1. LE QUESTIONI: Due
credenti maturi, avendo opinioni non del tutto coincidenti su questo tema, si
sono a lungo confrontati e, infine, hanno concordato di coinvolgermi in tale
discussione, anche in vista del fatto che questo argomento fosse dibattuto su
«Fede controcorrente». Qui non troviamo gli scritti di ambedue, ma solo quello
di uno dei due (Nello Carri, ps.), che risponde al suo interlocutore. Tuttavia,
egli cita le tesi dell’altro.
Caro fratello, la tua convinzione è che «dobbiamo obbedienza incondizionata
agli anziani, anche quando sbagliano, perché sono stati scelti da Dio per
pascere il suo gregge e la responsabilità è completamente loro». Hai espresso
tale convinzione, citando a supporto il brano di Atti 20,28: «Badate a voi
stessi e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti
vescovi [sorveglianti N.d.R.], per pascere la chiesa di Dio…». Ciò mi sembra condivisibile, ma solo in parte. Mi
spiego meglio. Se, ad esempio, gli anziani danno disposizioni riguardo all’organizzazione
di qualsiasi attività di chiesa (organizzazione del culto, evangelizzazione,
discepolato, scelta dei predicatori, ecc.), vanno sicuramente obbediti. E chi
eventualmente non condividesse quelle scelte, sarebbe bene che, dopo aver
espresso con rispetto le sue perplessità direttamente agli anziani, decida al
limite se collaborare o meno, senza però provocare polemiche; infatti, come hai
detto tu, la responsabilità di quelle scelte davanti a Dio sarà solamente degli
anziani.
Cosa diversa, invece, sarebbe se le disposizioni date
dagli anziani riguardassero, ad esempio, questioni dottrinali, che
troviamo sbagliate. Per chi non condividesse la nuova linea dottrinale proposta
o imposta, la cosa si fa più seria, perché la responsabilità di professare e
diffondere una dottrina, che si ritiene sbagliata, non sarà più solo degli
anziani ma anche personale. Spero che tu sia d’accordo su questo punto; perché
se così non fosse, non potresti più dare risposta, ad esempio, a quei cattolici
che fanno la tua stessa affermazione, per motivare la loro scelta di rimanere
nel cattolicesimo. In tal caso non si obbedirebbe soprattutto alla Parola,
perché parlando di dottrine sbagliate, nella lettera alla chiesa di Tiatira, ad
esempio, il Signore dice: «Renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere»
(Ap 2,23). Quello, che in questo caso il fratello dissenziente
dovrà fare, quindi, a parere mio, sarà per prima cosa, parlarne direttamente
con gli anziani, come nel caso precedente; poi se non dovesse trovare
soddisfazione, potrà scegliere se proseguire la sua partecipazione in
quell’assemblea oppure spostarsi in un’altra, che ritiene dottrinalmente più in
linea con le convinzioni dottrinali che ha maturato e di cui è certo, facendo
comunque tutto il possibile per lasciarsi in comunione con l’assemblea, da cui
deciderà eventualmente di uscire. Come vedi c’è almeno un caso, nel quale il
principio che hai citato non è valido. Nel caso, quindi, venga ordinato di
predicare o non predicare più una certa dottrina, potrebbe essere bene non
obbedire siccome è meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At
4,19).
L’esigenza di verificare, se sia giusto o no obbedire
agli anziani, potrebbe presentarsi anche in un’altro caso (penso perciò alla
situazione a cui ti riferisci), quando cioè un anziano o un collegio di anziani
toglie la comunione a un membro e ordina alla fratellanza di non
frequentarlo più. Quasi sempre queste decisioni vengono prese dopo un lungo e
sofferto periodo nel quale, a fronte di una situazione di evidente peccato di un
fratello, di cui anche la chiesa viene messa a conoscenza, gli anziani dopo aver
tentato di tutto, come insegna il Signore stesso in Mt 18,15-17, senza tuttavia
essere riusciti a raggiungere un risultato soddisfacente, come ultima risorsa
ricorrono a questo provvedimento. In questi casi è, quindi, senza dubbio giusto
seguire l’indicazioni degli anziani, fino a quando non ci sarà da parte di quel
fratello un chiaro ravvedimento, a quel punto andrà riaccolto con amore e
consolato (2 Cor 2,7-8). Può succedere, però, che per qualche ragione gli
anziani non seguano fedelmente questa procedura.
Il caso, a cui so che ti riferisci, ad esempio,
presenta alcune differenze importanti rispetto a quello classico che ho citato,
e queste differenze spostano l’attenzione su di un altro tema molto più
scottante; quello della
disciplina degli stessi anziani. Sappiamo infatti che la Scrittura prevede
che anche gli anziani possano esser sottoposti a disciplina (1 Tim 5,19-20), ma
in quali casi e quando? Da chi possono venire accusati davanti all’assemblea,
come dice il versetto 20, non essendo più presenti i 12 apostoli? Ed ancora,
come può avvenire questo ed essere un momento costruttivo ed edificante per la
chiesa? Fortunatamente, per quello che ne so, questi casi sono rari; ma ho
costatato che il vero problema purtroppo, è che quando capitano, non si riescono
quasi mai a risolvere e causano grossi danni alla chiesa e in particolare
ai giovani credenti. Prima di tutto, mi sono informato e nel caso
specifico, a cui ti riferisci, l’ordine degli anziani non era stato
precisamente quello di non avere più rapporti con un fratello, ma è stato un «caldo
invito a non avere contatti con lui». In pratica è stato dato un caloroso
consiglio, ma pur sempre un «consiglio», lasciando alla fratellanza la
libertà di decidere cosa fare; per cui non tutti lo hanno seguito e non sono
incorsi per questo in nessuna disciplina. So anche infatti, che quel fratello,
oltre a mantenere rapporti con una parte della fratellanza, è stato invitato
in diverse altre assemblee come predicatore, nonostante che quelle chiese
conoscessero la situazione e fossero in comunione con l’assemblea, che aveva
dato quel «caldo consiglio». Condivido il pensiero di quei fratelli, che
avrebbero preferito ricevere da quegli anziani un’indicazione più precisa e
motivata riguardo alle
cause della disciplina, perché se un motivo valido c’era, andava detto e
dimostrato chiaramente, non solo «comunicato», ma questo non è veramente il
punto importante. La situazione «anomala», che ha provocato questo «pasticcio»,
come lo chiamerei io, è il fatto che all’origine ci sono state accuse molto
gravi d’immoralità verso gli anziani stessi e supportate sembra, da
diverse testimonianze. In pratica cioè l’esortazione a non contattare più quel
fratello potrebbe suonare in questo caso come un invito a non verificare le
accuse fatte verso di loro e l’autorità degli anziani; in questo caso potrebbe
essere stata usata semplicemente per evitare la verifica di quelle
accuse.
Questo tipo di situazione come ti dicevo, purtroppo non
può essere risolta facilmente, perché sarebbe necessaria la presenza di una
autorità, che possa intervenire anche nella conduzione della chiesa, cosa
che però nelle «chiese dei Fratelli» non può succedere, perché come sappiamo,
ogni assemblea è «autonoma», e a parere mio questo è corretto scritturalmente. Ecco quindi «l’arcano da svelare». Come è possibile
evitare che si verifichino nella chiesa situazioni di «abuso di potere»
come quella ipotizzata, non essendo più presenti i 12 apostoli e non essendo
riconosciuta nessun’altra autorità, che possa intervenire? La discussione
secondo me potrebbe essere ampia e interessante. Il mio contributo, comunque, è
il seguente. Nei casi simili a quello citato e in cui siano presenti 2 o 3
testimoni, che accusano gli anziani di qualcosa, si dovrebbe ricorrere all’aiuto
di uno o due saggi, come suggerisce l’apostolo Paolo in 1 Cor 6,5: «Non
c’è tra voi neppure un savio, che possa pronunciare un giudizio tra i suoi
fratelli?». I savi, per essere accettati e rispettati, dovrebbero essere
riconosciuti tali da entrambe le parti in contesa, e in questo caso
sostituirebbero l’intervento degli apostoli. Ai saggi riconosciuti da entrambe
le parti dovrà essere data quindi l’autorità di decidere come intervenire, se
necessario anche con la disciplina.
Se, però, quei testimoni o gli anziani di
quell’assemblea si sottraessero a questo tentativo di conciliazione, che
per quel che capisco, è l’unico possibile, si potrebbe ipotizzare, anzi più che
ipotizzare, riconoscere implicitamente che le accuse rivolte a chi rifiuta la
verifica siano fondate. A parere mio, quindi, se sono i fratelli, che
accusano gli anziani, a rifiutare la verifica, se non si ravvedono,
dovrebbero essere messi sicuramente fuori comunione; se invece sono gli
anziani a rifiutare l’intervento e il giudizio dei «savi», non andrebbero
obbediti. Non so veramente se questa è l’unica soluzione o la più
saggia, sono certo comunque che, nel caso gli anziani si trovino in questa
situazione, dovrebbero sicuramente fare di tutto per uscirne puliti, per
evitare danni alla chiesa. Evitare un chiarimento aperto e schivare una verifica
seria, mina sicuramente la fiducia, che invece sono tenuti a mantenere forte,
siccome sono chiamati a «guidare con l’esempio»: «Pascete il gregge di Dio...
non come signoreggiando su coloro, che vi sono affidati, ma essendo il modello
del gregge» (1 Pt 5,2-3).
2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI:
Terrò le mie risposte brevi, alfine di permettere ad altri di intervenire in
merito nella discussione. Il quadro completo è chiaro a tali due credenti, che
si sono confrontati su questo tema, ma non del tutto a me, che ho letto solo
questo scritto. Per quanto ho capito fra le righe, i due temi intrecciati sono
la sottomissione ai conduttori, la disciplina dei conduttori e quella proprio
verso di loro. La disciplina verso i conduttori costituisce in tale scritto
l’aspetto più difficile nella sua gestione concreta.
2.1. LA
SOTTOMISSIONE RECLAMATA DAI CONDUTTORI
■ Atti 20,28: Tradurre in questo luogo «vescovo», è fuorviante, portando
a immaginare una carica ecclesiale. Si tratta invece di una funzione di coloro,
che nel brano vengono chiamati in greco epískopoi
«sorveglianti, sovrintendenti» e presbýteroi tẽs ekklēsías
«anziani dell’assemblea» (v. 17). L’attività principale di tali «sorveglianti»
non è qui comandare, ma poimaínō «essere pastore (di animali), pascolare,
pascere, esercitare la custodia del gregge; est. nutrire, allevare, curare;
guidare, condurre». L’enfasi è messa qui sulla cura, che un pastore di pecore ha
per il suo gregge, alfine di proteggerlo dall’esterno («lupi rapaci», v. 29) e
dall’interno (v. 30 falsi maestri con mire di preminenza).
■ Questioni dottrinali: Un conduttore dev’essere irreprensibile (1
Tm 3,2; 6,14; Tt 1,6s). Oltre a ciò, dev’essere capace di insegnare (1 Tm 3,2) e
cioè non da «operaio confuso», ma come chi taglia rettamente la parola della
verità (2 Tm 2,15). Ciò significa che dev’essere «attaccato
alla parola affidabile, secondo l’insegnamento, per essere capace sia di
esortare con la sana dottrina, sia anche di convincere i contraddittori»
(Tt 1,9). Se un conduttore deraglia egli stesso in tali cose, non può essere
un’autorità per gli altri, né può reclamare sottomissione.
■ La sottomissione: I brani, in cui si parla di sottomissione, di essere
soggetto o simili a un’autorità, portano spesso insieme come locuzioni
esplicative «come si conviene nel Signore» (Col 3,18 al marito), «a
causa del Signore» (1 Pt 2,13 a ogni autorità
umana). Tale riferimento al Signore, relativizza ogni richiesta di
assoluta sottomissione a un’autorità umana, che prescinda dal contenuto
dottrinale o morale di ciò, che chiede. Altrimenti gli apostoli non avrebbero
potuto rispondere ai membri del Sinedrio: «Bisogna ubbidire a Dio anziché
agli uomini» (At 5,29; cfr. 4,19). Fare qualcosa «nel Signore» intende nel
NT «in modo degno del Signore», «in riferimento al Signore», e simili (cfr. At
16,2 ricevere; v. 12 affaticarsi; v. 13 eletto; 1 Cor
4,17 fedele; 7,39 maritarsi; 9,1s opera, apostolato; 15,28 fatica; 2 Cor 2,12
porta; Gal 5,10 fiducia; Ef 4,1 carcerato; Fil 2,29 accogliere…). Nel NT,
inoltre, la sottomissione è reciproca, nessuno escluso (Ef 5,21). Ai
figli viene chiesto: «Figlioli, ubbidite nel Signore ai vostri
genitori» (Ef 6,1); e ciò avviene non senza
contropartita per i genitori (v. 4).
■ Il convincimento interiore: Paolo non
comandò, ma pregò i Tessalonicesi «di avere in considerazione coloro
che faticano fra voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono,
e di tenerli in grande stima e amarli a motivo dell’opera loro»
(1 Ts 5,12s). Questo atteggiamento di rispetto reverenziale non proviene da
un’ingiunzione esterna, ma da un convincimento interno, che si basa su un
ministero utile di tali servitori. Tali autorità non sono preposte in virtù di
un ufficio, che dà loro un potere, ma «nel Signore», ossia in riferimento
a Lui, che rimane la somma autorità e a cui essi devono continuamente dare
conto.
■ Il rispetto arrendevole: In Ebrei 13,7.17.24
i conduttori sono chiamati hēgū́menoi
(pres. pt. med.) «guide, conduttori»; il
verbo hēghéomai
intende «andare avanti, precedere, guidare,
condurre; incominciare; comandare, governare, capitaneggiare; credere,
stimare, reputare, giudicare» (cfr. Eb 10,29; 11,11.26; 13,7.24).
Eb 13,17 viene usato spesso in modo strumentale dai conduttori per
comandare la sottomissione ai membri della propria assemblea. Ho tradotto
letteralmente tale verso, che recita così: «Dare retta ai vostri conduttori e
siate arrendevoli! Infatti, essi
vegliano sulle vostre anime, come coloro che renderanno conto; affinché facciano
questo con gioia e non sospirando; perché ciò vi sarebbe disutile». Il primo verbo è peíthō e
intende, secondo i casi, «persuadere,
convincere, tentare di persuadere; fidarsi, confidare, avere fiducia, affidarsi,
essere fiducioso; med. e pass. lasciarsi persuadere (convincere);
obbedire, dare retta; essere persuaso, credere, fidarsi di» (2,13;
6,9; 13,18); qui c’è il pres. imp.
pass. Non si tratta quindi di un’obbedire militare,
ma di un dare retta, perché ci si fida e si è persuasi delle buone intenzioni di
coloro, verso i quali si ha rispetto e riverenza. ●
Il secondo verbo è
hypeikō è una
variante accentuativa di eikō «cedere, tirarsi indietro, ecc.» e intende
«cedere, retrocedere, essere arrendevole, piegarsi, accondiscendere,
arrendersi, concedere, ecc.» (cfr.
Gal 2,5); qui c’è il pres. imp. att.
Questo verbo mitiga il primo e lo interpreta, mostrando un atteggiamento di
accondiscendenza per un bene comune superiore. ● Il motivo di tale atteggiamento
di volontaria e fiduciosa sottomissione è dovuto al ministero principale di tali
guide, descritto col verbo agrypnéō,
che intende «essere senza sonno (insonne), vegliare; sorvegliare, essere
vigilante, aver cura» (cfr.
Mc 13,33; Lc 21,36; Ef 6,18). Gli attuali «vostri
conduttori», a cui bisognava piegarsi
(cfr. 1 Ts 5,12s; 1 Pt 5,3), erano coloro, che tenevano la guardia sugli altri
(cfr. sentinelle Is 62,6; Ez 3,17; epískopos «sorvegliante» cfr. 1 Tm 3;
Tt 1).
2.2.
INTERVENTI ADEGUATI E ARBITRARI DEI CONDUTTORI
■
Disciplina fra legittimità e abuso: I casi legittimi, in cui
l’assemblea locale è autorizzata a togliere la comunione a qualcuno, sono
soltanto i seguenti, ossia in cui si possa dire «anatema»: un falso evangelo e
una falsa etica. È un arbitrio farlo per opinioni differenti su cose
dottrinali e morali, dove la Bibbia non è chiara, lascia differenti convinzioni
di coscienza (cfr. Rm 14), permette stili di vita diversi (non in contrasto con
la Parola) e per cui afferma: «Fatevi i fatti vostri» (cfr. 1 Ts 4,11; 1 Pt
4,15). In certi casi, togliere la comunione è un vezzo di alcuni conduttori, per
rimarcare il proprio potere verso coloro, che si ritiene avversari delle
propria dottrina particolare. In una lettera di fuori comunione lessi
come motivazione: «…perché non vediamo in voi il frutto dello Spirito». Allora
siamo tutti a rischio, almeno un paio di volte l’anno.
Togliere eccezionalmente la comunione è un atto di chiesa, non di un
conduttore. Inoltre, non è un fine, ma (oltre alla sanzione) è uno strumento di
recupero. In certi casi, nonostante il ravvedimento dei rei, la
riabilitazione non avviene
da parte dei conduttori, perché non vogliono confrontarsi con persone, che
ritengono potenzialmente fastidiose, o per tenere fuori coloro, che ritengono
potenziali e temibili avversari.
■ Fase di fondazione e fase stabile di una comunità: Nel caso di 1
Timoteo 5,19s
si tratta di una fase di fondazione, in cui l’emissario di una squadra
missionaria, che ha fondato un’assemblea, riconosce gli eventuali conduttori (Tt
1,5), ma rimprovera pubblicamente quelli, che si macchiano di peccato e li
destituisce pure. Ora, nella fase post-missionaria, quando la chiesa è
costituita da tempo, l’ultima istanza dell’assemblea locale è quest’ultima.
Infatti, essa riconosce i propri conduttori e li può anche destituire. Quando
avvengono fatti del genere, in cui uno o più conduttori si sono resi colpevoli,
fare chiarezza nell’assemblea, umiliarsi dinanzi a Dio, cercare la sua
volontà, giudicare i fatti secondo verità, confessare reciprocamente i propri
falli e prendere le giuste decisioni, può essere un momento di purificazione
ecclesiale, di ricompattamento e di nuova ripresa. La questione è gestirli
in modo conforme alla Scrittura, con pari consentimento e con spirito di umiltà.
■
Disciplina all’acqua di rose: Conosco casi di fuori comunione, in cui i
trasgressori sono stati banditi dalla comunione fraterna per decenni, senza
alcun tentativo di cura pastorale e recuperò. Esistono poi casi disciplinari su
questioni evanescenti (opinioni, atteggiamenti, ecc.). Quando chi ha un
ministero della Parola, viene messo fuori comunione da conduttori (e non
dalla chiesa!), senza chiare motivazioni dottrinali o morali, dando solo
raccomandazioni ai credenti a evitare contatti con lui e senza avvertire le
altre assemblee, che magari lo invitano, questa si chiama disciplina all’acqua
di rose, che crea solo equivoci e pasticci e che diventa come un boomerang
contro i conduttori, che lo hanno pronunciato tale atto di fuori comunione.
Se tale credente predica un altro evangelo, allora non c’è che l’anatema
della chiesa (Gal 1,8s; cfr. Es 22,20). In tali casi, viene comandato al
collaboratore che non si abbia nessun contatto con tale uomo fazioso (Tt 3,10).
E ai credenti viene ingiunto: «Se qualcuno viene a voi e non reca questa
dottrina, non lo ricevete in casa, e non lo salutate; perché chi lo saluta
partecipa alle malvagie opere di lui» (2 Gv 1,10s).
Se un credente s’è macchiato di un grave fatto morale, che ha rovinato la
testimonianza, il missionario fondatore Paolo vedeva solo la via di consegnare
tale reo a Satana, «per la rovina della carne,
affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù» (1 Cor 5,5)
e di rimproverare la chiesa tollerante (vv. 1ss.6s). Per questo e altri casi
morali, l’apostolo ingiunse: «Mettete fuori da voi
stessi il malvagio» (vv. 11ss).
■
Disciplina auto-protettiva: Se i casi non sono quelli sopra descritti, si
tratta di disciplina all’acqua di rose, che mostra l’incapacità dei
conduttori di pasturare il gregge e di praticare la necessaria cura
pastorale e il discepolato. Ciò crea solo confusione e incertezza nell’assemblea
e fa sospettare che l’autorità dei conduttori sia solo arbitrio e autoritarismo.
A ciò si aggiunga che nasca il sospetto, che i conduttori abbiano messo fuori
comunione proprio coloro, che avevano accuse specifiche contro di loro
circa la loro moralità. Allontanare tali scomodi credenti, senza demonizzarli
agli occhi degli altri e di altre chiese, conveniva loro, per cercare di
insabbiare le questioni e per evitare polveroni, che li avrebbero
moralmente discreditati in primis.
2.3. LA
DISCIPLINA VERSO I CONDUTTORI
■ Come evitare gli abusi di potere?: Per prima cosa, bisogna chiarire
quale sia
l’ultima autorità nell’assemblea locale. Come ho già detto sopra, se
l’assemblea ha l’onore di riconoscere i propri conduttori, ha anche l’onere di
rimuoverli. Quindi, l’assemblea dei membri è l’ultima istanza nella chiesa, non
i conduttori, che sono solo i delegati dell’assemblea. Per seconda cosa, bisogna
smetterla con la convenzione «una volta anziani, per sempre anziani». Se
le qualità richiesta per un conduttore non si realizzano (1 Tm 3; Tt 1), non
bisogna riconoscere un credente come guida della comunità. Similmente, laddove
esse vengano meno, l’assemblea può rimuovere un tale credente dalla carica di
conduttore. Per questo, è bene avere delle verifiche periodiche per i
conduttori (p.es. ogni 4-5 anni) o almeno laddove ci sono gravi indizi per fatti
morali o per mutamento di convinzioni dottrinali. L’assemblea può delegare a un
«gruppo di saggi» l’analisi delle accuse e la proposta di soluzioni. Si
noti comunque che in 1 Corinzi 6,5 Paolo si riferiva a fratelli all’interno
della comunità.
■
Conduttori irreprensibili: La qualità primaria dei conduttori deve rimanere
l’irreprensibilità, ossia tendere a vivere al di sopra di ogni
riprensione; tale qualità dev’essere sia inerente (soggettiva), sia esternata e
percepita dagli altri credenti (oggettiva), costituendo addirittura una «buona
testimonianza» da parte di quelli di fuori. Quando la chiesa di Gerusalemme
fece pressione sugli apostoli, affinché si affiancassero loro dei collaboratori
(non erano «diaconi», ma i futuri anziani della chiesa!), per gestire meglio
tutti gli aspetti dell’opera, questa fu la loro decisione: «Pertanto,
fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia buona
testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo
incarico» (At 6,3). Un conduttore,
se è irreprensibile, non avrà obiezioni a essere messo alla prova,
sapendo che ne uscirà puro come l’oro (cfr. 1 Pt 1,7; Gb 23,10). Se si
sottrae a una verifica, getta ombre sulla sua condotta e, in pratica, si
squalifica con le sue stesse mani (cfr. Gv 3,20s).
Un tale conduttore si comporta similmente a Saul, che invece di porsi
veramente alla verifica del Signore, per ravvedersi ed essere rinnovato da
Lui, fece solo una confessione formale di labbra, essendo più interessato ad
avere il plauso dinanzi al popolo (1 Sm 15,30). Oppure fa come
Diotrefe, che per
avere il primato monocratico nell’assemblea, non solo non riceveva i missionari
fondatori e altri fratelli di fuori, ma cacciava fuori della comunità tutti
coloro, che facevano diversamente (3 Gv 1,9s).
►
Sottomissione ai conduttori e loro disciplina? Parliamone {Nicola Martella} (T)
Per l’approfondimento di questioni
concomitanti, si vedano i seguenti scritti:
►
Comportamenti erronei di conduttori verso i membri {Nicola Martella} (A)
►
Piano personale e istituzionale dei conduttori: Disciplina e abuso di potere nella chiesa {Nicola Martella} (A)
►
I provvedimenti di fuori comunione {Nicola Martella} (A)
►
Togliete il malvagio da voi stessi (1 Corinzi 5) {Nicola Martella} (D)
►
Uso e abuso della disciplina ecclesiale {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Sottomiss_disciplina_UnV.htm
02-10-2013; Aggiornamento: |