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■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LE DONNE SEPARATE DAGLI UOMINI

DURANTE GLI INCONTRI DI CHIESA?

 

 di Argentino Quintavalle

 

Questo articolo nasce dalla constatazione che in alcune chiese le donne siedono da una parte e gli uomini dall’altra, mentre in altre chiese non esiste questa divisione. Coloro che siedono separati, sostengono che è un ritorno alle origini. Chi ha ragione? Chi ha torto? Qual era il posto delle donne nelle sinagoghe del primo secolo? Qual era la loro situazione religiosa?

 

Oggi e allora

     Oggi, il culto pubblico in una sinagoga può avere luogo solo se ci sono almeno dieci maschi adulti. Le donne non contano per il raggiungimento di questo quorum. Inoltre, all’interno della sinagoga, le donne sono separate dagli uomini: le donne partecipano al culto in un ezrat našim, un palco o una sezione del locale con un divisorio, che si trova accanto o dietro la sezione degli uomini. Le cose erano notevolmente diverse ai tempi di Gesù.

     Ai tempi di Gesù non c’era alcuna separazione dei sessi nella sinagoga; l’usanza moderna di separare gli uomini dalle donne nella sinagoga è forse dovuta all’influenza dell’Islam, a partire dal settimo secolo. Per quanto ne sappiamo le donne potrebbero essere state contate come parte dei dieci individui necessari per il quorum religioso. Questo permetteva alle donne ebraiche di essere attive nella vita religiosa della comunità più di quanto lo siano oggi.

 

I «dieci»

     Secondo la tradizione, per avere una congregazione o una edah, devono essere presenti almeno dieci persone. Boaz ha raccolto dieci anziani di Betlemme per presenziare la transazione legale che gli ha dato possesso della terra che è appartenuta a Naomi e a Ruth la Moabita, sua moglie (Ruth 4,2). Dal primo secolo d.C. è stato stabilito che ogni incontro religioso pubblico o ufficiale doveva avere almeno dieci persone. Quindi, la preghiera pubblica dell’assemblea non poteva essere condotta senza questa presenza minima. La decisione che riguarda questo numero minimo richiesto è contenuta nella Mišnah.

     I Giudei moderni chiamano il quorum dell’assemblea un minjan (numerazione, conteggio). Ai tempi di Gesù, tuttavia, quando i Giudei volevano riferirsi al quorum richiesto, essi utilizzavano il termine asarah (dieci). Utilizzata con questo significato, la parola minjan non compare nella letteratura Giudaica prima del quindicesimo o sedicesimo secolo. Quando essa ricorre nelle fonti del periodo biblico, si riferisce a una votazione fatta dai membri del Sinedrio.

     È importante che l’idea, secondo cui dieci maschi sono richiesti per questo quorum, non si trova nelle fonti antiche, almeno prima dell’anno ‘500. Prima, quindi, le donne avrebbero potuto essere contate come parte dei «dieci». Anche in seguito, come lo studioso giudaico Rabbi Tam ha riconosciuto, le donne potevano essere contate come parte del quorum dell’assemblea.

     Nel primo secolo, le donne frequentavano la sinagoga, anche se meno degli uomini. Questo può essere documentato facilmente dalle fonti letterarie. I seguenti sono solo alcuni esempi.

     ■ Gdc 5,24 registra la benedizione di Debora su Jael: «Sia benedetta fra le donne che abitano nelle tende». La traduzione del Targum è: «Come una delle donne che prestano attenzione alle case di studio, lei sarà benedetta», traducendo «tende» con «case di studio». «La casa di studio» (in ebraico bet midraš) è un’espressione equivalente a «sinagoga», poiché gli studi avevano luogo nella sala di riunione della sinagoga o in una stanza contigua a essa.

     ■ Nel Talmud di Gerusalemme viene posta la seguente domanda: «In una città in cui tutti i residenti sono sacerdoti, quando essi alzano le loro mani [nella sinagoga] e danno la benedizione sacerdotale, chi risponde “Amen”?» (ai sacerdoti non è consentito di dare la risposta alla propria benedizione). La risposta è: «Le donne e i bambini» [Talmud di Gerusalemme, Berachot 9d]. Sebbene non sia il punto centrale della discussione, questa decisione rabbinica indica che le donne partecipavano al servizio della sinagoga.

     Di esempi del genere ce ne sono molti altri.

 

Obbligo religioso?

     I moderni studiosi Giudaici spiegano spesso la non inclusione delle donne nel minjan come la conseguenza dell’esenzione delle donne dai comandamenti positivi che devono essere osservati insieme. Poiché il culto pubblico è un comandamento che è fatto insieme, questi studiosi dicono che le donne sono esenti dalla partecipazione al culto pubblico. Per esempio, non ci si può aspettare che una donna che allatta un bambino assista a un servizio nella sinagoga.

 

La sezione delle donne

     Nel primo secolo non c’era alcuna speciale sezione delle donne nella sinagoga. Non c’era nemmeno alcun divisorio, come c’è oggi, che separa le donne dagli uomini.

     È vero che nelle sinagoghe in terra d’Israele risalenti al quarto secolo, sono state trovate delle gallerie. La prova architettonica di queste gallerie sono i resti di scale che sono state trovati nelle rovine di alcune sinagoghe. Tuttavia, le gallerie non erano necessariamente per le donne. Questo viene confermato dal fatto che il fondo delle scale era spesso situato dentro la sala di riunione, come per esempio nella sinagoga a Khirbet Shema (quarto secolo d.C.) e in varie altre. Quindi, qualsiasi donna che voleva raggiungere una tale galleria doveva mescolarsi con gli uomini; una contraddizione all’ipotesi che nella sinagoga ci fosse separazione tra gli uomini e le donne.

     Fuori dalla terra d’Israele, gli archeologi hanno scoperto una sinagoga, preservata incredibilmente bene, a Dura-Europos. Questa sinagoga della metà del terzo secolo d.C. dà una prova che non c’era alcuna separazione tra uomini e donne nell’antichità. Nella sinagoga di Dura-Europos, l’assemblea stava seduta su due file di panche che riempivano la sala di riunione di forma rettangolare su tutti i quattro lati. Non c’era alcun divisorio né lungo le panche né all’interno della sala (e non c’era alcuna galleria). Questa mancanza di divisorio indica che le donne non erano separate all’interno della sinagoga. Le panche, disposte in fila e prive di divisorio, facevano parte dell’architettura della sinagoga del primo secolo a Masada. Inoltre, la sinagoga di Masada, aveva una sola entrata. Una singola entrata significa che le donne si mescolavano agli uomini quando entravano e quando uscivano dalla sinagoga.

 

Nessuna separazione

     Neanche nel tempio c’era una separazione rigida tra gli uomini e le donne. Alle donne era permesso d’entrare in ogni area del recinto del tempio, alla stessa maniera degli uomini. Il Cortile delle Donne, il cortile esterno del tempio, non era riservato solo alle donne; in questo cortile, uomini e donne erano uniti. Gli uomini dovevano attraversare il Cortile delle donne per raggiungere il Cortile degli Israeliti (il Cortile degli Uomini). Nel Cortile delle donne c’erano diverse stanze, come la Camera dei Nazirei, alla quale avevano accesso sia gli uomini che le donne. Le riunioni pubbliche avevano luogo nel Cortile delle donne: era là che, nel Giorno dell’Espiazione, il sommo sacerdote leggeva la Torah davanti al popolo; e in questo cortile si teneva la qahal, ossia l’assemblea pubblica degli «uomini, donne, bambini e stranieri» per la lettura pubblica della Torah, che si teneva ogni sette anni durante la Festa dei Tabernacoli (Dt 31,10-13).

     (N.d.R.: Nell’Antico Testamento non ricorre mai un «cortile delle donne» riferito al tempio, ma si parla solo di un «cortile interno» e di un «cortile esterno».)

     Il cortile esterno del tempio era chiamato Cortile delle Donne perché le donne non andavano oltre esso. Similmente, il Cortile degli Israeliti era così chiamato perché gli uomini non andavano oltre esso. Tuttavia, come gli uomini, le donne che offrivano i loro sacrifici sull’altare del Cortile dei Sacerdoti, per poterlo fare attraversavano il Cortile degli Israeliti. Se, per esempio, una donna offriva un’offerta di primi frutti, si avvicinava all’altare, agitava l’offerta e l’ha metteva accanto all’altare.

 

Una disuguaglianza

     Ai tempi di Gesù, le donne partecipavano alla vita religiosa della comunità. Questo includeva la partecipazione ai servizi nella sinagoga e alle sessioni di studio che venivano condotte nella bet midraš (casa di studio) della sinagoga. Non c’era separazione dei sessi nelle sinagoghe e le donne potevano (ma non ne abbiamo la certezza) essere state contate come parte del quorum dell’assemblea, che richiedeva dieci adulti. C’era, tuttavia, una disuguaglianza. Alle donne non era permesso di leggere pubblicamente le Scritture.

     Nel Talmud Babilonese e nel Tosefta, troviamo una decisione rabbinica: «Tutti sono qualificati a essere tra i sette [che leggevano pubblicamente dalla Torah nella sinagoga in giorno di Sabato], anche un minorenne o una donna; tuttavia, i saggi hanno decretato che una donna non deve leggere dalla Torah per rispetto all’assemblea» (Talmud Babilonese, Megillah 23a; Tosefta, Megillah 3,11). Questo è evidentemente un riferimento allo stesso costume o decoro citato da Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «Tacciano le vostre donne nelle chiese, perché non è loro permesso di parlare, ma devono essere sottomesse, come dice anche la legge. E se vogliono imparare qualche cosa interroghino i propri mariti a casa, perché è vergognoso per le donne parlare in chiesa» (1 Cor 14,34s).

     Paolo ha capito la necessità della correzione, perché nelle prime assemblee cristiane, che seguivano la pratica giudaica, era cosa normale e abituale interrompere colui che parlava per porre delle domande. Nelle sinagoghe del primo secolo, dopo la lettura delle Scritture, seguiva una predicazione e una discussione. Questa esposizione delle Scritture era qualcosa di più che un semplice sermone, e i partecipanti erano incoraggiati a fare delle domande. Infatti, il domandare era talmente il cuore del metodo d’insegnamento rabbinico che il predicatore-insegnante, spesso iniziava il suo sermone dopo che si era messo seduto e aver aspettato fino a quando qualcuno degli ascoltatori non poneva delle domande. È simile a quello che noi chiamiamo «domande e risposte». Da noi si usa spesso, come mezzo di chiarimento, alla fine di una conferenza. Nella società giudaica del primo secolo questo era il metodo principale di istruzione. (N.d.R.: Tale prassi, che noi chiamiamo «studio partecipato», viene usato in alcune chiese, ad esempio in quelle in cui Nicola Martella è stato coinvolto nella fondazione. Ciò avviene sia nelle «cellule bibliche» nelle case, sia negli incontri plenari nella sala di culto)

     Dall’ingiunzione di Paolo sappiamo che negli incontri religiosi pubblici dei primi cristiani, le donne sedevano nella stessa sala con gli uomini, probabilmente vicine ai loro mariti o ai loro padri. Il comandamento che Paolo dà, implica un uditorio misto: non ci sarebbe stato niente di indecoroso se una donna avesse fatto una domanda in un gruppo composto interamente di donne.

     Se ci fosse stata una separazione tra gli uomini e le donne nelle sinagoghe del primo secolo, è probabile che la chiesa iniziale ne avrebbe continuato l’usanza. Tuttavia, il Nuovo Testamento non dà alcuna indicazione che la chiesa iniziale avesse avuto una tale usanza. (N.d.R.: Bisogna considerare che normalmente gli incontri avvenivano nelle «chiese in casa» [cfr. Rm 16]. Sarebbe stato veramente difficile essere separati in casa, anche visto che erano in genere abbastanza piccole.)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Donne_in_chiesa_UnV.htm

2007; Aggiornamento: 03-02-2008

 

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