Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

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«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SOTTOMISSIONE AI CONDUTTORI E LORO DISCIPLINA

 

 di Nicola Martella

 

 

1.  LE QUESTIONI: Due credenti maturi, avendo opinioni non del tutto coincidenti su questo tema, si sono a lungo confrontati e, infine, hanno concordato di coinvolgermi in tale discussione, anche in vista del fatto che questo argomento fosse dibattuto su «Fede controcorrente». Qui non troviamo gli scritti di ambedue, ma solo quello di uno dei due (Nello Carri, ps.), che risponde al suo interlocutore. Tuttavia, egli cita le tesi dell’altro.

 

Caro fratello, la tua convinzione è che «dobbiamo obbedienza incondizionata agli anziani, anche quando sbagliano, perché sono stati scelti da Dio per pascere il suo gregge e la responsabilità è completamente loro». Hai espresso tale convinzione, citando a supporto il brano di Atti 20,28: «Badate a voi stessi e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi [sorveglianti N.d.R.], per pascere la chiesa di Dio…».

     Ciò mi sembra condivisibile, ma solo in parte. Mi spiego meglio. Se, ad esempio, gli anziani danno disposizioni riguardo all’organizzazione di qualsiasi attività di chiesa (organizzazione del culto, evangelizzazione, discepolato, scelta dei predicatori, ecc.), vanno sicuramente obbediti. E chi eventualmente non condividesse quelle scelte, sarebbe bene che, dopo aver espresso con rispetto le sue perplessità direttamente agli anziani, decida al limite se collaborare o meno, senza però provocare polemiche; infatti, come hai detto tu, la responsabilità di quelle scelte davanti a Dio sarà solamente degli anziani.

     Cosa diversa, invece, sarebbe se le disposizioni date dagli anziani riguardassero, ad esempio, questioni dottrinali, che troviamo sbagliate. Per chi non condividesse la nuova linea dottrinale proposta o imposta, la cosa si fa più seria, perché la responsabilità di professare e diffondere una dottrina, che si ritiene sbagliata, non sarà più solo degli anziani ma anche personale. Spero che tu sia d’accordo su questo punto; perché se così non fosse, non potresti più dare risposta, ad esempio, a quei cattolici che fanno la tua stessa affermazione, per motivare la loro scelta di rimanere nel cattolicesimo. In tal caso non si obbedirebbe soprattutto alla Parola, perché parlando di dottrine sbagliate, nella lettera alla chiesa di Tiatira, ad esempio, il Signore dice: «Renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere» (Ap 2,23).

     Quello, che in questo caso il fratello dissenziente dovrà fare, quindi, a parere mio, sarà per prima cosa, parlarne direttamente con gli anziani, come nel caso precedente; poi se non dovesse trovare soddisfazione, potrà scegliere se proseguire la sua partecipazione in quell’assemblea oppure spostarsi in un’altra, che ritiene dottrinalmente più in linea con le convinzioni dottrinali che ha maturato e di cui è certo, facendo comunque tutto il possibile per lasciarsi in comunione con l’assemblea, da cui deciderà eventualmente di uscire. Come vedi c’è almeno un caso, nel quale il principio che hai citato non è valido. Nel caso, quindi, venga ordinato di predicare o non predicare più una certa dottrina, potrebbe essere bene non obbedire siccome è meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 4,19).

     L’esigenza di verificare, se sia giusto o no obbedire agli anziani, potrebbe presentarsi anche in un’altro caso (penso perciò alla situazione a cui ti riferisci), quando cioè un anziano o un collegio di anziani toglie la comunione a un membro e ordina alla fratellanza di non frequentarlo più. Quasi sempre queste decisioni vengono prese dopo un lungo e sofferto periodo nel quale, a fronte di una situazione di evidente peccato di un fratello, di cui anche la chiesa viene messa a conoscenza, gli anziani dopo aver tentato di tutto, come insegna il Signore stesso in Mt 18,15-17, senza tuttavia essere riusciti a raggiungere un risultato soddisfacente, come ultima risorsa ricorrono a questo provvedimento. In questi casi è, quindi, senza dubbio giusto seguire l’indicazioni degli anziani, fino a quando non ci sarà da parte di quel fratello un chiaro ravvedimento, a quel punto andrà riaccolto con amore e consolato (2 Cor 2,7-8). Può succedere, però, che per qualche ragione gli anziani non seguano fedelmente questa procedura.

     Il caso, a cui so che ti riferisci, ad esempio, presenta alcune differenze importanti rispetto a quello classico che ho citato, e queste differenze spostano l’attenzione su di un altro tema molto più scottante; quello della disciplina degli stessi anziani. Sappiamo infatti che la Scrittura prevede che anche gli anziani possano esser sottoposti a disciplina (1 Tim 5,19-20), ma in quali casi e quando? Da chi possono venire accusati davanti all’assemblea, come dice il versetto 20, non essendo più presenti i 12 apostoli? Ed ancora, come può avvenire questo ed essere un momento costruttivo ed edificante per la chiesa? Fortunatamente, per quello che ne so, questi casi sono rari; ma ho costatato che il vero problema purtroppo, è che quando capitano, non si riescono quasi mai a risolvere e causano grossi danni alla chiesa e in particolare ai giovani credenti.

     Prima di tutto, mi sono informato e nel caso specifico, a cui ti riferisci, l’ordine degli anziani non era stato precisamente quello di non avere più rapporti con un fratello, ma è stato un «caldo invito a non avere contatti con lui». In pratica è stato dato un caloroso consiglio, ma pur sempre un «consiglio», lasciando alla fratellanza la libertà di decidere cosa fare; per cui non tutti lo hanno seguito e non sono incorsi per questo in nessuna disciplina. So anche infatti, che quel fratello, oltre a mantenere rapporti con una parte della fratellanza, è stato invitato in diverse altre assemblee come predicatore, nonostante che quelle chiese conoscessero la situazione e fossero in comunione con l’assemblea, che aveva dato quel «caldo consiglio». Condivido il pensiero di quei fratelli, che avrebbero preferito ricevere da quegli anziani un’indicazione più precisa e motivata riguardo alle cause della disciplina, perché se un motivo valido c’era, andava detto e dimostrato chiaramente, non solo «comunicato», ma questo non è veramente il punto importante. La situazione «anomala», che ha provocato questo «pasticcio», come lo chiamerei io, è il fatto che all’origine ci sono state accuse molto gravi d’immoralità verso gli anziani stessi e supportate sembra, da diverse testimonianze. In pratica cioè l’esortazione a non contattare più quel fratello potrebbe suonare in questo caso come un invito a non verificare le accuse fatte verso di loro e l’autorità degli anziani; in questo caso potrebbe essere stata usata semplicemente per evitare la verifica di quelle accuse.

     Questo tipo di situazione come ti dicevo, purtroppo non può essere risolta facilmente, perché sarebbe necessaria la presenza di una autorità, che possa intervenire anche nella conduzione della chiesa, cosa che però nelle «chiese dei Fratelli» non può succedere, perché come sappiamo, ogni assemblea è «autonoma», e a parere mio questo è corretto scritturalmente.

     Ecco quindi «l’arcano da svelare». Come è possibile evitare che si verifichino nella chiesa situazioni di «abuso di potere» come quella ipotizzata, non essendo più presenti i 12 apostoli e non essendo riconosciuta nessun’altra autorità, che possa intervenire? La discussione secondo me potrebbe essere ampia e interessante. Il mio contributo, comunque, è il seguente. Nei casi simili a quello citato e in cui siano presenti 2 o 3 testimoni, che accusano gli anziani di qualcosa, si dovrebbe ricorrere all’aiuto di uno o due saggi, come suggerisce l’apostolo Paolo in 1 Cor 6,5: «Non c’è tra voi neppure un savio, che possa pronunciare un giudizio tra i suoi fratelli?». I savi, per essere accettati e rispettati, dovrebbero essere riconosciuti tali da entrambe le parti in contesa, e in questo caso sostituirebbero l’intervento degli apostoli. Ai saggi riconosciuti da entrambe le parti dovrà essere data quindi l’autorità di decidere come intervenire, se necessario anche con la disciplina.

     Se, però, quei testimoni o gli anziani di quell’assemblea si sottraessero a questo tentativo di conciliazione, che per quel che capisco, è l’unico possibile, si potrebbe ipotizzare, anzi più che ipotizzare, riconoscere implicitamente che le accuse rivolte a chi rifiuta la verifica siano fondate. A parere mio, quindi, se sono i fratelli, che accusano gli anziani, a rifiutare la verifica, se non si ravvedono, dovrebbero essere messi sicuramente fuori comunione; se invece sono gli anziani a rifiutare l’intervento e il giudizio dei «savi», non andrebbero obbediti.

     Non so veramente se questa è l’unica soluzione o la più saggia, sono certo comunque che, nel caso gli anziani si trovino in questa situazione, dovrebbero sicuramente fare di tutto per uscirne puliti, per evitare danni alla chiesa. Evitare un chiarimento aperto e schivare una verifica seria, mina sicuramente la fiducia, che invece sono tenuti a mantenere forte, siccome sono chiamati a «guidare con l’esempio»: «Pascete il gregge di Dio... non come signoreggiando su coloro, che vi sono affidati, ma essendo il modello del gregge» (1 Pt 5,2-3).

 

 

2.  OSSERVAZIONI E OBIEZIONI: Terrò le mie risposte brevi, alfine di permettere ad altri di intervenire in merito nella discussione. Il quadro completo è chiaro a tali due credenti, che si sono confrontati su questo tema, ma non del tutto a me, che ho letto solo questo scritto. Per quanto ho capito fra le righe, i due temi intrecciati sono la sottomissione ai conduttori, la disciplina dei conduttori e quella proprio verso di loro. La disciplina verso i conduttori costituisce in tale scritto l’aspetto più difficile nella sua gestione concreta.

 

2.1.  LA SOTTOMISSIONE RECLAMATA DAI CONDUTTORI

     ■ Atti 20,28: Tradurre in questo luogo «vescovo», è fuorviante, portando a immaginare una carica ecclesiale. Si tratta invece di una funzione di coloro, che nel brano vengono chiamati in greco epískopoi «sorveglianti, sovrintendenti» e presbýteroi tẽs ekklēsías «anziani dell’assemblea» (v. 17). L’attività principale di tali «sorveglianti» non è qui comandare, ma poimaínō «essere pastore (di animali), pascolare, pascere, esercitare la custodia del gregge; est. nutrire, allevare, curare; guidare, condurre». L’enfasi è messa qui sulla cura, che un pastore di pecore ha per il suo gregge, alfine di proteggerlo dall’esterno («lupi rapaci», v. 29) e dall’interno (v. 30 falsi maestri con mire di preminenza).

 

     ■ Questioni dottrinali: Un conduttore dev’essere irreprensibile (1 Tm 3,2; 6,14; Tt 1,6s). Oltre a ciò, dev’essere capace di insegnare (1 Tm 3,2) e cioè non da «operaio confuso», ma come chi taglia rettamente la parola della verità (2 Tm 2,15). Ciò significa che dev’essere «attaccato alla parola affidabile, secondo l’insegnamento, per essere capace sia di esortare con la sana dottrina, sia anche di convincere i contraddittori» (Tt 1,9). Se un conduttore deraglia egli stesso in tali cose, non può essere un’autorità per gli altri, né può reclamare sottomissione.

 

     ■ La sottomissione: I brani, in cui si parla di sottomissione, di essere soggetto o simili a un’autorità, portano spesso insieme come locuzioni esplicative «come si conviene nel Signore» (Col 3,18 al marito), «a causa del Signore» (1 Pt 2,13 a ogni autorità umana). Tale riferimento al Signore, relativizza ogni richiesta di assoluta sottomissione a un’autorità umana, che prescinda dal contenuto dottrinale o morale di ciò, che chiede. Altrimenti gli apostoli non avrebbero potuto rispondere ai membri del Sinedrio: «Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini» (At 5,29; cfr. 4,19). Fare qualcosa «nel Signore» intende nel NT «in modo degno del Signore», «in riferimento al Signore», e simili (cfr. At 16,2 ricevere; v. 12 affaticarsi; v. 13 eletto; 1 Cor 4,17 fedele; 7,39 maritarsi; 9,1s opera, apostolato; 15,28 fatica; 2 Cor 2,12 porta; Gal 5,10 fiducia; Ef 4,1 carcerato; Fil 2,29 accogliere…). Nel NT, inoltre, la sottomissione è reciproca, nessuno escluso (Ef 5,21). Ai figli viene chiesto: «Figlioli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori» (Ef 6,1); e ciò avviene non senza contropartita per i genitori (v. 4).

 

     ■ Il convincimento interiore: Paolo non comandò, ma pregò i Tessalonicesi «di avere in considerazione coloro che faticano fra voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono, e di tenerli in grande stima e amarli a motivo dell’opera loro» (1 Ts 5,12s). Questo atteggiamento di rispetto reverenziale non proviene da un’ingiunzione esterna, ma da un convincimento interno, che si basa su un ministero utile di tali servitori. Tali autorità non sono preposte in virtù di un ufficio, che dà loro un potere, ma «nel Signore», ossia in riferimento a Lui, che rimane la somma autorità e a cui essi devono continuamente dare conto.

 

     ■ Il rispetto arrendevole: In Ebrei 13,7.17.24 i conduttori sono chiamati hēgū́menoi (pres. pt. med.) «guide, conduttori»; il verbo hēghéomai intende «andare avanti, precedere, guidare, condurre; incominciare; comandare, governare, capitaneggiare; credere, stimare, reputare, giudicare» (cfr. Eb 10,29; 11,11.26; 13,7.24). Eb 13,17 viene usato spesso in modo strumentale dai conduttori per comandare la sottomissione ai membri della propria assemblea. Ho tradotto letteralmente tale verso, che recita così: «Dare retta ai vostri conduttori e siate arrendevoli! Infatti, essi vegliano sulle vostre anime, come coloro che renderanno conto; affinché facciano questo con gioia e non sospirando; perché ciò vi sarebbe disutile». Il primo verbo è peíthō e intende, secondo i casi, «persuadere, convincere, tentare di persuadere; fidarsi, confidare, avere fiducia, affidarsi, essere fiducioso; med. e pass. lasciarsi persuadere (convincere); obbedire, dare retta; essere persuaso, credere, fidarsi di» (2,13; 6,9; 13,18); qui c’è il pres. imp. pass. Non si tratta quindi di un’obbedire militare, ma di un dare retta, perché ci si fida e si è persuasi delle buone intenzioni di coloro, verso i quali si ha rispetto e riverenza. Il secondo verbo è hypeikō è una variante accentuativa di eikō «cedere, tirarsi indietro, ecc.» e intende «cedere, retrocedere, essere arrendevole, piegarsi, accondiscendere, arrendersi, concedere, ecc.» (cfr. Gal 2,5); qui c’è il pres. imp. att. Questo verbo mitiga il primo e lo interpreta, mostrando un atteggiamento di accondiscendenza per un bene comune superiore. ● Il motivo di tale atteggiamento di volontaria e fiduciosa sottomissione è dovuto al ministero principale di tali guide, descritto col verbo agrypnéō, che intende «essere senza sonno (insonne), vegliare; sorvegliare, essere vigilante, aver cura» (cfr. Mc 13,33; Lc 21,36; Ef 6,18). Gli attuali «vostri conduttori», a cui bisognava piegarsi (cfr. 1 Ts 5,12s; 1 Pt 5,3), erano coloro, che tenevano la guardia sugli altri (cfr. sentinelle Is 62,6; Ez 3,17; epískopos «sorvegliante» cfr. 1 Tm 3; Tt 1).

 

2.2.  INTERVENTI ADEGUATI E ARBITRARI DEI CONDUTTORI

     ■ Disciplina fra legittimità e abuso: I casi legittimi, in cui l’assemblea locale è autorizzata a togliere la comunione a qualcuno, sono soltanto i seguenti, ossia in cui si possa dire «anatema»: un falso evangelo e una falsa etica. È un arbitrio farlo per opinioni differenti su cose dottrinali e morali, dove la Bibbia non è chiara, lascia differenti convinzioni di coscienza (cfr. Rm 14), permette stili di vita diversi (non in contrasto con la Parola) e per cui afferma: «Fatevi i fatti vostri» (cfr. 1 Ts 4,11; 1 Pt 4,15). In certi casi, togliere la comunione è un vezzo di alcuni conduttori, per rimarcare il proprio potere verso coloro, che si ritiene avversari delle propria dottrina particolare. In una lettera di fuori comunione lessi come motivazione: «…perché non vediamo in voi il frutto dello Spirito». Allora siamo tutti a rischio, almeno un paio di volte l’anno.

     Togliere eccezionalmente la comunione è un atto di chiesa, non di un conduttore. Inoltre, non è un fine, ma (oltre alla sanzione) è uno strumento di recupero. In certi casi, nonostante il ravvedimento dei rei, la riabilitazione non avviene da parte dei conduttori, perché non vogliono confrontarsi con persone, che ritengono potenzialmente fastidiose, o per tenere fuori coloro, che ritengono potenziali e temibili avversari.

 

     ■ Fase di fondazione e fase stabile di una comunità: Nel caso di 1 Timoteo 5,19s si tratta di una fase di fondazione, in cui l’emissario di una squadra missionaria, che ha fondato un’assemblea, riconosce gli eventuali conduttori (Tt 1,5), ma rimprovera pubblicamente quelli, che si macchiano di peccato e li destituisce pure. Ora, nella fase post-missionaria, quando la chiesa è costituita da tempo, l’ultima istanza dell’assemblea locale è quest’ultima. Infatti, essa riconosce i propri conduttori e li può anche destituire. Quando avvengono fatti del genere, in cui uno o più conduttori si sono resi colpevoli, fare chiarezza nell’assemblea, umiliarsi dinanzi a Dio, cercare la sua volontà, giudicare i fatti secondo verità, confessare reciprocamente i propri falli e prendere le giuste decisioni, può essere un momento di purificazione ecclesiale, di ricompattamento e di nuova ripresa. La questione è gestirli in modo conforme alla Scrittura, con pari consentimento e con spirito di umiltà.

 

     ■ Disciplina all’acqua di rose: Conosco casi di fuori comunione, in cui i trasgressori sono stati banditi dalla comunione fraterna per decenni, senza alcun tentativo di cura pastorale e recuperò. Esistono poi casi disciplinari su questioni evanescenti (opinioni, atteggiamenti, ecc.). Quando chi ha un ministero della Parola, viene messo fuori comunione da conduttori (e non dalla chiesa!), senza chiare motivazioni dottrinali o morali, dando solo raccomandazioni ai credenti a evitare contatti con lui e senza avvertire le altre assemblee, che magari lo invitano, questa si chiama disciplina all’acqua di rose, che crea solo equivoci e pasticci e che diventa come un boomerang contro i conduttori, che lo hanno pronunciato tale atto di fuori comunione.

     Se tale credente predica un altro evangelo, allora non c’è che l’anatema della chiesa (Gal 1,8s; cfr. Es 22,20). In tali casi, viene comandato al collaboratore che non si abbia nessun contatto con tale uomo fazioso (Tt 3,10). E ai credenti viene ingiunto: «Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa, e non lo salutate; perché chi lo saluta partecipa alle malvagie opere di lui» (2 Gv 1,10s).

     Se un credente s’è macchiato di un grave fatto morale, che ha rovinato la testimonianza, il missionario fondatore Paolo vedeva solo la via di consegnare tale reo a Satana, «per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù» (1 Cor 5,5) e di rimproverare la chiesa tollerante (vv. 1ss.6s). Per questo e altri casi morali, l’apostolo ingiunse: «Mettete fuori da voi stessi il malvagio» (vv. 11ss).

 

     ■ Disciplina auto-protettiva: Se i casi non sono quelli sopra descritti, si tratta di disciplina all’acqua di rose, che mostra l’incapacità dei conduttori di pasturare il gregge e di praticare la necessaria cura pastorale e il discepolato. Ciò crea solo confusione e incertezza nell’assemblea e fa sospettare che l’autorità dei conduttori sia solo arbitrio e autoritarismo. A ciò si aggiunga che nasca il sospetto, che i conduttori abbiano messo fuori comunione proprio coloro, che avevano accuse specifiche contro di loro circa la loro moralità. Allontanare tali scomodi credenti, senza demonizzarli agli occhi degli altri e di altre chiese, conveniva loro, per cercare di insabbiare le questioni e per evitare polveroni, che li avrebbero moralmente discreditati in primis.

 

2.3.  LA DISCIPLINA VERSO I CONDUTTORI

     ■ Come evitare gli abusi di potere?: Per prima cosa, bisogna chiarire quale sia l’ultima autorità nell’assemblea locale. Come ho già detto sopra, se l’assemblea ha l’onore di riconoscere i propri conduttori, ha anche l’onere di rimuoverli. Quindi, l’assemblea dei membri è l’ultima istanza nella chiesa, non i conduttori, che sono solo i delegati dell’assemblea. Per seconda cosa, bisogna smetterla con la convenzione «una volta anziani, per sempre anziani». Se le qualità richiesta per un conduttore non si realizzano (1 Tm 3; Tt 1), non bisogna riconoscere un credente come guida della comunità. Similmente, laddove esse vengano meno, l’assemblea può rimuovere un tale credente dalla carica di conduttore. Per questo, è bene avere delle verifiche periodiche per i conduttori (p.es. ogni 4-5 anni) o almeno laddove ci sono gravi indizi per fatti morali o per mutamento di convinzioni dottrinali. L’assemblea può delegare a un «gruppo di saggi» l’analisi delle accuse e la proposta di soluzioni. Si noti comunque che in 1 Corinzi 6,5 Paolo si riferiva a fratelli all’interno della comunità.

 

     ■ Conduttori irreprensibili: La qualità primaria dei conduttori deve rimanere l’irreprensibilità, ossia tendere a vivere al di sopra di ogni riprensione; tale qualità dev’essere sia inerente (soggettiva), sia esternata e percepita dagli altri credenti (oggettiva), costituendo addirittura una «buona testimonianza» da parte di quelli di fuori. Quando la chiesa di Gerusalemme fece pressione sugli apostoli, affinché si affiancassero loro dei collaboratori (non erano «diaconi», ma i futuri anziani della chiesa!), per gestire meglio tutti gli aspetti dell’opera, questa fu la loro decisione: «Pertanto, fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico» (At 6,3). Un conduttore, se è irreprensibile, non avrà obiezioni a essere messo alla prova, sapendo che ne uscirà puro come l’oro (cfr. 1 Pt 1,7; Gb 23,10). Se si sottrae a una verifica, getta ombre sulla sua condotta e, in pratica, si squalifica con le sue stesse mani (cfr. Gv 3,20s).

     Un tale conduttore si comporta similmente a Saul, che invece di porsi veramente alla verifica del Signore, per ravvedersi ed essere rinnovato da Lui, fece solo una confessione formale di labbra, essendo più interessato ad avere il plauso dinanzi al popolo (1 Sm 15,30). Oppure fa come Diotrefe, che per avere il primato monocratico nell’assemblea, non solo non riceveva i missionari fondatori e altri fratelli di fuori, ma cacciava fuori della comunità tutti coloro, che facevano diversamente (3 Gv 1,9s).

 

Sottomissione ai conduttori e loro disciplina? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

Per l’approfondimento di questioni concomitanti, si vedano i seguenti scritti:

Comportamenti erronei di conduttori verso i membri {Nicola Martella} (A)

Piano personale e istituzionale dei conduttori: Disciplina e abuso di potere nella chiesa {Nicola Martella} (A)

I provvedimenti di fuori comunione {Nicola Martella} (A)

Togliete il malvagio da voi stessi (1 Corinzi 5) {Nicola Martella} (D)

Uso e abuso della disciplina ecclesiale {Nicola Martella} (D)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Sottomiss_disciplina_UnV.htm

02-10-2013; Aggiornamento:

 

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