Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

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Dall’avvento alla parusia

 

Missione

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SUPERVISIONE DI APOSTOLI

SUI CONDUTTORI DI CHIESA? 1

 

 di Giovanni Cappellini - Nicola Martella

 

1. Le tesi {Giovanni Cappellini}

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Giovanni Cappellini prende qui posizione riguardo all’articolo «La «riforma strutturale» di Corrado Salmé: Strutture ed etichette ci salveranno?». Il seguente contributo avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Strutture ed etichette salveranno la chiesa? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza e della trattazione di aspetti specifici, abbiamo preferito metterlo extra.

 

 

1. Le tesi {Giovanni Cappellini}

 

Mi sembra molto chiaro dal Nuovo Testamento che gli apostoli avessero una supervisione sulle chiese. Questo è ciò che Paolo faceva, e ciò che diceva di fare a Tito e a Timoteo. Certo che Paolo non poteva salutare l’apostolo a cui le chiese facevano riferimento: era lui quell’apostolo!

     L’apostolo va in avanscoperta, e fonda le chiese, nominando il collegio dei conduttori. È chiaro poi che quelle chiese lo considerano un punto di riferimento, non si tratta d’autonomina. Escluso l’apostolo che interviene solo di tanto in tanto per controllare l’operato della chiesa, il collegio dei conduttori dovrebbe contemplare pastori, evangelisti, dottori, profeti.

     Il fatto che esistano falsi apostoli non deve essere un motivo per non cercare nella chiesa quelli veri, alla Paolo. Corrado Salmé ha avuto il coraggio di mettere in discussione uno standard de facto del proprio ambiente.

     Mi sembri un po’ troppo retorico quando dici «Si azzarda a parlare di comunità (probabilmente pentecostali) — che non conosce e che sono state tirate su certamente con tanti sacrifici».

     Ho trovato i tuoi scritti eccellenti ma questo è da autonominato. {26 agosto 2008}

 

 

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Alcune questioni aperte

     Nel primo secolo, gli apostoli avevano la supervisione su tutte le chiese o solo su quelle da loro fondate? Se, secondo la convinzione di cui Corrado Salmé si fa portavoce, sui conduttori delle chiese c’era un apostolo e un profeta, perché quando Paolo scrisse ai credenti di Roma (una chiesa che Paolo non aveva fondata) ed espresse loro il desiderio di visitarli per farsi sostenere poi nel suo viaggio verso la Spagna, non scrisse al sedicente apostolo preposto a tale chiesa per chiedere il permesso? Una chiesa come quella di Antiochia era autonoma — visto che mandò essa stessa sovvenzioni ai fratelli della Giudea (a causa della carestia) e altresì Paolo e Barnaba come apostoli, ossia «missionari fondatori) — oppure era soggetta gerarchicamente agli apostoli di Gerusalemme? Perché si afferma che un collegio dei conduttori dovrebbe contenere «pastori, evangelisti, dottori e profeti», visto che in 1 Tm 3 e in Tt 1 si parla solo di conduttori e basta? Si confondono qui le relative funzioni dei conduttori con figure ministeriali? Il problema di Corrado Salmé e di altri carismaticisti militanti — impegnati in un presunto progetto di «riforma strutturale», di trasformazione mediante una «pienezza di rivelazione» (quindi di là dalla sacra Scrittura) e di rivoluzione devozionale entusiastica — è proprio di confondere proprio tali funzioni ministeriali dei conduttori con figure ministeriali particolari? È per questo che essi reclamano l’assoggettamento dei singoli conduttori a un apostolo e a un profeta di riferimento? E tutto ciò sebbene questi ultimi non abbiano fondato tali chiese e non abbiano quindi fatto i sacrifici al riguardo e sostenuto le lotte per far nascere e crescere tali comunità?

 

Il reperto biblico generale

     I dodici apostoli avevano la supervisione sulla chiesa di Gerusalemme all’inizio dell’opera, subito dopo Pentecoste. Poi questa si estese sulla Giudea e sulla Samaria (per questo fu necessaria la presenza di Pietro e Giovanni; At 8). Ben presto però gli apostoli andarono, l’uno dopo l’altro, in missione, secondo il gran mandato missionario di Gesù.

     Se subito dopo la sua conversione Paolo incontrò in Gerusalemme «gli apostoli» (At 9,27), senza distinzione, tre anni dopo, in una visita ministeriale incontrò Pietro e Giacomo, che apostolo non era, ma nessuno degli altri apostoli (Gal 1,18s); se essi erano in Gerusalemme, in 15 giorni di permanenza sarebbe stato difficile non incontrarne almeno uno. Quattordici anni dopo, quando salì a Gerusalemme con Barnaba e Tito (Gal 2,1), incontrò «Giacomo e Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne» (si noti l’ordine; v. 9). Giacomo era la persona più influente della chiesa di Gerusalemme, talché anche Pietro stesso aveva soggezione di lui e della sua gente (Gal 2,12). La sua parola durante il Concilio Interecclesiale di Gerusalemme fu quella decisiva (At 15,13ss).

     Non bisogna immaginarsi che i dodici apostoli sedessero a Gerusalemme in una specie di Vaticano e dirigessero la chiesa universale. Questo sarebbe un anacronismo e fatale alla comprensione. Ciò che univano le chiese era la comune fede e la comunione reciproca. Nel libro degli Atti e in Galati 1-2 le persone furono chiamate per nome, senza fronzoli ed etichette. La colletta inviata dai discepoli di Antiochia per i fratelli della Giudea non fu mandata centralmente agli apostoli, ma agli anziani di tali chiese (At 11,30). Che non esistesse una gerarchia fra le chiese e che quest’ultime non dipendessero da Gerusalemme e dagli apostoli, è mostrato dall’episodio che coinvolse Paolo e Cefa (Pietro) in Atti 2. Paolo era allora uno dei conduttori di chiesa di Antiochia, quando Cefa venne in visita come fratello; quando quest’ultimo cominciò a giudaizzare, all’arrivo degli emissari di Giacomo, Paolo non guardò alle etichette, ma riprese Pietro pubblicamente (Gal 2,11ss). Ciò mostra che nelle chiese d’allora non c’era qualcosa come una gerarchia istituzionale. L’autorità era basata sulla Parola di Dio e sull’ubbidienza a essa.

     In Atti 15 ci fu il concilio interecclesiale di Gerusalemme. Si noti la presenza di Pietro e di Giacomo, oltre che degli anziani. La parola risolutiva fu quella di Giacomo. Quando Paolo visitò l’ultima volta Gerusalemme, ci trovò solo Giacomo e gli altri anziani (At 21,18s).

     Quando nacque la chiesa di Antiochia, gli apostoli ancora presenti in Gerusalemme mandarono Barnaba per aiutare l’opera (At 11,22); ma non bisogna pensare che Antiochia dipendesse da Gerusalemme e gli apostoli di Gerusalemme avessero una posizione gerarchica superiore rispetto alle guide locali. Certo in una prima fase, l’opera nascente si trovava in una specie di tutela mediante Barnaba, ma questi andò lì per restare, non per essere la lunga mano di Gerusalemme. Barnaba fu mandato ufficialmente (exapostéllō), quindi egli era un apóstolos «inviato, immissario, missionario» della chiesa di Gerusalemme. Barnaba diede subito stabilità alla nuova chiesa, associando Paolo (At 11,25-26). Che la chiesa fosse autonoma, fu dimostrato da due aspetti: ▪ 1. I discepoli di Antiochia si fecero carico dei fratelli della Giudea (At 11,30). ▪ 2. La chiesa si pose il problema di mandare propri apostoli o «missionari fondatori» nell’opera di Dio e mandò su indicazione dello Spirito Santo Paolo e Barnaba (At 13,1ss).

 

Apostoli supervisori di che cosa?

     Per prima cosa bisogna partire dal fatto che «apostolo» indicava solo i «missionari fondatori di chiese». Sia i dodici apostoli, quando andarono in missione, sia gli apostoli delle chiese, erano ognuno supervisori soltanto delle chiese che essi stesso fondavano. Tale supervisione non era istituzionale o gerarchica, ma era di natura morale, si basava sull’autorità della Parola di Dio, sui legami di fede e di comunione ed esisteva fintantoché gli uni e gli altri tagliavano rettamente la Parola della verità. A ciò si aggiunga che Paolo e la sua squadra non ebbero vita facile nel rapporto con le chiese fondate, a causa delle infiltrazioni nell’opera di giudei cristiani legalisti (p.es. in Galazia), di giudei cristiani gnostici (a Corinto) e di giudei cristiani di ambedue i tipi in altre chiese (p.es. in Colosse).

     Mentre tali «falsi fratelli», «falsi apostoli» o «operai fraudolenti» si infiltravano nella sua opera missionaria per aggiogare i credenti e vantarsi (Gal 2,4s; 2 Cor 11,13), considerandosi superapostoli (2 Cor 11,15; 12,11), Paolo non si guardava bene dal fare lo stesso, sconfinando nell’opera missionaria altrui e considerandosi supervisore dell’opera di altre squadre. Egli denunciava il comportamento di tali «falsi apostoli« come segue, contrapponendolo al modo di fase suo e della sua squadra: «E non ci gloriamo oltre misura di fatiche altrui, ma nutriamo speranza che, crescendo la fede vostra, noi, senza uscire dai nostri limiti, saremo fra voi ampiamente ingranditi, in modo da potere evangelizzare anche i paesi che sono al di là del vostro, e da non gloriarci, entrando nel campo altrui, di cose bell’e preparate» (2 Cor 10,15s). Per questa deontologia che lo caratterizzava in quanto «missionario fondatore», dopo aver predicato da Gerusalemme all’Illiria, quando non trovò più campo missionario vergine nella parte orientale dell’impero, perché il resto era occupato da altre squadre missionarie, decise di trasferirsi nella parte occidentale dell’impero, e cioè in Spagna, perché riteneva di avere «l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato, per non edificare sul fondamento altrui» (Rm 15,19s.23s). Perciò scrisse ai santi presenti in Roma per avere appoggio logistico per questa sua impresa.

 

Paolo scrisse ai suoi collaboratori, senza parlare di apostoli nel proseguo dell’opera?

     Si afferma che Paolo dando direttive sull’opera e sulla sua stabilizzazione, parlò di conduttori e servitori (1 Tm 3; Tt 1) ma non di apostoli, solo perché paolo stesso era l’apostolo. A prima vista ciò sembra una risposta sensata, ma in effetti non lo è. Timoteo e Tito erano stretti collaboratori di Paolo all’interno della stessa squadra missionaria. Egli parlò con loro di come stabilizzare le chiese fondate ma anche dell’opera missionaria nel suo complesso, anche in vista della sua dipartenza che riteneva imminente (2 Cor 4,6ss). Possibile che non parli mai del ruolo di un apostolo o «missionario fondatore», delle sue qualità, del suo ministero eccetera? Questo sarebbe veramente strano se, come afferma Corrado Salmé e altri come lui, gli apostoli fossero fianco a fianco dei conduttori nella stessa chiesa locale, avendo su di loro la supervisione (lo stesso discorso si può fare dei profeti). Nelle lettere di paolo ai suoi stretti collaboratori, Paolo parlò di apostoli solo due volte in 1 Tm, due in 2 Tm e una in Tito (e mai di profeti!). Si riferì esclusivamente a se stesso (1 Tm 1,1; 2,7; 2 Tm 1,1.11; Tt 1,1). In tre trattati del genere sull’opera attuale e futura ci si aspetterebbe che ne avesse parlato sui generis.

 

Paolo non ha rispettato le gerarchie ecclesiali?

     Usciamo dalla cerchia della squadra di Paolo. Se la presunta ecclesiologia di Corrado Salmé fosse stati vera, secondo cui ogni conduttore di chiesa aveva allora come supervisore un apostolo e un profeta, allora Paolo si comportò in modo molto scorretto quando scrisse «a tutti gli amati da Dio, chiamati santi in Roma» (Rm 1,7) e non all’apostolo (e al profeta). Egli non chiese a quest’ultimo l’autorizzazione a recarsi a Roma per predicare l’Evangelo (vv. 13ss) né anticipò a quest’ultimo l’intenzione di fare lì tappa verso la Spagna e di essere aiutato dai fratelli (Rm 15,22-28), come allora avveniva per i missionari e predicatori itineranti (cfr. 3 Gv 1,5ss). Il motivo perché non lo fece era dovuto al fatto che una chiesa, una volta fondata da qualcuno, quando arrivava all’autonomia funzionale e amministrativa, non dipendeva più da nessuno. I missionari fondatori andavano altrove e tra questi ultimi e la chiesa c’erano soltanto legami di fede e di comunione; quando essi tornavano in visita, la loro autorità era basata sulla parola di Dio ed era soltanto di natura spirituale e morale, al pari di padri che visitano figli adulti. L’apostolo non era il controllore delle chiese fondate, ma il padre.

 

Ministeri e funzioni

     Nelle direttive ecclesiologiche di 1 Tm 3 e Tt 1 Paolo riconobbe solo due tipi di ministeri nelle chiese: i «conduttori» (presbiteri o episcopi) e i «servitori» (diaconi), senza eccezioni. Non menzionò mai «pastori, evangelisti, dottori e profeti», perché queste non erano ministeri, ma carismi o funzioni che conduttori e servitori potevano avere in miscela diversa. Specialmente dai conduttori ci si aspettava che fossero attaccati alla Parola e agli insegnamenti ricevuti, capaci di insegnare (1 Tm 3,2; Tt 1,9) e di trasmettere la sana dottrina ad altri (2 Tm 2,2). Perciò in collegio di conduttori non c’era nessuno che sedeva avendo l’etichetta ministeriale di «profeta»; questo termine non esiste affatto in 1 Tm e 2 Tm e in Tito ricorre una sola volta, riferendosi a un poeta cretese! (1,12). Come ho ribadito altrove, quella profetica era una funzione legata spesso a quella apostolica (in greco c’è un solo articolo per «apostolo e profeta» e indica una sola persona).

     Corrado Salmé ha messo de facto in discussione lo standard accreditato nella maggior parte delle chiese pentecostali che hanno (super-)pastori monocratici e chiese cittadine sul modello accentratrice e patriarcale. Si può condividere la sua analisi, ma la sua terapia è peggio della malattia, poiché alza solo il livello della gerarchia, mettendo un potere in mano al apostoli e profeti che dovrebbero avere una supervisione di più comunità, chiese che essi non hanno fondato. Dietro all’angolo c’è il progetto «G12» (Governo dei 12), che sa più di massoneria (come il progetto «P2») e di imitazione di gerarchie clericali che di progetto biblico.

 

Aspetti conclusivi

     Non è retorica, quando parlo dei sacrifici fatti da missionari fondatori come me nel tirare su a fatica una comunità locale, dissodando il terreno, curando, aggiungendo anima ad anima e così via. Anche altri servitori del Signore mi hanno scritto le stesse cose. Ho conosciuto gente che si era infiltrata nell’opera per trarne vantaggio. Ho conosciuto missionari esteri che hanno aperto una chiesa in poco tempo, sottraendo credenti ad altre chiese già esistenti e anche a quella, di cui abbiamo visto la luce. Solo chi ci è passato, lo sa. Quindi non è retorica. La retorica la fa chi non ha mai fondato chiese, ma vuole imporre a esse una presunta «riforma strutturale».

     Ringrazio per il predicato «scritti eccellenti», ma all’aggettivo «autonominato» (di che cosa?) manca un sostantivo, non dice nulla da solo e lascia solo spazio ai misteri.

 

Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa? 2 {G. Cappellini - N. Martella} (T/A)

Mali ecclesiali e soluzioni strutturali {Eliseo Paterniti - Nicola Martella} (A/T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Supervis_apostol_condut_Avv.htm

27-08-2008; Aggiornamento: 27-09-2008

 

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