Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all’ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l’ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Salmo 23

 

Prassi di chiesa

 

 

 

 

Consultando l’indice, ci si renderà conto che, oltre alla trattazione punto per punto, esiste un lungo articolo dal titolo «Applicazioni risultanti». In esso i singoli punti portano gli stessi titoli della trattazione. In varie opere, che abbiamo consultato, le asserzioni sul testo del Salmo 23 (spesso poche, a dir il vero) erano soverchiate dalla mania dell’applicazione (spesso solo devozionali) per l’oggi. Alla fine la seguente domanda rimaneva spesso senza risposta: «Allora che cosa intendeva Davide con questa espressione?». È chiaro che se non si capisce bene il testo, così come l’intendeva l’autore, lo si applicherà anche in modo arbitrario e avventuroso.

  Separando la parte esegetica dalle applicazioni, c’è il seguente vantaggio: si semplifica la consultazione nel caso, in cui si vuol sapere soltanto ciò che sta veramente scritto in un punto specifico del testo biblico originale, senza doversi districare in una giungla di tante applicazioni per l’oggi. Per la lettura ci sono comunque due possibilità: 1) leggere il libro da cima a fondo; 2) leggere dapprima una parte esegetica e subito dopo la relativa applicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA PECORA CAPARBIA E IL DOVERE VERSO LE ALTRE

 

 di Nicola Martella

 

Dovresti continuamente occuparti delle pecore caparbie, che si sono allontanate volontariamente dal gregge e, se trovate, non vogliono tornare, ma occupano lungamente il tuo tempo e le tue energie, senza alcun risultato?

 

1. IL CASO BIBLICO

     Gesù riportò la seguente similitudine, per illustrare la gioia di Dio salvatore verso chi si converte: « Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti per andare in cerca di quella smarrita? E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite » (Mt 18,12s). Come il pastore non vuole che la sua pecora perisca, così neppure il Padre celeste vuole che si perdano «questi piccoli» (v. 14); questo dev’essere pure il sentimento dei conduttori di chiesa.

     Perdere l’orientamento ha tante cause (disattenzione, distrazione, imperizia, poca cautela, ecc.), ma in genere nessuno si smarrisce di propria volontà. Che fare, però, quando una pecora si allontana volontariamente dal gregge e lo fa magari più di una volta? Dovrà il pastore lasciare le altre pecore da sole, in pericolo, per andare a cercare quella smarrita? Una siffatta pecora la si può legare e, se rimane caparbia, la si può vendere o addirittura ucciderla per mangiarsela. A un certo punto, ogni pastore si rende conto che ha un dovere verso le altre novantanove pecore.

     Le persone non sono come le pecore, hanno un senso di auto-determinazione e di volontà. A volte tali credenti se ne vanno deliberatamente dalla comunità e, quando cercate, non sempre vogliono tornare. Eppure può succede che una tale «pecora» richieda l’investimento di molto tempo e di grandi energie; e a volte succede che dica alle guide della chiesa: «Lasciatemi in pace e non cercatemi più!». Intanto, ha consumato tempo ed energie utili per aiutare le altre 99, che ha spesso trascurato, per assecondare la centesima caparbia. Vi pare saggio?

 

2. ENTRIAMO IN TEMA

     Quale conduttore non conosce il caso di credenti, a cui si è data tanta cura pastorale, ma che alla fine, come delle pecore caparbie e ribelli, hanno voluto continuare a vivere nel peccato, in cui sono incappati, hanno rifiutato ogni ammonizione e, infine, si sono allontanati dal «gregge»? Abbiamo continuato a rincorrere tali credenti, a pregare per loro, a esortarli ad abbandonare il loro peccato e a ritornare all’«ovile», ossia nella comunione fraterna. Tutto ciò non è servito a nulla, se non ad avere notti insonni, tristezza nel cuore e a continuare a occupare tempo in preghiera. La cosa triste è che proprio tali persone snaturano la realtà dei fatti dinanzi ad altri e fanno passare se stesse come i «buoni» (vittime) e proprio coloro, che le hanno curate, come i «cattivi» (carnefici). Purtroppo, spesso contattano i credenti della chiesa, raccontano la loro falsa interpretazione dei fatti e seminano dubbi e sospetti negli altri verso le guide della chiesa. Si spera in un cambiamento e in un ravvedimento, ma col tempo tutto si incancrenisce di più. Tali persone, pur vivendo nel peccato, vogliono un Dio a propria immagine, che le ami e le benedica, pur vivendo esse nella ribellione e nella disubbidienza. Eppure la diagnosi biblica è chiara: chi persiste nel peccato, non ha conosciuto Dio. «Ognuno, che permane in Lui, non sta a peccare; ognuno, che sta a peccare, non l’ha visto né l’ha conosciuto » (1 Gv 3,6).

 

3. QUANDO MANCA IL PENTIMENTO

     Che fare, quando chi ha fatto, una volta, una professione di fede, si è posto poi in una situazione di peccato, ma non mostra segni di ravvedimento e non accetta più le ammonizioni, ma si allontana dalla comunità? Ogni tentativo di recupero viene vanificato; e infine, dopo mesi e mesi di insistenza, tale credente, che vive nel peccato, viene messo fuori comunione come ultima ratio.

     La Parola afferma: «L’uomo fazioso, dopo una prima e una seconda ammonizione, schivalo, sapendo che un tal uomo è pervertito e pecca, condannandosi da sé » (Tt 3,10s). Penso a casi specifici, in cui le ammonizioni sono state tante e continue, in tutti i modi possibili, da parte delle guide della chiesa locale. Dove sta la faziosità e la perversione spirituale e morale di una siffatta persona, che una volta aveva fatto una professione di fede? Spesso nel rigirare la realtà come vuole, pur di giustificare se stessa, facendo passare se stessa (e quelli come lei) come vittima linda e incolpevole e le guide della chiesa come carnefici ingiusti e sadici. La «pecora» smarrita vorrebbe essere essa a guidare i «pastori» della chiesa, che lei ha abbandonato; infine, pur essendosene andata per la sua via, dice spesso peste e corna di loro.

 

4. LA DINAMICA DELLA CAPARBIETÀ

     Quando si fa un ulteriore approccio, per portare tale persona alla ragione, appena uno riporta i veri fatti (situazione di peccato), che lei aveva precedentemente travisato, eccola a snaturarli di nuovo. È interessante notare che, in tali situazioni, una tale persona reclama Dio dalla sua parte, pur volendo agire a suo arbitrio e gettandosi dietro alle spalle ciò, che Dio afferma nella sua Parola. Una persona del genere vive nella disubbidienza, ma pretende di essere benedetta e premiata da Dio! È una visione del mondo del tutto ribaltata. Ed è tale visione che lei comunica occasionalmente ad altri credenti della chiesa, che incontra occasionalmente, scombussolandoli e confondendoli.

     Che fare con una persona del genere, che afferma di essere credente, ma è caparbia e disubbidiente? Sebbene la Parola ingiunga di schivarla, a un certo punto, si è magari continuato a esortarla per tanto tempo, sperando in un cambiamento miracoloso. Ma come può Dio compungere il cuore di chi si ostina e indurisce? Allora, quando si perverte la realtà delle cose, ci si condanna da sé, peccando dinanzi a Dio volontariamente; nella Bibbia a tale realtà segue spesso l’indurimento anche da parte di Dio (cfr. il faraone; Es 7,13.22). Poi, i segni concreti diventano visibili nella vita di tali persone.

 

5. IL MOMENTO DI SMETTERE DI RINCORRERE

     Prima o poi, arriva il momento di smettere di fare cordoglio per una persona caparbia (cfr. 1 Sam 16,1). Allora bisogna ubbidire alla Parola: se uno non accetta le continue ammonizioni, schivalo! A un certo punto, le guide della chiesa locale devono smetterla di voler essere medici di pazienti ostinati, che non si sentono malati e che dicono a chi li cura: «Hai sbagliato l’approccio e la cura alla mia situazione!». Devono smetterla di rincorrere pecore caparbie, che volontariamente si sono allontanate dal gregge, che non hanno voluto seguire i richiami dei loro pastori, quando le hanno cercate, che hanno detto loro di lasciarle in pace e che ora affermano singolarmente, però: «Tutti mi hanno abbandonato! Nessuno mi ha cercato! Siete privi d’amore». Siffatte pecore ribelli al Signore vorrebbero un Dio a propria immagine, che faccia fare loro ciò, che vogliono, e che li ami e benedica comunque. Sebbene tali pastori abbiamo pianto per le pecore, che caparbiamente si sono allontanate, e hanno fatto di tutto per riportarle al gregge, siffatte pecore ribelli accusano tali pastori delle cose più indicibili, facendoli passare per freddi e insensibili carnefici. Eppure quanti incontri pastorali ci sono stati, per recuperare una tale pecora!?

 

6. ATTENZIONE AL CONTAGIO

     Una siffatta pecora, invece di correre al gregge, diventa la causa dell’intiepidimento per altri; e presentando agli altri i fatti al rovescio (cosa tipica di chi perverte la realtà e s’indurisce nel suo cuore), semina dubbi e sospetti in loro riguardo all’operato dei pastori di quel gregge, creando afflizione e confusione. Sebbene tali persone abbiano agito a proprio arbitrio, rifiutando tutti i moniti e tutte le esortazioni, e abbiano preferito agire secondo la carne o il mondo, dove hanno cercato soddisfazione, il loro orgoglio le porta a pensare e affermare di essere in pace con Dio, mentre sarebbero proprio le guide della chiesa a essere nell’errore. Bisogna guardare la comunità dalla ribellione a Dio, essendo essa contagiosa, e portando il gregge a disperdersi!

 

7. QUANDO SI È FATTO OLTRE IL DOVUTO

     La Scrittura recita: «Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa, e non lo salutate; perché chi lo saluta partecipa alle malvagie opere di lui » (2 Gv 1,10s). Eppure, con tali pecore si è insistito a tempo e fuor di tempo, per lunghi periodi e con tutti i mezzi possibili. Poi, visto il loro indurimento, viene il tempo in cui bisogna lasciarle a se stesse. All’inizio abbiamo visto che il pastore lasciò le altre sue 99 pecore sui monti, dove i pericoli erano tanti, per cercare la pecora incauta, che si era smarrita (Mt 18,12ss). Non è giusto cercare continuamente una pecora, che si smarrisce volontariamente, che non vuole essere cercata, che trovata dice al suo pastore di non voler tornare al gregge (o magari solo alle sue proprie condizioni!) e di essere lasciata in pace e che racconta agli altri tutta un’altra realtà. A un certo punto, si fa bene a lasciarla a se stessa, per dedicarsi alla cura delle altre 99 pecore, che attendono e che hanno il diritto di essere da lui curate.

 

8. BADARE AL RESTO DEL GREGGE

     Alcuni, se non si induriscono e si perdono completamente, devono prima aver toccato il fondo, per rendersi conto della loro situazione, per ravvedersi, per chiedere soccorso e farsi aiutare a risalire. Aspettando e pregando per un rinsavimento, dobbiamo lasciare a Dio la responsabilità su tali persone, fintantoché agiscono con arbitrio, caparbietà e rabbia; e dobbiamo confidare che l’Onnipotente, sapendo ogni cosa, ha una medicina anche per loro.

     In certi casi, bisognerà constatare che ogni tentativo di sanare una tale persona è andata a vuoto, nonostante tutto l’amore che le abbiamo mostrato, tutto il tempo investito e tutti gli interventi intrapresi. Una tale persona aveva la parvenza della devozione, ma non ha voluto sottomettersi veramente a Dio; voleva amare il Signore a modo loro, senza ubbidirgli veramente. Avrà forse accettato Gesù come suo Salvatore, ma non lo vuole veramente come Signore; allora vengono seriamente i dubbi che sia mai stata veramente rigenerata. Anche l’apostolo Giovanni dovette amaramente constatare: «Uscirono di mezzo a noi, ma non erano dei nostri — infatti, se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi — ma affinché fossero manifestati che essi tutti non sono dei nostri» (1 Gv 2,19). A un certo punto, bisogna fermarsi di cercare quelli, che se ne sono andati e vogliono rimanere caparbiamente lontano. Se si ravvedranno, lo mostrerà il tempo. Intanto il dovere di tali guide è dedicarsi a quelli che sono rimasti, vegliando e proteggendoli dai lupi esterni e dagli eventuali maestri perversi, che si potrebbero annidare all’interno (cfr. At 20,28ss).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Pecora_caparbia_S23.htm

14-06-2014; Aggiornamento:

 

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