Una volta l’anno il mondo vede il
vescovo di Roma lavare i piedi ad alcuni sacerdoti. La Chiesa Cristiana
Avventista del Settimo Giorno celebra il rito della lavanda dei piedi almeno
quattro volte l’anno, ossia ogni volta che svolge il rito eucaristico. Inoltre
tra le chiese protestanti o evangeliche sono pochissime quelle che praticano la
lavanda dei piedi rituale.
Tempo fa, un
lettore
mi aveva inviato un suo contributo sul rito della lavanda dei piedi. Nel suo
percorso di fede personale verso il Signore egli, oltre a essere
stato
nel cattolicesimo, in 19 anni di fede ha fatto parte come membro della chiesa
battista, della chiesa avventista, della chiesa di Cristo e ha frequentato altre
realtà evangeliche per brevi periodi.
Specialmente nelle Chiese Avventiste sperimentò tale cerimonia. Quanto egli
scrive qui sotto, vuol essere la richiesta di un chiarimento o un invito a
dibattere tale argomento. Avendo accettato questa sua provocazione, ho aggiunto
una ricerca storico-biblica, che cerca di chiarire la materia. {Nicola Martella} |
1. QUESTIONI ALLORA E OGGI (Marco Soranno): Oltre alla chiesa
romana, solo alcune chiese dell'area protestante o evangelica
praticano il rito della lavanda dei piedi. Chi ha ragione? Per alcuni
cristiani celebrare il rito della lavanda dei piedi non è qualcosa di sbagliato
in sé, anzi rappresenterebbe una formidabile espressione di servizio cristiano;
credo però che si corra il rischio di farlo diventare un semplice atto
«meccanico» di culto, senza significato per molti che lo compiono.
Alcuni fanno riferimento ai tanti credenti disabili o malati che non possono
praticarla; altri fanno notare anche coloro che sperimentano un certo imbarazzo,
dovuto alle culture diverse, nel fare o subire un gesto squisitamente orientale
e limitato all’ospitalità, «trapiantato» nella chiesa cristiana. Si evidenzia
anche che nel resto del Nuovo Testamento non viene menzionato tale atto e,
quindi, va escluso che fosse adoperato come cerimonia comunitaria. Inoltre sino
al quarto secolo non si parla di tale pratica religiosa in seno alla chiesa.
Chi lavava i piedi, ai tempi di Gesù, era la servitù, e per questo i discepoli
provarono disagio nel dover fare questo tra loro. Quanti pastori e predicatori
famosi dovrebbero lavare i piedi all’ultimo dei santi, per dire che svolgono
davvero un ministero per il Signore!
Il rito ebraico della cena pasquale prevedeva, al suo
inizio, che il capofamiglia lavasse le mani dei commensali (o almeno versasse
l’acqua su di esse), prima d’iniziare il pasto; alcuni vedono qui una chiara
rielaborazione di quest’azione fatta da Gesù.
È vero, Gesù ha lavato i piedi ai discepoli (Gv 13,1-17) e ci ha lasciato un
esempio da seguire, sono però persuaso che il principio della lavanda dei piedi
sia esprimibile in gesti d’ospitalità più «attuali»: invitare a pranzo o a cena
i fratelli, andarli a trovare, dedicare loro del tempo è, a mio avviso, lavare i
loro piedi come segno d’accoglienza cristiana. Gesù ha parlato d’un «esempio»
che in greco indica «un segno suggestivo di qualcosa, la forma d’una cosa, la
rappresentazione, la figura, la copia, un esempio di qualcosa da imitare». Gesù
ha voluto quindi rappresentare un principio che i suoi discepoli dovevano
seguire. E qual è il principio del lavare i piedi al fratello? Il servizio?
L’accoglienza? L’ospitalità? L’uguaglianza tra cristiani? Tutte queste cose nel
loro insieme c’indicano il vero senso di tale rito che, ripeto, è nel principio
anziché nella forma: tu puoi lavare i piedi a qualcuno, ma non condividere le
sue sofferenze e amarlo intensamente, quasi fosse sufficiente l’acqua della
bacinella a purificare un rapporto non proprio ottimale tra due persone. È
invece l’acqua pura della Parola di Dio che deve lavare la mia e la tua
coscienza, quando c’incontriamo. È l’egoismo dei discepoli che dovrebbe
«affogare» nell’acqua di questo rito.
Si può obiettare che Gesù ha detto: «Se sapete queste cose, siete beati se le
fate» (Gv 13,17), ma questo indica il principio dell’umiltà di cuore in
tutte le sue manifestazioni. Il rito fisico non vale nulla senza la
predisposizione interiore e credo che nel perseguire il nobile intento d’imitare
Cristo in tale modo, l’ideale sarebbe di lavare i piedi di chi ci ha fatto un
torto o di chi abbiamo offeso, piuttosto che cercarci l’amico e sbrigare questa
formalità. Sono però felice di constatare che ci sono tanti figli e figlie di
Dio che vivono in pace con tutti e gioiscono di lavare i piedi dei loro
fratelli.
Credo pertanto che il rito della lavanda dei piedi, per quelle chiese che
intendono praticarlo, non debba essere un test di discepolato, come fosse un
elemento che rende «evangelica» la chiesa che lo celebra. Chi lo pratica non
pensi che, il fatto che altri cristiani non lo facciano, sminuisca agli occhi di
Dio la loro commemorazione della Santa Cena; infatti è il cuore che fa la
differenza, e i riti fisici possono essere utili a ricordarci preziose verità,
forse a nutrire la nostra fede, ma non possono sostituirsi a ciò che dobbiamo
mostrare interiormente.
2. ALCUNI APPROFONDIMENTI CRITICI
(Nicola Martella)
2.1. TESTI E
CONTESTI: Mi ha sempre colpito la faciloneria con cui, in diversi
ambienti, si prendano i testi di commiato di Gesù dai suoi apostoli (Giovanni
13-17) e li si applichino ai discepoli di tutti i tempi. E ciò accade per
imporre ai cristiani d’oggi riti, pratiche, dottrine ricavate indebitamente da
tali testi per i cristiani di sempre. In tal modo si fa danno ai testi biblici,
alla verità, alla dottrina e ai cristiani stessi, mettendo su di loro pesi
culturali e dottrinali che non sono loro richiesti dal resto del NT. Non passa
proprio per la loro mente che in tali frangenti Gesù si occupasse solo di tali
suoi particolari seguaci e basta, per prepararli in tale momento particolare di
cristi esistenziale e spirituale e per equipaggiarli per la sua «rivoluzione»
che, da lì a poco, sarebbe iniziata. Con la frenesia di applicare tutto a tutti,
non si comprende la situazione drammatica di quel momento e che Gesù
effettivamente si dedicasse a questo particolare gruppo di discepoli, perché da
loro dipendeva poi il grande mandato e la predicazione dell’Evangelo. Quando si
imparerà a fare un’esegesi contestuale? Quando si distinguerà finalmente
l’esegesi di un testo (ciò che il testo dice in sé) dalla sua eventuale
applicazione (ciò che il testo dice a me)?
La domanda è questa: se Gesù e gli apostoli vivessero oggi, il Maestro farebbe
lo stesso gesto didattico nei loro confronti? La risposta è un chiaro no.
Infatti i gesti, per essere comprensibili, devono essere parte della cultura, a
cui si appartiene. Per capire tutto ciò, dobbiamo partire da un excursus sulla
cultura orientale.
2.2.
LAVAGGIO DI PIEDI NELLA CULTURA ORIENTALE: Nel Medio Oriente l’ambiente
era nell’antichità abbastanza polveroso e la gente camminava a piedi nudi o con
sandali; già gli asini erano un certo lusso e i cavalli erano cose da
benestanti. L’acqua era un bene prezioso, dato la sua scarsità e la difficoltà
di approvvigionarsene. Già dare da bere a qualcuno era un atto di umanità e di
misericordia; dargli poi acqua per lavarsi i piedi, era un atto di grande
ospitalità.
■ L’ambito sacro: Il lavaggio di mani e piedi era necessario ai
sacerdoti, prima di accostarsi all’altare o prima di entrare nella tenda
dell’incontro, per non contaminarli (Es 30,18ss; 40,30ss). La disattenzione era
sanzionata pesantemente da Dio.
■ L’ambito quotidiano: Lavarsi i piedi era uno degli aspetti dell’igiene
necessario nella quotidianità; ci si trascurava solo in tempi di lutto, di
penitenza o per forza maggiore (2 Sm 19,24). Ci si lavava i piedi dal sudiciume
del giorno prima di andare a letto (Cc 5,3).
Chi si metteva in viaggio, sperava nell’ospitalità di qualcuno per
strada. Era un segno d’ospitalità che il padrone di casa portasse (o facesse
portare) un po’ d’acqua, perché gli ospiti si lavassero i piedi prima di
mangiare (Gn 18,4ss; Gdc 19,21). Ciò era necessario perché la gente mangiava per
terra su stuoie e tappeti. La gente normalmente lavava da sé i propri
piedi, quando era ospite da qualcuno (Gn 19,2). Non fece eccezione neppure Gn
24,32 (riguardo al servo di Abramo che arrivò da Labano), brano che in effetti
recita letteralmente così: «E l’uomo entrò in casa; e si scaricò i cammelli e
si diede strame e foraggio ai cammelli e si portò [a lui] acqua per lavare i
piedi di lui e i piedi di quelli che erano con lui». Il testo non dice chi
abbia lavato i piedi di chi, ed è normale presumere che ognuno avesse lavato i
propri; l’attenzione sta sulla qualità di ospitalità, ossia che venne portata
acqua per tale scopo. Similmente avvenne ai figli di Giacobbe, quando furono
fatti entrare in casa di Giuseppe dal maggiordomo, il quale «dette loro
dell’acqua, ed essi si lavarono i piedi» (Gn 43,24).
Dare dell’acqua agli ospiti per lavarsi i piedi, non avveniva sempre; Gesù
ricordò tale mancanza a Simone, il fariseo, quando fu suo ospite (Lc 7,44).
■ L’uso proverbiale: Da come Abigail rispose agli emissari di Davide, che
le portarono un’ambasciata di matrimonio, prendiamo atto tre cose (1 Sm 25,41):
▪ 1) Erano gli schiavi che lavavano i piedi dei loro padroni, o almeno li
aiutavano in ciò; ▪ 2) Ciò era considerato un lavoro tra i più umili; ▪ 3) Già
qui ciò era usato come un modo di dire (Abigail era una padrona in casa sua);
infatti subito si recò da Davide. Si veda anche l’espressione proverbiale
«lavarsi i piedi nel latte» per significare l’abbondanza (Gb 29,6). Similmente
«lavarsi i piedi nel sangue dell’empio» significava vedere la vendetta su di lui
(Sal 58,10). Similmente l’uso proverbiale coinvolgeva anche le mani in varie
espressioni (p.es. lavarsi le mani nell’innocenza; Sal 26,6; 73,13).
2.3. GESÙ
LAVÒ I PIEDI AI SUO APOSTOLI: La scena avvenne durante la cena pasquale
e Giuda Iscariota aveva già deciso di tradirlo (Gv 13,2); egli non era netto di
cuore (vv. 10s). Il contrasto era fra «questo mondo» e i suoi amati discepoli in
esso, che stava per lasciare, da un parte, e il mondo del Padre, a cui andava,
dall’altra (v. 1). Proprio in vista di tale passaggio lavò e asciugò i piedi ai
suoi discepoli (vv. 3ss). Che fosse un’azione simbolica, è mostrato dal
fatto che tale lavaggio esterno intendeva spiegare quello interiore («Se non
ti lavo, non hai parte alcuna con me… Chi è lavato tutto non ha bisogno che
d’aver lavati i piedi», vv. 8.10).
Inoltre ciò aveva un significato propedeutico. Oltre a ciò che avrebbe
fatto il traditore (vv. 27ss), Pietro lo avrebbe rinnegato (vv. 36ss) e gli
altri discepoli lo avrebbero abbandonato e si sarebbero dispersi. Dopo il loro
ricompattamento, c’era il pericolo di guerre intestine per avere il sopravvento
e la preminenza sugli altri; questo era già successo con Giacomo e Giovanni, che
pretesero una posizione di riguardo nel regno politico del Messia (Mc 10,3545),
e poteva succedere ancora. Gesù volle dare a tali discepoli, in tale momento e
in tale specifica contingenza e cultura, «un esempio» perché facessero
similmente gli uni verso gli altri, così come il Maestro fece con loro (vv.
14s). Si trattava del principio della preminenza del servizio, da Lui comandato
e illustrato qui (vv. 16s) e già altrove (Mc 10,43ss). Il tutto stava in netto
contrasto con l’azione di Giuda, come Gesù evidenziò (vv. 18ss).
Gesù intendeva istituire qui un rito, una cerimonia o un sacramento del
lavaggio ecclesiale dei piedi? Nulla di tutto ciò. Questa era un’azione
simbolica, come altrove ne usò altre. «In verità, in verità vi dico che il
servitore non è maggiore del suo signore, né il messo è maggiore di colui che
l’ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate» (vv. 16s).
Importante era il principio, non un presunto rito, che Gesù avrebbe voluto
introdurre. Egli lo piegò ulteriormente, andando verso l’ora estrema: «Io vi
do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Com’io v’ho amati,
anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei
discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (vv. 34s; cfr. v. 1; cfr. 1
Gv 2,7s; 2 Gv 1,5).
Quando, dopo l’ascensione di Gesù, gli apostoli radunarono il primo nucleo della
chiesa, si legge che erano radunati «di pari consentimento» (At 1,14), e
che tale positiva atmosfera continuò anche in seguito (At 2,42-47; 4,24; 5,12).
Non ci furono guerre di preminenza; l’armonia fra gli apostoli permetteva quella
nella chiesa.
2.4. IL
RESTO DEL NT E OGGIGIORNO: In tutto il NT non si parla mai di un
presunto rito ecclesiale del lavaggio dei piedi, né della necessità di
compierlo. Non solo non c’è una descrizione di un tale episodio, ma neppure una
norma per attuarlo. Nel Concilio di Gerusalemme non ricorre fra le «cose
necessarie» imposte ai credenti gentili (At 15). Paolo ne parlò solo in modo
illustrativo a proposito delle vedove che dovevano entrare nel catalogo
dell’assistenza della chiesa locale: «Sia la vedova iscritta nel catalogo
quando non abbia meno di sessant’anni: quando sia stata moglie d’un marito solo,
quando sia conosciuta per le sue buone opere: per avere allevato figlioli,
esercitato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti,
concorso a ogni opera buona» (1 Tm 5,9s). Si noti come «lavato i piedi ai
santi» sta tra «esercitato l’ospitalità» e «soccorso gli afflitti»
e intendeva, come queste ultime cose, non un rito ecclesiale, ma un servizio
d’umiltà a favore dei santi, gli altri credenti.
Durante il corso della storia delle chiese, un fatto storico contingente nella
vita di Gesù con i suoi dodici discepoli, atto a essere un’illustrazione
didattica per loro, venne ritualizzato (come altre cose pure) per fini
cerimoniali, a cui si diede un carattere sacramentale. Ciò avvenne con l’avvento
e la successiva e progressiva normalizzazione di un clericalismo nelle chiese.
Altre chiese, anche tra quelle protestanti e quelle evangeliche, imitarono la
sacramentalizzazione di altre denominazioni. Inoltre, in certe denominazioni la
ritualizzazione ecclesiale della lavanda dei piedi venne introdotta, partendo da
un fraintendimento fra esegesi contestuale ed eventuale applicazione. Tale fatto
storico unico, basato su un costume allora ovvio in Oriente e destinato (come
tutto Gv 13-17) ai soli dodici discepoli d’allora, viene generalizzato al punto
da creare artificialmente una cerimonia imbarazzante per la cultura occidentale,
un rito esteriore a cui si dà un carattere, in qualche modo, sacramentale.
2.5. ASPETTI
CONCLUSIVI: Ogni azione diventa un segno significativo solo
all’interno di una certa cultura, dove il bisogno e la convenzione lo sorregge.
Quando si trasporta un’azione in un’altra cultura, esso diventa secondo i casi
fonte d’incomprensione, di fraintendimento, di disagio o una scatola vuota di un
rito senza contenuto.
Oggigiorno, qui da noi in Occidente l’acqua sembra un bene scontato.
Ognuno possiede a casa propria i servizi igienici. Le nostre strade non sono in
genere polverose, non ci sono qui venti del deserto che gettano in aria grandi
quantità di pulviscolo, non si cammina a piedi nudi o con sandali. All’ospite,
che viene a stare alcuni giorni da noi, dopo un viaggio in auto o in treno, non
gli si porta perciò acqua per i piedi, ma gli si mostra il bagno e gli si offre
di farsi una doccia prima di mangiare o prima di andarsene a letto. Arrivare
perciò con una bacinella e asciugamano, perché l’ospite si lavi i piedi, magari
lì all’entrata o in salotto, sarebbe estremamente imbarazzante per lui. Ancor
più imbarazzante sarebbe se chi ospita pretendesse di lavare lui i piedi a chi
arriva… per non parlare se un uomo dovesse farlo verso una donna, o viceversa.
Bisogna
praticare oggigiorno il rito della lavanda dei piedi? Assolutamente no. E
questo sia perché Gesù non lo ha mai comandato come istituzione alla chiesa, sia
perché è un anacronismo orientale incomprensibile nella cultura occidentale.
Mentre Gesù disse a Pietro in vista della sua opera di redenzione sulla croce: «Chi
è lavato tutto non ha bisogno che d’aver lavati i piedi: è netto tutto quanto»
(Gv 13,10), — Paolo ricordò a coloro, fra i quali c’erano in passato
fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriachi,
oltraggiatori e rapaci, «e tali eravate
alcuni; ma siete stati lavati,
ma siete stati santificati,
ma siete stati giustificati nel
nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del Dio nostro» (1 Cor
6,9ss). Non si compie un rito di purificazione verso chi è già puro e può perciò
accedere per la fede nel santuario celeste (Eb 10,18ss).
In caso contrario, bisognerebbe ritualizzare molti altri gesti occasionali
di Gesù, come ad esempio impiastrare gli occhi di saliva e fango a persone, per
le quali si intende pregare per la loro guarigione (Gv 9,6). Oppure bisogna
toccare con la propria saliva la lingua dei muti (Mc 7,33). Si potrebbe
ritualizzare particolarmente anche il gesto della donna che unse Gesù di
profumo, bagnò suoi piedi di lacrime e li asciugò con i propri capelli, tanto
più che esso avvenne in modo simile almeno due volte (Mt 26,7.12 Betania in casa
di Simone il lebbroso; profumo sul capo; Lc 7,44ss peccatrice in casa di Simone
il fariseo; profumo sui piedi; Gv 11,2; 12,3.7 Maria sorella di Lazzaro; in
Betania, durante una cena in cui era presente anche Lazzaro e Marta; profumo sui
piedi). Certo ci sarebbe anche l’entrata di Gesù in Gerusalemme su un puledro
d’asino (Mc 11,2.7ss). Soprattutto bisognerebbe ritualizzare la cacciata
violenta dei commercianti dal tempio da parte di Gesù, visto che anche ciò
accadde almeno due volte (Mt 21,12s alla fine del ministero; Gv 2,14ss
all’inizio del ministero).
►
Lavanda dei piedi? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Lavanda_piedi_Avv.htm
25-11-2008; Aggiornamento: 06-04-2009
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