Caro Nicola, grazie per l’articolo «Il
verme dell’accademismo». Non posso che dirmi d’accordo
con la tua lucida analisi; so che generalizzare è il modo peggiore per
affrontare la cosa, ma — da addetto alla comunicazione — non posso fare a meno
di notare che i germi della malattia che diagnostichi all’accademismo sono
comuni a ogni aspetto della vita evangelica, almeno per come viene vissuta e
presentata dalle chiese (forse c’entra poco, ma nel mio piccolo continuo
a credere che «vivere Cristo» sia qualcosa di più del mero partecipare a un
culto, dal ricevere due formule consolatorie, dalla banalizzazione di concetti
essenziali come «edificazione» ed «evangelizzazione»).
Infatti la tendenza è sempre quella del classismo: credenti di serie «A» e «B»,
con uno spartiacque che varia a seconda del contesto: nell’ambito carismatico la
differenza è tra chi ha fatto certe esperienze e chi no; nell’ambito dei
«Fratelli» tra chi frequenta più culti (ed ecco tornare il discorso della
«raccolta punti», cui accennavi nel pezzo) e chi meno.
Sul piano culturale noto un baratro. Volentieri dialogo con alcuni cui
riconosco un acume intellettuale, una curiosità e una preparazione culturale che
si staglia sulla superficialità e sull’impreparazione generale. Ma nelle chiese
sono rari i guizzi, e spesso si confonde la cultura con lo spirito, seguendo
inconsciamente l’assioma che il responsabile (pastore o anziano che sia) sia
anche maturo spiritualmente e quindi maestro culturalmente. Chi più sa, più si
rende conto di quanto gli manchi. Il problema è che sono in pochi a raggiungere
questa consapevolezza. Più volte mi sono scontrato con persone che, per aver
letto un libro di sociologia, hanno appeso fuori dalla porta il titolo di
«consulente», o che per aver seguito un corso di comunicazione si credono ora
dei nuovi Mc Luhan. [N.d.R.: cfr. Marshall Mc Luhan, Gli strumenti del
comunicare
(Il Saggiatore, Milano, 1967).] Oppure, per una vaga competenza, si mettono a
insegnare nelle scuole bibliche. Penso che la ricerca dell’accademismo sia anche
questo: la ricerca d’un titolo che certifichi, anche se talvolta a fronte d’una
preparazione carente. In fondo è come per i titoli nobiliari: tutti puntano a
scoprire un avo nobile per compensare un presente che delude.
I «mali della cultura scolastica» non sono alieni alla realtà evangelica
anche perché il contesto evangelico italiano viaggia con 10-20 anni di ritardo
sulla cultura secolare: nella musica, nella letteratura, nella cultura, nel modo
di confrontarsi, nelle posizioni politiche e in molti altri settori.
Anche in merito all’autoreferenzialità, non c’è solo il settore
accademico: ogni pastore (o anziano) si considera sufficientemente autorevole
per evitare il confronto. In campo secolare, almeno, c’è la conferma del
curriculum; in campo evangelico nemmeno quello (anche se alcuni cercano di
avvalorare la propria chiamata ministeriale con patetici «dott.» davanti al
nome), e anzi le discussioni vengono spesso chiuse con una argomentazione
incontestabile: «Se il Signore...». Il che, usato così, suona come il «perché
sì» del genitore che non intende dare spiegazioni.
Sulla «chiusura al territorio» non occorrerebbe nemmeno parlarne: quante
chiese evangeliche sanno quel che avviene nella loro città, o nel loro
quartiere? Talvolta per una collocazione balorda (ci sono credenti che
frequentano chiese a decine di chilometri dal proprio paese, nonostante ne
abbiano una dietro casa, e non colgono il senso di «fare chiesa» nel senso
biblico), altre volte, purtroppo, per la distorta convinzione che «non siamo di
questo mondo».
Ma tutto questo è un pericolo anche per chi lo vede e non lo condivide. Coloro
che davvero si dimostrano (senza bisogno di biglietti da visita) come colti e
preparati, rischiano di «gonfiarsi» (per usare un termine biblico), e finire a
fare i «tuttologi» (qui torno a un tema toccato da te quando ci siamo visti
ultimamente). [N.d.R.: Un «tuttologo» è chi si ritiene di avere la competenza
necessaria su ogni tema trattato e viene invitato da altri in tale veste a
convegni, conferenze, seminari e dibattiti.]
Mi fermo qui. Ho voluto argomentare una convinzione che, penso, ti troverà
concorde: quello che delinei è un problema reale, mi sono permesso solamente di
rilevare una diffusione più estesa.
La difficoltà, a questo punto, sta nella soluzione. La frammentazione, la
scarsa conoscenza reciproca, la fiducia limitata ci porta spesso ad agire
spiritualmente come «monadi». Spesso è un punto d’onore, per gli evangelici,
«fare tutto da soli». Sul momento può anche risultare appagante, ma ben presto
emergono i limiti. Vediamo i problemi, ma non possiamo dare loro soluzione
perché siamo soli e non abbiamo abbastanza forza.
Progetti come
Evangelici.net e CRC
[N.d.R.: Centro di Radiodiffusione Cristiana] hanno come scopo anche
quello di superare questo limite. Come? Creando comunione concreta (e sottolineo
«concreta») attraverso la conoscenza reciproca, la comunicazione e la
collaborazione. Crediamo che compattarsi e lavorare insieme, mettere a
disposizione i propri talenti e beneficiare di quelli altrui nell’ambito di
progetti condivisi (e ribadisco: «progetti condivisi») sia un vero atto di
fraternità. Se da un lato c’è la diffidenza di chi considera prioritaria la
«propria» chiesa e la «propria» visione rispetto alle azioni comuni, grazie a
Dio c’è la solidarietà e l’adesione di tanti altri, attraverso cui sta crescendo
una piattaforma comunicativa che non si può più ignorare né all’interno
dell’ambiente evangelico («purtroppo», secondo alcuni), né fuori.
►
Il verme dell’accademismo? Parliamone {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Accademismo_chiese_UnV.htm
20-02-2007; Aggiornamento: 06-07-2010 |