 25), l’affanno, la preoccupazione che determinano l’esistenza dei pagani (v. 32). Questa paura dilata la giusta proporzione delle cose e porta a una tirannia dei nostri bisogni sulla nostra stessa vita. Il «vestito» diventa più importante del «corpo» e il «nutrimento» più importante delle «vita» (v. 25). Il proprio «valore» è misurato dal valore che si dà a queste cose (v. 26). «Aggiungere» (v. 26), accumulare, cercare «l’abbondanza» (cfr. Lc 12,15) diventa più importante. La «ricerca» (v. 32) di queste cose diventa dominante e imperiosa. Diventa una priorità (v. 33). Il tempo viene visto in modo minaccioso, perché porta con sé l’incognita del «domani» (v. 34). Tutto questo produce tensione e «affanno» (v. 34). Da qui l’ingiunzione: «Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più» (v. 33).

     Questa paura è tanto più acuita dalla loro concezione impersonale di Dio. Il loro Dio, in quanto idolo fatto di pietra, di legno o di terra non lo si distingue da tutte le altre cose. Le cose diventano personificazione d’una divinità (Mammona v. 24). Si «confida» in esse come in un Dio (Mc 10,24). Esse diventano un’estensione dell’idolo. Ciò che si proietta sull’idolo, lo si proietta su tutte queste altre cose. Esse riflettono il proprio delirio d’onnipotenza. E a tal fine ci si mette al loro «servizio» (v. 24). Occuparci e preoccuparci di queste cose diventa un «servire» idolatrico (v. 24). La nostra proiezione d’onnipotenza diventa in realtà una schiavitù, perché il vero «padrone» diventa Mammona (v. 24). Per questo Gesù chiama le ricchezze un «inganno» (Mt 13,22) e le pone insieme alle «preoccupazioni» quali cose che soffocano la vita spirituale prodotta dalla Parola di Dio (Lc 8,14).

     Questa paura si riflette anche sulla preghiera e il suo esaudimento. Il verbo «ricercano» (v. 32), nel greco è epizêteô, che vuol anche dire «desiderano, chiedono insistentemente, chiedono a gran voce». Mossa da questa «pulsione» (la paura), la preghiera diventa ricerca affannosa dei propri bisogni. L’attenzione è tutta focalizzata su se stessi e sulle cose. La preghiera assume una forte connotazione egoista e materialista. La richiesta «per sé» e la richiesta di «cose materiali» diventa dominante e prioritaria. L’oggetto della preghiera è tutto qui. Tutto è in funzione dei nostri bisogni, persino Dio, il quale non ha più un valore proprio, in quanto persona, ma un valore strumentale. Il vero Dio sono i nostri bisogni e la nostra paura. La «preghiera» e «Dio» stesso sono strumenti al servizio di questi bisogni.

     L’ansia di conseguire i nostri bisogni sposta il baricentro della preghiera dalla semplice richiesta alla ricerca affannosa e spasmodica dell’esaudimento. Essa è focalizzata tutta sul risultato. L’esaudimento diventa «esaudimento a tutti i costi» e «il più presto possibile». L’esaudimento è più importante di Dio e le sue benedizioni più ricercate della sua persona. Il «no» è inaccettabile. Ma la paura fissa anche i «tempi» dell’esaudimento. Questi tempi sono fortemente contratti. L’esaudimento deve avvenire in tempi brevi. La sollecitudine per i propri bisogni crea un esaudimento a propria immagine e somiglianza: un «esaudimento sollecito». L’uomo non può reggere a lungo l’affanno e la tensione. L’affanno deve esserci solo «oggi», non anche «domani». Non si può aspettare. I tempi dell’uomo sono molto corti. Per questo, l’esaudimento deve avvenire «oggi». Ma quando scopre che i tempi di Dio sono lunghi (cfr. 2 Pt 3,8), allora finisce per usare la preghiera in senso manipolatorio.

     Da tutto ciò risulta evidente che il lato problematico della preghiera di richiesta, quella che facciamo per noi, per i nostri bisogni e per quelle cose anche materiali che rientrano in questi bisogni, non è dato da queste cose di per sé, ma dal rapporto distorto che noi abbiamo con esse. Un rapporto che è dominato dalla paura, la quale dà un carattere ossessivo, eccessivamente egoista e materialista alla nostra vita e quindi alla preghiera. È la paura che imprime alla preghiera questo carattere distorto. Essa sposta la priorità della preghiera, contrae i suoi tempi e le dà un valore manipolatorio.

 

Dalla manipolazione all’invocazione

     Quello che Gesù dice intorno al modo pagano e quello giudaico di pregare, delimita i confini della preghiera cristiana, ci aiuta a capire dove si trova il suo confine. Il confine è che la preghiera non deve essere manipolatoria, cioè dominata dalla logica del merito e dalla tirannia della paura, né volta a mercanteggiare con Dio o a estorcere il suo esaudimento. Ma qual è il cuore della preghiera? Lo scopriamo nelle prime parole della preghiera modello che Gesù ci ha lasciato: «Padre nostro che sei nei cieli». La parola «Padre» può essere tradotta anche con un più familiare e domestico «Papà». Il cuore della preghiera è la fiducia con cui possiamo rivolgerci a un Papà che ci vede, ci ascolta, ci conosce perfettamente e provvede ai nostri veri bisogni.

     Le parole d’apertura del «Padre nostro» mostrano che la preghiera cristiana è anzitutto invocazione. «Invocare» deriva dal latino «vocare», che significa chiamare. In secondo luogo, significa anche chiedere, implorare, appellarsi. Invocare può anche voler dire «chiamare qualcuno per chiedere aiuto». Ma, prima di tutto, significa dare valore alla persona che s’invoca, alla sua autorità e potenza e, in virtù di questo, chiedere che si muova in nostro soccorso. La preghiera cristiana è proprio questo: invocare Dio e la sua azione. Non si tratta di presentargli il conto dei nostri meriti. Non si tratta di strappargli il suo esaudimento. Si tratta d’entrare in un rapporto personale col Padre, quindi in un rapporto filiale, in virtù del quale chiedere il suo favore e il suo aiuto.

     Ogni preghiera che prescinde da questo rapporto personale e filiale è una manipolazione. Ogni preghiera che mette l’esaudimento al di sopra della semplice richiesta, aspettante e fiduciosa, pensando d’aver trovato la via per avere tutto e subito, è una manipolazione. Dio la sente, ma non la ascolta. Egli è un Dio che si rivela quale Papà amorevole e provvidente, ma che si nasconde a ogni nostro tentativo di manipolarlo. La preghiera cristiana dev’essere indirizzata a Lui quale destinatario principale e referente diretto. Il «nostro» deve avere una valenza di possesso, da significare «mio», personale, ma non talmente personale da sfociare in un rapporto esclusivista e isolazionista. «Padre nostro» non significa che ne ho l’esclusiva. Il mio «merito» non mi dà nessuna priorità. Egli è anche Padre del mio fratello «più peccatore» e di quello «meno meritevole».

     Ancora oggi il confine tra preghiera cristiana e preghiera religiosa o pagana è segnato dal confine tra invocazione e manipolazione. L’invocazione chiama Dio «Padre» e confida nella sua volontà: essa è soprattutto richiesta e abbandono. La manipolazione invece, tratta Dio come un idolo, in modo impersonale e strumentale ai propri bisogni e ansie: essa ricerca soprattutto l’esaudimento. Nel primo caso, l’azione determinante è quella divina, che l’orante invoca e alla quale adegua la sua azione. Nel secondo caso, l’azione determinante è quell’umana, alla quale l’orante dà il valore eccessivo, quasi magico di poter plasmare l’azione divina. Questo è per Gesù l’epicentro della preghiera, il suo passaggio obbligato, «l’arco di trionfo» dove ogni preghiera entra da vincitrice o da sconfitta.

     Molti libri si scrivono sulla preghiera, dove si dicono anche cose interessanti. Ma forse andrebbero riletti alla luce delle considerazioni di Gesù sulla preghiera modello. La critica radicale di Gesù contro ogni preghiera manipolatoria, il cui epicentro non è più la richiesta semplice, umile e dipendente da Dio, ma la ricerca spasmodica dell’esaudimento, la richiesta sufficiente a se stessa, la risposta e non più la sola domanda, andrebbe presa più sul serio. Forse ci si renderebbe meglio conto che si è paurosamente vicini al confine che Gesù ha assegnato alla preghiera cristiana o …forse lo si è già superato. Forse bisognerebbe già rivedere molti «titoli»[7] intorno alla preghiera. Forse d’alcuni libri si dovrebbe salvare solo il titolo.

     «La preghiera di Iabez»[8] è un discreto titolo per un pessimo libro di B.H. Wilkinson, oserei dire tanto discreto quanto pessimo è il suo contenuto. Infatti, prima di leggerlo, i più non sanno che Iabez è un uomo di Giuda, a cui il libro delle Cronache dedica appena due versetti (1 Cr 4,9s), per dire chi era e di come Dio abbia esaudito la sua seguente richiesta: «Benedicimi, ti prego; allarga i miei confini; sia la tua mano con me e preservami dal male in modo che io non debba soffrire!». Dopo aver letto tale libro, sapranno invece che «la preghiera di Jabez… è la chiave per una vita basata sulla straordinaria ricchezza di Dio» (p. 7), ossia: «Dio libererà la sua potenza miracolosa nella tua vita ora e per tutta l’eternità e riverserà su di te ogni onore e delizia» (p. 92); si suggerisce che basta «seguire con perseveranza il programma qui delineato per i prossimi trenta giorni», che «Leggi la preghiera di Iabez ogni mattina… Rileggi questo libretto ogni settimana per il prossimo mese» (p. 86). È vero che questo libro ha avuto un successo strepitoso, visto che ne sono state vendute, finora, ben nove milioni di copie, ma mi chiedo, se Gesù dovesse rispiegarci oggi il «Padre nostro», che posto darebbe a questo libro e a tutte quelle persone che, con esso, pensano d’aver imparato a pregare?

     Forse dovremmo imparare a rivedere alcune espressioni, tipo «l’arma della preghiera»[9], «osare in preghiera», «fede vittoriosa», ecc. È vero che spesso, il nostro linguaggio ha un valore fenomenologico e diciamo una cosa per intenderne un’altra. Anche la Bibbia fa dichiarazioni tipo «la preghiera della fede salverà il malato» e «la preghiera del giusto ha una grande efficacia» (Gcm 5,15s), senza per questo dare un valore magico alla preghiera o farne un motivo di vanto umano. Ma quanti sanno oggi fare questa distinzione? Quanti, sentendosi ripetere la «potenza della preghiera», senza precisazioni ulteriori, capiscono che la potenza è in Dio e che loro non devono esaltarsi in nessun modo? Quanti capiscono che la preghiera è un momento estremamente umano, dove ci presentiamo a Dio con tutta la nostra debolezza e miseria di «poveri in spirito» (Mt 5,3), per sperimentare così, e soltanto così, la grazia e la potenza di Dio? Quanti sanno che la vittoria non è nel nostro atteggiamento di fede, ma nella risurrezione di Gesù Cristo? Quanti sanno distinguere «la destra dalla sinistra»?

     Purtroppo, atteggiamenti e formule manipolatorie vengono spacciate per vera fede. È interessante che nelle istruzioni sulla preghiera modello del «Padre nostro», non si parli per niente della fede, tantomeno della «fede efficace», né della «preghiera efficace». In Mt 7,7-11 si dice: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto», ma l’enfasi non è sul «bussare» o sul «trovare», ma sul «Padre vostro, che è nei cieli», che dà «cose buone a quelli che gliele domandano» (v. 11). L’enfasi principale è sulla bontà di Dio. Più avanti Gesù parlerà della fede che «può spostare le montagne» (Mt 17,20), ma qui nessun accenno. Che sia proprio per togliere ogni valore manipolatorio alla fede? Di sicuro, col «Padre nostro» Gesù ha voluto sancire la priorità del rapporto personale con Dio, rispetto ai suoi risultati per noi (esaudimento dei nostri bisogni). Una volta stabilito questo punto, diventa meno problematico parlare di «fede che sposta le montagne». Del resto, sulla scia di Mt 6,8.30.32, si può dire che il modello di preghiera insegnato da Gesù nasce da un atto di profonda fiducia, in un Dio che si prende cura di noi e dei nostri bisogni, fiducia che è anzitutto in Dio e poi nelle sue benedizioni.

     Altre volte si può notare un rapporto distorto con le promesse di Dio. Dio viene quasi «inchiodato alle sue responsabilità». Ci comportiamo come dei «creditori», che vogliono avere subito il «loro credito» e non danno più dilazioni di tempo. Fissiamo a Dio un esaudimento in «trenta giorni». Tuttavia, il rapporto fede-promesse, nella Bibbia è mediato dal tempo. La fede biblica ha una connotazione fortemente temporale. L’esaudimento non è fine a se stesso, ma la tappa d’un disegno più grande, che Dio sta dispiegando nel tempo. Ecco perché l’esaudimento, l’adempimento delle promesse e la fede rispondono ai tempi di questo disegno e non ai nostri tempi. E il modo in cui la Scrittura ci parla dell’adempimento di promesse chiare e inequivocabili, come la promessa a Abramo d’un figlio (Rm 4,18-21; Eb 11,8-12) e la promessa ai discepoli di Gesù del ritorno del Signore (2 Pt 3,8s), ci mostra che il tempo dell’adempimento e dell’esaudimento è interamente nelle mani del Signore.

     La logica del «tutto e subito» spacciata per fede trionfante, non lo scalfisce, non muta il suo disegno, non accorcia i suoi tempi. «Osare» in preghiera, non può mai avere il senso di pretendere in modo sfrontato, ma solo quello di chiedere senza paura, senza timore, in modo fiducioso (Mt 7,7-11). La fede trionfante la si vede nel tempo. Lo scopo che Dio persegue è più grande del nostro e ci riguarda più da vicino, dello scopo «immediato» che noi perseguiamo. «Il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate», significa anche questo: Dio non si è dimenticato delle cose che avete bisogno, anche se vi fa aspettare per averle; il vostro gran da fare per estorcergliele non serve a niente.

     Forse dovremmo prendere coscienza che le concezioni e le abitudini della vita vecchia, possono benissimo implementarsi nella nostra «nuova» vita in Cristo, dandoci persino un’aureola di spiritualità, pur restando ancora «abituati all’idolo» come i cristiani deboli di Corinto (1 Cor 8,7). Imparare a pregare significa imparare a liberarci da ogni nostra idolatria. Sino alla fine dobbiamo imparare a pregare, perché «non sappiamo pregare come si conviene» (Rm 8,26). Sino alla fine dobbiamo fare l’esperienza che la preghiera non è assolutamente il luogo della nostra forza, ma della nostra debolezza che incontra la potenza di Dio. Sino alla fine dobbiamo riposizionarci all’interno d’una preghiera che non è manipolatoria, ma cristiana.

 

Per l'approfondimento si veda anche i seguenti articoli:

Preghiera e azione (Mt 6,5-15) {Tonino Mele} (A)

La preghiera del Signore (1-7) {Argentino Quintavalle} (A)

 

Sul «Padre nostro» vedi le domande di controllo in Nicola Martella, Matteo, l’evangelista dei giudei (Punto°A°Croce, Roma 1999), pp. 17s.

 

 


[7] Senza voler fare una «censura» tout court di certi libri e dei loro autori, forse però, sarebbe meglio che titoli quali «La potenza della preghiera», «Quando i coreani pregano», «Che cosa succede quando le donne pregano», «Se il mio popolo prega», «Cambiare il mondo con la preghiera», ecc. dedicassero un abbondante e sostanzioso primo capitolo a tracciare la differenza tra preghiera cristiana e preghiera manipolatoria, perché ogni ulteriore cosa si possa dire sulla preghiera, per quanto buona e utile, s’infrange su questo punto fondamentale.

[8] B.H. Wilkinson, La preghiera di Iabez (EUN, Marchirolo 2002).

[9] Dove sta scritto che la preghiera è un’arma? La Scrittura parla di «combattere nelle preghiere» (Rm 15,30; Col 4,12), ma quando parla di «armatura del credente» proprio alla preghiera non associa nessun tipo d’arma (Ef 6,17s) e quando parla di «armi della nostra guerra» sembra più opportuno vedervi un riferimento alla Parola di Dio che alla preghiera (2 Cor 10,4s).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Preghiera_abusi2_Lv.htm

13-11-2007; Aggiornamento:

 

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