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LA «RIFORMA STRUTTURALE» DI CORRADO SALMÉ

Strutture ed etichette ci salveranno?

 

 di Nicola Martella

 

Analisi critica dello scritto «Restaurare la visione apostolica nella chiesa» di Corrado Salmé.

 

 

1.  ENTRIAMO IN TEMA

 

1.1.  IL RETROSCENA: Di là da occasionali contatti epistolari, per altro poco felici per le cose che mi ha scritto a suo tempo, non mi sarei curato particolarmente di Corrado Salmé, se specialmente un conduttore di chiesa non mi avesse inviato un scritto programmatico di questo cantautore e intrattenitore di Catania, chiedendomi espressamente di analizzarlo criticamente. Premetto che l'autore ha certamente pregi e qualità, che lo rendono stimato agli occhi di alcuni di coloro che lo conoscono, ma qui posso solo basarmi su quanto da lui dichiarato a voce e per iscritto.

   Non conosco di vista Corrado Salmé, se non per le cose che lui mi ha scritto, per aver visitato il sito «Giubileo», e per aver visionato in rete vari video, che lo ritraggono (essi mi sono stati segnalati da altri con la preghiera di visionarli), e per aver ricevuto nel tempo spontanee testimonianze antitetiche su di lui da parte di persone che lo conoscono più da vicino. Qui di seguito faccio l’analisi critica del suo libretto «Restaurare la visione apostolica nella chiesa» (2007), che può essere scaricato dal suo sito (pdf).

    Premetto pure che avevo invitato Corrado Salmé a confrontarsi con me sul tema del suo scritto programmatico, mandandogli in anteprima la mia analisi critica del suo scritto. Tra alte cose gli scrivevo: «Prima di renderlo pubblico, ho visto bene avvisarti quale persona coinvolta, per permetterti — se vorrai — di spiegare il tuo punto di vista (se mal capito), per fare inoltre osservazioni e obiezioni ed eventualmente una dichiarazione, il tutto quale base per un ulteriore confronto che può ancora seguire». Egli però, pur rispondendomi (tra il diplomatico e l'ironico), si è sottratto di fatto al confronto e a nulla è servita un’altra mia sollecitazione al riguardo né il dibattito che è seguito dopo la pubblicazione di questo scritto.

     Chiaramente ogni quadro che ci facciamo di una persona, sarà sempre insufficiente; qui però ci interessa soprattutto il suo scritto. Di Salmé ci ha colpito specialmente la sua pretesa di presentarsi come restauratore della chiesa. Ci si può immaginare l'impatto che le sue tesi e asserzioni — presentate in modo assoluto e viscerale, sebbene teologicamente poco fondate — hanno avuto su quanti hanno letto il suo scritto. Sono stati i lettori a raccomandarmi di fare questa analisi critica del suo scritto. In ogni modo, siamo veramente preoccupati di ciò che afferma questo cantautore di Catania, che si è deciso di vestire qui i panni di un novello Lutero, alla cui Riforma egli volentieri paragona la sua quanto a importanza e a impatto che avrà.

 

1.2.  IL SUO SCRITTO: Devo confessare che in uno scritto così relativamente breve ho raramente incontrato tante discrepanze teologiche, basate su mezze verità, vari falsi sillogismi, interpretazioni avventurose della Scrittura, su cui poi egli costruisce il suo progetto di «Restaurazione, riforma, rivoluzione». E tutto ciò non viene basato su una rigorosa esegesi contestuale di chiari brani chiave della Scrittura ma, oltre che sulla indebita versettologia, su applicazioni tratte dalla vita di Isacco!

     Sembra che fosse cosciente che il suo scritto, dissentendo verso l’ecclesiologia tipica delle chiese pentecostali con conduzione monocratica (super-pastore) e presentando se stesso come riformatore, si esponesse a delle conseguenze, poiché «nel momento in cui qualcuno, timidamente, alza la propria voce per dissentire almeno in parte, rischia d’essere tacciato di ribelle, sovversivo e guastafeste, rischiando di ricevere qualche scomunica dalle stanze di potere o, addirittura, qualche anatema che avrà ripercussioni generazionali». Ho dovuto pensare che Corrado Salmé, l’intrattenitore di platee, è conscio del possibile ostracismo e dell'eventuale «martirio», tuttavia vuole fare quindi il riformatore della chiesa.

     Io e altri, leggendo lo scritto, abbiamo avuto l’impressione che esso sia una reazione alle chiese (specialmente pentecostali), «tutte incentrate come sono sulla figura del pastore onnipotente e onnipresente, il quale racchiude gelosamente nelle sue mani qualsivoglia dono e ministero per dispensarlo, poi, ai fedeli “laici” che assistono puntualmente alle sue ieratiche perfomance settimanali, restando passivi nei banchi o sulle sedie», come mi ha scritto qualcuno in merito. Il problema è che, invece di ritornare alle «chiese in casa» e alle riunioni partecipate, si crede che una riforma delle strutture e un ripristino di etichette sarà la soluzione! Ciò creerà però più problemi (falsi apostoli e falsi profeti autonominati) che vere soluzioni per il progresso del Regno di Dio. La storia delle chiese insegna!

 

 

2.  OBIEZIONI ALLE TESI DI BASE: Qui di seguito mi limito a commentare il primo capitolo dello scritto (Restaurazione), ossia le prime 10 pagine dell’originale (su 23 di testo o su 19, se si esclude l’avventuroso 4° punto). Il resto è un ampliamento delle tesi di base: ▪ 2. Riforma; ▪ 3. Rivoluzione; ▪ 4. Riscaviamo i pozzi (un’interpretazione allegorica della vita di Isacco come argomento per la sua tesi!). Se ce ne sarà occasione e bisogno, ci riserviamo di commentare il resto.

     Come tutti gli ideologi, Corrado Salmé vuole un nuovo inizio radicale nella storia della chiesa. Egli si scaglia ripetutamente contro un presunto «spirito di religiosità evangelica», da cui chiede a Dio di liberarci. Egli vuole «cercare quel “di più”» e si ha il sospetto che ciò sia un «oltre a ciò che è scritto» (1 Cor 4,6).

     Afferma perciò che ciò egli che presenta, avviene «senza occhi denominazionali e senza filtri religiosi». Ciò è tipico degli ideologi sprovveduti, e vorrebbe pure che ci crediamo. Leggendo il testo e i ringraziamenti finali, ci si accorge quanto si possa essere poco sinceri addirittura con se stessi; infatti cita autonominati apostoli e profeti e dà le coordinate del suo credo, associandolo a «unti» carismaticisti del tipo di Reinhard Bonnke e Carlos Annacondia. Come confermano coloro che lo conoscono, Corrado Salmé, provenendo dalla chiesa di Liborio Porrello[1], ha abbracciato, poi, buona parte degli insegnamenti di Peter Wagner, che è un esponente di spicco del movimento carismaticista più spinto (fazione neopentecostale e neocarismatica).

     Lui che si richiama a un pensiero biblico, poi lo contraddice esprimendosi a favore del pastorato delle donne, criticando la «impossibilità per una donna d’essere e/o svolgere la funzione pubblica di pastore o ministro in genere». Non ha letto l’ingiunzione di Paolo? «Non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare autorità sull’uomo, ma stia in silenzio» (1 Tm 2,20). Oppure, riguardo al parlare pubblico durante l’assemblea solenne: «Come si fa in tutte le chiese dei santi, si tacciano le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare, ma debbono stare soggette, come dice anche la legge. E se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea» (1 Cor 14,34s; v. 23 «quando dunque tutta la chiesa si raduna insieme», ossia quando le diverse «chiese in casa» si incontravano insieme occasionalmente per momenti di solennità).

     Nella sua «analisi» vede la chiesa imprigionata dalla «religiosità evangelica» e dallo «status quo liturgico». Parla di «coscienze ormai addormentate dall’effetto soporifero della religiosità “evangelica”». Invita a «ritornare alla Parola di Dio e leggerla senza filtri tradizionali o denominazionali», ma lui stesso è il primo a fare il contrario di ciò che dice, contrapponendo la sua sovrastruttura ideologica a quella degli altri. Secondo lui saremmo «completamente fuori dai canoni e dai modelli biblici» e oltretutto ci saremmo «corrotti e accontentati d’una religiosità “evangelica” che ha prodotto uno stallo nella Chiesa». Quindi, Corrado Salmé crede di avere l'infallibilità diagnostica!? Ci si chiede dove fosse lui negli ultimi secoli, quando i missionari hanno portato l’Evangelo in tutto il mondo e, in tutti i continenti, i credenti sono stati vessati, perseguitati e torturati per Cristo. Non sono state le etichette a creare missione né l’avanzamento del Regno di Dio, nonostante le persecuzioni! Corrado Salmé arriva a diagnosticare, abusando della Scrittura: «Oggi la chiesa evangelica ha la forma e l’apparenza della pietà, ma ne ha rinnegato la potenza (2 Timoteo 3,5)». Secondo lui, saremmo addirittura «abituati da secoli a bere da una fonte corrotta». Possiamo dare un respiro di sollievo, perché finalmente è arrivato il grande medico della storia delle chiese, con la sua radiografia oggettiva e la sua ricetta per una guarigione definitiva! Magari a sanarci sarà una cura di musicoterapia!

     La sua visione escatologica, su cui basa molti dei suoi punti, è tipica del postmillenarismo: verso il tempo della fine, la chiesa crescerà sempre di più, raggiungendo la massima espansione e venendo a coincidere col Regno di Dio; all’apice di tale sviluppo di una chiesa imperante, Cristo tornerà per rapire la chiesa. Se si leggono i vari brani escatologici di Gesù e degli apostoli (Mt 24; 2 Ts 2; 1 Tm 4), si ha un quadro ben differente: aumenteranno falsi cristi e falsi profeti, falsi apostoli e operai fraudolenti; gente marchiata a fuoco nella propria coscienza seguirà dottrine «profeticamente» ispirate da demoni; ci sarà una grande disaffezione dalla fede (apostasia). [Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella (a cura di), Escatologia biblica essenziale. Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), gli articoli: «Diverse concezioni escatologiche», pp. 25-28; «Il postmillenarismo», pp. 41-44.]

     Il suo metodo è la tipica versettologia indebita: brani che intendono cose differenti (p.es. At 2,19ss; Ef 4,10-13; 5,27) vengono mischiati insieme tra loro e con altri brani (Es 25,40; 40,33ss) e vengono assoggettati a un intento ideologico che poi verrà assunto come vero e, sebbene sia un falso sillogismo, verrà ripetuto in tutto l’articolo come una dotta acquisizione, su cui poi baserà le altre speculazioni. Ciò che nel NT viene attribuito a Cristo soltanto quale Restauratore al suo ritorno, viene proiettato sui cinque ministeri; questa è una pericolosa ideologia.

     E qual è la soluzione a tutta l’empasse della chiesa attuale? Semplice: restaurare antiche etichette e creare una nuova «casta di unti», pronti ad autonominarsi «apostoli» (non missionari) e «profeti» (non proclamatori)! Con grassetto e sottolineatura nell’originale Salmé afferma: «Abbiamo avuto una Riforma dottrinale con Lutero, ma non abbiamo avuto ancora una Riforma strutturale». Ecco l'immane segreto della grande riforma: non la predicazione dell’Evangelo (o della croce), potenza di Dio (Rm 1,16; 1 Cor 1,18), ma il mutamento delle strutture. Le etichette ci salveranno e aiuteranno a restaurare in meglio la chiesa! Prendiamo atto che un cantautore catanese vuole cambiare il corso dell'intera chiesa mediante una tale «riforma delle strutture» da poterla paragonare alla Riforma protestante!

     Corrado Salmé critica il modello del «ministero pastorale», ossia del conduttore monocratico. Se me lo avesse chiesto, gli avrei detto che la soluzione sarebbe quella di un collegio di conduttori, così com’erano abituate le chiese specialmente giudaiche, ma nulla di tutto ciò: la salvezza verrà dalla restaurazione della «funzione dei cinque ministeri all’interno della Chiesa». Mentre per la Scrittura Gesù è l’antesignano e il compitore della fede (Eb 12,2), lui con salti mortali speculativi afferma che tale funzione è quella «degli apostoli e dei profeti, ma di quelli veri».

     Ciò che Paolo asserì in 1 Corinzi 3,10s per la normale opera di un missionario fondatore, viene assolutizzato e ideologizzato nel senso di una casta che faccia tutt’altro che fondare chiese. Ciò che nelle liste dei ministeri furono presentate come funzioni dell’opera, viene assolutizzato ora (specialmente apostoli e profeti) nel senso di una casta, da cui dipenderebbe l’opera di Dio. È interessante notare che mentre Paolo parlò di apostoli fuori della cerchia dei Dodici, mai chiamò per nome un solo profeta nelle sue epistole (Agabo, profeta giudaico, era sui generis e non sta nelle lettere [► Agabo]); infatti, egli affermava che nella chiesa locale «tutti, uno a uno, potete profetare; affinché tutti imparino e tutti siano consolati» (1 Cor 14,31). «Profetare» significava allora proclamare in modo applicativo ed edificatorio sulla base della lettura comune dell’AT nella comunità. Non è mai scritto che quello profetico fosse un «ministero di fondamento», come suggerisce Corrado Salmé, ma esso era sempre connesso all’edificazione reciproca dei discepoli (1 Cor 14,3ss).

     Non si capisce se dovremmo creare un super-vaticano evangelico con «una chiara conduzione degli apostoli e dei profeti»!? Ecco la ricetta: «Ogni pastore dovrebbe avere un apostolo e un profeta di riferimento su di sé». Quindi, la gerarchia, oltre alle etichette, salverà la chiesa! È probabile che Corrado Salmé conosca poco e niente dell’ecclesiologia del primo secolo. Nel caso normale le comunità erano «chiese in casa», le quali nascevano perché alcuni aprivano le loro case. I responsabili delle diverse «chiese in casa» in un certo luogo, se ce n’erano più di una, formavano un consiglio di conduttori. Ciò che li legava insieme erano legami di comunione, non di potere. A edificare tali chiese erano spesso fratelli con un ministero itinerante, i quali non avevano un potere sulle comunità, ma offrivano un servizio a costo di grandi sacrifici (3 Gv 1,5ss); così fecero anche Paolo e Barnaba: «Torniamo ora a visitare i fratelli in ogni città dove abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno» (At 15,36). Paolo e la sua squadra missionaria eleggevano «per ciascuna chiesa degli anziani» (At 14,23), non apostoli e profeti. Da Mileto non mandò a far chiamare questi ultimi a Efeso, ma «gli anziani della chiesa» (At 20,17). Paolo salutò conduttori e diaconi (Fil 1,1), ma mai apostoli e profeti, da cui i primi avrebbero dovuto dipendere, e questo nemmeno nelle lettere a chiese che lui non aveva fondato (p.es. Roma); così fece anche l’autore dell’epistola agli Ebrei (Eb 13,24). Nelle istruzioni ai suoi stretti collaboratori sul modo di costruire la missione e le chiese, parlò di anziani (o conduttori) e di diaconi (o servitori), ma mai di apostoli e profeti. Se fossero stati una casta superiore, da cui gli altri dovevano dipendere, perché non li menzionò, essendo essi così strategici e fondamentali? Paolo parlò di «anziani che tengono bene la presidenza» (1 Tm 5,17), raccomandò a Tito di costituire «degli anziani per ogni città» (Tt 1,5) e descrisse le precise qualità di conduttori e diaconi (1 Tm 3; Tt 1); perché non lo fece per apostoli e profeti? L’autore dell’epistola agli Ebrei ingiunse ai cristiani giudei quanto segue: «Ricordatevi dei vostri conduttori, i quali v’hanno annunziato la parola di Dio» (Eb 13,7.17); e anche: «Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per le vostre anime». Come si vede, dopo la «fase missionaria», qui ci si trovava già in una «fase normale», in cui le chiese venivano guidate da conduttori, mentre i missionari erano andati altrove (spesso il termine profeta era abbinato ad apostolo e intendeva la stessa persona, avendo nel testo greco del NT un solo articolo). Giacomo non consigliò di chiamare apostoli e profeti, in caso di «debolezza» di un membro, ma «gli anziani della chiesa» (Gcm 5,14). Pietro si presentò come un anziano che esortava altri anziani (1 Pt 5,1) ed esortò i più giovani a essere loro sottomessi (v. 5), non parlò di apostoli né quanto meno di profeti.

     Che l’ecclesiologia di Corrado Salmé sia deficitaria e ideologica, è mostrata dal falso assunto, secondo cui la Chiesa in Gerusalemme sarebbe stata «governata e guidata esclusivamente dagli apostoli». Non credevo che le lacune teologiche arrivassero fino a questo punto per avvalorare una tesi controversa. È il caso di dirgli con un proverbio tedesco: «Ciabattino rimani alle tue suole», o adattandolo: «Musico rimani ai tuoi pifferi»).

     Ecco il quadro che si evince dal NT. All’inizio c’erano certo solo i Dodici (At 2,42), sebbene fossero menzionati specialmente Pietro e Giovanni (At 3ss). A loro furono affiancati «sette uomini» con qualità particolari (At 6; non erano diaconi!), i quali oltre a funzioni di supervisione in specifici ambiti, avevano un ministero di apologeti (Stefano) e di evangelisti (Filippo). Ben presto molti degli apostoli lasciarono Gerusalemme per la missione; lo stesso Pietro fece il predicatore itinerante per certi periodi (At 10) e arrivò fino ad Antiochia (Gal 2). Quando Paolo visitò Gerusalemme, dopo la sua conversione, trovò come colonne della chiesa solo Giacomo (fratello di Gesù), Cefa (Pietro) e Giovanni (Gal 2,9 si noti l’ordine!). Giovanni si trasferì in seguito a Efeso. Pietro visitava le chiese con la moglie, come facevano allora pure «gli altri apostoli e i fratelli del Signore» (1 Cor 9,5). I restanti apostoli associarono a sé anziani nella conduzione e di fatto erano questi ultimi poi a guidare la chiesa di Gerusalemme; quando i discepoli nella diaspora mandarono una colletta ai fratelli della Giudea, Barnaba e di Saulo la consegnarono agli anziani (At 11,30). Giacomo divenne così influente che lo stesso Pietro aveva soggezione di lui e della sua gente (Gal 2,1ss). Durante il Concilio di Gerusalemme tutto avvenne a nome degli apostoli restanti e degli anziani (At 15,2.4.6.22s); dov’erano mai i profeti data l’importanza strategica proiettata in loro? L’ultima parola, quella decisiva, fu proprio di Giacomo, che apostolo non era (At 15,13ss). Paolo e la sua squadra, durante i loro viaggi missionari trasmisero ai discepoli «le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani che erano a Gerusalemme» (At 16,4). Alla fine della sua carriera missionaria, quando Paolo venne a Gerusalemme, trovò qui solo Giacomo e tutti gli altri anziani (At 21,18), e furono loro a consigliare a Paolo sul daffare (v. 21ss). La decisione del Concilio di Gerusalemme (At 15) fu ricordata come la loro (At 21,25); neppure un solo apostolo era più presente in Gerusalemme.

     Corrado Salmé disquisisce se Giacomo fosse pastore della chiesa di Gerusalemme e sovraintendente sugli apostoli, cosa che egli giustamente nega affermando che «non potrebbe mai esserci alcuna superiorità del ministero pastorale all’interno d’un collegio apostolico» (sebbene in At 21 quest’ultimo non esisteva più, ma solo un «collegio di anziani»; v. 18ss). Volendo però tenersi attaccato alla sua tesi ideologica, non riconosce i sostanziali mutamenti, ad esempio: ▪ 1. Secondo Atti 21, la chiesa di Gerusalemme era guidata in modo collegiale da anziani e Giacomo aveva una funzione particolare tra di loro. ▪ 2. Essere apostoli (= missionari fondatori) non costituiva una posizione gerarchica, ma una funzione nel Regno di Dio. ▪ 3. In corrispondenza al loro mandato, ricevuto da parte del Signore, gli apostoli andarono in missione per fondare nuove chiese. ▪ 4. Se all’inizio del suo ministero, Paolo trovò in Gerusalemme «Giacomo, Cefa e Giovanni» (Gal 2), secondo questa sequenza (!), alla fine del suo ministero incontrò lì solo Giacomo e gli altri anziani (At 21,18ss), che formavano l’unico collegio ivi esistente, quello dei conduttori. ▪ 5. Se all’inizio della storia della chiesa di Gerusalemme c’era stato un «collegio di apostoli», essendo l’opera all’inizio, come in ogni campo missionario, le cose mutarono presto, quando tali detentori del «grande mandato» seguirono la loro vocazione di portare l’Evangelo fino agli estremi confini della terra (Mt 28,18ss; At 1,8).

     È chiaro, l’ecclesiologia monocratica, da cui parte Corrado Salmé, è quella odierna delle chiese pentecostali, in cui è stato e sta. Egli combatte, a ragione, contro una concezione monocratica e assolutista della conduzione, tuttavia non oppone a essa una concezione collegiale di conduzione, ma tale proposta confusa di chiese guidate da apostoli e profeti; una cosa del genere non è prevista un 1 Tm 3; Tt 1 e in altri brani sulla conduzione delle chiese locali. Egli parla perciò del «pastore», ma non riesce a capire che nel NT non è un titolo per il conduttore, ma una sua funzione (= cura pastorale); i conduttori, invece, nel NT furono chiamati «anziani» (presbiteri) o «sorveglianti» (episcopi), ma mai «pastori», essendo solo un tipo di funzione ministeriale.

     La cosa singolare è che Corrado Salmé critica il tipo di chiese a conduzione monocratica, tipica delle chiese pentecostali come segue: «Purtroppo ci troviamo davanti allo scenario d’una chiesa evangelica istituzionalizzata e plasmata a immagine e somiglianza d’una chiesa cattolica da sempre criticata dagli stessi evangelici. Da un lato c’è il prete, dall’altro il pastore. Da un lato c’è il vescovo, dall’altro il presidente d’una denominazione…» (grassetto nostro). Gli si potrebbe dare in parte ragione; infatti, oltre alla chiese a conduzione monocratica, esistono anche quelle congregazionaliste a conduzione collegiale. A questo punto, tuttavia, mi sarei aspettato che mostrasse il fatto che le chiese locali al tempo del NT erano autonome, legate solo da vincoli di comunione di fede e di mutuo soccorso e rette localmente ognuna da un consiglio di conduttori, sottomessi gli uni agli altri e al servizio della propria comunità, senza dover rendere conto a una gerarchia sopra di loro. Non esistevano apostoli che avessero un potere sulle chiese locali né sui conduttori, secondo una certa gerarchia. Faccio notare il caso di Saulo da Tarso, allora semplice conduttore della chiesa d’Antiochia, che rimproverò Cefa (Pietro), senza neppure chiamarlo apostolo, quando egli fu da condannare (Gal 2,11); faccio notare anche il caso dell’impotenza di Giovanni nella sua terza epistola (dove neppure usò il termine apostolo), quando pur avendo scritto alla chiesa (!), Diotrefe non voleva ricevere lui e gli altri fratelli (3 Gv 1,9s; è anche un esempio negativo di una conduzione monarchica). E Corrado Salmé, invece di andare alle cose reali del primo secolo, vuole mettere «in discussione tutto il sistema politico (prima di tutto), dottrinale e strutturale della chiesa evangelica in Italia», una «chiesa evangelica istituzionalizzata» sulla scia cattolica e vuole contrapporre a ciò un altro sistema con direttori gerarchici simili a un vaticano, condotto da autonominati apostoli e profeti! Torneremmo quindi ai potentati ecclesiali dei primi secoli della storia delle chiese, aspettando nuovamente che, prima o poi, uno dei patriarchi si autonomini superiore agli altri e speciale vicario di Cristo! Ma Salmé non ha letto la storia delle chiese?

     Se, come afferma Corrado Salmé, «l’impostazione del governo di chiesa basata sul pastore non è biblica», la sua soluzione è la seguente: «gli apostoli e i profeti sono vivi e vegeti nel Corpo di Cristo e devono riprendere in mano le fila d’una Chiesa che sta andando alla deriva». Se nel primo secolo gli apostoli lasciarono le chiese per andare in missione (At 13,1ss), ora si vuole che sedicenti autonominati apostoli (e profeti), invece di andare in missione, prendano le redini delle chiese e formino direttori (e dittature) territoriali e universali!? Sarebbe questo il «fondamento… di tipo apostolico / profetico», il «modello biblico» suggerito dal neo riformatore?

     Corrado Salmé contesta a ragione «il mito del super-pastore», poiché esso porta «alla beatificazione e alla divinizzazione del ministero pastorale». La sua alternativa non è però quella riconoscibile dalle epistole del NT, ossia un collegio di conduttori, ma il pastore deve trovarsi «in mezzo ad altri quattro ministeri che lavorano insieme per portare edificazione ed equilibrio, con la chiara conduzione degli apostoli e dei profeti». Strano che di una cosa del genere Paolo non ne avesse parlato in 1 Tm 3 e in Tt 1; che sia stato così sbadato e superficiale?

     Chiaramente alla base c’è una concezione errata di che cosa debba essere un «apostolo» e un «profeta»; questo è dato dal fatto che nelle nostre Bibbie tali concetti sono stati semplicemente adattati all’italiano, invece di essere tradotti, alimentando così vari favoleggiamenti e speculazioni. La colpa è della Vulgata, che traslitterò il greco apóstolos con «apostolus» e il greco profētēs con «propheta», sebbene i termini greci significassero semplicemente «mandato (in missione)» e «proclamatore». Il verbo corrispondente di apóstolos era apostéllō e significava «inviare, mandare (in missione)»; e non a caso proprio dal corrispondente verbo latino missio derivano in italiano i sostantivi «missione» e «missionario».

     Un apóstolos era letteralmente un «mandato, delegato» con un incarico o missione e designava nel NT coloro che Gesù mandò nel mondo col grande mandato missionario. Quando nacque l’opera a Gerusalemme, gli apostoli rimasero lì solo per il tempo strettamente necessario per dare stabilità alla chiesa, poi l’uno dopo l’altro andarono in missione.

     Nella concezione di Corrado Salmé apostoli e pastori convivono e i primi non si occupano per nulla esclusivamente di nuove zone da raggiungere con l’Evangelo, ma solo d’altro nelle stesse zone in cui si trovano già le chiese. E qui sta il punto in cui avviene la distorsione del pensiero di Salmé. Nella contrapposizione con il pastore (non esce dalla conduzione monocratica!), giustamente egli afferma: «L’apostolo, avendo una visione più larga e più globale riguardante il territorio, cercherà il modo per stabilire il Regno di Dio in esso attraverso l’attivazione dei doni ministeriali e dei talenti che il Signore ha dato alla Chiesa». E ancora: «L’apostolo mira alla scoperta, all’equipaggiamento e al rilascio dei ministeri, proprio perché la sua visione non è ristretta al gregge ma alla conquista della città e della nazione». Salmé non intende qui i «missionari fondatori», ma una specie di sovrintendenti territoriali e nazionali, che dirigono i pastori e il resto dell’opera. Queste erano le ambizioni dei patriarchi ecclesiali nei primi secoli della chiesa, ma non quelle degli apostoli del primo secolo. Mi chiedo quanto di quello che Salmé afferma sia sulla stessa lunghezza d'onda del «G12» (Governo dei 12), propagato in Italia da Liborio Porrello, dalla cui chiesa egli proviene.

    Nel NT troviamo una realtà completamente diversa. Paolo e la sua squadra missionaria, dopo aver riconosciuto i doni nelle comunità appena fondate, eleggevano i conduttori e andavano oltre! (At 14,22ss). Paolo con la sua squadra aveva «predicato dovunque l’Evangelo di Cristo», ossia «da Gerusalemme e dai luoghi intorno fino all’Illiria» (= la fascia costiera orientale del Mare Adriatico, specialmente l’attuale Albania), e aveva «l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato, per non edificare sul fondamento altrui», ossia senza sconfinare nei luoghi dove c’erano già altre squadre missionarie (Rm 15,19s). E passando per Roma, dove intendeva trovare aiuto e sostegno, voleva recarsi in Spagna (vv. 22s), dove il campo era allora ancora vergine. I moderni autonominati apostoli, lungi dal voler fondare nuove chiese, vogliono ricoprire la funzione di sovrintendenti territoriali, nazionali, sì universali, all'interno di patriarcati e potentati ecclesiali, come vescovi-conti e piccoli papi, pretendendo un’autorità su chiese che non hanno fondato e su persone che non hanno portato alla fede; proprio come successe a Corinto con i superapostoli giudaici! (2 Cor 11,5.13.22; 12,11). Essi sono i moderni Nicolaiti o «dominatori di popolo» (Ap 2,6.15), unti e guru religiosi rivisitati in senso cristiano.

     Infatti l’idea di Corrado Salmé dell’apostolo è quella di un generale supremo che guida i soldati alla battaglia e al sangue: «L’apostolo guarda ai credenti come un esercito da mandare sulla linea del fronte per conquistare nuovi territori… L’apostolo guida l’esercito nel campo di battaglia… L’apostolo, come un generale, vede nelle ferite del soldato un motivo d’onore incoraggiandolo ad andare avanti fino alla fine». In che film ha visto tutto ciò il riformatore nostrano, visto che ciò non risulta dalla lettura del NT?

     Nel primo secolo erano gli apostoli, in quanto missionari, ad andare avanti con la loro squadra, lasciandosi dietro le chiese fondate. Al tempo del NT non esistevano generali e soldati, ma fratelli in Cristo. Né Paolo, né Barnaba, né alcuno degli apostoli si era mai presentato così. Essi stessi si paragonarono a soldati (1 Cor 9,6s) e consigliarono a ogni loro collaboratore di essere «un buon soldato di Cristo Gesù» (2 Tm 2,3s), così come essi stessi lo erano, e di combattere «il buon combattimento della fede» (1 Tm 6,12), così come essi stessi avevano fatto (2 Tm 4,7), dietro all’unico Generale, Cristo. Paolo era la persona più matura nella sua squadra missionaria, tutto qui. Il lavoro di Paolo e di altri missionari fondatori del NT, quando non erano perseguitati, era spesso solitario e inappariscente, altro che generali ed eserciti!

     È vero che Corrado Salmé scrive: «L’apostolo, non appena aperta una comunità, cerca di scoprire dove poterne aprire un’altra». Ma egli per «apostolo» non intende semplicemente un «missionario fondatore», ma una specie di superispettore territoriale. Infatti egli parla del ministero dell’apostolo e di quello del pastore come di un «lavorare fianco a fianco nell’opera del Signore»; come abbiamo visto, egli intende però che la conduzione dell’opera sia in mano agli apostoli, che per lui non sono semplici missionari fondatori. Paolo non comunicò ai Corinzi l’ambizione di fare da superispettore su tutti i conduttori in quella zona, ma di «poter evangelizzare anche i paesi che sono al di là del vostro, e da non gloriarci, entrando nel campo altrui, di cose bell’e preparate» (2 Cor 10,16).

     Egli afferma giustamente: «Non esiste nella Bibbia la qualifica di Pastore Senior o Vice-Pastore, Pastore Associato o Pastore dei giovani»; ma si sbaglia relativamente al «missionario».

     Egli attribuisce a Dio ciò che egli stesso vorrebbe fare: ossia «trasformare le nostre comunità in Centri Apostolici Missionari». Si noti l’inutile raddoppio «apostolico» e «missionario», ma per Corrado Salmé è programma, poiché — contrariamente all’etimologia e all’uso nei secoli — i due termini non si corrisponderebbero. Secondo lui, almeno fino a Atti 13,1 nella chiesa d’Antiochia non ci sarebbero stati «pastori», ma «solo profeti e dottori»; faccio notare che i pastori monocratici sono un’invenzione relativamente moderna, ma le guide di tale chiesa, ossia i conduttori, erano parimenti profeti e dottori, ossia proclamatori (edificazione) e insegnanti (istruzione)! Poi viene la tesi forte: «Paolo e Barnaba… non furono mandati dallo Spirito Santo come missionari, ma come apostoli». Detto in greco tale frase risuona alla fine incomprensibile, poiché ritradotta in italiano sarebbe: «non… come missionari, ma come missionari». Ma, come detto, l’arbitrio ideologico di Salmé lo porta a fare improbabili distinzioni! Perciò continua: «Quello che fecero non fu un lavoro missionario, ma un lavoro apostolico senza precedenti…». E su questa base continua ad allineare l'uno all'altro spropositi teologici e storici.

     Egli vorrebbe abrogare il seguente modello dalla nostra nazione: «Il modello della Chiesa evangelica in Italia, per la maggior parte dei casi, è rappresentato da piccoli assembramenti di persone che tentano disperatamente di resistere all’interno delle proprie comunità contro gli attacchi del diavolo, sperando nell’imminente ritorno di Gesù» (grassetto nostro). Faccio presente che, se si va al NT, questo era proprio il modello ricorrente e vincente: erano perlopiù «chiese in casa», unite fra loro da vincoli di comunione e di fede. E tale è stata la condizione delle chiese durante il corso della storia e lo è tuttora nei paesi dove ci sono le dittature ideologiche. Non sono state le grandi denominazioni a resistere, né lo sarà la favolosa «riforma strutturale» propagata da Salmé con funzionari apostolici territoriali ed etichette varie.

     Si azzarda a parlare in modo generico delle migliaia di comunità  — che non conosce e che sono state tirate su certamente con tanti sacrifici — in questo modo poco dignitoso: «Le nostre comunità devono essere liberate da quella forma di settarismo, che a volte puzza di mafia o addirittura di massoneria, dove viene deciso e fatto sempre tutto all’interno di certe organizzazioni, dove solo coloro che ne fanno parte hanno l’autorità di decidere il “chi”, il “cosa” e il “quando”» (grassetto nostro). È così egli che parla delle chiese pentecostali, in cui è stato e sta, e di quelle di altre denominazioni? O è invidioso di non far parte dei comitati decisionali? Ah, è vero, in tali comitati ci dovrebbero entrare anche gli autonominati apostoli e profeti e forse lui stesso!? Tutto ciò mi ricorda la famosa «rivoluzione» di Kore, Datan, Abiram e accoliti contro Mosè ed Aaronne (Nu 16); sappiamo come andò a finire.

     In che specie di chiese vive Corrado Salmé, visto che scrive: «Siamo così impegnati a farci guerra gli uni gli altri, a stare attenti gli uni verso gli altri, a essere sospettosi gli uni degli altri, che non ci rendiamo conto che stiamo utilizzando le armi che Dio ci ha dato, per farci guerra, invece d’usarle per fare guerra al nemico delle nostre anime», e cose simili. E lui che si pone come uno contro tutti, dando pagelle pesanti a destra e a manca, che cosa sta facendo? La soluzione a tale empasse sarà quindi proprio la «riforma strutturale» e l’introduzione di etichette per autonominati apostoli e profeti!? Magari arriveremo presto anche a un superapostolo e megaprofeta carismaticista, una specie di papa evangelico molto «unto», sul tipo di Peter Wagner, Benny Hinn, Yonggi Cho o Reinhard Bonnke.

     Chi ha rivelato a Corrado Salmé che «Gesù non tornerà se prima non ci sarà la Restaurazione di tutte le cose», ossia prima della sua «restaurazione strutturale»? Se nessuno sa i tempi e i momenti (Mt 24,36), come può saperli lui? Se l’unico risveglio preannunciato per la fine dei tempi è quello occulto, esoterico e pseudo-profetico (1 Tm 4,1ss; 2 Ts 2), chi autorizza Salmé a dire il contrario? Gesù chiedeva: «Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà egli la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Il quadro predizionale tracciato da Gesù (Mt 24) ne fa dubitare; l’Evangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo quale testimonianza alle genti (v. 14), ma ciò sarà accompagnato, costantemente e specialmente verso la fine, da molti falsi profeti che sedurranno molti (v. 11), da tribolazioni, scandali e da odio (vv. 9s), dalla moltiplicazione dell’iniquità e dal raffreddamento dell’amore (v. 12). Sarà tutto come prima del diluvio (vv. 37ss). La restaurazione di tutte le cose ci sarà solo all’avvento del Messia e sarà Lui a produrla, per poi culminare in nuovi cieli e nuova terra. Infatti è scritto di Gesù, che «il cielo [lo] deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose» (At 3,21) e tali «tempi della restaurazione di tutte le cose» sono quelli finali (non quelli che possono produrre gli uomini prima dell’avvento del Signore) e coincidono con l’instaurazione del regno politico del Messia (Am 9,11; At 15,16).

     Quindi non bisogna aspettarsi attualmente, come suggerisce Corrado Salmé, «un cambiamento determinante a livello dottrinale e strutturale senza precedenti dopo la Riforma luterana» (grassetto nostro). Questa è però l'ambizione che vuol portare avanti il novello Lutero. Fantasie spiritualiste, mistiche e gnostiche sono sempre sorte nella storia da autonominati riformatori, per attestare che il momento allora attuale sarebbe stato quello culmine dell'intera storia; si pensi a idee simili, ad esempio a quelle di Gioacchino da Fiore nel 13° secolo e dei Vetero-Avventisti nel 19° secolo. [Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso. Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), l’articolo: «Nel Medioevo», pp. 54-66 (Gioacchino da Fiore, pp. 58-62; «Dall’Illuminismo alla “gran delusione”», pp. 90-100; «Dall’avventismo al geovismo», pp. 108-113.]

     Rimane da chiedersi da dove Corrado Salmé abbia attinto tutto ciò, visto che non lo dice. Aspettiamo che ce lo spieghi egli stesso. Egli presenta tutto ciò come farina del suo sacco e se stesso come caposcuola della riforma che restaurerà tutte le cose.

    Intanto con la sua cosiddetta «riforma strutturale» e col disseppellimento di antiche etichette, non vorremmo che Corrado Salmé e i suoi compagni di via assomigliassero a quel medico che, usando metodi così rivoluzionari, dovette scrivere infine nella cartella clinica: «Il paziente è guarito, ma purtroppo è morto». Speriamo che almeno le chiese avranno abbastanza anticorpi per sopravvivere all’ennesima infezione di un «virus restauratore».

 

Le idee espresse da Corrado Salmé si ritrovano anche in un video sulla «1a Conferenza Profetica» (4-6 maggio 2007 – Alghero, Sassari). In tale video egli venne intervistato ed espresse idee simili al suo scritto. A lui seguirono poi Lorenzo Lippi (comunione con lo Spirito Santo, anche a discapito della conoscenza biblica!) [► link], Paolo Montecchi (la trasformazione avverrà solo se ci sarà la «pienezza della rivelazione» che nuovi apostoli e profeti renderanno possibile!) e Anne Griffith (Dio avrebbe fatto in pochissimo tempo cose straordinarie in Italia; ma chi le ha viste?).

 

Strutture ed etichette salveranno la chiesa? Parliamone 1 {Nicola Martella}(T)

Strutture ed etichette salveranno la chiesa? Parliamone 2 {Nicola Martella} (T)

 

Per gli altri dettagli scritturali rimando ai seguenti articoli:

Profeta con nome nel NT

Profeti nel Nuovo Testamento

Profeti del nuovo patto

Profezia e profetare nel NT

Profeti falsi nell'Antico Testamento

 

Per ulteriori approfondimenti della discussione si vedano i seguenti scritti:

Corrado Salmé e la riforma strutturale delle chiese {Nicola Martella} (A)

Effetto Salmé: una faccenda di famiglia? {Nicola Martella} (T)

Mali ecclesiali e soluzioni strutturali {Eliseo Paterniti - Nicola Martella} (A/T)

Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa? 1 {G. Cappellini - N. Martella} (T/A)

Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa? 2 {G. Cappellini - N. Martella} (T/A)

 

 

[1]. Su Liborio Porrello, propagatore in Italia del modello «G12» (Governo dei 12) e della commistione fra religione e politica, si veda in un video la «testimonianza» idolatra di Claudia Koll verso un’immagine di Gesù, un «altro Cristo», e l’analisi positiva e sconcertante che lui fa dell’attrice e della sua «testimonianza» nella sua chiesa. Non è questo mancanza di discernimento, quando ci si rivolge in questo modo a una persona così palesemente idolatra, trattandola come fosse una servitrice del Signore? Claudia Koll afferma infatti che pregare a una certa immagine di Gesù, rivelata da una mistica (suor Faustina Kovalski), sia meritevole di grandi grazie e farlo in un giorno specifico (la domenica successiva alla pasqua) porti l’indulgenza plenaria! Questo è un «evangelo diverso»! (Gal 1,6-9). [► Claudia Koll convertita, ma a chi?]

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Strutture_etichette_salva_MeG.htm

16-08-2008; Aggiornamento: 21-05-2011

 

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