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SUPERVISIONE DI APOSTOLI

SUI CONDUTTORI DI CHIESA? 2

 

 di Giovanni Cappellini - Nicola Martella

 

Qui di seguito Giovanni Cappellini e io riprendiamo il confronto su questo tema particolare. Ricordo che nel primo confronto [► Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa?] egli prendeva posizione riguardo all’articolo «La «riforma strutturale» di Corrado Salmé: Strutture ed etichette ci salveranno?». Poiché ha voluto continuare il confronto, continuiamo in questo luogo. Per motivi logistici, faccio seguire, a mano a mano, la mia risposta sul suo testo; si tengano presenti i colori le sigle (GP e NM).

 

Giovanni Cappellini: Caro Nicola, grazie per la risposta e per aver messo il mio contributo online. Cercherò d’espandere di più il concetto per come l’ho capito dalle Sacre Scritture.

     Giustamente la chiesa è guidata da conduttori e diaconi, e credo siamo d’accordo che per coprire queste cariche d’ufficio, occorra avere uno dei «doni ministeriali» nominati in Efesini 4,7-11. Ed è proprio questo che manca a varie chiese d’oggi (almeno quelle che ho conosciuto) e che dev’essere restaurato, cioè una conduzione collegiale (stile «fratelliano») e dei conduttori con dei carismi differenti.

     Leggendo Efesini 4,12-16, ci accorgiamo di quanto sia fondamentale questa struttura «per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo...» (vv. 12s).

Nicola Martella: In Efesini 4,12-16 non si parla di «struttura», ma di funzioni ministeriali all’interno dell’intero «regno di Dio» (o dell’opera del Signore) e non solo delle singole chiese. Ciò che deve succedere in quest’ultime sul piano ministeriale, è ingiunto in 1 Tm 3 e Tt 1. È evidente che un conduttore di chiesa non poteva essere un apostolos, poiché nel momento che diventava «missionario fondatore», veniva inviato dalla chiesa locale in missione e non poteva più dirigere la comunità (At 13,1ss). Ho già fatto notare altrove che la funzione ministeriale specifica di profetes (o proclamatore ispirato ai fini dell’edificazione) era spesso connessa all’attività dell’apostolo (Ef 2,20 greco) e dell’insegnante (At 13,1).

 

GP: Giustamente non bisogna immaginarsi i 12 apostoli e Paolo come una casta che diramasse ordini. Giustamente hai fatto notare che l’apostolo sia comunque una figura attuale. Anche perché 1 Cor 12,28 ci fa vedere come Dio «ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue».

     Ora questa non è una struttura gerarchica — Dio ce ne liberi — ma una successione cronologica e una lista di doni che vanno a coprire necessità da parte della Chiesa, dalle più urgenti a quelle secondarie. Ed è molto importante capire che non sono scelte d’uomini ma manifestazioni dello Spirito (pneuma), e Dio non ci vuole ignoranti al riguardo. Ognuno fa parte del corpo di Cristo e non si può fare a meno di nessuno, o sminuire un certo ruolo. Allo stesso modo bisogna anche che il corpo di Cristo sappia isolare chi compie abusi con la sua posizione.

NM: Faccio notare che in 1 Cor 12,28 non si tratta di una presunta «successione cronologica», ma è una lista di funzioni ministeriali in ordine d’importanza (dall’apostolo alla diversità di lingua), importanza inerente alla singola funzione ministeriale e alla strategia dell’espansione del «regno di Dio». Gli «apostoli» erano necessariamente i più importanti, essendo i missionari fondatori. Poi seguivano i «profeti», ossia coloro che edificavano la chiesa sulla base della lettura comune dell’AT, da cui traevano «l’analogia di Cristo» e le ammonizioni morali. Solo dopo, che si era creata una base di cultura biblica e di edificazione (i «profeti» erano anche curatori d’anime), si poteva passare all’istruzione sistematica; solo dopo avere dato il latte, si poteva dispensare il cibo sodo. E così via. Che non si trattasse si «successione cronologica», era dato dal fatto che in genere i miracoli e le guarigioni accadevano nella prima fase, ossia quando il regno di Dio doveva «sfondare» in una ambiente pagano mediante gli apostoli. Il fanalino di coda era non a caso la «diversità di lingue», il cui uso Paolo svaluterà dettagliatamente a favore del «profetare» quale proclamare ispirato sulla base della lettura comune dell’AT (1 Cor 14,3.29-32).

 

GP: Se il corpo umano è lo stesso di 2000 anni fa, anche la Chiesa deve essere organizzata e avere gli stessi carismi di quella di 2000 anni fa.

NM: Paolo elencò in 1 Cor 12 le funzioni ministeriali che erano importanti per i Corinzi. Nell’epistola detta agli Efesini, che era invece una lettera circolare a tutte le chiese, egli menzionò solo ciò che era veramente necessario per tutte le chiese. Non a caso, come detto mise la «varietà di lingue» all’ultimo posto, affermò (in greco) che «quanto alle lingue, esse cesseranno di per sé» (1 Cor 13,8), ossia un po’ alla volta fino a sparire — cosa che poi avvenne nei primi secoli (cfr. qui in «Carismosofia» per i dettagli — e svalutò le lingue a favore del «profetare» ecclesiale, che mise tra le «azioni di grazia maggiori» (1 Cor 14,1-25).

 

GP: Cerchiamo di mettere a fuoco la figura dell’apostolo perché è «in primo luogo». Lo Spirito Santo in Atti 13,1-4 associa all’apostolato di Paolo anche Barnaba, ed entrambi vengono mandati come ambasciatori, che è proprio il significato letterale del termine. Apostoli nominati dallo Spirito Santo, non dagli uomini, sia chiaro.

NM: Barnaba non fu associato a Paolo, essendo nominato al primo posto (At 13,1s), poiché era colui che aveva reso Saulo prezioso per l’opera del Signore (At 9,27; 11,25).

 

GP: Ma Barnaba non è il solo apostolo nominato dallo Spirito Santo nel NT. Gli apostoli si susseguono: Timoteo riceve il «dono» per mezzo della profezia e dell’imposizione delle mani da parte degli anziani. Ma era un dono d’apostolato? Sì, perché Paolo, Sila e Timoteo scrivendo la lettera ai Tessalonicesi (1 Ts 1,1), parlano poi in questi termini: «E non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità» (1 Ts 2,6).

NM: È una giusta osservazione. Infatti, gli apostoli erano i «missionari fondatori» che formavano una squadra e lavoravano in zone dove Cristo non era ancora nominato. Così è ancora oggi.

     Ancora un dettaglio. Quanto a chi abbia imposto le mani a Timoteo, è cosa che ho trattato altrove; il termine greco intende il «diritto d’anzianità» che aveva Paolo verso Timoteo e non un collegio d’anziani, che nel testo greco non esiste. «Non trascurare la [azione di] grazia che è in te, la quale ti fu data mediante proclamazione [ispirata] con imposizione delle mani dell’anzianità» (1 Tm 4,14). Ciò è congruo con quest’altra affermazione: «Per questa ragione ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per la imposizione delle mie mani» (2 Tm 1,6).

 

GP: Ribadendo fra l’altro un rischio che anche tu hai avvertito, cioè d’abusare di quest’ufficio. Paolo considerava Timoteo e Tito suoi figli, e li ammaestrava in questo senso, una sorta di successione spirituale (altro concetto che può essere fonte di malintesi). Quello che dobbiamo capire è che Dio chiama apostoli i quali ricevono l’insegnamento da parte d’apostoli più anziani. Da questo capiamo che l’apostolato è qualcosa di più d’un semplice mandato, anche se noi tutti dovremmo sentire l’esigenza di stare al fianco d’un fratello più anziano nella fede.

NM: Per evitare malintesi, un apostolo fondava la sua squadra missionaria e partiva in missione. I membri di tale squadra imparavano da lui nella pratica, finché alcuni di loro, dopo molti anni, potevano fondare una propria squadra missionaria. Si trattava quindi di una comunione operativa all’interno di una squadra missionaria e nei confronti delle chiese effettivamente fondate, e non di sovrastrutture ed etichette valide per tutte le chiese.

 

GP: Dio ha dato apostoli e profeti affinché siano anziani nelle chiese e insieme ai dottori «collaborino» per rendere perfetta la fede dei santi. Gli apostoli hanno pertanto il compito di fondare chiese e d’organizzarne il governo locale, ma questo non li pone in una posizione di superiorità.

NM: Affermare questo, significa non aver afferrato allora la questione. Un apostolo non poteva mai diventare un anziano in una chiesa, mantenendo tale sua funzione, ma era un missionario fondatore. Come tale, nel momento che andava in missione smetteva d’essere conduttore di una chiesa locale (At 13,1ss). In Antiochia, Simeone chiamato Niger, Lucio di Cirene e Manaen, fratello di latte di Erode il tetrarca, rimasero a fare i conduttori come «profeti e dottori», Barnaba e Saulo divennero apostoli, ossia missionari (vv. 4ss). Per tanto non stava nelle incombenze dell’apostolo di prendere decisioni nel «governo locale», ma solo di riconoscere i conduttori e di andare oltre (At 14,23s), mantenendo con questi ultimi e con le chiese fondate legami di comunione e di fede e visitandole nuovamente in genere dopo parecchio tempo: «Torniamo ora a visitare i fratelli in ogni città dove abbiamo annunziato la Parola del Signore, per vedere come stanno» (At 15,36). Allora muoversi e comunicare non era facile.

 

GP: Parlare di governo della Chiesa può far fuggire la gente, ma è scritturale. I leader sono chiamati a condurre ogni pecora del gregge a una comprensione piena delle Scritture, senza pesare su d’esse, senza dire come spendere i propri soldi o decidere la persona che ognuno deve sposare. Tuttavia i troppi abusi ci hanno lasciato un po’ a tutti una fobia del governo. Pertanto gli amministratori devono usare maggior discernimento e non invadere aree della vita personali.

     I profeti e i pastori-dottori ricevono quindi un insegnamento dagli apostoli, per poi trasmetterlo a tutti. Ripeto, non è successione gerarchica, né un sistema di caste in cui a ogni passaggio si ricevono rivelazioni superiori.

NM: Nel NT esiste la combinazione «profeti e dottori» (ossia «proclamatori ispirati estemporanei» e «insegnanti sistematici»), ma mai direttamente la combinazione «pastori-dottori», poiché «pastore» era nel NT una funzione di «cura pastorale» e non di «conduttore» di chiesa, che è chiamato episcopo o presbitero. Essere «pastore» (curatore d’anime) e «dottore» (insegnante) erano funzioni ministeriali del conduttore. I conduttori ricevevano l’insegnamento dall’apostolo (missionario fondatore) fintantoché egli era lì sul posto; una volta partito per altri campi missionari, il collegio dei conduttori era l’autorità locale. Quando il missionario tornava occasionalmente in visita (allora viaggiare non era impresa facile), egli non rappresentava l’autorità gerarchica ma il padre spirituale; anche lui poteva essere ripreso se non camminava secondo la Parola (cfr. Gal 2 Paolo con Cefa).

 

GP: È quest’ottica che dobbiamo leggere le lettere di Paolo a Tito e a Timoteo. Sono lettere in cui un apostolo istruiva altri apostoli su come istruire gli anziani che dovevano gestire la chiesa locale in autonomia.

     Fino a qui, la chiesa perfetta. Ma il diavolo come un serpente si vuole infilare, e lo fa istituendo dei falsi apostoli, perché in questo modo formerà dei falsi conduttori. Non si può schiantare via l’apostolato per evitare questo, anzi, i veri apostoli devono denunciare quelli falsi e ristabilire il governo della chiesa.

NM: Tutto accettabile, se per «apostolo vero» s’intende un «missionario fondatore» di chiese e non un autonominato «papetto» che vuole genericamente autorità sui conduttori di chiese che non ha fondato. Non a caso Paolo denunciò tali «falsi apostoli» giudaici e gnostici (2 Cor 11,13ss.22), che presero il potere nella chiesa di Corinto, in cui si profilarono come «sommi apostoli» (v. 5; 12,11) e predicarono un «evangelo diverso». «Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un Evangelo diverso da quello che avete accettato, voi ben lo sopportate!» (2 Cor 11,4).

GP: Terminando, con la mia conclusione precedente volevo farti capire che per il modo in cui ti poni, per il sito, per quello che scrivi... sei anche tu un apostolo, proprio perché affronti il tema del governo della chiesa e perché come professore di scuola biblica contribuisci alla formazione dei conduttori.

NM: Se io sono «apostolo», lo sono particolarmente perché sono stato inviato in Italia come missionario per fondare chiese, a cui tra altre cose mi esercito di partecipare. Un insegnante di scuola biblica non dev’essere per forza un apostolo (può essere un grande esperto della sua materia, ma avere poca dinamica missionaria) né dev’esserlo un gestore di un sito apologetico come il mio. Ammetto che l’apologetica era una delle funzioni ministeriali d’un apostolo, ma non esclusivamente visto che Stefano era un formidabile apologeta pur non essendo apostolo, lo era Saulo ancor prima di diventare apostolo (At 9,22.28s) e Apollo, quando ancora aveva deficit dottrinali (At 18,24-28) e non faceva ancora parte della squadra missionaria di paolo (1 Cor 3,4ss.22; 4,6; 16,12; Tt 3,13). [► A ognuno la sua «missione possibile»; ► L’importanza dell’apologetica]

     Il problema non è tanto svolgere una funzione apostolica, che è inerente alla vocazione che m’è stata riconosciuta e per la quale sono stato inviato in Italia come missionario, sebbene le etichette di per sé mi lasciano indifferente. Il problema è l’uso delle stesse etichette che, estranee al linguaggio proprio italiano (apostolo è un termine greco), viene riempito a proprio piacimento e abusato all’interno di sovrastrutture ideologiche di natura religiosa.

 

GP: Non so come funzioni la chiesa dei fratelli (ne ho frequentata una per un anno dove c’era un unico anziano che attendeva che uno fosse completamente d’accordo con lui per nominarlo anziano a sua volta, ma so che non è ciò che viene insegnato), ma Corrado Salmé si riferisce alle chiese pentecostali, e non c’è bisogno d’essere teologi per capire che ai pastori serve una formazione teologica e che coloro che formano i pastori sono gli apostoli. {29 agosto 2008}

NM: Nelle «chiese dei Fratelli» normalmente c’è un collegio di conduttori a guidare la singola comunità che è indipendente, ma sta in vincoli di fede e comunione con le altre. In esse non è sufficientemente approfondito il legame fra chiesa fondata e missionario fondatore, una volta che questo smette di guidare la chiesa e passa le consegne ai conduttori che riconosce o che fa riconoscere. [► Il rapporto fra missionari e conduttori nell’opera di Dio] Che i pastori pentecostali necessitino di formazione biblica, lo affermano molti di loro stessi. Chi li potrebbe istruire non è un «apostolo» (egli fonda chiese e istruisce i discepoli prima di nominarne alcuni conduttori), ma uno o più «dottori della Parola», ad esempio insegnanti all’interno di corsi biblici. Questa loro funzione ministeriale d’insegnati non li rende «apostoli» né dà loro alcuna autorità gerarchica sui conduttori; è semplicemente la loro funzione ministeriale.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Supervis_apostol_condut2_S&A.htm

01-09-2008; Aggiornamento: 27-09-2008

 

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