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1.Famiglia e
messaggio biblico
▼
2.Il
gioco democratico
▼
3.Politica
e religione
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L’acronimo «Pacs» sta per «Patto civile di solidarietà» e «Dico» sta per
«Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi».
Una lettrice mi ha fatto presente la «Dichiarazione della presidente
dell’Ucebi sui PACS». Dopo tanto cercare la fonte originaria (è stata
ripresa soprattutto da siti omosessuali), l’ho trovata (pdf).
«Ucebi» sta per «Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia». L’autrice è
Anna Maffei, presidente di tale organo. La «dichiarazione» è datata Roma, 31
gennaio 2007.
Su invito di tale lettrice, analizzerò i tre punti dell’autrice e farò
seguire la mia risposta. Anna Maffei ha introdotto la sua dichiarazione come
segue: «Sulla storia infinita dei Pacs, sugli eterni ondeggiamenti delle
forze politiche, sulle dichiarazioni e sulle smentite, sugli interventi
della presidenza della Repubblica, sui roboanti e insistenti pronunciamenti
di Oltretevere vorrei dire tre cose chiare».
Si noti che «Oltretevere» sta per il Vaticano. Analizziamo quindi le «tre
cose chiare».
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1. FAMIGLIA
E MESSAGGIO BIBLICO
1.1. LA TESI: «La Bibbia non santifica la famiglia, anzi non
nasconde le difficoltà delle famiglie. Non ha un solo modello di famiglia e
non fa della sua difesa il fulcro del messaggio cristiano. Qualunque
conoscitore del Nuovo Testamento queste cose le sa. Posso aggiungere che
perfino Gesù non ha goduto di un rapporto facile con la sua famiglia di
origine. A chi gli ricordava le parentele, lui indicava la comunità
messianica come la sua vera famiglia. Gesù non è venuto per dare stabilità
alle istituzioni esistenti (gerarchie religiose, patria e famiglia), ma a
scuoterne le fondamenta a partire da un messaggio dirompente basato non
sulle forme ma sui contenuti, non sulla legge ma sulla misericordia, non
sulle strutture di potere ma sulla potenza dell’amore gratuito e sul
perdono. Può essere spiazzante e lo è, ma se le chiese cristiane dimenticano
proprio questo è come aver perso l’orientamento, come costruire un edificio
grandioso senza fondamenta. Può cadere in qualsiasi momento».
1.2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI
■ «La Bibbia non santifica la famiglia». Noto dapprima un uso
improprio del verbo «santificare». Ciò
sorprende perché lo usa la presidente dell’Ucebi, da cui ci si aspetta una
certa correttezza nell’uso della terminologia biblica. Si potrebbe
rispondere: «Certo che la Bibbia santifica la famiglia». Paolo, pur
ingiungendo ai credenti di sposarsi nel Signore (1 Cor 7,39), osservò
riguardo a chi probabilmente si convertiva avendo un coniuge non credente: «Il
marito non credente è santificato nella moglie, e la moglie non credente è
santificata nel marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri,
mentre ora sono santi» (1 Cor 7,14). Anche l’autore della lettera agli
Ebrei comandò: «Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti, e sia il
letto coniugale incontaminato; poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli
adulteri» (Eb 13,4). Altra cosa è dire che la Bibbia «non nasconde le
difficoltà delle famiglie».
■ «[La Bibbia] Non ha un solo modello di famiglia». È
vero che la Bibbia conosce la monogamia e la poligamia, il matrimonio con
una libera (moglie) e con una schiava (concubina). È anche vero che, quando
Paolo ingiungeva che il futuro episcopo dovesse essere «marito di una
sola moglie» (1 Tm 3,2; Tt 1,6), intendeva escludere da questo ministero
i poligami (erano già occupati abbastanza con la loro copiosa prole per
occuparsi anche della chiesa locale). È anche vero che il matrimonio era un
atto che avveniva fa due famiglie e, sebbene in qualche modo coinvolgeva la
collettività locale, non riguardava lo Stato in quanto tale.
Detto questo, però, si noti che la difesa del
matrimonio è ancorata nel Decalogo stesso (la Costituzione d’Israele) e in tal
modo, venne fatto divieto di sottrarre la moglie a qualcuno (Es 20,17; Dt 5,21).
Sulla base del comandamento divino Giovanni Battista poté accusare Erode di
tenersi indebitamente Erodiada, moglie di Filippo suo fratello, dicendo: «E
non t’è lecito d’averla» (Mt 14,3s). Giovanni fu messo in prigione e infine
giustiziato.
Gesù fece riferimento alle origini, quando Dio creò un
uomo e una donna perché divenissero una sola carne (Mt 19,4ss) e comandò di non
separare il matrimonio senza «giusta causa» (v. 9). Gesù aveva ben in mente la
differenza fra matrimonio legittimo e convivenza, quando mostrò di sapere che la
Samaritana aveva avuto cinque mariti e l’uomo con cui al momento stava insieme
non era suo marito (Gv 4,18). Quindi, sebbene la Bibbia non avesse un «solo
modello di famiglia», si ispirava alle origini e discriminava fra legittimità e
non.
■ «[La Bibbia] non fa della sua difesa il fulcro del
messaggio cristiano». È vero. Il fulcro del messaggio cristiano è Gesù
Messia: la sua persona e la sua opera. Ma ciò non significa che non difenda
il matrimonio e la famiglia. In genere si sanziona ciò che è proibito.
Quindi si può vedere ciò che è sbagliato dalla pena comminata. In molti
testi dell’AT e del NT si evince che Dio (o Cristo) giudica chi rompe
l’altrui matrimonio, ad esempio Davide che si prese la moglie di Uria. Il
giudizio si rivolge contro chi infrange ciò che la Legge difende. Il
comandamento di «non commettere adulterio» è ricordato anche nel NT
(Mt 5,27; 19,18; Rm 13,9; Gcm 2,11). Adulteri e fornicazioni sono menzionate
fra le cose che contaminano l’uomo (Mt 15,19s). La fornicazione, tra altre
cose, doveva escludere dallo comunione fraterna (1 Cor 5,11). Fra gli
ingiusti che saranno esclusi dall’ereditare il regno di Dio sono menzionati
i fornicatori, gli adulteri, gli effeminati e i sodomiti (1 Cor 6,9ss; cfr.
Ef 5,5; 1 Tm 1,10). Nel NT il giudizio di Dio viene minacciato a chi
infrange il matrimonio con come fornicatore e come adultero (Eb 13,4). Ai
fornicatori impenitenti viene minacciato lo stagno di fuoco (Ap 21,8;
22,15). Non si può quindi relativizzare dialetticamente matrimonio e
famiglia affermando che non fanno parte del «fulcro del messaggio
cristiano».
■ Quanto a Gesù, non si può prendere il rapporto, a volte, non
facile con la sua famiglia di origine, per relativizzare quest’ultima.
Intanto è stato fino a 30 anni in famiglia e ancora sotto la croce pensò al
bene di sua madre. È vero che Gesù non venne primariamente a dare stabilità
alle istituzioni esistenti, ma non venne contro la Legge (Mt 5,17ss) né a
promuovere un amore gratuito senza verità. Gesù si oppose alle incrostazioni
delle tradizioni non al comandamento divino. Venne a promulgare la
misericordia divina per i peccatori, ma essa non diventava efficace senza la
loro conversione: «Neppure io ti condanno; va’ e non peccar più» (Gv
8,11).
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2. IL
GIOCO DEMOCRATICO
2.1. LA TESI: «Se il Parlamento Italiano alla fine riuscirà a
dare risposta a quei cittadini che desiderano che la loro scelta di
convivenza sia maggiormente riconosciuta e tutelata, non credo che questo
potrà ledere la libertà di altri che, credenti o non credenti scelgono di
sposarsi. Una libertà e un diritto non oscurano un’altra libertà e un altro
diritto. Le istituzioni democratiche semplicemente offrono una possibilità
di tutela in più alle persone che la chiedono. Si studi fino a che punto
questo si può fare, considerando anche le implicazioni economiche. Si
discutano diverse posizioni: è il gioco democratico. Ma poi basta: si
decida! Perché tanto scandalo? Perché tanta demagogia? Non si stanno mica
scrivendo i 10 comandamenti su tavole di pietra».
2.2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI: È vero che la libertà altrui
riguardo al tipo di convivenza può non ledere la scelta di altri di
sposarsi. È anche vero che
l’istituto matrimoniale come oggigiorno lo conosciamo (ci si sposa
dinanzi allo Stato e si viene sposati da un rappresentante dello Stato), non
era conosciuto al tempo dell’AT e del NT. A quel tempo ci si sposava dinanzi
alle famiglie e l’atto matrimoniale (comunque fosse realizzato) rendeva
quella donna tabù per gli altri.
L’esempio singolare era dato dal matrimonio di
Isacco. Il mediatore (servo senior d’Abramo) si recò, per mandato d’Abramo,
da Canaan nel Paddan-Aram (attuale Iraq) per trovare una sposa tra i parenti del
patriarca. Trovata la ragazza e appurando la sua disponibilità, chiese il
permesso al responsabile del clan, contrattando i termini. Poi si tornò indietro
con la giovane. Qui l’autore fu lapidario. Arrivati che furono, il mediatore
mise al corrente Isacco per filo e per segno su come erano andate le cose (Gn
24,63-66). «E Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, se la
prese, ed ella divenne sua moglie, ed egli l’amò» (v. 67). Certamente ciò fu
possibile perché il capo-clan di Rebecca e quello di Isacco, sebbene distanti,
furono concordi per mezzo del mediatore.
È possibile che molte odierne convivenze,
avvenendo col consenso delle rispettive famiglie, ai tempi biblici fossero
considerati matrimoni a tutti gli effetti? Poiché tutte le unioni civili si
basavano solo sul consenso familiare, avendo già così forza giuridica, a tali
unioni veniva messo fine mediante un atto di ripudio formale di natura privata
(Dt 24).
In ogni modo, abbiamo ricordato che Gesù
distinse fra matrimonio e convivenza. Probabilmente Gesù poté dire alla
Samaritana «hai avuto cinque mariti e quello che hai ora, non è tuo marito»
(Gv 4,18), solo perché lui o lei non avevano un atto formale di divorzio; ossia
essi convivevano, pur essendo lui o lei ancora legato a un coniuge. Infatti, se
fossero stati ambedue liberi da altri legami (cfr. Dt 24,1ss), la loro
convivenza consensuale sarebbe stata considerata un matrimonio in quella
società.
Quanto al «gioco democratico», certamente il
rispetto delle mie libertà di cristiano è un grande vantaggio in questa società
a differenza dei regimi teocratici odierni. È anche vero però che per noi
cristiani deve interessare principalmente ciò che vale dinanzi a Dio. Anche a
Sodomia erano democraticamente d’accordo a praticare la sodomia (Gn 19,4), ma
tale «gioco democratico» non li protesse dall’ira di Dio. Si veda similmente ciò
che avvenne in Ghinea di Beniamino (Gdc 19,22). Sebbene la democrazia sia un
grande vantaggio per noi cristiani, dovremmo chiederci soprattutto ciò che Dio
vuole (cfr. At 5,29).
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3. POLITICA
E RELIGIONE
3.1. LA TESI: «Il terzo punto, la nota dolente, non riguarda
la pretesa della Chiesa cattolica romana di avere la parola definitiva e
priva di dubbi su tutto, in tutti i campi e in tutte le situazioni. È sempre
stato così: niente di nuovo sotto il sole. Il problema vero è la mancanza di
autonomia culturale delle forze politiche e il tamtam mediatico che
ingigantisce il reale potere di chi parla creando un effetto ottico che
comporta enormi conseguenze. Io credo che, come ampiamente dimostrato da
tante inchieste, le posizioni ufficiali della gerarchia cattolica non siano
in realtà condivise da molti cattolici praticanti (che sono una piccola
minoranza di cattolici) e soprattutto non siano messe in pratica dalla
stragrande maggioranza del popolo cattolico che ha sempre dimostrato molta
autonomia in campo etico. Le questioni relative alla contraccezione sono
l’esempio più lampante, ma non l’unico. Questo è il problema: l’effetto
ottico prodotto dall’amplificazione mediatica e l’ansia della classe
politica di compiacere un’istituzione religiosa. Il fatto è che i politici
italiani appaiono ogni giorno più smarriti e con i loro tentennamenti e veti
incrociati si allontanano sempre più dai cittadini che li hanno votati».
3.2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI: Si può condividere ciò che
l’autrice afferma sulla denominazione maggioritaria.
■ «Il problema vero è la mancanza di autonomia culturale delle forze
politiche». È veramente questo il «problema vero»? La Scrittura non
divide gli uomini in «culturalmente autonomi» e non, ma in «giusti e
malvagi» (o «pii ed empi»). Mi pare che il vero problema della società sia
l’aver perso di vista i valori morali della sacra Scrittura. E il vero
problema di molte chiese è di essersi appiattite sulla società. Non poche
chiese da proclamatrici dell’Evangelo e da voci profetiche nella società
sono diventate esse stesse sciape e lumi spenti (Mt 5,13). Chiese che dicono
alla gente quel che vogliono sentirsi dire, rischiano di aver già tradito la
loro vocazione profetica (Is 30,10).
Cristiani che nelle scelte etiche si basano più sul «consenso culturale» del
proprio tempo più che sull’esegesi della Parola (anzi la mettono
dialetticamente fuori uso), rischiano di aver ormai tradito il loro mandato
di «gente del Libro»; e spesso il tutto succede per avere un rispettabile
«posto al sole» nella società (cfr. però Lc 6,26). I padri fondatori del
loro movimento, a cui credere in Cristo costava veramente qualcosa (a volte
la stessa vita), se ritornassero in vita, stenterebbero addirittura a
riconoscerli come loro seguaci. Forse direbbero loro come il profeta Isaia:
«Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che mutano le
tenebre in luce e la luce in tenebre, che mutano l’amaro in dolce e il dolce
in amaro!» (Is 5,20).
Quando si vede il «vero problema» solo nella «mancanza
di autonomia culturale delle forze politiche» e il grosso dei propri sforzi è
orientato verso il «consenso culturale», si corre il rischio che presto si verrà
annoverati fra i «sorveglianti incompetenti». O come lo affermò il profeta
Isaia: «I guardiani d’Israele sono tutti ciechi, senza intelligenza; sono
tutti dei cani muti, incapaci d’abbaiare; sognano, stanno sdraiati, amano
sonnecchiare. Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia l’esser satolli; sono
dei pastori che non capiscono nulla; sono tutti volti alla loro propria via,
ognuno mira al proprio interesse, dal primo all’ultimo» (Is 56,10s).
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L’anti-cattolicesimo cattolicizzante? Di Levi Dio disse: «Egli mi
temette, e tremò dinanzi al mio nome. La legge di verità era nella sua
bocca, e non si trovava perversità sulle sue labbra; camminava con me nella
pace e nella rettitudine, e molti ne ritrasse dall’iniquità. Poiché le
labbra del sacerdote sono le guardiane della scienza, e dalla sua bocca uno
cerca la legge, perché egli è l’inviato dell’Eterno degli eserciti» (Mal
2,5ss). Visto il sacerdozio universale del nuovo patto, ci si aspetterebbe
tutto questo da ogni uomo e da ogni donna che si chiami «cristiano»,
specialmente se occupa posti di guida.
È singolare che la presidente dell’Ucebi, da cui ci si
aspetterebbe una chiara parola biblica sul pensiero di Dio, pone tutta la sua
argomentazione sul fatto solo una minoranza del «popolo cattolico» condivida le
posizioni ufficiali della gerarchia cattolica, mente la stragrande maggioranza
«ha sempre dimostrato molta autonomia in campo etico». Invece di argomentare
riguardo a che cosa sia giusto o sbagliato, bene o male dinanzi a Dio, si
affronta il cattolicesimo mostrando l’autonomia etica dei cattolici e «l’ansia
della classe politica di compiacere un’istituzione religiosa». Queste sono le
priorità che deve mostrare una «voce profetica»? Ciò che afferma Anna Maffei
contribuisce veramente a far smarrire meno i politici italiani? Qualche dubbio
ci rimane…
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I PACS e le chiese.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Pacs_Dico_GeR.htm
17-03-2007; Aggiornamento: 30-10-2009 |