Analisi critica dello scritto «Restaurare la visione
apostolica nella chiesa» di Corrado Salmé.
1. ENTRIAMO IN TEMA
1.1. IL
RETROSCENA: Di là da occasionali contatti epistolari, per altro poco
felici per le cose che mi ha scritto a suo tempo, non mi sarei curato
particolarmente di Corrado Salmé, se specialmente un conduttore di chiesa non mi
avesse inviato un scritto programmatico di questo cantautore e intrattenitore di
Catania, chiedendomi espressamente di analizzarlo criticamente. Premetto che
l'autore ha certamente pregi e qualità, che lo rendono stimato agli occhi di
alcuni di coloro che lo conoscono, ma qui posso solo basarmi su quanto da lui
dichiarato a voce e per iscritto.
Non conosco di vista Corrado Salmé, se non per le cose che lui mi ha scritto, per
aver visitato il sito «Giubileo», e per aver visionato in rete vari video, che
lo ritraggono (essi mi sono stati segnalati da altri con la preghiera di
visionarli), e per aver ricevuto nel tempo spontanee testimonianze antitetiche
su di lui da parte di persone che lo conoscono più da vicino. Qui di seguito
faccio l’analisi critica del suo libretto «Restaurare la visione apostolica nella chiesa» (2007), che può
essere scaricato dal suo
sito (pdf).
Premetto pure che avevo invitato Corrado Salmé a confrontarsi con me sul
tema del suo scritto programmatico, mandandogli in anteprima la mia
analisi critica del suo scritto. Tra alte cose gli scrivevo: «Prima di renderlo
pubblico, ho visto bene avvisarti quale persona coinvolta, per permetterti — se
vorrai — di spiegare il tuo punto di vista (se mal capito), per fare inoltre
osservazioni e obiezioni ed eventualmente una dichiarazione, il tutto quale base
per un ulteriore confronto che può ancora seguire». Egli però, pur rispondendomi
(tra il diplomatico e l'ironico), si è sottratto di fatto al confronto e a nulla
è servita un’altra mia sollecitazione al riguardo né il dibattito che è seguito
dopo la pubblicazione di questo scritto.
Chiaramente ogni quadro che ci facciamo di una persona, sarà sempre
insufficiente; qui però ci interessa soprattutto il suo scritto.
Di Salmé ci ha colpito specialmente la sua
pretesa di presentarsi come restauratore della chiesa. Ci si può
immaginare l'impatto che le sue tesi e asserzioni — presentate in modo assoluto
e viscerale, sebbene teologicamente poco fondate — hanno avuto su quanti hanno
letto il suo scritto. Sono stati i lettori a raccomandarmi di fare questa
analisi critica del suo scritto. In ogni modo, siamo veramente preoccupati di
ciò che afferma questo cantautore di Catania, che si è deciso di vestire qui i
panni di un novello Lutero, alla cui Riforma egli volentieri paragona la sua
quanto a importanza e a impatto che avrà.
1.2. IL
SUO SCRITTO: Devo confessare che in uno scritto così relativamente breve
ho raramente incontrato tante discrepanze teologiche, basate su mezze
verità, vari falsi sillogismi, interpretazioni avventurose della Scrittura, su
cui poi egli costruisce il suo progetto di «Restaurazione, riforma,
rivoluzione». E tutto ciò non viene basato su una rigorosa esegesi contestuale
di chiari brani chiave della Scrittura ma, oltre che sulla indebita
versettologia, su applicazioni tratte dalla vita di Isacco!
Sembra che fosse cosciente che il suo scritto, dissentendo verso l’ecclesiologia
tipica delle chiese pentecostali con conduzione monocratica (super-pastore) e
presentando se stesso come riformatore, si esponesse a delle conseguenze, poiché
«nel momento in cui qualcuno, timidamente, alza la propria voce per dissentire
almeno in parte, rischia d’essere tacciato di ribelle, sovversivo e guastafeste,
rischiando di ricevere qualche scomunica dalle stanze di potere o, addirittura,
qualche anatema che avrà ripercussioni generazionali». Ho dovuto pensare che
Corrado Salmé, l’intrattenitore di platee, è conscio del possibile ostracismo e
dell'eventuale «martirio», tuttavia vuole fare quindi il riformatore della
chiesa.
Io e altri, leggendo lo scritto, abbiamo avuto l’impressione che esso sia una
reazione alle chiese (specialmente pentecostali), «tutte
incentrate come sono sulla figura del pastore onnipotente e onnipresente,
il quale racchiude gelosamente nelle sue mani qualsivoglia dono e ministero per
dispensarlo, poi, ai fedeli “laici” che assistono puntualmente alle sue
ieratiche perfomance settimanali, restando
passivi nei banchi o sulle sedie», come mi ha scritto qualcuno in merito. Il
problema è che, invece di ritornare alle «chiese in casa» e alle riunioni
partecipate, si crede che una riforma delle strutture e un ripristino di
etichette sarà la soluzione! Ciò creerà però più problemi (falsi apostoli e
falsi profeti autonominati) che vere soluzioni per il progresso del Regno di
Dio. La storia delle chiese insegna!
2. OBIEZIONI ALLE TESI DI BASE: Qui di
seguito mi limito a commentare il primo capitolo dello scritto (Restaurazione),
ossia le prime 10 pagine dell’originale (su 23 di testo o su 19, se si esclude
l’avventuroso 4° punto). Il resto è un ampliamento delle tesi di base: ▪ 2.
Riforma; ▪ 3. Rivoluzione; ▪ 4. Riscaviamo i pozzi (un’interpretazione
allegorica della vita di Isacco come argomento per la sua tesi!). Se ce ne sarà
occasione e bisogno, ci riserviamo di commentare il resto.
Come tutti gli ideologi, Corrado Salmé vuole un nuovo inizio radicale
nella storia della chiesa. Egli si scaglia ripetutamente contro un presunto
«spirito di religiosità evangelica», da cui chiede a Dio di liberarci. Egli
vuole «cercare quel “di più”» e si ha il sospetto che ciò sia un «oltre a ciò
che è scritto» (1 Cor 4,6).
Afferma perciò che ciò egli che presenta, avviene «senza occhi
denominazionali e senza filtri religiosi». Ciò è tipico degli ideologi
sprovveduti, e vorrebbe pure che ci crediamo. Leggendo il testo e i
ringraziamenti finali, ci si accorge quanto si possa essere poco sinceri
addirittura con se stessi; infatti cita autonominati apostoli e profeti e dà le
coordinate del suo credo, associandolo a «unti» carismaticisti del tipo di
Reinhard Bonnke e Carlos Annacondia. Come confermano coloro che lo conoscono,
Corrado Salmé, provenendo dalla chiesa di Liborio
Porrello,
ha abbracciato, poi, buona parte degli insegnamenti di Peter Wagner, che è un
esponente di spicco del movimento carismaticista più spinto (fazione
neopentecostale e neocarismatica).
Lui che si richiama a un pensiero biblico, poi lo contraddice esprimendosi a
favore del
pastorato delle donne, criticando la «impossibilità per una donna d’essere
e/o svolgere la funzione pubblica di pastore o ministro in genere». Non ha letto
l’ingiunzione di Paolo? «Non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare
autorità sull’uomo, ma stia in silenzio» (1 Tm 2,20). Oppure, riguardo al
parlare pubblico durante l’assemblea solenne: «Come si fa in tutte le chiese
dei santi, si tacciano le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di
parlare, ma debbono stare soggette, come dice anche la legge. E se vogliono
imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è cosa indecorosa
per una donna parlare in assemblea» (1 Cor 14,34s; v. 23 «quando dunque
tutta la chiesa si raduna insieme», ossia quando le diverse «chiese in casa»
si incontravano insieme occasionalmente per momenti di solennità).
Nella sua «analisi» vede la chiesa imprigionata dalla «religiosità evangelica»
e dallo «status quo liturgico». Parla di «coscienze ormai addormentate
dall’effetto soporifero della religiosità “evangelica”». Invita a «ritornare
alla Parola di Dio e leggerla senza filtri tradizionali o denominazionali», ma
lui stesso è il primo a fare il contrario di ciò che dice, contrapponendo la sua
sovrastruttura ideologica a quella degli altri. Secondo lui saremmo «completamente
fuori dai canoni e dai modelli biblici» e oltretutto ci saremmo «corrotti
e accontentati d’una religiosità “evangelica” che ha prodotto uno stallo nella
Chiesa». Quindi, Corrado Salmé crede di avere l'infallibilità diagnostica!? Ci
si chiede dove fosse lui negli ultimi secoli, quando i missionari hanno portato
l’Evangelo in tutto il mondo e, in tutti i continenti, i credenti sono stati
vessati, perseguitati e torturati per Cristo. Non sono state le etichette a
creare missione né l’avanzamento del Regno di Dio, nonostante le persecuzioni!
Corrado Salmé arriva a diagnosticare, abusando della Scrittura: «Oggi la chiesa
evangelica ha la forma e l’apparenza della pietà, ma ne ha rinnegato la potenza
(2 Timoteo 3,5)». Secondo lui, saremmo addirittura «abituati da secoli a bere da
una fonte corrotta». Possiamo dare un respiro di sollievo, perché
finalmente è arrivato il grande medico della storia delle chiese, con la sua
radiografia oggettiva e la sua ricetta per una guarigione definitiva! Magari a
sanarci sarà una cura di musicoterapia!
La sua visione
escatologica, su cui basa molti dei suoi punti, è tipica del
postmillenarismo: verso il tempo della fine, la chiesa crescerà sempre di più,
raggiungendo la massima espansione e venendo a coincidere col Regno di Dio;
all’apice di tale sviluppo di una chiesa imperante, Cristo tornerà per rapire la
chiesa. Se si leggono i vari brani escatologici di Gesù e degli apostoli (Mt 24;
2 Ts 2; 1 Tm 4), si ha un quadro ben differente: aumenteranno falsi cristi e
falsi profeti, falsi apostoli e operai fraudolenti; gente marchiata a fuoco
nella propria coscienza seguirà dottrine «profeticamente» ispirate da demoni; ci
sarà una grande disaffezione dalla fede (apostasia). [Per l’approfondimento si
veda in Nicola Martella (a cura di), Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), gli articoli: «Diverse concezioni escatologiche», pp. 25-28; «Il
postmillenarismo», pp. 41-44.]
Il suo metodo è la tipica versettologia indebita: brani che intendono
cose differenti (p.es. At 2,19ss; Ef 4,10-13; 5,27) vengono mischiati insieme
tra loro e con altri brani (Es 25,40; 40,33ss) e vengono assoggettati a un
intento ideologico che poi verrà assunto come vero e, sebbene sia un falso
sillogismo, verrà ripetuto in tutto l’articolo come una dotta acquisizione, su
cui poi baserà le altre speculazioni. Ciò che nel NT viene attribuito a Cristo
soltanto quale Restauratore al suo ritorno, viene proiettato sui cinque
ministeri; questa è una pericolosa ideologia.
E qual è la soluzione a tutta l’empasse della chiesa attuale? Semplice:
restaurare antiche etichette e creare una nuova «casta di unti», pronti ad
autonominarsi «apostoli» (non missionari) e «profeti» (non proclamatori)! Con
grassetto e sottolineatura nell’originale Salmé afferma: «Abbiamo avuto
una Riforma dottrinale con Lutero, ma non abbiamo avuto ancora una Riforma
strutturale». Ecco l'immane segreto della grande riforma: non la
predicazione dell’Evangelo (o della croce), potenza di Dio (Rm 1,16; 1 Cor
1,18), ma il mutamento delle strutture. Le etichette ci salveranno e aiuteranno
a restaurare in meglio la chiesa! Prendiamo atto che un cantautore catanese
vuole cambiare il corso dell'intera chiesa mediante una tale «riforma delle
strutture» da poterla paragonare alla Riforma protestante!
Corrado Salmé critica il modello del «ministero pastorale», ossia del
conduttore monocratico. Se me lo avesse chiesto, gli avrei detto che la
soluzione sarebbe quella di un collegio di conduttori, così com’erano
abituate le chiese specialmente giudaiche, ma nulla di tutto ciò: la salvezza
verrà dalla restaurazione della «funzione dei cinque ministeri all’interno della
Chiesa». Mentre per la Scrittura Gesù è l’antesignano e il compitore della fede
(Eb 12,2), lui con salti mortali speculativi afferma che tale funzione è quella
«degli apostoli e dei profeti, ma di quelli veri».
Ciò che Paolo asserì in 1 Corinzi 3,10s per la normale opera di un
missionario fondatore, viene assolutizzato e ideologizzato nel senso di una
casta che faccia tutt’altro che fondare chiese. Ciò che nelle liste dei
ministeri furono presentate come funzioni dell’opera, viene assolutizzato ora
(specialmente apostoli e profeti) nel senso di una casta, da cui dipenderebbe
l’opera di Dio. È interessante notare che mentre Paolo parlò di apostoli fuori
della cerchia dei Dodici, mai chiamò per nome un solo profeta nelle sue epistole
(Agabo, profeta giudaico, era sui generis e non sta nelle lettere [►
Agabo]); infatti, egli affermava che nella chiesa locale «tutti, uno a uno, potete profetare;
affinché tutti imparino e tutti siano consolati» (1 Cor 14,31). «Profetare»
significava allora proclamare in modo applicativo ed edificatorio sulla
base della lettura comune dell’AT nella comunità. Non è mai scritto che quello
profetico fosse un «ministero di fondamento», come suggerisce Corrado Salmé, ma
esso era sempre connesso all’edificazione reciproca dei discepoli (1 Cor
14,3ss).
Non si capisce se dovremmo creare un super-vaticano evangelico con «una chiara
conduzione degli apostoli e dei profeti»!? Ecco la ricetta: «Ogni pastore
dovrebbe avere un apostolo e un profeta di riferimento su di sé». Quindi, la
gerarchia, oltre alle etichette, salverà la chiesa! È probabile che Corrado
Salmé conosca poco e niente dell’ecclesiologia del primo secolo. Nel caso
normale le comunità erano «chiese in casa», le quali nascevano perché alcuni
aprivano le loro case. I responsabili delle diverse «chiese in casa» in un certo
luogo, se ce n’erano più di una, formavano un consiglio di conduttori. Ciò che
li legava insieme erano legami di comunione, non di potere. A edificare tali
chiese erano spesso fratelli con un ministero itinerante, i quali non avevano un
potere sulle comunità, ma offrivano un servizio a costo di grandi
sacrifici (3 Gv 1,5ss); così fecero anche Paolo e Barnaba: «Torniamo ora a
visitare
i fratelli in ogni città dove
abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno» (At
15,36). Paolo e la sua squadra missionaria eleggevano «per ciascuna chiesa
degli anziani» (At 14,23), non apostoli e profeti. Da Mileto non mandò a far
chiamare questi ultimi a Efeso, ma «gli anziani della chiesa» (At 20,17).
Paolo salutò conduttori e diaconi (Fil 1,1), ma mai apostoli e profeti, da cui i
primi avrebbero dovuto dipendere, e questo nemmeno nelle lettere a chiese che
lui non aveva fondato (p.es. Roma); così fece anche l’autore dell’epistola agli
Ebrei (Eb 13,24). Nelle istruzioni ai suoi stretti collaboratori sul modo di
costruire la missione e le chiese, parlò di anziani (o conduttori) e di diaconi
(o servitori), ma mai di apostoli e profeti. Se fossero stati una casta
superiore, da cui gli altri dovevano dipendere, perché non li menzionò, essendo
essi così strategici e fondamentali? Paolo parlò di «anziani che tengono bene
la presidenza» (1 Tm 5,17), raccomandò a Tito di costituire «degli
anziani per ogni città» (Tt 1,5) e descrisse le precise qualità di
conduttori e diaconi (1 Tm 3; Tt 1); perché non lo fece per apostoli e profeti?
L’autore dell’epistola agli Ebrei ingiunse ai cristiani giudei quanto segue: «Ricordatevi
dei vostri conduttori, i quali v’hanno annunziato la parola di Dio» (Eb
13,7.17); e anche: «Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro,
perché essi vegliano per le vostre anime». Come si vede, dopo la «fase
missionaria», qui ci si trovava già in una «fase normale», in cui le chiese
venivano guidate da conduttori, mentre i missionari erano andati altrove (spesso
il termine profeta era abbinato ad apostolo e intendeva la stessa persona,
avendo nel testo greco del NT un solo articolo). Giacomo non consigliò di
chiamare apostoli e profeti, in caso di «debolezza» di un membro, ma «gli
anziani della chiesa» (Gcm 5,14). Pietro si presentò come un anziano che
esortava altri anziani (1 Pt 5,1) ed esortò i più giovani a essere loro
sottomessi (v. 5), non parlò di apostoli né quanto meno di profeti.
Che l’ecclesiologia di Corrado Salmé sia deficitaria e ideologica, è mostrata
dal falso assunto, secondo cui la Chiesa in Gerusalemme sarebbe stata
«governata e guidata esclusivamente dagli apostoli». Non credevo che le lacune
teologiche arrivassero fino a questo punto per avvalorare una tesi controversa.
È il caso di dirgli con un proverbio tedesco: «Ciabattino rimani alle tue
suole», o adattandolo: «Musico rimani ai tuoi pifferi»).
Ecco il quadro che si evince dal NT. All’inizio c’erano certo solo i Dodici (At
2,42), sebbene fossero menzionati specialmente Pietro e Giovanni (At 3ss). A
loro furono affiancati «sette uomini» con qualità particolari (At 6; non erano
diaconi!), i quali oltre a funzioni di supervisione in specifici ambiti, avevano
un ministero di apologeti (Stefano) e di evangelisti (Filippo). Ben presto molti
degli apostoli lasciarono Gerusalemme per la missione; lo stesso Pietro fece il
predicatore itinerante per certi periodi (At 10) e arrivò fino ad Antiochia (Gal
2). Quando Paolo visitò Gerusalemme, dopo la sua conversione, trovò come colonne
della chiesa solo Giacomo (fratello di Gesù), Cefa (Pietro) e Giovanni (Gal 2,9
si noti l’ordine!). Giovanni si trasferì in seguito a Efeso. Pietro visitava le
chiese con la moglie, come facevano allora pure «gli altri apostoli e i
fratelli del Signore» (1 Cor 9,5). I restanti apostoli associarono a sé
anziani nella conduzione e di fatto erano questi ultimi poi a guidare la chiesa
di Gerusalemme; quando i discepoli nella diaspora mandarono una colletta ai
fratelli della Giudea, Barnaba e di Saulo la consegnarono agli anziani (At
11,30). Giacomo divenne così influente che lo stesso Pietro aveva soggezione di
lui e della sua gente (Gal 2,1ss). Durante il Concilio di Gerusalemme tutto
avvenne a nome degli apostoli restanti e degli anziani (At 15,2.4.6.22s);
dov’erano mai i profeti data l’importanza strategica proiettata in loro?
L’ultima parola, quella decisiva, fu proprio di Giacomo, che apostolo non era
(At 15,13ss). Paolo e la sua squadra, durante i loro viaggi missionari
trasmisero ai discepoli «le decisioni prese dagli apostoli
e dagli anziani che erano a
Gerusalemme» (At 16,4). Alla fine della sua carriera missionaria, quando
Paolo venne a Gerusalemme, trovò qui solo Giacomo e tutti gli altri anziani (At
21,18), e furono loro a consigliare a Paolo sul daffare (v. 21ss). La decisione
del Concilio di Gerusalemme (At 15) fu ricordata come la loro (At 21,25);
neppure un solo apostolo era più presente in Gerusalemme.
Corrado Salmé disquisisce se Giacomo fosse pastore della chiesa di
Gerusalemme e sovraintendente sugli apostoli, cosa che egli giustamente nega
affermando che «non potrebbe mai esserci alcuna superiorità del ministero
pastorale all’interno d’un collegio apostolico» (sebbene in At 21 quest’ultimo
non esisteva più, ma solo un «collegio di anziani»; v. 18ss). Volendo però
tenersi attaccato alla sua tesi ideologica, non riconosce i sostanziali
mutamenti, ad esempio: ▪ 1. Secondo Atti 21, la chiesa di Gerusalemme era
guidata in modo collegiale da anziani e Giacomo aveva una funzione particolare
tra di loro. ▪ 2. Essere apostoli (= missionari fondatori) non costituiva una
posizione gerarchica, ma una funzione nel Regno di Dio. ▪ 3. In corrispondenza
al loro mandato, ricevuto da parte del Signore, gli apostoli andarono in
missione per fondare nuove chiese. ▪ 4. Se all’inizio del suo ministero, Paolo
trovò in Gerusalemme «Giacomo, Cefa e Giovanni» (Gal 2), secondo questa sequenza
(!), alla fine del suo ministero incontrò lì solo Giacomo e gli altri anziani
(At 21,18ss), che formavano l’unico collegio ivi esistente, quello dei
conduttori. ▪ 5. Se all’inizio della storia della chiesa di Gerusalemme c’era
stato un «collegio di apostoli», essendo l’opera all’inizio, come in ogni campo
missionario, le cose mutarono presto, quando tali detentori del «grande mandato»
seguirono la loro vocazione di portare l’Evangelo fino agli estremi confini
della terra (Mt 28,18ss; At 1,8).
È chiaro,
l’ecclesiologia monocratica, da cui parte Corrado Salmé, è quella odierna
delle chiese pentecostali, in cui è stato e sta. Egli combatte, a ragione,
contro una concezione monocratica e assolutista della conduzione, tuttavia non
oppone a essa una concezione collegiale di conduzione, ma tale proposta confusa
di chiese guidate da apostoli e profeti; una cosa del genere non è prevista un 1
Tm 3; Tt 1 e in altri brani sulla conduzione delle chiese locali. Egli parla
perciò del «pastore», ma non riesce a capire che nel NT non è un titolo per il
conduttore, ma una sua funzione (= cura pastorale); i conduttori, invece, nel NT
furono chiamati «anziani» (presbiteri) o «sorveglianti» (episcopi), ma mai
«pastori», essendo solo un tipo di funzione ministeriale.
La cosa singolare è che Corrado Salmé critica il tipo di chiese a conduzione
monocratica, tipica delle chiese pentecostali come segue: «Purtroppo ci troviamo
davanti allo scenario d’una chiesa evangelica istituzionalizzata e
plasmata a immagine e somiglianza d’una chiesa cattolica da sempre criticata
dagli stessi evangelici. Da un lato c’è il prete, dall’altro il pastore. Da un
lato c’è il vescovo, dall’altro il presidente d’una denominazione…» (grassetto
nostro). Gli si potrebbe dare in parte ragione; infatti, oltre alla chiese a
conduzione monocratica, esistono anche quelle congregazionaliste a conduzione
collegiale. A questo punto, tuttavia, mi sarei aspettato che mostrasse il fatto
che le chiese locali al tempo del NT erano autonome, legate solo da
vincoli di comunione di fede e di mutuo soccorso e rette localmente ognuna da un
consiglio di conduttori, sottomessi gli uni agli altri e al servizio della
propria comunità, senza dover rendere conto a una gerarchia sopra di loro. Non
esistevano apostoli che avessero un potere sulle chiese locali né sui
conduttori, secondo una certa gerarchia. Faccio notare il caso di Saulo da
Tarso, allora semplice conduttore della chiesa d’Antiochia, che
rimproverò Cefa (Pietro), senza neppure chiamarlo apostolo, quando egli fu da
condannare (Gal 2,11); faccio notare anche il caso dell’impotenza di Giovanni
nella sua terza epistola (dove neppure usò il termine apostolo), quando pur
avendo scritto alla chiesa (!), Diotrefe non voleva ricevere lui e gli altri
fratelli (3 Gv 1,9s; è anche un esempio negativo di una conduzione monarchica).
E Corrado Salmé, invece di andare alle cose reali del primo secolo, vuole
mettere «in discussione tutto il sistema politico (prima di tutto),
dottrinale e strutturale della chiesa evangelica in Italia», una «chiesa
evangelica istituzionalizzata» sulla scia cattolica e vuole contrapporre a ciò
un altro sistema con direttori gerarchici simili a un vaticano, condotto da
autonominati apostoli e profeti! Torneremmo quindi ai potentati ecclesiali
dei primi secoli della storia delle chiese, aspettando nuovamente che, prima o
poi, uno dei patriarchi si autonomini superiore agli altri e speciale vicario di
Cristo! Ma Salmé non ha letto la storia delle chiese?
Se, come afferma Corrado Salmé, «l’impostazione del governo di chiesa basata sul
pastore non è biblica», la sua soluzione è la seguente: «gli apostoli e i
profeti sono vivi e vegeti nel Corpo di Cristo e devono riprendere in mano
le fila d’una Chiesa che sta andando alla deriva». Se nel primo secolo gli
apostoli lasciarono le chiese per andare in missione (At 13,1ss), ora si vuole
che sedicenti autonominati apostoli (e profeti), invece di andare in missione,
prendano le redini delle chiese e formino direttori (e dittature) territoriali e
universali!? Sarebbe questo il «fondamento… di tipo apostolico / profetico», il
«modello biblico» suggerito dal neo riformatore?
Corrado Salmé contesta a ragione «il mito del super-pastore», poiché esso
porta «alla beatificazione e alla divinizzazione del ministero pastorale». La
sua alternativa non è però quella riconoscibile dalle epistole del NT, ossia un
collegio di conduttori, ma il pastore deve trovarsi «in mezzo ad altri quattro
ministeri che lavorano insieme per portare edificazione ed equilibrio, con la
chiara conduzione degli apostoli e dei profeti». Strano che di una cosa del
genere Paolo non ne avesse parlato in 1 Tm 3 e in Tt 1; che sia stato così
sbadato e superficiale?
Chiaramente alla base c’è una concezione errata di che cosa debba essere un «apostolo»
e un «profeta»; questo è dato dal fatto che nelle nostre Bibbie tali
concetti sono stati semplicemente adattati all’italiano, invece di essere
tradotti, alimentando così vari favoleggiamenti e speculazioni. La colpa è della
Vulgata, che traslitterò il greco apóstolos con «apostolus» e il greco
profētēs
con «propheta», sebbene i termini greci significassero semplicemente «mandato
(in missione)» e «proclamatore». Il verbo corrispondente di apóstolos
era apostéllō e significava
«inviare, mandare (in missione)»; e non a caso proprio dal corrispondente verbo
latino missio
derivano in italiano i sostantivi «missione» e «missionario».
Un apóstolos era letteralmente un «mandato, delegato» con un incarico o
missione e designava nel NT coloro che Gesù mandò nel mondo col grande mandato
missionario. Quando nacque l’opera a Gerusalemme, gli apostoli rimasero lì solo
per il tempo strettamente necessario per dare stabilità alla chiesa, poi l’uno
dopo l’altro andarono in missione.
Nella concezione di Corrado Salmé apostoli e pastori convivono e i primi
non si occupano per nulla esclusivamente di nuove zone da raggiungere con
l’Evangelo, ma solo d’altro nelle stesse zone in cui si trovano già le chiese. E
qui sta il punto in cui avviene la distorsione del pensiero di Salmé. Nella
contrapposizione con il pastore (non esce dalla conduzione monocratica!),
giustamente egli afferma: «L’apostolo, avendo una visione più larga e più
globale riguardante il territorio, cercherà il modo per stabilire il Regno di
Dio in esso attraverso l’attivazione dei doni ministeriali e dei talenti che il
Signore ha dato alla Chiesa». E ancora: «L’apostolo mira alla scoperta,
all’equipaggiamento e al rilascio dei ministeri, proprio perché la sua visione
non è ristretta al gregge ma alla conquista della città e della nazione». Salmé
non intende qui i «missionari fondatori», ma una specie di sovrintendenti
territoriali e nazionali, che dirigono i pastori e il resto dell’opera. Queste
erano le ambizioni dei patriarchi ecclesiali nei primi secoli della chiesa, ma
non quelle degli apostoli del primo secolo. Mi chiedo quanto di quello che Salmé
afferma sia sulla stessa lunghezza d'onda del
«G12» (Governo dei 12), propagato in Italia da
Liborio Porrello, dalla cui chiesa egli proviene.
Nel NT troviamo una realtà completamente diversa. Paolo e la sua squadra
missionaria, dopo aver riconosciuto i doni nelle comunità appena fondate,
eleggevano i conduttori e andavano oltre! (At 14,22ss). Paolo con la sua squadra
aveva «predicato dovunque l’Evangelo di Cristo», ossia «da Gerusalemme
e dai luoghi intorno fino all’Illiria» (= la fascia costiera orientale del
Mare Adriatico, specialmente l’attuale Albania), e aveva «l’ambizione di
predicare l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato, per non
edificare sul fondamento altrui», ossia senza sconfinare nei luoghi dove
c’erano già altre
squadre missionarie (Rm 15,19s). E passando per Roma, dove intendeva trovare
aiuto e sostegno, voleva recarsi in Spagna (vv. 22s), dove il campo era allora
ancora vergine. I moderni autonominati apostoli, lungi dal voler fondare nuove
chiese, vogliono ricoprire la funzione di sovrintendenti territoriali,
nazionali, sì universali, all'interno di patriarcati e potentati ecclesiali,
come vescovi-conti e piccoli papi, pretendendo un’autorità su chiese che non
hanno fondato e su persone che non hanno portato alla fede; proprio come
successe a Corinto con i superapostoli giudaici! (2 Cor 11,5.13.22; 12,11). Essi
sono i moderni Nicolaiti o «dominatori di popolo» (Ap 2,6.15), unti e guru
religiosi rivisitati in senso cristiano.
Infatti l’idea di Corrado Salmé dell’apostolo è quella di un generale
supremo che guida i soldati alla battaglia e al sangue: «L’apostolo guarda ai
credenti come un esercito da mandare sulla linea del fronte per conquistare
nuovi territori… L’apostolo guida l’esercito nel campo di battaglia… L’apostolo,
come un generale, vede nelle ferite del soldato un motivo d’onore
incoraggiandolo ad andare avanti fino alla fine». In che film ha visto tutto ciò
il riformatore nostrano, visto che ciò non risulta dalla lettura del NT?
Nel primo secolo erano gli apostoli, in quanto missionari, ad andare
avanti con la loro squadra, lasciandosi dietro le chiese fondate. Al tempo del
NT non esistevano generali e soldati, ma fratelli in Cristo. Né Paolo, né
Barnaba, né alcuno degli apostoli si era mai presentato così. Essi stessi si
paragonarono a soldati (1 Cor 9,6s) e consigliarono a ogni loro collaboratore di
essere «un buon soldato di Cristo Gesù» (2 Tm 2,3s), così come essi
stessi lo erano, e di combattere «il buon combattimento della fede» (1 Tm
6,12), così come essi stessi avevano fatto (2 Tm 4,7), dietro all’unico
Generale, Cristo. Paolo era la persona più matura nella sua squadra missionaria,
tutto qui. Il lavoro di Paolo e di altri missionari fondatori del NT, quando non
erano perseguitati, era spesso solitario e inappariscente, altro che generali ed
eserciti!
È vero che Corrado Salmé scrive: «L’apostolo, non appena aperta una comunità,
cerca di scoprire dove poterne aprire un’altra». Ma egli per «apostolo» non
intende semplicemente un «missionario fondatore», ma una specie di
superispettore territoriale. Infatti egli parla del ministero dell’apostolo
e di quello del pastore come di un «lavorare fianco a fianco nell’opera del
Signore»; come abbiamo visto, egli intende però che la conduzione dell’opera sia
in mano agli apostoli, che per lui non sono semplici missionari
fondatori. Paolo non comunicò ai Corinzi l’ambizione di fare da superispettore
su tutti i conduttori in quella zona, ma di «poter evangelizzare anche i
paesi che sono al di là del vostro, e da non gloriarci, entrando nel campo
altrui, di cose bell’e preparate» (2 Cor 10,16).
Egli afferma giustamente: «Non esiste nella Bibbia la qualifica di Pastore
Senior o Vice-Pastore, Pastore Associato o Pastore dei giovani»; ma si sbaglia
relativamente al «missionario».
Egli attribuisce a Dio ciò che egli stesso vorrebbe fare: ossia «trasformare le
nostre comunità in Centri Apostolici Missionari». Si noti l’inutile
raddoppio «apostolico» e «missionario», ma per Corrado Salmé è programma, poiché
— contrariamente all’etimologia e all’uso nei secoli — i due termini non si
corrisponderebbero. Secondo lui, almeno fino a Atti 13,1 nella chiesa
d’Antiochia non ci sarebbero stati «pastori», ma «solo profeti e dottori»;
faccio notare che i pastori monocratici sono un’invenzione relativamente
moderna, ma le guide di tale chiesa, ossia i conduttori, erano parimenti profeti
e dottori, ossia proclamatori (edificazione) e insegnanti (istruzione)! Poi
viene la tesi forte: «Paolo e Barnaba… non furono mandati dallo Spirito
Santo come missionari, ma come apostoli». Detto in greco tale frase risuona alla
fine incomprensibile, poiché ritradotta in italiano sarebbe: «non… come
missionari, ma come missionari». Ma, come detto, l’arbitrio ideologico di Salmé
lo porta a fare improbabili distinzioni! Perciò continua: «Quello che fecero non
fu un lavoro missionario, ma un lavoro apostolico senza precedenti…». E su
questa base continua ad allineare l'uno all'altro spropositi teologici e
storici.
Egli vorrebbe
abrogare il seguente modello dalla nostra nazione: «Il modello della
Chiesa evangelica in Italia, per la maggior parte dei casi, è rappresentato da
piccoli assembramenti di persone che tentano disperatamente di resistere
all’interno delle proprie comunità contro gli attacchi del diavolo, sperando
nell’imminente ritorno di Gesù» (grassetto nostro). Faccio presente che, se si
va al NT, questo era proprio il modello ricorrente e vincente: erano perlopiù
«chiese in casa», unite fra loro da vincoli di comunione e di fede. E tale è
stata la condizione delle chiese durante il corso della storia e lo è tuttora
nei paesi dove ci sono le dittature ideologiche. Non sono state le grandi
denominazioni a resistere, né lo sarà la favolosa «riforma strutturale»
propagata da Salmé con funzionari apostolici territoriali ed etichette varie.
Si azzarda a parlare in modo generico delle migliaia di comunità — che non
conosce e che sono state tirate su certamente con tanti sacrifici — in questo
modo poco dignitoso: «Le nostre comunità devono essere liberate da quella forma
di settarismo, che a volte puzza di mafia o addirittura di massoneria,
dove viene deciso e fatto sempre tutto all’interno di certe organizzazioni, dove
solo coloro che ne fanno parte hanno l’autorità di decidere il “chi”, il “cosa”
e il “quando”» (grassetto nostro). È così egli che parla delle chiese
pentecostali, in cui è stato e sta, e di quelle di altre denominazioni? O è
invidioso di non far parte dei comitati decisionali? Ah, è vero, in tali
comitati ci dovrebbero entrare anche gli autonominati apostoli e profeti e forse
lui stesso!? Tutto ciò mi ricorda la famosa «rivoluzione» di Kore, Datan, Abiram
e accoliti contro Mosè ed Aaronne (Nu 16); sappiamo come andò a finire.
In che specie di chiese vive Corrado Salmé, visto che scrive: «Siamo così
impegnati a farci guerra gli uni gli altri, a stare attenti gli uni verso gli
altri, a essere sospettosi gli uni degli altri, che non ci rendiamo conto che
stiamo utilizzando le armi che Dio ci ha dato, per farci guerra, invece d’usarle
per fare guerra al nemico delle nostre anime», e cose simili. E lui che si pone
come uno contro tutti, dando pagelle pesanti a destra e a manca, che cosa sta
facendo? La soluzione a tale empasse
sarà quindi proprio la «riforma strutturale» e l’introduzione di etichette per
autonominati apostoli e profeti!? Magari arriveremo presto anche a un
superapostolo e megaprofeta carismaticista, una specie di papa evangelico molto
«unto», sul tipo di Peter Wagner, Benny Hinn,
Yonggi Cho o Reinhard Bonnke.
Chi ha rivelato a Corrado Salmé che «Gesù non tornerà se prima non ci sarà la
Restaurazione di tutte le cose», ossia prima della sua «restaurazione
strutturale»? Se nessuno sa i tempi e i momenti (Mt 24,36), come può saperli
lui? Se l’unico risveglio preannunciato per la fine dei tempi è quello occulto,
esoterico e pseudo-profetico (1 Tm 4,1ss; 2 Ts 2), chi autorizza Salmé a dire il
contrario? Gesù chiedeva: «Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà egli
la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Il quadro predizionale tracciato da Gesù
(Mt 24) ne fa dubitare; l’Evangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo
quale testimonianza alle genti (v. 14), ma ciò sarà accompagnato,
costantemente e specialmente verso la fine, da molti falsi profeti che
sedurranno molti (v. 11), da tribolazioni, scandali e da odio (vv. 9s),
dalla moltiplicazione dell’iniquità e dal raffreddamento dell’amore (v. 12).
Sarà tutto come prima del diluvio (vv. 37ss). La restaurazione di tutte le cose
ci sarà solo all’avvento del Messia e sarà Lui a produrla, per poi culminare in
nuovi cieli e nuova terra. Infatti è scritto di Gesù, che «il cielo [lo] deve
tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose» (At 3,21)
e tali «tempi della restaurazione di tutte le cose» sono quelli finali
(non quelli che possono produrre gli uomini prima dell’avvento del Signore) e
coincidono con l’instaurazione del regno politico del Messia (Am 9,11; At
15,16).
Quindi non bisogna aspettarsi attualmente, come suggerisce Corrado Salmé, «un
cambiamento determinante a livello dottrinale e strutturale senza
precedenti dopo la Riforma luterana» (grassetto nostro). Questa è però
l'ambizione che vuol portare avanti il novello Lutero. Fantasie spiritualiste,
mistiche e gnostiche sono sempre sorte nella storia da autonominati riformatori,
per attestare che il momento allora attuale sarebbe stato quello culmine
dell'intera storia; si pensi a idee simili, ad esempio a quelle di Gioacchino da
Fiore nel 13° secolo e dei Vetero-Avventisti nel 19° secolo. [Per
l’approfondimento si veda in Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra
legittimità e abuso.
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), l’articolo: «Nel Medioevo», pp. 54-66 (Gioacchino da Fiore, pp.
58-62; «Dall’Illuminismo alla “gran delusione”», pp. 90-100; «Dall’avventismo al
geovismo», pp. 108-113.]
Rimane da chiedersi da dove Corrado Salmé abbia attinto tutto ciò, visto che non
lo dice. Aspettiamo che ce lo spieghi egli stesso. Egli presenta tutto ciò come
farina del suo sacco e se stesso come
caposcuola della riforma che restaurerà
tutte le cose.
Intanto con la sua cosiddetta «riforma
strutturale» e col disseppellimento di antiche etichette, non vorremmo che
Corrado Salmé e i suoi compagni di via assomigliassero a quel medico che, usando
metodi così rivoluzionari,
dovette scrivere infine nella cartella clinica: «Il paziente è guarito, ma
purtroppo è morto». Speriamo che almeno le chiese avranno abbastanza anticorpi
per sopravvivere all’ennesima infezione di un «virus restauratore».
Le idee espresse da Corrado Salmé si ritrovano anche in un
video sulla «1a Conferenza Profetica» (4-6 maggio 2007 – Alghero, Sassari). In tale video egli
venne intervistato ed espresse idee simili al suo scritto. A lui seguirono poi
Lorenzo Lippi (comunione con lo Spirito Santo, anche a discapito della conoscenza biblica!)
[►
link], Paolo Montecchi (la trasformazione avverrà solo se ci sarà la
«pienezza della rivelazione» che nuovi apostoli e profeti renderanno possibile!)
e Anne Griffith (Dio avrebbe fatto in pochissimo tempo cose
straordinarie in Italia; ma chi le ha viste?). |
►
Strutture ed etichette salveranno la chiesa? Parliamone 1 {Nicola Martella}(T)
►
Strutture ed etichette salveranno la chiesa? Parliamone 2 {Nicola Martella} (T)
Per gli altri dettagli scritturali rimando ai seguenti articoli:
►
Profeta con nome nel NT
►
Profeti nel Nuovo Testamento
►
Profeti del nuovo patto
►
Profezia e profetare nel NT
►
Profeti falsi nell'Antico Testamento
Per ulteriori approfondimenti della discussione si vedano i seguenti scritti:
►
Corrado Salmé e la riforma strutturale delle chiese {Nicola Martella} (A)
►
Effetto Salmé: una faccenda di famiglia? {Nicola Martella} (T)
►
Mali ecclesiali e soluzioni strutturali {Eliseo Paterniti - Nicola
Martella} (A/T)
►
Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa? 1 {G. Cappellini - N. Martella} (T/A)
►
Supervisione di apostoli sui conduttori di chiesa? 2 {G. Cappellini - N. Martella} (T/A)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Strutture_etichette_salva_MeG.htm
16-08-2008; Aggiornamento: 21-05-2011
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