Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MESTIERI PRECLUSI A CHI PREDICA?

 

 a cura di Nicola Martella

 

 

1.  ENTRIAMO IN TEMA: Chiaramente potremmo anche parlare di mestieri preclusi a tutti i cristiani biblici, ma limitiamo qui il tema a coloro, che hanno un ministero pubblico nelle chiese e in particolare portano in esse predicazioni e insegnamenti. In Italia, la stragrande maggioranza di coloro, che servono con la Parola nelle chiese, esercitano un mestiere secolare per sostenersi; è importante sapere, quindi, se esistono lavori compatibili o meno, eticamente degni o indegni rispetto alla chiamata e al ministero, che svolgono. Per capire di che cosa parliamo, bisogna partire dall’articolo «È lecito fare il deejay e il predicatore?» e specialmente ai contributi delle persone sotto menzionate nel tema di discussione connesso.

     Riporto la domanda, che ho posto in quest’ultimo ai miei interlocutori: Per chi è coinvolto nella predicazione e nei ministeri pubblici della chiesa (o «servizi sacri»), quali lavori secolari (o «mestieri profani») si può permettere di esercitare e quali no?

     Ricordo che in tali scritti il mestiere secolare al centro della discussione è quello di un credente impegnato nell’opera della chiesa locale (Rocco), che fa l’animatore e l’intrattenitore musicale in una sala da ballo, unitamente a due altri colleghi non-credenti, con cui forma un trio musicale.

     Alcune delle cose, che Giacomo combatteva nella sua epistola, erano l’ibridismo etico, la doppiezza morale e la dicotomia fra vita secolare e devozione, cose che rendono il credente «instabile in tutte le sue vie» (Gcm 1,8) e impuro (4,8). Inoltre, egli faceva notare: «Dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione. Fratelli miei, non dev’essere così. La fonte getta essa dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico fare ulive, o una vite fichi? Neppure può una fonte salata dare acqua dolce» (3,10ss).

     Faccio inoltre presente che la qualità maggiore, che viene premessa per chi serve nella chiesa con un ministero pubblico, specialmente nella predicazione e nell’insegnamento, è essere irreprensibile, ossia al di sopra di ogni riprensione, per così essere credibile e un modello da imitare nelle parole, nei fatti, nella castità e in ogni cosa (1 Tm 4,12; 5,2).

 

 

2.  IL DIALOGO FRA I LETTORI: Riporto dapprima il dialogo, che si è sviluppato in particolare fra alcuni lettori come reazione all’articolo e al tema summenzionati.

 

Roberta Sbodio 1: Leggendo l’ultimo post di Nicola mi sorge spontanea una domanda: per un credente sarebbe pertanto preclusa qualsiasi carriera artistica, in quanto mestiere profano e non conciliabile con un coinvolgimento nella predicazione o altro? Potrei citarvi parecchi compromessi, ai quali mi sono sottratta in ambiti «omologati», in settori «seri», nessuno avrebbe mai saputo, né dubitato, però il rischio è ovunque, questo è quello che intendevo; per questo motivo non mi sento di demonizzare certi tipi di contesti. Noi trasmettiamo quello, che siamo, ovunque siamo. Capto spesso tra i credenti un timore delle emozioni, sembra che qualsiasi cosa esuli dalla musica cristiana, sia problematico. Però Dio ci ha regalato i sentimenti, le emozioni; e se ami la musica, quella è un modo per trasmettere queste cose. Nella mia chiesa il problema per fortuna non si pone effettivamente, se no non frequenterei più una chiesa. Crediamo nella grazia, in Dio che compie in noi il volere e l’operare. Onestamente ho a volte la sensazione che molti credenti vivano dei grossi problemi e tensioni interiori, che li portano a volersi difendere da tutto e tutti, per paura di cadere nel peccato; forse perché vivono prigionieri e non liberi? E la musica fa paura, perché va oltre l’intelletto, s’infila nell’anima, tocca il cuore. {12-10-2012}

 

Luca Sgro 1: Caro Nicola, l’obiezione di Roberta per me è molto interessante; e, prima che lei la esprimesse, è stato il motivo principale per cui seguivo questa discussione. Forse al momento è diventato un pochino off topic (= fuori tema), ormai, ma credo meriterebbe di essere approfondito magari in una occasione dedicata. Per rispondere alla tua domanda avrei bisogno che mi aiutassi a capire come possiamo distinguere mestieri «profani» e il loro contrario (mestieri «sacri»?) indipendentemente, credo tu intenda, dalla personale interpretazione del credente. Io personalmente penso che siano le motivazioni, lo spirito, le intenzioni, che ci mette il credente a cambiare il mestiere, a renderlo profano e meno. E questo mi permetto di dirlo non come scarto di musicista, quale io sono, ma come ginecologo, oncologo e ostetrico. Tre specialità che ti garantisco possono essere vissute in maniera molto, molto profana, oppure in modo assolutamente compatibile con un ministero in chiesa. {12-10-2012}

 

Salvatore Paone 1: Ho letto i vari commenti e nel meditare i vostri discorsi rispondo con il Salmo 1, in cui si parla delle due vie, dei giusti e degli empi, contrapposte: «Beato l’uomo, che non cammina nel consiglio degli empi, non si ferma nella via dei peccatori e non si siede in compagnia degli schernitori, ma il cui diletto è nella legge dell’Eterno, e sulla sua legge medita giorno e notte. Egli sarà come un albero piantato lungo i rivi d’acqua, che dà il suo frutto nella sua stagione e le cui foglie non appassiscono; e tutto quello che fa prospererà» (vv. 1-3).

     In questo caso la Scrittura impartisce tre insegnamenti: ▪ 1. il non camminare secondo il consiglio degli empi; ▪ 2. chi cammina con loro, si ferma anche; ▪ 3. e chi si ferma, si siede pure. Quindi, credo che ogni credente deve riflettere e capire che anche certi lavori possono portarci a camminare, fermarci e addirittura sederci con chi commette il peccato. Il mio commento sarà drastico, ma la Parola di Dio è chiara quando dice: «Beato l’uomo, che non cammina secondo il consiglio degli empi». {13-10-2012}

 

Luca Sgro 2: Caro Salvatore, hai citato un bel salmo, e te ne ringrazio. Sono particolarmente affezionato a tutti quei brani che c’insegnano il tema del custodire il nostro cuore. È un aspetto a cui dobbiamo essere sempre molto attenti ogni giorno, nel lavoro come nel divertimento, nei giorni feriali come nelle vacanze, paradossalmente molto di più quanto più viviamo al di fuori del nostro protettivo ambiente cristiano. Là dove è il nostro tesoro, lì sarà il nostro cuore; per cui custodiamo questo nostro cuore. Bellissimo.

     E sono certo che non ti sarà certo sfuggito il valore metaforico di questo brano dell’Antico Testamento, ancora di più alla luce delle accuse, che venivano fatte a Gesù stesso, di camminare insieme ai mafiosi e alle prostitute, e di sedersi con loro, e di andarci pure a cena insieme. Pazzesco: la grandezza di nostro signore Gesù, vista con gli occhi di oggi, ci sembra ancora enorme. Chi di noi oggi ha la forza d’animo di andare a mischiarsi, a parlare, a mostrare amore, a toccare, abbracciare, consolare mafiosi, prostitute, galeotti, ladri? Mica è la stessa cosa andare davanti a loro, aprire una Bibbia e scaricare loro addosso le loro colpe e la loro condanna. E a pensare che Gesù lo fece 2000 anni or sono! Ovvio che c’è un bella differenza tra il vivere insieme a queste persone e il condividere le loro azioni, imitarli, assorbirne lo stile. E, infatti, era su questa differenza che Gesù incentrava il suo insegnamento. L’amore di Gesù era per queste persone, che valevano tanto quanto i farisei, che facevano mestieri molto più rispettabili.

     Eh, beh, quanto è ancora attuale oggi il suo insegnamento. So che Nicola potrebbe accusarmi di relativizzare troppo, ma in questo contesto corro il rischio di prestare il fianco alle sue accuse. Trovo sbagliato giudicare le persone dal mestiere che fanno (non scivoliamo però nel paradosso: il sicario, la prostituta, il pusher rimangono logicamente fuori da questa categoria). Non sono sicuro di saper riconoscere un mestiere sacro da uno profano solo in base al mestiere stesso.

     In quali casi possiamo evitare di lavorare con gli empi? facendo gli eremiti? ma qualcuno dovrà pur rimanere a portare l’esempio, a far vedere che si può lavorare ed essere cristiani, giocare ed essere cristiani, divertirsi ed essere cristiani, andare in vacanza e continuare a essere cristiani (sto diventando troppo prolisso?). {13-10-2012}

 

Salvatore Paone 2: Caro Luca, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento; infatti mi hanno colpite alcune tue osservazioni, che in parte condivido. Ma in questo momento mi viene in mente un esempio, portato un carissimo fratello, che ora è con il Signore, il quale affermava riguardo a quel che stiamo dicendo: «Se mettiamo una persona sopra un tavolo e una giù sul pavimento e diciamo loro di tirarsi con forza il braccio, chi riuscirebbe a cavarsela?». Certamente anche tu mi dirai: quello, che è seduto sul pavimento. Vuoi per una questione di gravità, o per una questione di forza, quello che è per terra riuscirà in qualche modo a trascinare quello che siede sopra il tavolo. Tale esempio mi ha sempre aiutato a riflettere bene prima d’intraprendere una strada, che poteva farmi trovare in un «burrone». Inoltre, tale esempio potrebbe essere paragonato un po’ alla vita del credente, quando viene a trovarsi insieme a persone in genere o in un posto di lavoro, che non onora Dio.

     Ovviamente a questo punto tu mi dirai che si dovrebbe fare una lista dei lavori, che si possono fare e quelli che non si possono fare. Beh, nella società, in cui veniamo a trovarci oggi, dove il male viene definito bene e il bene viene identificato come male, starei molto accorto dove mettere i piedi. Noi non siamo esenti dal peccare, non siamo dei robot, né ci illudiamo che nessun peccato possa toccarci, anzi, al contrario. Pietro nella sua prima epistola scrive che Satana è come un leone ruggente, che gira attorno, vedendo chi possa divorare [cfr. 1 Pt 5,8, N.d.R.]. Anche Paolo scrive agli Efesini 6 dell’armatura, con cui il credente deve armarsi, per non essere vittima dei continui attacchi o dei dardi infuocati del maligno [cfr. Ef 6,16, N.d.R.]; questo implica sicuramente che noi siamo normalmente soggetti a cadere nelle insidie del maligno.

     È naturale che se un credente che ha un ministero di Parola nella propria comunità, deve essere anche un modello per gli altri, se no rischiamo veramente come fanno alcuni, che predicano bene e razzolano male. È pure vero che non bisogna essere degli eremiti; ma ricordo pure le belle parole di 1 Giovanni 2,16s il quale scrisse: «Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno». {13-10-2012}

 

Roberta Sbodio 2: Leggevo i post di Luca e Salvatore. Pensavo che spesso è più facile stare in guardia in contesti manifestamente anticristiani; se vogliamo dircela così: se entro in una discoteca e vedo circolare pastigliette, persone in atteggiamenti ambigui, ovviamente mi sento a disagio e pongo certe barriere. Molto meno ovvio è non cadere nelle piccole seduzioni di ogni giorno, quelle ci si presentano facendo i mestieri più comuni, quelli che potremmo definire «cristiani» (?). Se sono un artigiano, pago le tasse al 100%? Lavoro sempre con il massimo della cura? Faccio prezzi onesti o quando posso carico delle maggiorazioni? Se lavoro come dipendente: sono sempre puntuale? Lavoro come se lo facessi per Dio? Sfrutto la mutua per farmi gli affari miei?

     Onestamente penso che la «mondanità» entri nel nostro modo di vivere molto più in queste cose, apparentemente innocue, legittime e difficilmente individuabili. Prova ad avere una relazione di lavoro con un fratello di chiesa e capirai chi è veramente e spesso (parlo per esperienza) i risultati non sono così incoraggianti. È più facile scappare dal mondo che non viverci per davvero, ma è solo vivendoci che sapremo davvero chi siamo e se deluderemo noi stessi; se cadremo, sarà un bene, la cosiddetta «prova del nove», un’occasione per una vera conversione. {14-10-2012}

 

 

3.  MIE OSSERVAZIONI E OBIEZIONI: Qui di seguito rispondo specialmente a Roberta Sbodio e Luca Sgro. Ho numerato gli interventi, così che si sappia a quale mi riferisco nella risposta.

 

A Roberta Sbodio 1: Non ho una risposta alla questione se a un credente sia preclusa qualsiasi carriera artistica, specialmente se è coinvolto in un servizio di primo piano nella chiesa, soprattutto perché è una definizione troppo generica; penso che ci sia una differenza fra la carriera di uno strumentista (p.es. pianista) in un’orchestra o un disk-jockey in una discoteca; allo stesso modo, c’è una differenza fra il venditore da banco in un supermercato e in un sexy shop o anche in un negozio di stupefacenti in Olanda. Ciò non è neppure argomento di questa discussione, visto che in questo tema di discussione parliamo soltanto del fatto, se chi ha un ministero pubblico in una chiesa locale, possa lavorare in una sala da ballo come animatore e intrattenitore, e viceversa.

     Personalmente trovo fastidioso il continuo tentativo di relativizzare una questione, mostrando il marcio, il pericolo e il rischio, che ci sono o potrebbero esserci in altri settori, come la mia interlocutrice ha già cercato di fare nel summenzionato tema di discussione. Lo trovo poco logico e poco probante. Neppure metterla su sentimenti, emozioni e passione per la musica è una vera risposta. Poi, appellarsi qui alla grazia di Dio, è il massimo, essendo considerata come la coperta, che copre tutto e risolve ogni cosa! Infine, si raggiunge l’apice, ipotizzando grossi problemi e tensioni interiori nei credenti, che non la pensano come lei, unitamente alla presunta loro paura di cadere nel peccato e il fatto che vivrebbero da prigionieri e non liberi. Possibile che a lei non venga in mente lo scrupolo, che tali cristiani possano avere di piacere al Signore, di ubbidire ai chiari comandamenti di Dio, di essere sottomessi alla sua volontà, di tenersi lontani dall’iniquità e di santificarsi, come la sacra Scrittura comanda? È scritto che la «grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini», «ci insegna a rinunciare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo» (Tt 2,11s). E se fosse proprio lei a essersi allontanata da quell’essere «sani nella fede» (Tt 1,13), dalle «cose, che sono conformi alla sana dottrina» (Tt 2,1), dalla «fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre»? (Gd 1,3).

 

A Luca Sgro 1: Vedo che siamo approdati all’etica del lavoro tout-court. Devo ripetere per l’ennesima volta, come ho fatto nel tema di discussione summenzionato, che l’attuale tema di discussione si limita soltanto al fatto, se svolgere un ministero pubblico in una chiesa locale e un lavoro in una sala da ballo come animatore e intrattenitore (o simili) siano compatibili.

     Tornando al tema dell’etica del lavoro, non posso condividere che le nostre valutazioni, se un lavoro sia adatto o meno a un credente biblico, debbano dipendere dalle sue motivazioni, dal suo spirito e dalle sue intenzioni. Esse possono dipendere per un lavoro lecito, che possono essere condotti differentemente a seconda se uno è empio o giusto. Ad esempio, un commerciante piacerà o meno al Signore, a seconda se usa pesi giusti e giuste misure o meno (Dt 23,13ss). Posso anche fare l’esempio delle levatrici egiziane, che non fecero morire i neonati delle Ebree, nonostante l’ordine del re (Es 1,15-21). Tuttavia, come ho già ricordato, nella Bibbia ci sono mestieri, che sono semplicemente proibiti indipendentemente dalle intenzioni. Ne ricordo qualcuno: qualsiasi tipo di mestiere nel campo occulto, esoterico, divinatorio e così via (Dt 18,10-13), la prostituzione femminile e maschile (Dt 23,17s), l’usura (Es 22,25ss; Lv 25,36s; Dt 23,19), la manifattura di idoli (Es 20,4; Lv 26,1; Dt 4,16ss.23ss; 27,15). Diversi mestieri del genere portavano con sé come punizione la pena capitale (Es 22,18 strega; Lv 20,27 indovino; Dt 13,5 falso profeta; Dt 24,7 ladro di uomini). Qui le intenzioni non contano.

     Nel caso di conduttori e di collaboratori di chiesa e di missionari, è assolutamente richiesto loro una condotta irreprensibile all’interno della assemblea (persone!), della famiglia, della società e del posto di lavoro. Paolo, quando fu in ristrettezze economiche, non andò a suonare nelle bettole o nelle feste in onore di Bacco, ma fece il costruttore di tende unitamente ad Aquila e Priscilla (At 18,3).

     Doveva inoltre significare qualcosa il fatto, che uno dei collaboratori di Paolo lo avesse abbandonato per tornarsene nel «mondo»? «Dema, avendo amato il presente mondo, mi ha lasciato e se n’è andato a Tessalonica» (2 Tm 4,10). Che significava mai «amare il mondo»? Una risposta ce la dà Giovanni: «Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno» (1 Gv 2,15ss). Come può un credente, che esercita il ministero di esporre la Parola agli altri, praticare un mestiere, che lo espone massicciamente a tali cose, menzionate dall’apostolo?

 

A Luca Sgro 2: Chiaramente bisogna custodire il proprio cuore sempre e dovunque. Ed è anche vero che Gesù aveva a che fare con gente considerata malfamata dalla società d’allora. V’è comunque un vizio di logica alla base e un inconscio uso del sillogismo, quando si sterilizzano i fatti veri, per portare un ragionamento su una base obliqua, che nulla c’entra con la vita e il ministero di Gesù né col tema in corso. Com’è facile spostare leggermente gli accenti e farsi un’immagine di Gesù a piacere, per poi giustificare malamente qualcosa, uno stile di vita, se stessi o qualcuno.

     Mettiamo un po’ di ordine ai fatti reali. Gesù aveva chiamato Matteo (Levi) a seguirlo; questi lo porta a casa sua e in suo onore fa un banchetto, a cui invita i propri amici e colleghi. I Farisei lo vedono lì e lo tacciano di avere relazioni con gente malfamata (Mt 9,9-13). Per prima cosa, Gesù non si mise a fare l’esattore delle tasse (pubblicano), né andò nei bordelli come cliente di prostitute o a lavorarci. Il suo incontro con tali persone aveva come scopo l’annuncio del regno di Dio. Infatti, Matteo stesso cambiò vita e divenne un apostolo (Mt 10,2ss; At 1,13), come pure il suo collega Zaccheo (Lc 19,1ss). Lo stesso vale per quelle prostitute, che accettarono il suo messaggio; Maria si recò da Gesù a casa del Fariseo Simone! (Lc 7,36ss).

     Inoltre, Gesù aveva proprio come compito di portare il messaggio di ravvedimento in vista dell’avvento del suo regno. Egli non si coinvolgeva nei discorsi triviali dei pubblicani, né assisteva alle convulsioni amorose degli astanti insieme alle prostitute ivi presenti. Dove Egli arrivava parlava alle coscienze e, dove c’era disponibilità, il suo messaggio le trasformava, che appartenessero sia alla gente malfamata, sia ai religiosi massimalisti. Egli non si accomodava nel mondo, adattandosi alla sua morale, ma era lì luce e sale.

     Come è stato ben evidenziato in altro modo, Gesù portava il messaggio del regno di Dio dove c’erano le tenebre morali e dove i religiosi non sarebbero mai arrivati, ma non si lasciava coinvolgere dall’oscurità morale della gente. Tuttavia, è meglio non strumentalizzare la vita e l’opera di Gesù. A relativizzare si rischia di fiaccare la realtà storica, di spostare i veri accenti delle cose e di presentare un’approssimazione dottrinale e morale, che è molto perniciosa, proprio per la sua somiglianza con la verità. E, infatti, dopo aver presentato qualcosa della vita di Gesù, il falso sillogismo porta poi a dire che sia «sbagliato giudicare le persone dal mestiere, che fanno». Significa che Gesù approvava romanticamente il mestiere del pubblicano e delle prostitute? E perché solo mestieri come il sicario, la prostituta e il pusher dovrebbero rimanere «logicamente fuori da questa categoria»? Chi ci autorizza a fermarci qui?

     Chi ha parlato di mestieri secolari, dividendoli in sacri e profani? Io ho parlato del ministero ecclesiale come «sacro» e di tutti i mestieri secolari come «profani», in corrispondenza alla Parola (cfr. Rm 9,4; 1 Cor 9,13; 2 Cor 9,12). Paolo stesso si riteneva «d’essere ministro di Cristo Gesù per i Gentili, esercitando il sacro servizio dell’Evangelo di Dio» (Rm 15,16); ciò era chiaramente un parallelo col servizio sacro nel tempio, per il quale i sacerdoti dovevano possedere un’integrità morale e una purità rituale. E ciò vale tanto più nel nuovo patto.

     Chiaramente è inevitabile vivere e «lavorare con gli empi» (cfr. 1 Cor 5,9s) e in ciò bisogna essere effettivamente degli esempi in tutto ciò, che si fa sul posto di lavoro e nel tempo libero. Tuttavia, bisogna stare attenti ai lapsus mentali, passando da questa verità generale a relativizzare ogni cosa, come se un mestiere valesse un altro! Ciò non dà un lasciapassare ai credenti per andare a lavorare in contesti, in cui di per sé regna un alto tasso di concupiscenza e di amoralità e viene messa «molta carne a cuocere» (1 Gv 2,16s); per non parlare del fatto, quando un credente deve fare egli stesso l’animatore e l’intrattenitore in tali contesti. E questo vale molto più per chi ha un «servizio sacro» nelle chiese.

 

A Roberta Sbodio 2: Dopo l’ennesimo tentativo di Roberta Sbodio di relativizzare tutto, vedo che oramai il tema è diventato tutt’altro. Penso, quindi, che per non snaturarlo del tutto e renderlo banale, è arrivato il momento di chiuderlo qui.

     Tuttavia, tento di dare un’ultima risposta alla mia interlocutrice, sperando che essa possa aiutarla, evidenziando alcuni lapsus di logica, vizi intellettuali o incoerenze di ragionamento. Lei parla di «contesti manifestamente anticristiani» e poi fa il caso di una discoteca, in cui avviene qualcosa, che le crea disagio. Tornando al nostro tema, che dire allora di un cristiano, che lavora lì di notte, per poi servire il Signore, predicando la Parola in una o più comunità?

     Poi parla di «mestieri cristiani»; non so dove nel NT ci sia un tale elenco. Probabilmente intende mestieri accettabili per la dottrina e l’etica cristiane. In tale contesto parla delle «piccole seduzioni di ogni giorno», applicandole poi alle tasse, allo scrupolo lavorativo, all’onestà nel prezzario, alla puntualità nell’iniziare il turno e alla correttezza verso la cassa malattie. La domanda, che sorge, è questa: a che serve tale generalizzazione nell’etica del lavoro? Sarà questo a rendere meno pesante l’onere del credente impegnato nell’opera e nell’annuncio della parola, che lavora in contesti ad alto tasso di concupiscenza e amoralità? Fu così che ragionò, ad esempio, Daniele dinanzi alla prospettiva di rendersi impuro, infrangendo la legge del Dio vivente? (Dn 1,8). Fu per questo che Mardocheo doveva piegarsi dinanzi ad Haman? (Est 3,2-5).

     Il falso sillogismo porta alla seguente sperimentazione: esponiamoci di proposito al fuoco (della mondanità), per vedere se ci bruciamo. Respiriamo amianto (morale), per vedere se sviluppiamo patologie polmonari, da cui poi possiamo curarci e imparare qualcosa di significativo per la fede. Andiamo a Cenobil, per sperimentare se siamo immuni o meno all’energia nucleare. E così via.

     Con tale logica ci viene proposto di scusare chi si espone ad ambienti a elevato tasso di contaminazione morale, visto l’alto tasso di mondanità e di piccole seduzioni, in cui vivono i cristiani d’oggi. È obbligatorio che i cristiani biblici vivano in modo mondano e moralmente ambiguo? (cfr. Fil 2,15; 4,8s). Tale via del compromesso, che poi cerca scusanti al peccato, proprio o altrui, è chiamata nel libro dei Proverbi con un solo nome: stoltezza (cfr. Pr 9,13ss), ed è detto che essa porta alla rovina (Pr 10,14; 18,7; Ec 10,12); essa sta agli antipodi della chokmah «perizia, ordine [morale]», che proviene dal timor di Dio (Pr 1,7; 9,10). Le generalizzazioni nell’etica portano soltanto a prigioni mentali, quantunque le si chiamino «libertà», che rendono confusi e fonte di confusione.

     Un tale atteggiamento tollerante e così progressista fa sentire avveduto, illuminato, rispettabile e sufficiente, ma l’analisi di Cristo per il conduttore della chiesa di Laodicea fu questa: «Non sai che tu sei infelice fra tutti, e miserabile e povero e cieco e nudo» (Ap 3,17); poi seguì la sua amorevole offerta per chi lo aveva lasciato fuori della porta, pur conducendo a suo nome una comunità (vv. 18ss).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Mestieri_predica_Sh.htm

14-10-2012; Aggiornamento: 28-07-2013

 

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