Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Malattia e guarigione 1

 

Riuscire nella vita

 

 

 

 

La salute fra scienza, religioni e ideologie — Malattia e guarigione 1:

   Ecco le parti principali:
■ La questione della medicina e delle sue alternative
■ Guarigione e problematica
■ La medicina e la Bibbia

 

Dizionario delle medicine alternative — Malattia e guarigione 2:

   Ecco il procedimento usato per i singoli temi:
■ Presentazione del metodo o della problematica
■ Analisi critica scientifica, medica, razionale
■ Punto di vista biblico e valutazione della questione nel cristianesimo
■ Possibili alternative.

 

Inoltre ci sono anche queste parti:
■ Fatti, casi ed eventi nella paramedicina
■ Registro delle voci
■ Registro ragionato delle voci

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

Malattia e guarigione 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SUO FIGLIO HA UN TUMORE AL CERVELLO

 

 di Stefano Frascaro

 

Dalla brace nell’acqua bollente?

     Era passato già relativamente molto tempo da quando mia moglie era morta per un tumore al colon. Nel frattempo era successa una cosa importantissima nella mia vita, forse la più importante che possa accadere a una persona: era l’estate del 1999 e a un campo a Isola del Gran Sasso, prima i miei due figli e poi io, riconoscemmo Gesù Cristo come personale Salvatore. Poi mi risposai con Carmela, anche lei credente. Un giorno mi disse: «Sai, Stefano, oggi Davide ha fatto una cosa strana…». Quante volte mi sono tornate in mente queste poche parole. La trasformazione della propria vita passa a volte per delle frasi apparentemente innocenti, semplici. Da lì sembrò che cominciasse un mio secondo calvario…

     Il Signore, attraverso il profeta Isaia ha detto: «Ecco, io ti ho voluto affinare… ti ho provato nel crogiuolo dell’afflizione» (Isaia 48,10); e posso dire d’aver provato sulla mia pelle il significato di questo verso.

     Racconterò questo capitolo della mia vita dal punto di vista d’un padre, al cui figlio diagnosticarono un tumore al cervello, ma che in questo ha potuto veramente vedere come il Signore fa realizzare quanto detto da Paolo in Romani 8,28: «Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno».

 

Un po’ di retrospettiva

     Voglio raccontare brevemente come andò perché ritengo che sia parte integrante di tutta la storia; e ciò proprio per evidenziare la «fantasia» che il Signore a volte adopera per far svolgere il suo piano. Tutto ebbe inizio quando la maestra d’asilo di Davide, che era una credente della chiesa Berea di Roma, in via Britannia, mi chiese se poteva portarsi i due ragazzi, Pietro e Davide, a un campeggio estivo. Nella situazione di vedovo, in cui stavo, ero consapevole che non potevo offrire granché ai ragazzi come vacanze estive; quindi accettai, sebbene un pochino riluttante.

     Dopo due settimane m’arriva una telefonata tutta eccitata dei ragazzi che mi dicevano: «Sai papà abbiamo pregato (!) e abbiamo accettato Gesù nel cuore».

     Il venerdì pomeriggio successivo arrivai al campo come un bufalo imbizzarrito, meditando denunce per plagio di minori e chissà quant’altro. Chiesi di parlare subito con il direttore (a quel tempo era Stefano Standridge) che, dopo aver ascoltato tutto quello che avevo da dire e con tutta la veemenza che avevo, con uno sguardo sornione mi disse: «Guarda Stefano, fermati come nostro ospite questo fine settimana, anzi visto che hai iniziato le ferie, fermati anche tutta la settimana. Se pensi che sia un plagio quello che abbiamo fatto, saprai sicuramente proteggere i tuoi figli, tanto dormiranno con te in camera e potrai averli così sempre sotto il tuo sguardo». La cosa mi turbò non poco. Provenivo da una realtà esoterica molto radicalizzata in me, e solo lo stare in certi ambienti mi metteva disagio, ma mi sono detto, sprezzante: «Cosa potranno mai fare a uno come me?».

     In tale periodo, vedevo la pace che i miei due figli avevano (ricordo che avevano perso la loro madre da non molto tempo) e mi resi conto invece della rabbia che io continuavo ad avere dentro; capivo che qualcosa «non quadrava». Dopo quindici giorni di permanenza a Isola come collaboratore, accettai il Signore anch’io come personale Salvatore! La potenza di Dio s’era chiaramente manifestata attraverso gli occhi dei miei figli. Se loro avevano trovato pace, capii che anch’io avrei potuto trovarla! Tuttavia non fu facile, poiché venivo da un mondo in cui Satana era padrone. È scritto: «Sappiamo che il nostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare» (1 Pietro 5,8). Il Signore mi fece uscire dalle sue grinfie, ma questa è un’altra storia, di cui vorrei dimenticare tante cose e di cui il gestore del sito «Fede controcorrente» è perfettamente a conoscenza. Chissà se un giorno il Signore di darà la forza per testimoniare completamente tutto ciò che avvenne.

 

Tornando a Davide e al suo problema

     Carmela è una splendida credente, che il Signore mi fece conoscere proprio a Isola (!). Ella ha avuto l’amore, la forza e il coraggio di sposare un uomo con due bambini, che si trovavano in una età molto difficile, con la consapevolezza che mai e poi mai l’avrebbero considerata come «madre», ma anzi, forse come un’intrusa. Avevo ricordato quello che un giorno lei mi disse: «Sai, Stefano, oggi Davide ha fatto una cosa strana…». «Cosa!?», le chiesi. «Mentre parlavo con lui», mi disse lei, «a un certo punto s’era come «bloccato» per circa 10 secondi; niente di straordinario, ma sai, non l’aveva mai fatto…». «Sarà stanchezza», dissi io. Tuttavia il campanello era oramai suonato. Un genitore sa, in qualche modo, cosa non va in suo figlio e intuisce se i sintomi, che ha, sono stupidaggini oppure no. Inoltre, avendo un background mistico-esoterico, certe cose le «sentivo» appena si sviluppavano.

     A quel tempo frequentava la stessa comunità una neurologa credente in Cristo, Egle. Sono certo che era stata mandata dal Signore tra noi anche perché fosse utile in questa storia! In effetti veniva da tutt’altra zona di Roma; e dopo poco la soluzione della storia è arrivata da un’altra città… Parlai con Egle delle sensazioni che avevamo, e lei disse subito: «Facciamogli un EEG» (elettroencefalogramma, un esame che permette di vedere, tra le altre cose, i sintomi di problemi neurologici). In quel tempo lavorava al policlinico di Tor Vergata. Lei si prodigò perché potessimo ottenere l’esame in tempi brevi.

     Fatto l’esame, mi dissero: «Il risultato non è niente di particolare, si vedono solo delle onde “uncinate” che possono essere compatibili con l’età». Tuttavia quel sentimento, che ha ogni genitore, non m’abbandonava. Inoltre quel «pizzicore» particolare che m’attanagliava in passato e che con l’aiuto di Dio ero riuscito a scaraventare dentro una fossa, tornava prepotentemente a galla.

 

Il Signore inizia l’opera

     Passarono alcuni giorni, Carmela stava sempre con gli occhi aperti per fare attenzione a quelle «assenze» che si facevano sempre più frequenti. Una sera, poiché Davide aveva qualche linea di febbre, chiamammo il nostro medico di famiglia. Tranquillizzati per l’episodio febbrile, gli sottoposi l’esame dell’EEG di Davide, così per farmi dare un suo parere. Come si può spiegare quella morsa che ti prende allo stomaco, quando capisci che qualcuno «ha visto» qualcosa che non doveva esserci? Come si può spiegare quel senso di nausea che ti prende, quel leggero giramento di testa, quella pressione intorno alle narici e il volto che sembra scoppiarti, quando un dottore, di cui ti fidi, ti dice: «Signor Frascaro, io non perderei un minuto a far vedere Davide da uno specialista». Mi consigliò di portarlo al centro per la cura dell’epilessia del policlinico Umberto I.

     Ora noi tutti leggiamo purtroppo quotidianamente lo sfascio della sanità pubblica italiana. Ma vi posso assicurare che non è tutta così. Presi un appuntamento con la dottoressa Giallonardo. Inutile dire come il Signore mise la sua mano anche qui: telefonicamente il primo appuntamento disponibile era per circa due mesi dopo ma, guarda caso, dopo tre giorni si librò un posto… La dottoressa Giallonardo prese subito a cuore Davide. Si commosse udendo come Davide aveva cominciato la sua lotta con la vita già da dentro l’utero. Si commosse pure di fronte alla sua testimonianza su Gesù. Si commosse infine quando, cercando di farsi dire da Davide i sintomi che aveva quando aveva quelle «assenze», lui gli diceva: «Sento come una mano sullo stomaco che mi preme e una voce che mi dice: “Sei cattivo, sei cattivo”. Poi vedo sempre delle persone intorno a me, ma io so che non esistono e non ci faccio più caso…». La dottoressa fisso in tempi celerissimi una risonanza magnetica nucleare. La sua paura era che il cervello, al momento della nascita, avesse sofferto per mancanza d’ossigeno. Lei mi disse: «Signor Frascaro, Davide probabilmente soffre d’epilessia, esistono farmaci che permettono di condurre una vita quasi normale, aspettiamo l’esame e poi vediamo che fare».

     Riusciresti a guardare il volto di tuo figlio di 9 anni, dopo che hai sentito una cosa del genere? In macchina, mentre si tornava a casa, mi tornavano in mente le sue parole: «Sento queste voci… vedo quelle persone…». Cercando di sdrammatizzare, chiesi a Davide se quelle persone, che gli stavano intorno, s’erano messe le cinture di sicurezza; e poi che era fortunato perché così aveva sempre qualcuno con cui parlare e che non sarebbe stato mai solo… Davide mi sorrise con quel suo faccino e mi disse: «E dai, papà…».

     Il cuore mi si chiuse. La rabbia salì dallo stomaco fino al cervello, l’ira m’avvolse, dandomi quella finta certezza d’avere finalmente qualcuno su cui sfogare tutta la mia rabbia. Chiamai Giuseppe, il conduttore della chiesa, che frequentavo e che frequento, e per sfogarmi urlai a lui tutta la mia rabbia! Gli urlai di dirmi il motivo, il perché di questo, e gli dissi che avevo chiesto al Signore di non toccarmi mai i miei figli e di darmi sempre la possibilità di dar loro da mangiare! Quanto ero giovane e immaturo nella fede! Quando ripenso a ciò che il povero Giuseppe ha dovuto ascoltare, divento ancora rosso di vergogna. E quanto amore metteva nelle risposte che mi dava. Io però chiedevo al Signore di scendere a patti! Gli gridavo: «Signore, noi siamo tuoi, tu però…».

     Quanto era grande la presunzione e quanto era grande l’orgoglio, ancora non avevo capito che non dovevo più essere io a badare ai miei figli, ma che adesso essi invece erano i suoi! Non realizzavo ancora che, se io amavo i miei figli, Lui li amava ancor di più perché morì, duemila anni fa, anche per Davide, per Pietro, per me… E in che modo il Signore me lo fece capire! Egli vede dentro i nostri cuori, ci vede come un artista vede un blocco di marmo grezzo, ma Lui sa già cosa c’è dentro quel blocco. Sa solo che dovrà togliere tutto l’involucro che lo occlude per far uscire fuori l’uomo che è al suo interno, quell’uomo che Egli ha creato a sua immagine, ma di cui è consapevole degli sbagli che l’essere umano può commettere. Tuttavia è doloroso far cadere dal blocco della mia vita le parti inutile. Togliermi da addosso tutte le mie convinzioni è costato dolore. Il Signore ci vuole sopraffini come l’oro, ma per arrivare a questa purezza, ci fa passare per un crogiuolo ardente.

     Quanto ho gridato al Signore! Leggevo e rileggevo il Salmo 6, gridavo al Signore tutto il mio dolore. Solo dopo mi sono accorto che ero semplicemente io che avevo chiuse le mie orecchie, che stavo aspettando risposte che il Signore non poteva darmi, semplicemente perché Lui già sapeva tutto. «Caro fratello», mi dicevano, «sappi che “tutto coopera al bene di quelli che amano Dio”»; oppure: «Dio trasforma il male in bene». Quante parole mi venivano dette, che avevo cominciato a leggere e a cui dovevo cominciare a credere. E quante volte sentii dire: «Stiamo pregando per te».

     Non giudicatemi male. Mi ero convertito da circa sei mesi, avevo già affrontato prove e mi trovavo di fronte al momento di decidere se affidare mio figlio a Dio o agli uomini. Avevo fatto lo sbaglio di pensare che ora, essendo del Signore, tutto sarebbe andato bene. Poi mi accorsi però che mai e poi mai Gesù mi ha fatto questa promessa. Egli mi ha detto anzi che ognuno deve portare la propria croce, ma che Lui ci aiuterà a sollevarla e che lenirà le ferite della nostra schiena, quando essa sarà piagata e dolorante.

 

Arriva il giorno dell’esame

     Mi chiedo perché non dicano quanto rumore fa la macchina della risonanza! Chiesi d’essere accanto a Davide, mentre faceva l’esame. Quando infilarono nel dorso della sua mano l’ago, per infondere il mezzo di contrasto, quell’ago stava entrando anche dentro la mia carne. «Dai, Davide, che adesso entri nell’astronave…», gli dissi mentre veniva adagiato su quel lettino che piano, piano lo portava all’interno dell’anello dispensatore di sentenze. «Dai, Davide, che sembra l’astronave di Star trek», dicevo a mio figlio. «Dai, Davide, che gli facciamo vedere noi ai Klingom». Intanto pregavo dentro di me: «Signore, tu sei qui, vero? Signore, tu stai mettendo appunto le macchine, vero? Tu farai sì che il mezzo di contrasto non sia poi così doloroso e che non debba ripeterla, vero? Signore, ti ricordi che Davide è tuo?».

     E poi arrivò tutto assieme il frastuono che fece la macchina per la risonanza. Era un rumore sgradevole, sembrava un’oca che starnazzava e cambiava spesso frequenza. Era un rumore sgradevole quanto le risposte che in alcuni casi dava e che stava per dare anche a noi. E poi era un esame lungo. Ogni volta che il rumore ricominciava, vedevo il corpicino di Davide che sussultava per lo spavento. «O Signore, quando finisce?». Volevo veramente però che finisse e arrivasse il responso? E sì, perché fino a quel momento, fino alla sentenza, potevo ancora sperare.

     Ancora non affidavo a Dio le mie paure. Sono certo però che Dio mi stava capendo in quel momento. Avevo paura per mio figlio, per la carne della mia carne. Ero come una lupa rabbiosa intorno ai suoi cuccioli… «Signore, tu non vuoi riprendertelo, vero?», chiedevo sommessamente, dentro di me al Signore mentre rivestivo Davide, mentre l’infermiere gli toglievano l’ago-cannula dalla mano, e specialmente mentre con la coda dell’occhio vedevo che troppi medici stavano arrivando e guardando le lastre.

 

La sentenza

     «Suo figlio purtroppo ha un Ganglioglioma. È una calcificazione della materia grigia localizzata in un’area dell’encefalo destro. È molto vicina all’ippocampo…», mi disse il medico. «Sì, dottore, ho capito, ma che cosa è?!?», gli chiesi. «È un tumore, signor Frascaro».

     «No, no, no, non di nuovo Signore, non nuovamente e non con Davide. Che c’entra lui? E no, Signore, è stato proprio lui ad accettarti per primo…», dicevo a Dio, mentre piano, piano scivolavo giù con la schiena appoggiata al muro, con le lacrime che uscivano, per la prima volta dopo tanti, tanti anni, dai miei occhi. Non mi ricordavo neppure più che sapore avevano le lacrime. Per mia moglie, non era potuta mai uscire una lacrima, mai poté rigare il lamento dell’anima sulla guancia. E ora, finalmente, piangevo. Ora, finalmente, ero crollato. Finalmente il Signore — adesso lo posso dire — aveva trovato il modo di spezzare il mio orgoglio, la mia presunzione di essere il centro nel mondo che mi circondava. Le lacrime cadevano e io le assaporavo una per una, erano fresche come fresche erano quelle parole che, per la prima volta, mi venivano in mente da sole: «Non temere, io sarò con te! Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io t’amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita….». «Che sono mai queste parole?», mi dicevo, «In che libro e capitolo le ho lette? Mamma mia questa memoria…».

     Mi sono tirato su, m’asciugai gli occhi e m’accorsi che i medici non riuscivano a guardarmi in viso (era noto a tutti il percorso medico di Davide). Un’altra volta quel sentimento di pietà che ti circonda, pensai. M’accorsi però che tutto questo stava girando a un «ritmo» diverso.

     Uscii fuori e vidi mia moglie. Da uno sguardo lei capì tutto. Come fanno però le persone che t’amano a leggerti così dentro? Come fanno, con uno sguardo, ad avere già capito tutto e a sapere già anche ciò che devono dirti? So solo che mi disse l’unica cosa, che poteva dirmi, e so che lo Spirito Santo la guidò in ogni sua parola: «Stefano, ti ricordi ciò che abbiamo scritto sulle nostre partecipazioni di nozze…?». «No», risposi io. E mi citò Geremia 29,11: «“Infatti io so i pensieri che medito per voi”, dice il Signore: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza».

     Che avrei potuto dire di fronte a queste parole, che mi ricordavano tutto l’amore che il Signore ha per noi? Che strana calma che avevo. E che differenza tra come affrontavo la paura prima dell’esame, quando chiamai il caro fratello Giuseppe, e come avevo affrontato lo scoramento dopo la risposta. Si, lo scoramento c’era stato, ma fu subito sopraffatto da questa «calma» interna. Lentamente mi stavo rendendo conto che non ero più io che dovevo portare, per amore, il peso della malattia di Davide, ma che c’era qualcuno che lo portava al posto mio, c’era qualcuno che amava Davide ancor di più di quanto lo amassi io. Sentivo la serenità dentro al mio cuore. Non credete che sia un esaltato. Chi non prova questa sensazione di pace e di serenità, non può capirla. Sapevo che non ero solo a combattere, sapevo che non dovevo usare le mie di forze, perché erano assolutamente insufficienti, ma Qualcuno era accanto a me. Dio era soprattutto accanto a Davide.

     Per un periodo il ragazzo prese dei farmaci, anche perché oramai le crisi erano troppo frequenti, dieci, dodici al giorno. Gli davamo il Tegredol, e poi il Depakim. Poverino, la mattina era completamente stordito. Avete presente un ubriaco che balbetta, che farfuglia le cose? Così era lui. A scuola s’addormentava, non era reattivo, era sveglio ma assente. «Così non può andare», dissi a Carmela.

 

La potenza della preghiera

     La chiesa intanto pregava. Per la prima volta avevo richiesto delle preghiere. Che cosa strana, e quanto mi costò chiederle. Che significa mai, mi chiedevo dentro di me, chiedere preghiere?! Quando però fui invitato a esporre all’assemblea della chiesa il problema, e di poter pregare per Davide, tutto mi fu chiaro. Sentire persone che conoscevo da così poco, o che non conoscevo neppure, elevare preghiere a Dio per la salute di Davide, oppure per la mia e nostra forza; ciò mi colpì. Pregavano anche che il Signore mi desse la forza per affrontare questa prova!

     Perché mi sentii immediatamente bene? Perché potei guardare in faccia ai fratelli e non vedere sguardi di commiserazione, ma finalmente di speranza, di certezza nella vittoria in Gesù? Che differenza dalla storia con mia moglie e come mi gustavo quei momenti, ero arrivato alla consapevolezza che in quella battaglia non ero solo. La chiesa locale, la chiesa universale pregava per mio figlio, per me, per la mia famiglia. Di cosa potevo temere? Mi s’aprì il cuore, mi scesero quelle scaglie che ancora avevo davanti ai miei occhi e non mi permettevano di vedere veramente la luce che c’era intorno ai miei fratelli, che non mi permetteva di vedere lo splendore riflesso della gloria di Gesù che era in ognuno di loro, e di conseguenza capii che di quella luce risplendevo pure io. Mi resi conto, solo allora, che finora non avevo visto tutto ciò per via del fango del peccato, che avevo ancora addosso e che mi copriva pure gli occhi, mi resi conto che il sangue di Gesù aveva lavato quel fango, finalmente, anche dal mio volto e mi permetteva di vedere, per la prima volta, con gli occhi d’un credente.

 

L’alternativa

     «Così non può andare avanti», dissi a Carmela dopo aver visto Davide appoggiare la testa sul tavolo e addormentarsi. Ritornammo dalla dottoressa Giallonardo chiedendole un’alternativa. E lei ce la diede. Ma che alternativa, caspita. «Possiamo provare a operarlo», ci disse: «Gli eliminiamo la calcificazione. Certo, è vicino all’ippocampo… potrebbe avere dei problemi di dislocazione delle cose nello spazio e nel tempo. Potrebbe avere problemi con la memoria a breve termine». «Dottoressa, ho capito, mi spieghi bene adesso!», le risposi. E lei mi spiegò: «Dovremo rompere la scatola cranica, dovremo arrivare alla parete occipitale destra, dovremo arrivare alla base dell’ippocampo, dove risiede questo tumore, e asportarlo. Il rischio è che la massa tumorale non si distingue benissimo dalla materia sana, quindi c’è il rischio di togliere troppo o troppo poco. E poi potrebbe rimanere un vegetale, potrebbe non avere più memoria a breve termine, potrebbe non avere più il senso dell’equilibrio, potrebbe…. potrebbe… potrebbe… C’è però un centro che è all’avanguardia in Europa, a Pozzilli, vicino a Isernia, la Neuromed, se volete mi posso informare per vedere i tempi dell’operazione».

     La ringraziammo, dicendole che l’avremmo richiamata a breve. Per tutto il percorso ognuno di noi, io e mia moglie, rimase avvolto nei propri pensieri. Non le ho mai chiesto cosa pensasse in quei momenti, ma conoscendo l’amore per il Signore, che lei già aveva, so che avrà pregato per Davide, per Pietro e per me. Ed io forse per la prima volta mi rivolsi al Padre dicendogli: «Signore, sia fatta la tua volontà!».

     Ci prendemmo un tempo di preghiera, eravamo indecisi, ma per l’ennesima volta la «fantasia» del Signore intervenne per darci la risposta. Dovemmo sottoporre Davide a una serie di test per vedere il grado di deficit che aveva. Come visionai il risultato d’uno d’essi, ovvero disegnare una immagine molto semplice che aveva visto per cinque minuti, mi diede la risposta che aspettavo. Davide soffriva per come stava, e il Signore m’aveva fatto vedere come vedeva la sua sofferenza.

 

L’operazione

     Arrivammo a Pozzilli una mattina d’inverno. M’ero fatto prestare la macchina da un mio amico. Nel frattempo avevo perso il lavoro e quello, che avevo trovato, andava male. Quando ci ripensavo, ridevo alla pretesa del patto che avevo imposto a Dio, ovvero di non toccarmi i figli e dargli sempre la possibilità di mangiare. Il Signore sa quali macigni deve togliere prima dal blocco di pietra, affinché poi possa lavorare con uno scalpellino…

     La Neuromed è una struttura meravigliosa, una di quelle che vedi solo nei telefilm americani, pareti tirate a lucido, personale gentilissimo, attrezzatura d’avanguardia… ma c’era un piccolo neo: non aveva il reparto pediatria! Il Signore però ci circonda d’angeli, che possono manifestarsi anche attraverso suor Mary, una suora che dopo la storia di Davide fu allontanata dal vescovo perché cominciava ad aver dubbi sul suo essere suora e perché vedeva invece l’amore di Dio che si manifestava attraverso le persone che ci gravitavano intorno. Oppure attraverso il personale tutto del reparto, che con amore accolsero Davide come un figlio d’ognuna e ognuno di loro.

     Poiché non c’era un’accoglienza per i genitori, ci diedero una suite, con salotto, bagno, ecc. Sorrisi pensando al fatto che non avevo neppure chiesto al Signore a provvedere alla nostra permanenza in ospedale, e Lui invece aveva già predisposto tutte le cose. Sì, Carmela avrebbe potuto dormire su una sdraio; ma il recupero, ci dissero, poteva essere molto lungo. Così il Signore ci rese la permanenza molto più… comoda! Solo la prima sera, quella dell’operazione, poiché Davide doveva rimanere in rianimazione, potevamo avere dei problemi, ma ottenemmo da suor Mary il permesso di dormire in un appartamento tenuto dal suo ordine monastico.

     Arrivò il giorno dell’operazione. Non sto a riportare tutti gli esami che gli fecero, tutto quello che dovette fare, la prima permanenza di qualche giorno per gli accertamenti, ecc.

     Quanto pregammo, e quanti stavano pregando! Sapevamo che s’era attivato un tam tam di preghiere. Posso dire che tutte le preghiere arrivarono a destinazione! Che pace che avevamo. Sapevamo che il Maestro era all’opera e che stava guidando ogni cosa. Le mani dei medici venivano mosse dal Signore. Mi chiesi come avrei potuto reagire, se qualcosa fosse andato male, ma questo dubbio, chissà perché, mi sparì subito. Ero certo che il nome del Signore sarebbe stato glorificato ad alta voce proprio a causa di quest’operazione!

     Stava dentro la camera operatoria da circa un’ora. Quando sentii del trambusto uscire dalla sala operatoria. Sentii addirittura il rumore d’una sega elettrica! «Stranamente» non mi preoccupai. Fermai un infermiere che in quel momento usciva tutto trafelato e gli chiesi cosa stava succedendo; candidamente mi rispose che non aveva le stecche in legno necessarie a bloccare il braccio di Davide per inserire le flebo, e che quindi avevano preso un pezzo di battiscopa, l’avevano modellato, bendato con garza sterile e adattato al braccino suo! In quel momento ebbi la certezza che c’erano angeli intorno a mio figlio, e che lo stavano proteggendo da ogni cosa. L’operazione durò undici ore. Furono undici ore di preghiere serene e di letture edificanti.

     Mentre stavo sdraiato sulle panchine fuori della sala operatoria, alle 21,15 venne suor Mary che con un sorriso mi disse: «Ma lo volete vedere Davide…?». In un attimo ci alzammo. Ci fecero entrare in sala rianimazione uno per volta. Entrai per primo e lo vidi, lì vidi piccolissimo in un letto enorme… con una fasciatura intorno alla testa, che era l’unico segno visibile della lotta che i medici avevano affrontato contro il tumore, lo vidi bianco e freddissimo perché avevano dovuto abbassare la temperatura corporea per limitare il flusso sanguigno al cervello. Lo immaginai avvolto dai teli chirurgici, mentre gli venivano poste delle domande durante l’operazione, perché dovevano vedere cosa toccavano, aiutati da una risonanza di centramento e da una proiezione tridimensionale del cervello che li aiutava ad andare non oltre il tumore. Ma bastò che aprì gli occhi per un momento per farmi provare la gioia più grande! Dio mio e mio Dio grazie! Era lì, era freddo, era ferito, ma era vivo. Ora toccava solo verificare i danni causati dall’operazione.

 

La convalescenza

     La prassi era che doveva stare una settimana in rianimazione. Dopo un giorno, Davide disse agli infermieri: «Ma guardate che se non fate entrare i miei genitori, io chiamo i carabinieri»; ed essi verificarono che non c’era motivo della sua permanenza presso la rianimazione. Nessuno dei medici si spiegò come un bambino così piccolo poté uscire così presto dalla sala rianimazione, dopo una operazione così importante. Noi dicevamo loro: «Si, vedete, voi gli date le medicine, ma Davide il Medico per eccellenza ce l’ha nel cuore, ed è quel Gesù che lui ha accettato dentro di se!». S’allontanavo, scuotendo la testa, ma ancora dubbiosi sulle straordinarie capacità di ripresa di Davide.

     Cominciarono i primi test e, a parte un pochino di mal di testa, Davide non accusava nessun tipo di danno dovuto all’operazione! I medici entravano, facevano i test e uscivano con dei «mah!» pieni di stupore! Cosa ci poteva oramai stupire? Sapevo che avrei gridato gloria al nome di Gesù e così feci! Non c’è stato nulla di «normale» nel decorso postoperatorio di Davide. Dopo due giorni s’alzava dal letto, mangiava come un leone, era il nostro Davide di sempre.

     Il giorno che ci dissero che potevamo tornare a casa, nevicò. Quella neve copriva con il suo manto candido tutto quello che avevamo intorno. Allo stesso modo l’amore di Gesù, con il suo manto, ci aveva accolto tra le sue braccia. In silenzio, come cade la neve, in silenzio, come l’amore di Gesù penetra nei nostri cuori. Il Signore aveva operato un miracolo. Davide non ebbe più bisogno d’alcun farmaco. Si riprese in tempi rapidissimi, aveva quasi un quarto di materia grigia in meno, ma non aveva alcun problema. Il Signore m’aveva fatto capire come dovevo abbandonare tutta la mia egocentricità e affidarmi del tutto e per tutto a Lui. Mi aveva fatto capire che è in Lui che potevo trovare la forza, una forza invincibile e infinita, come infinito è l’amore che Lui prova per noi.

 

L’ultimo insegnamento

     Un ultima lezione su tutta questa storia il Signore me la diede dopo quasi un anno. Vennero in chiesa come ospite una coppia d’anziani dalla Svizzera. Alla fine del culto vennero vicino a me e mi chiesero: «Lei è il papà di Davide?». «Sì», gli risposi. «E come sta adesso?». «Bene», gli dissi, «grazie, ma perché me lo chiedete?». «Perché, quasi un anno fa», mi raccontarono, «ci arrivò una lettera dalla sorella Hanna, che ci raccontava la storia di Davide, e ci chiedeva preghiere per l’operazione. Ora, non abbiamo più avuto notizie e solo oggi abbiamo capito che è in questa chiesa che sta Davide. Noi preghiamo ancora per lui tutti i giorni, e volevamo sapere come sta!». Mi scesero delle lacrime di gioia, d’amore, di gratitudine! Ecco la chiesa che ci ha lasciato Cristo! Questa coppia d’anziani stava ancora pregando per Davide perché non avevano più ricevuto sue notizie! Erano stati fedeli per tutto questo tempo come Cristo è fedele alla sua chiesa! Chiamai Davide, lo presentai loro e grandi lodi vennero elevate al Signore!

     Davide adesso, grazie a Dio, ha quattordici anni e sta bene. Non ha riportato alcun deficit. Va a scuola regolarmente. Come un qualsiasi ragazzo della sua età è sbadato, si dimentica le cose e ci «prova», quando si dimentica qualcosa, appunto come un qualsiasi ragazzo della sua età.

 

Epilogo

     Sì, certo, dopo due anni dall’operazione si ripresentò il seguente problema: al controllo una nuova macchia ci fece preoccupare, ma eravamo consapevoli che il Signore era già intervenuto nella nostra e nella sua di vita. Quindi di che preoccuparsi? Lui aveva sicuramente in mano la cosa. E infatti, il giorno prima del nuovo intervento, mentre si faceva la risonanza di centraggio per l’operazione, i medici videro che non c’era più nessuna macchia. Non era un edema quello che avevano visto all’inizio, era una formazione che s’era riaffacciata. La risonanza fatta a Roma il mese prima lo evidenziava, quella fatta appena entrati in Neuromed lo evidenziava, quella fatta la sera prima dell’intervento no. Era tutto finito. Ancora adesso i medici non si spiegano come sia potuto accadere; ancora adesso mi chiedono l’autorizzazione a portare gli esami ai convegni.

     Noi però sappiamo per mano di Chi ciò è potuto succedere, vero? Infatti noi «…sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno…» (Romani 8,28).

 

Versione corretta, adattata e redatta da Nicola Martella per «Fede controcorrente»

© Punto°A°Croce 2009

 

Suo figlio ha un tumore al cervello! Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Tumore_cervello_figlio_MeG.htm

08-08-2009; Aggiornamento: 17-09-2009

 

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