1. ENTRIAMO IN TEMA
1.1. LA
RICHIESTA
■ 1. Un lettore mi ha scritto quanto segue: Caro Nicola, ti scrivo in quanto mi
piacerebbe conoscere una tua personale riflessione in merito a 1 Corinzi 5,13: «Togliete
il malvagio di mezzo di voi» sulla base del contesto specifico di 1
Corinzi, tenendo una rigorosa esegesi contestuale. Mi piacerebbe che si aprisse
un dibattito in merito a questo, in quanto alcuni insegnano che bisognerebbe
escludere dagli incontri e dalle riunioni chi vive in una situazione
immorale. Grazie. {Andrea Belli; 25-02-2011}
■ 2. Dopo una richiesta di maggiore chiarimento, egli mi ha risposto come segue.
Caro Nicola, ti spiego in breve. Questo versetto è stato citato in una
recente discussione con un fratello; lui, prendendo questo passo, affermava
che chi commette un atto di
fornicazione, non solo deve essere ripreso pubblicamente e
disciplinato, ma deve essere letteralmente espulso dalla comunità fino a
un suo ravvedimento. Io ho risposto che quel passo non ha attinenza a
un’espulsione, bensì a quello che era il significato originario nel linguaggio
veterotestamentario, il quale è sempre collegato alla pena capitale. Benché nel
regime del Nuovo Patto sia venuta meno l’applicazione della pena capitale, nel
contesto di 1 Corinzi 5, Paolo dà una sentenza, sicuramente dettata da una
rivelazione divina, che è molto simile a una sentenza di morte: «Sia dato
in man di Satana per la rovina della carne
[o perdizione della carne], affinché il suo spirito sia salvo nel giorno del
Signore Gesù». Tenendo conto che tra i Corinzi molti erano malati e
molti morivano, come attesta Paolo in 1 Corinzi 11, sembra di capire che
Paolo non poteva sapere quale sarebbe stato il risultato finale di tale
giudizio, perché di giudizio si tratta. Tra l’altro, nel testo greco del
Majority Text di 1 Corinzi 5,13 (a differenza del Nestle-Aland) abbiamo un
indicativo futuro attivo (non un imperativo «exareite»), ovvero «Toglierete
il malvagio...». {Andrea Belli; 27-02-2011}
1.2. ASPETTI INTRODUTTIVI: Ho potuto constatare in altri
contesti che, quando si parla del giudicare biblico, alcuni tendono a
scadere in un buonismo umanista,
citando subito il «non giudicare per non essere giudicato» (cfr. Mt 7,1;
Lc 6,37 + non condannate; 1 Cor 4,5). L’errore che si fa qui è confondere
il piano interpersonale quotidiano con il piano dottrinale e morale (Lc 12,57;
Gv 7,24; At 4,19; 1 Cor 5,12; 10,15).
Altri, al contrario, hanno un solo metodo: «tagliar fuori» i trasgressori
dalla comunione, perché si rimanga una specie di casta di «incontaminati». La
concupiscenza non abita però in certe persone soltanto, ma nelle viscere
d’ognuno e può portare i suoi malevoli frutti, se non si vigila abbastanza (cfr.
1 Cor 9,27; 10,12). Amore e verità, misericordia e giustizia devono
essere coniugati insieme (cfr. Os 4,1, 10,12; 12,7; Lc 11,42; 1 Tm 6,11; 2 Tm
2,22; 1 Pt 1,22). E la grande «cenerentola» delle chiese rimane la cura
pastorale; rimandiamo alla fine per l’approfondimento.
Per interpretare il testo in esame, traduciamo dapprima al meglio 1 Corinzi
5,11ss: «Ora, però, v’ho scritto di non avere relazioni, se qualcuno che,
chiamatosi fratello, sia un fornicatore, o un avido, o un idolatra, o un
ingiuriatore, o un ubriacone, o un ladro; con un tale non [dovete] neppure
mangiare. [12] Infatti, che ho io da giudicare quelli di fuori? Non giudicate
voi quelli di dentro? [13] Quelli di fuori li giudicherà Dio. Metterete il
malvagio fuori di voi stessi!».
2. L’ANALISI GENERALE
2.1.
FATTO CONCRETO:
In 1 Corinzi 5, Paolo affrontò
un caso di incesto presente nella chiesa di Corinto: «Si ode addirittura
affermare che v’è tra voi fornicazione; e tale fornicazione, che non si
trova neppure fra i Gentili; al punto che uno di voi si tiene la moglie
di suo padre» (1 Cor 5,1). Egli richiese dai credenti che colui, che aveva
commesso quell’azione e viveva in tale stato di fornicazione,
fosse messo fuori comunione (v. 2). Egli stesso aveva deciso che quel tale fosse
«dato in mano di Satana, a perdizione della carne, affinché lo spirito
sia salvo nel giorno del Signore Gesù» (v. 5). Si trattava comunque di un
atto ufficiale di proscrizione apostolica (vv. 3ss), a cui Paolo chiedeva
che i Corinzi si associassero e agissero di conseguenza verso il fornicatore,
allontanandolo dalla comunione e dalla vita della chiesa locale (v. 2). Fuori
dell’ambito della protezione divina, il malvagio impenitente doveva essere
esposto agli attacchi deleteri di Satana contro la sua salute e la sua
incolumità fisica, affinché fosse disciplinato, si ravvedesse, si pentisse e
cambiasse vita (cfr. 1 Tm 1,20).
2.2.
L’INSEGNAMENTO MORALE: Come Paolo era solito fare, trasse da tale evento
concreto una lezione morale, che fosse possibile applicare in tale caso
specifico e in casi analoghi.
L’apostolo parlò poi del «vecchio
lievito», ossia dei costumi pagani, caratterizzati da malizia e da malvagità
(vv. 7ss). Egli concluse ingiungendo ai Corinzi di non mischiarsi con
alcuno che, chiamandosi fratello, fosse ad esempio un fornicatore: «Con un
tale non dovete neppure mangiare» (v.11). Paolo non terminò bonariamente
dicendo di non giudicare, ma esortò ad arrivare a un verdetto di chiesa:
«Infatti, che ho io da giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di
dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Metterete il malvagio fuori di voi
stessi!» (vv. 12s).
3. OSSERVAZIONI E APPROFONDIMENTI TESTUALI: Paolo non parlò
qui di credenti caduti nel peccato per accidente, ma che vivevano
in esso all’ombra dell’omertà degli altri credenti, che tolleravano tale stato
di fornicazione. Tale fornicatore viveva con la moglie di suo padre (v. 1). Ciò
ha il suo parallelo nell’applicazione morale: tale principio vale in tutte
quelle situazioni, in cui una persona, pur «chiamato fratello», abbia una
condizione, secondo i casi, di fornicatore, avido, idolatra, ingiuriatore,
ubriacone o ladro (v. 11). L’oggetto dell’azione è nel v. 13 ho ponērós «il
malvagio» e intende la categoria di chi fa attivamente il male e vive in
esso (cfr. Dt 13,5 da dove proviene). Non si trattava quindi di un incidente di
percorso, ma di una condizione esistenziale, di una stile di vita.
Paolo si aspettava dai Corinzi che «colui che ha commesso quell’azione fosse
tolto di mezzo a voi» (v. 2). Il verso 13 afferma la stessa cosa: «Metterete
il malvagio fuori di voi stessi!».
Per capire ciò, bisogna tener presente che allora
casa e chiesa, ossia vita normale e vita ecclesiale, non erano due cose
separate (cfr. «chiese in casa»; Rm 16). Una decisione ecclesiale di
allontanamento non coinvolgeva solo la partecipazione alle riunioni, ma una
partecipazione alla vita dei credenti: «…non
avere relazioni… con un tale non dovete neppure mangiare»
(v. 11). La comunione nella vita e specialmente a tavola con un empio era
ritenuta una fonte particolare di contaminazione.
Nei vv. 12s ricorre tre volte il
verbo krínō
«giudicare», rispettivamente nell’infinito, nell’indicativo presente (ambedue
riferiti ai credenti) e in una forma (riferita a Dio), che in alcuni manoscritti
è futuro (krineĩ
«giudicherà») e in altri è
nell’indicativo
presente (krínei
«giudica»); in ogni modo, ciò che Dio fa (o farà), riguarda (o riguarderà) i
non-credenti, mentre ciò che i credenti devono fare, riguarda il presente o ogni
situazione futura, che si presenterà. Nei vv. 12s le espressioni tous èxo
[òntas] «quelli che sono fuori» e tous èso [òntas] «quelli che sono dentro» erano intese rispetto alla
comunità locale ed erano usate anche nella sinagoga. Nel v. 13 il verbo
exairō significa «allontanare, mettere fuori»; la forma, che
ricorre, è imperativo futuro aoristo exárate; qui l’apostolo si aspettava
che i Corinzi facessero finalmente così nella situazione attuale, una volta per
tutte, e certamente si comportassero così per quelle venture. Alcune versioni
greche hanno qui exairete o exareite; non penso però che tali
forme verbali dicano qualcosa di significativamente diverso, visto che la
differenza starebbe solo nell’azione puntuale (quella particolare di Corinto;
accento sul caso specifico) o in quella iterativa (ogni qual volta che sarà
così; accento sull’applicazione). Nel v. 13 la locuzione ex hymōn autōn
si può intendere sia in senso locale («fuori di voi stessi»), sia come
iniziativa propria («da voi stessi») e l’uso del riflessivo mette una
responsabilità sui credenti (lo dovete fare da voi stessi singolarmente e come
gruppo!). Ecco qui di seguito come alcune traduzioni riportano la seconda parte
del v. 13:
■ «Mettete da voi stessi fuori chi è malvagio» (Lutero).
■ «…ma togliete il malvagio d’infra voi stessi» (Diodati).
■ «Mettete il malvagio da voi stessi fuori» (Elberfelder).
■ «Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi» (Riveduta; NR).
■ «Togliete il malvagio di mezzo a voi!» (Schlachter; CEI; ND «Perciò…»).
■ «Dunque eliminate di mezzo a voi chi è il malvagio» (Ricciotti).
■ «Rimuovete di mezzo a voi l’uomo malvagio» (Menge).
■ «Rimuovete il furfante
dal vostro proprio mezzo» (Allioli).
Come si vede, tutti
i traduttori hanno reso il verbo greco con l’imperativo presente; è probabile
che molti di loro (p.es. Lutero, Diodati) si siano orientati al «testo
maggioritario», che è stato quello più accreditato per molti secoli. La
difficoltà sta nel tradurre l’imperativo aoristo futuro (così nel NT di
Nestle-Aland) in modo diretto e appropriato nelle lingue europee. In ogni modo,
la sostanza non cambia, come abbiamo mostrato sopra.
Come abbiamo accennato sopra, Paolo usò qui una citazione a senso di
Deuteronomio 13,5: «Così toglierai il male di mezzo a te», sennonché
a «il male» sostituì «il malvagio». Se il trasgressore (falso profeta) al tempo
della legge mosaica era degno di morte, nella chiesa (falso fratello,
impenitente) dev’essere allontanato dalla vita della chiesa. L’espressione si
trova similmente in Deuteronomio 21,21 e riguardava la condanna a morte
di un figlio caparbio, ribelle, disubbidiente, ghiotto e ubriacone; anche qui si
trattata di una persona impenitente, indurita e che non ascoltava ragioni.
4. ULTERIORI OSSERVAZIONI: L’interlocutore del suddetto
lettore ha affermato che «chi commette un atto di fornicazione, non solo
deve essere ripreso pubblicamente e disciplinato, ma deve essere
letteralmente espulso
dalla comunità fino a un suo ravvedimento». Si può concordare con la
riprensione e la disciplina del trasgressore, sebbene bisognerà
valutare se siano più appropriati gli aspetti pubblici o la cura pastorale
privata, sia per il bene dell’anima del reo, sia per quello della testimonianza.
Quanto all’espulsione dalla comunità, ciò dipende se il trasgressore si è
ravveduto o persiste nel suo peccato. Si tenga presente che gli atti drastici,
sebbene a volte necessari, sono sempre una sconfitta per i conduttori, che non
hanno vegliato a tempo!
Faccio notare che in 1 Corinzi 5 tale atto ecclesiale così drastico non
riguardava chi era, suo malgrado, caduto nel peccato, ma chi
viveva nella trasgressione come stile di vita; non a caso egli fu
chiamato «il malvagio» (v. 13) e l’articolo determinativo indicava la categoria
di chi aveva l’audacia e la sfacciataggine di chiamarsi ciononostante
«fratello». Egli si sentiva a posto, vista la tolleranza e il buonismo che i
credenti gli mostravano.
Il fine di tale allontanamento dalla vita della chiesa in senso lato, ossia «non
avere relazioni» con lui e
«neppure mangiare»
con lui (v. 11), era certamente la disciplina del Signore, ma
anche il recupero, che quest’ultima poteva creare. Non sappiamo se Paolo
si riferisse alla stessa situazione in 2 Corinzi 2,5-11, visto che parlò d’altro
e di persone, che avevano probabilmente attaccato lui nella chiesa di Corinto
(vv. 1-4; cfr. v. 17); in ogni modo parlò di recupero di coloro, che
avevano fallito. Similmente fece Giacomo alla fine della sua epistola (Gcm
5,19s).
Non sta a me dire che cosa i conduttori di chiesa debbano fare nelle tante
situazioni concrete. Il mio intento è stato di spiegare ciò, che afferma il
testo nel modo come io lo capisco, dopo un’attenta analisi. Essa non è da
usare in un estremo né in un altro, né per drastiche amputazioni, né per vie
di comodo. Spesso la responsabilità di atti drastici è dovuta a lunghi periodi
di tolleranza verso il peccato da parte dei conduttori e degli altri
credenti. Ciò è un segno che i conduttori non hanno svolto il loro ruolo di
sorveglianti e curatori d’anime. Essi hanno permesso per lungo tempo che il
bubbone si riempisse di pus infettivo sotto la pelle e hanno fatto finta di
niente; poi, però, quando le cose sono diventate drammatiche, vedono come unica
via d’uscita mettere l’infetto in quarantena, alcuni per poco o molto
tempo e altri per sempre. Ciò può servire più che altro come
un’auto-giustificazione in extremis. Chiaramente prevenire
un’infezione morale è sempre meglio che curarla in seguito; oltre al fatto che
c’è sempre il rischio del contagio.
Nella chiesa di Corinto alcuni erano malati e altri erano moribondi, se
non già morti (1 Cor 11,30ss). Quando, dopo aver tollerato il peccato, i singoli
credenti entrano sotto il giudizio di Dio, spesso si può realizzare
questo detto: «Il paziente è guarito (spiritualmente), ma purtroppo è morto
(fisicamente)» (cfr. 1 Cor 5,5). È meglio essere meno tolleranti col
peccato, cominciando da quello nella propria vita, e meno omertosi verso
i trasgressori, cercando di recuperarli a tempo.
I bubboni purulenti si possono curare con l’intervento adeguato, ma
lasciano spesso deturpanti cicatrici, quando è necessario agire profondamente
per salvare il salvabile. Prevenire è chiaramente meglio che curare. Allora i
conduttori facciano i sorveglianti del gregge e pasturino le
pecore, che sono state loro affidate!
►
Togliete il malvagio da voi stessi! Parliamone {Nicola Martella} (T)
►
Caduta e pentita, ma non accettata dalla chiesa {Nicola Martella} (D)
►
I provvedimenti di fuori comunione {Nicola Martella} (A)
►
Uso e abuso della disciplina ecclesiale {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Togliete_malvagio_EnB.htm
02-03-2011; Aggiornamento: 09-03-2011 |