Come spiega alla
fine l’autore, questo articolo è nato con l’intento evangelistico, poiché tale è
stata la predicazione, da cui è stato tratto. Egli stesso ammette: «Io stesso
sono uno di quelli che sono refrattari al Natale consumistico e commerciale
d’oggi, agli addobbi, alle abbuffate e ai regali natalizi». Tuttavia egli ha
visto nel Natale un’ulteriore opportunità di predicare Evangelo. Per tali
motivi, l’autore tralascia tutta la questione se il 25 dicembre sia o meno il
giorno della nascita di Gesù. Di ciò abbiamo discusso già in alcuni temi,
parlando sia del Natale come «un
compleanno senza il festeggiato», sia come «partecipazione
al "travaglio del natale"». Egli parte dalla premessa che,
culturalmente parlando, Natale è il giorno in cui nella tradizione viene
rammemorata la nascita di Gesù, di là dal giorno specifico, in cui Egli
nacque veramente. L’intento qui è quello di non rimanere nella reazione al
Natale, ma di fare anche di questo particolare periodo un'attiva chance
per la testimonianza.
Che ci siano anche «scrupoli
natalizi» e «il
travaglio del natale», li abbiamo mostrato altrove. Qui si tratta
dell’occasione di dire agli altri perché Gesù è nato, una cosa per nulla
scontata, come mostrano inchieste correnti fra ragazzi e giovani d’oggi.
Sembrerà strano, ma alcuni non sanno neppure che Natale abbia a che fare con la
natività di Gesù, figuriamoci poi che sappiano dove Egli è nato e capiscano il
perché. Sebbene sul Natale e sull’eventualità di festeggiarlo ci siano diverse
opinioni tra i cristiani evangelici, ricordo questa nota di libertà per questo e
altri casi, in cui la sacra Scrittura non dice nulla di certo: «Del
rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose
giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama,
quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri»
(Fil 4,8). E inoltre: «Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo,
riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo. Perché
verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina, ma per prurito d’udire si
accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le
orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole» (2 Tm 4,2ss). Se il
Natale non viene riempito di Cristo, rischia di essere la commemorazione di «un
compleanno senza il festeggiato»; ciò che resta è allora solo uno
sdolcinato e favolistico «spirito del Natale», per gli uni, e una particolare
occasione per infrangere i comandamenti di Dio, per gli altri. {Nicola Martella} |
1. PREMESSA: Ormai manca poco a
Natale. I miei bambini, quando vedono la mia barba, sempre più bianca, vi lascio
immaginare a chi m’assomigliano... Le vetrine dei negozi e le strade delle città
sono addobbate a festa. In alcuni paesi, come il mio, la parrocchia fa udire a
tutto il paese le musiche di Natale, con lo sconcerto di qualche cittadino. Io
che abito nella parte opposta del paese, riesco a sentirle abbastanza bene,
immaginate una mia cliente che abita in una mansarda proprio davanti alla
parrocchia e al suo campanile! Infatti ci ha chiesto di cambiargli gli infissi
con delle finestre più insonorizzate.
Con il Natale si presentano puntualmente anche le «crisi di Natale». Anzitutto
per chi sarà costretto a vivere da solo questa ricorrenza, che per la
maggioranza è sinonimo d’aggregazione allegra e festante. Ma anche per noi
cristiani evangelici non mancano i motivi per avere le nostre «crisi di Natale».
Ed è comprensibile, visto che non c’è traccia di questa festa nel Nuovo
Testamento, il quale non ci dice neppure la data precisa in cui Gesù è nato.
Però, dal momento che non c’è neppure un divieto preciso, c’è una certa libertà
a festeggiare questa ricorrenza, e molti cristiani evangelici d’ogni
denominazione se ne avvalgono. Una cosa comunque è certa: per ogni vero
cristiano la nascita di Gesù di Nazareth ha un grande valore, a prescindere dal
momento in cui questa è avvenuta e se si vuol festeggiarla o meno.
Insieme al Natale quest’anno è arrivata però anche la «crisi». Per gli addobbi
natalizi della Casa Bianca pare che siano stati riciclati quelli delle
precedenti amministrazioni. Le stime dicono che gli italiani spenderanno meno
del già magro 2008. Per invogliare la gente a comprare si è persino proposto
d’anticipare i saldi di Gennaio e fare dei saldi prenatalizi. E pare che
quest’anno il povero «Babbo Natale» comprerà i suoi regali sopratutto al
mercatino o sulla rete web. Insomma, ci apprestiamo a trascorrere un «povero
Natale», un «Natale in tono minore», un Natale che pare non sia il «miglior
Natale »che la gente vorrebbe trascorrere. E tutto questo perché c’è la crisi!
Ora, ammettiamo per un attimo che Gesù sia nato il 25 Dicembre e che ci
avvaliamo della libertà di festeggiare questo giorno: con quale umore e con
quale atteggiamento ci apprestiamo a trascorrere questo «Natale di crisi»?
Possiamo testimoniare ai nostri vicini, ai nostri parenti, ai nostri colleghi,
ai nostri concittadini, insomma a chi ci osserva che, esiste un vero Natale,
il cui valore non può essere scalfito neppure dalla peggiore delle crisi
economiche? Esiste nel Natale, inteso soprattutto come momento della nascita
di Gesù Cristo, un motivo per rallegrarci comunque?
Io credo che, dal momento che la crisi economica colpisce proprio uno dei punti
forti del Natale consumistico e commerciale, a cui il mondo occidentale ci ha
abituati, ciò dia a noi cristiani ampio margine di mostrare il vero valore
dell’evento che si vuol festeggiare, il quale ha in sé forza sufficiente per
rallegrarci anche in condizioni economiche sfavorevoli. Preciso che è giusto che
i commercianti e in generale tutti noi ci aspettiamo momenti migliori e più
prosperi ed è giusto che un soggetto economico, sia esso un piccolo imprenditore
o uno Stato pongano in essere strategie e ricette economiche per sconfiggere la
crisi. Però, quando la nostra visione della crisi diventa così preponderante
nella nostra vita, da far dipendere il valore delle cose ben più importanti,
come ad esempio la nostra gioia per Gesù e la sua venuta sulla terra, allora è
il momento di fermarci e riconsiderare le cose come veramente stanno.
2. IL NATALE È UNA «BUONA NOTIZIA»...
ANCHE CON LA CRISI: Dobbiamo scoprire il vero senso del Natale. E
niente, forse, come le parole che l’angelo disse ai pastori di Betlemme ci
aiutano in questo: «E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria
del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L’angelo
disse loro: “Non temete, perché io vi porto la buona notizia d’una
grande allegrezza che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, è
nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di
segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”»
(Lc 2,9-12). Non c’è crisi che può cambiare il fatto che il Natale è una «buona
notizia». Non bisogna mai confondere il «Natale consumistico» col «Natale
cristiano», inteso come momento [di rammemorazione] della nascita di Gesù e
celebrazione di questo. Il Natale consumistico può anche essere «nerissimo», ma
il «Natale cristiano» non cessa d’essere una «buona notizia». Ed è una
buona notizia per «tutto il popolo» (v. 10), non solo per chi ha più
soldi o più regali da dare o ricevere, ma per tutti, poveri o ricchi, occupati o
disoccupati.
E come ogni «buona»
notizia, anche questa è una notizia che può cambiare il nostro umore. Anzitutto,
la paura può essere mutata in fiducia e speranza: «Non temete» (v. 10),
dice l’angelo ai pastori, che «temettero di gran timore» (v. 9). Anche
noi possiamo vivere un Natale senza paura. Quest’assenza di paura non è quella
di chi chiude gli occhi davanti alla realtà, ma quella di chi guarda alla realtà
con gli occhi della fiducia. Fiducia in quelle parole dell’angelo recanti la «buona
notizia». Inoltre, l’amarezza può essere mutata in una
«grande allegrezza» (v. 10). Anche questa «allegrezza» non è il
frutto d’un autosuggestione. Non è un auto-convincersi che tutto va bene, quando
tutto va male. Non è un’illusione psicologica. Anche la realtà di questi pastori
era molto difficile. Anche loro vivevano una condizione economica molto precaria
ed erano sotto una pesante tassazione da parte dei Romani. Però, l’angelo li
chiama a guardare oltre le loro neree previsioni. Li chiama ad ascoltare quella
«buona notizia» dalla quale dipende questa «grande allegrezza».
Qual è questa «buona notizia»?
È la notizia della nascita di «un Salvatore»: «Oggi, nella
città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore»
(v. 11). Cosa voleva dire l’angelo? Non è scontata la risposta a questa domanda.
C’è chi le ha intese in senso politico, descrivendo Gesù come un liberatore e un
rivoluzionario. C’è chi le ha intese in senso religioso descrivendo Gesù come un
esempio e un maestro di morale. C’è chi addirittura le ha intese in senso
fantascientifico, parlando di Gesù come un marziano sceso da un’astronave.
Persino cristiani meno stravaganti di questi sono indecisi se dare un valore
terrestre o celeste a queste parole: ciò dipende dal significato che si da
all’espressione «regno di Dio», spesso ricorrente nei Vangeli.
Per quel che ci riguarda in questa sede, dove non abbiamo la pretesa di
risolvere dilemmi d’un certo tipo, crediamo che sia più semplice e più rigoroso
cercare altre occasioni in cui l’angelo ha parlato di salvezza e vedere se usa
termini ulteriori che chiariscano la questione. Il valore ermeneutico di
quest’approccio può essere meglio apprezzato se si considera che, dopo
quattrocento anni di silenzio, in questo periodo Dio torna a parlare e affida la
sua parola soprattutto a un angelo, probabilmente sempre lo stesso: l’angelo
Gabriele (Lc 1,19.26; cfr. Mt 1,24)
Esaminando dunque tutte le parole che «l’angelo del Signore» dice in
questo periodo, una in particolare risulta attinente al nostro discorso, quella
dove parla a Giuseppe e dice: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di
prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo
Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui
che
salverà il suo popolo dai loro peccati» (Mt 1,20s). Ecco qui spiegato
direttamente dall’angelo il tipo di salvezza che Gesù è venuto a portare: la
salvezza dai «peccati» e dal giudizio divino. Certamente, questa era una
salvezza destinata anzitutto al «suo popolo», cioè a Israele, il popolo
di Gesù. Che però, questi non fossero i destinatari esclusivi di questa
salvezza, ce lo dice un altro dei protagonisti dei racconti della natività,
Simeone, il quale dice: «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo
servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno
visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli
per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele»
(Lc 2,29-32). Tutto il mondo è il destinatario di questa salvezza che Gesù è
venuto a portare (cfr. Gv 3,16).
La «buona notizia» che dunque il Natale rappresenta, non è tanto un riscatto
politico o economico, quanto un riscatto spirituale, intendendo con
quest’espressione la liberazione dalla pena e dalla potenza di tutti quei
peccati che tengono l’uomo, non solo sotto il giudizio di Dio, ma anche sotto
una schiavitù morale e spirituale, indegna per una creatura creata «a
immagine e somiglianza» d’un Dio santo e giusto. È evidente dunque quanto
sia fuorviante l’idea d’un Natale puramente consumistico e commerciale, il quale
fa dipendere la «gioia» e la «bontà» di questa ricorrenza dalla situazione
economica, o forse anche politica in cui versiamo, anziché dal valore spirituale
ed eterno dell’evento che si vuol celebrare.
3. LA VERA POVERTÀ DELL’UOMO SONO I SUOI
PECCATI: Se la venuta di Gesù ha significato «salvezza dai
peccati», è fondamentale capire cosa siano questi «peccati». E la prima cosa che
bisogna dire è che essi non sono solo i grandi delitti… Non sono solo gli atti
che commettiamo contro il prossimo. Non è solo l’omicidio, il furto, la falsa
testimonianza, ecc. Sono anche i «ragionamenti» e i «pensieri» che
non uccidono nessuno, però ci allontanano da Dio. E voglio citare tre prove
scritturali, tratte dall’epistolario paolino:
■ «Essi sono inescusabili, perché,
pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio, né l’hanno
ringraziato ma si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo
d’intelligenza si è ottenebrato» (Rm 1,20-21).
■ «Nel numero dei quali
anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne,
ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per
natura figli d’ira, come gli altri» (Ef
2,3).
■ «E voi, che un tempo
eravate estranei e nemici a causa dei vostri pensieri e delle vostre
opere malvagie» (Col 1,21).
In questi testi è evidente che il peccato è anche quel nostro mondo interiore
che gira continuamente le spalle a Dio, al proprio Creatore e Giudice. Il
peccato è quella «natura» di «figli d’ira» che ci fa essere «come
gli altri» sotto il giudizio di Dio. Quello spirito d’orgoglio e d’egoismo
che ci spinge a cercare continuamente gloria per noi stessi e non per Dio. È il
non aver tempo per dare gloria a Dio dinanzi agli altri credenti, davanti ai
nostri figli, davanti al mondo. Non bisogna essere atei per rinnegare Dio, ma
basta essere troppo occupati e non dargli il posto che gli spetta. Ed è questo
peccato che impoverisce l’uomo, molto più della crisi.
Molti sperano in un «Natale scaccia crisi». Si spera che l’euforia e
l’atmosfera del Natale riattivi i consumi. Si spera in una «magia di Natale»
che, per incanto faccia dimenticare la crisi. Un Natale da vivere comunque
«all’insegna della tradizione», si dice. Eppure, Luca ci narra che il primo
Natale non si è consumato in un confortevole «albergo», ma in una poco attraente
«mangiatoia» palestinese (v.12). Ma l’angelo ne ha parlato come d’un «segno»
(v.12) di quella «grande allegrezza» e di quella «buona notizia» che
aveva annunciato. Quello era un Natale povero, ma ricco allo stesso tempo.
La vera ricchezza del Natale è inversamente proporzionale alla vera povertà
dell’uomo. La vera povertà dell’uomo sono il suo peccato e una vita lontano da
Dio. Il vero Natale è scoprire che Gesù è venuto per liberarci da questa
povertà. Il vero Natale è sperimentare questa «grande allegrezza» nella
nostra vita. Dobbiamo restituire al Natale il suo vero significato. Non un
Natale «scaccia crisi», ma un Natale «scaccia-peccato», un Natale
«scaccia-giudizio, un Natale di salvezza. Non un Natale dove stiamo in attesa
d’un regalo che forse non arriverà… vista la crisi. Ma un Natale dove ci è stato
già fatto il regalo più grande che potessimo sperare: Gesù Cristo il nostro
Salvatore.
4.
CONCLUSIONE:
Quando l’uomo è andato sulla luna, l’allora presidente americano disse che
quello era il giorno più importante per l’umanità: «Un piccolo passo sulla luna,
un grande passo per l’umanità». Il noto evangelista americano Billy Graham lo
corresse dicendo: «No Signor presidente! Il giorno più importante dell’umanità,
non è stato quando l’uomo ha messo il piede sulla luna, ma quando Cristo è
venuto sulla terra».
Le crisi passate, come quella del 1929 e i segnali di ripresa già in atto ci
dicono che l’uomo supererà anche questa crisi e tornerà a festeggiare natali più
prosperi. Ma continuerà pure a portarsi dietro la sua più grande forma di
povertà: il suo peccato che, prima o poi, lo esporrà al giudizio di Dio. Contro
questo tipo di povertà c’è solo un rimedio ed è lo stesso da più di duemila
anni, ossia «quel Salvatore, che è nato nella città di Davide, che è Cristo,
il Signore».
Se dunque un «Natale di crisi» significa poter parlare meglio di quel «Natale
che non va mai in crisi» (almeno finché dura il tempo delle grazia), forse
questo ci aiuta ad avere un approccio diverso e migliore alle nostre «crisi di
Natale», secondo il seguente principio paolino: «Mi
sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne a ogni modo alcuni» (1 Cor
9,22). Io stesso sono uno di quelli che sono refrattari al Natale consumistico e
commerciale d’oggi, agli addobbi, alle abbuffate e ai regali natalizi. Tuttavia,
diversi anni fa, fui invitato da una chiesa a predicare in un «culto di Natale».
Fui molto meravigliato, però accettai. Leggendo i racconti evangelici della
natività, scoprii che in realtà il primo Natale fu accompagnato da un culto: «E
a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che
lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra
agli uomini ch’egli gradisce!”... E i pastori tornarono indietro,
glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto,
com’era stato loro annunziato» (Lc.2,13-14,20). Così potei esordire dicendo:
«Il culto di Natale ha origini antichissime e inizia nelle stessa notte in cui
Gesù è nato». Proseguii con un messaggio evangelistico.
Da allora il Natale rappresenta per me questa ulteriore opportunità di predicare
il Vangelo. Anche da poco, avendo in cuore d’esporre il Vangelo con semplicità a
delle «persone nuove», che si stanno affacciando in una chiesa, tra cui anche
dei commercianti che sentono il peso della crisi, ho trovato proprio
nell’atmosfera natalizia di questi giorni, l’ispirazione a predicare un
messaggio evangelistico, che poi ho in larga parte rielaborato per il presente
articolo. Non tutti i mali vengono per nuocere...
►
Babbo Natale
{Nicola Martella} (T)
►
L’albero di Natale
{Nicola Martella} (D)
►
Natale fra dubbi, attese e contorno
{Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Natale_crisi_Avv.htm
19-12-2009; Aggiornamento: 23-12-2009 |