Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

Prassi di chiesa

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDEGNI PER LA CENA DEL SIGNORE 2

 

 di Tonino Mele

 

Tonino Mele interviene qui nel dibattito «Indegni per la Cena del Signore 1», intercorso fra Antonio Angeloro e Nicola Martella, e rispetto all'analisi testuale già fatta cerca di portare altri punti di vista all'attenzione. È certamente un arricchimento per la discussione di 1 Cor 11 e del tema in questione. {Nicola Martella}

 

Vorrei intervenire sull’argomento riguardo al «prendere indegnamente la cena del Signore». Inutile dire che condivido il fatto che spesso alcuni facciano un uso strumentale della cena del Signore, snaturando così il suo vero significato. Anch’io credo che sia un uso «indegno» quello d’accostare 1 Cor 11,27s con Mt 5,23s, nel modo che solitamente si fa. Questo è il problema in cui quasi inconsapevolmente incorre chi fa una certa lettura della Bibbia, dove s’affiancano testi senza tener sufficientemente conto dei contesti in cui sono inseriti, dando estrema attenzione alle analogie senza tener sufficientemente conto delle differenze. Ed è così che un testo come quello di 1 Cor 11,27s, nato per incoraggiare («esamini sé stesso e così mangi») la partecipazione, alla cui base deve stare il giusto atteggiamento e comportamento, diventa uno strumento disciplinare, per fustigare e impedire tale partecipazione. Del resto, se l’intento dell’apostolo Paolo è quello d’incoraggiare una partecipazione responsabile, d’altro canto non si può dire che è anche suo intento quello di vietare la partecipazione irresponsabile di qualcuno. Una tal conclusione fraintende, a mio avviso il punto centrale di questo brano.

     Nel brano, la contrapposizione non si gioca tra il partecipare o meno alla cena del Signore, ma tra l’essere o non essere cena del Signore quel particolare evento che si consumava nella chiesa di Corinto. Poco prima infatti, l’apostolo aveva detto: «Quello che fate non è mangiare la cena del Signore» (v. 20). Proprio perché tale cena non era qualcosa di sacrale, avente valore in sé tale da prescindere dall’atteggiamento dei partecipanti, in discussione non era tanto la partecipazione individuale, ma l’evento stesso nella sua totalità, il modo in cui la chiesa s’accostava alla «tavola del Signore», l’atteggiamento e il comportamento che una componente della chiesa aveva verso i più poveri (v. 22), l’egoismo e il «disprezzo» latente e «umiliante» presente in questo comportamento (v. 22), «le divisioni» (v. 18), ecc. Tutto questo vanificava il vero significato della «cena del Signore» e quello che si «celebrava» non era più la cena del Signore, ma il proprio egoismo e il proprio istinto d’abbuffarsi e «ubriacarsi» (v. 21). Va da sé che parlare di divieto alla partecipazione in questo caso non aveva senso, perché il problema era molto più radicale.

     Alla luce di tale contesto è evidente che il v. 28 — «Ora ciascuno esamini sé stesso» — va preso in un senso meno individualistico e psicologico di quello che siamo soliti prenderlo. Non significa fare un’autoanalisi alla ricerca di peccati consci o inconsci, che sappiamo solo noi e forse neppure tanto bene, visto che talvolta ci s’astiene dalla cena del Signore per un senso di colpa indefinito. Qui c’era una situazione degenerata molto evidente che non toccava la coscienza di qualcuno, ma i comportamenti e le abitudini d’una fascia della chiesa, che probabilmente creava una situazione di disagio e di sfascio in tutta la chiesa. Il problema era così generalizzato che quel «ciascuno esamini» va inteso per più d’uno se non per tutta la chiesa, e quell’esamini, non va inteso in senso psicologico, per la ricerca di qualcosa di più o meno indefinito, ma va inteso in modo molto più pratico di quello che siamo soliti pensare. È come se Paolo dicesse «esaminate se quello che vi sto dicendo è giusto e iniziate ad avere un atteggiamento e un comportamento più consono a una chiesa». L’esame in realtà è già stato fatto da Paolo e ora, tutto al più lui chiede di valutarne la legittimità e adeguarvisi.

     Da quanto detto sin qui che nell’ipotesi negativa, è evidente che, più che vietare la partecipazione irresponsabile di qualcuno, Paolo avrebbe consigliato che per un certo tempo tutta la chiesa s’astenesse dal fare qualcosa che aveva di fatto perso tutto il suo valore. Ma egli, di fatto non fa neppure questo e finalizza tutto il suo discorso all’incoraggiamento.

     Per quel che ci riguarda, io credo che sia questo l’atteggiamento che deve caratterizzare anche noi oggi. Non usare la cena del Signore come strumento disciplinare, ma sottolineare comunque evidenti comportamenti che sono in contrasto con il senso vero della cena. Se tali comportamenti rientrano nella sfera della disciplina biblica, allora va da sé che anche la partecipazione alla cena ne sarà interessata (penso a Mt 18,15ss). Altrimenti però bisogna puntare a che la persona si corregga, far capire il vero significato della cena e mostrare l’incongruenza tra essa e il comportamento in questione. E questo possono farlo gli altri fratelli se la persona non ci arriva da sola.

     Ma prima di concludere, vorrei sottolineare che tra questi comportamenti che «tradiscono» il vero senso della cena del Signore, non c’è solo l’idolatria, ma anche l’atteggiamento che abbiamo verso gli altri partecipanti alla «tavola del Signore», ossia gli altri invitati. È in questo contesto che nasce 1 Cor 11,27s, come abbiamo visto più su. Un esame attento del brano (vv. 17-34) mostra come molti elementi siano finalizzati a mostrare non solo il legame che deve esistere col «Signore della cena», ma anche con gli altri «invitati alla cena», cioè i nostri fratelli. A partire dal nome «cena del Signore», che troviamo solo qui nella Scrittura e che Paolo usa proprio per mostrare che non è la nostra cena, non siamo noi che decidiamo chi invitare, ma è il Signore, per cui, partecipare degnamente a tale cena vuol dire rispettare, non «disprezzare» e non «umiliare» i suoi invitati. Anche il resoconto storico dell’ultima cena (vv. 23-26) ha elementi in tal senso. Anzitutto il richiamo al tradimento di Giuda — «nella notte in cui fu tradito» (v. 23) — solo qui nella Scrittura troviamo un richiamo di questo tipo; e, visto il contesto, non è così irrealistico pensare a un’identificazione tra quel tradimento e quello che s’attuava nella chiesa di Corinto, dove si tradiva il vero senso della cena del Signore, «mangiando e bevendo indegnamente», come del resto fece Giuda. Anche le parole «che è dato per voi» (v. 24), che solitamente prendiamo in senso teologico, forse andrebbero prese di più, visto il contesto, come un forte richiamo alla donazione e al sacrificio di sé a favore dei fratelli, cosa che a Corinto mancava proprio. Persino le parole «prese del pane, e dopo aver reso grazie» (v. 24), nonostante la loro consuetudine, erano un forte richiamo, sempre visto il contesto, a un uso migliore del cibo, di quella che Paolo chiama forse provocatoriamente la «propria cena» (v. 21), ma che in realtà è qualcosa per cui dobbiamo rendere grazie a Dio. Questi sono alcuni degli elementi che suffragano il dato di fatto principale, ossia che il contesto qui in esame riguarda anzitutto i rapporti interpersonali nella chiesa. È questo che Paolo aveva soprattutto in mente come dimostrano anche i versi finali: «Dunque, fratelli miei... aspettatevi gli uni gli altri» (v. 33), legando a ciò il «giudizio» di Dio (v. 34). Dare sufficiente attenzione a questo fatto, credo implichi anche qui, se non mi sfugge qualcosa, il fatto di non mischiare i contesti, ad esempio con 1 Cor 10,14-22, che probabilmente Paolo aveva ancora in mente mentre scriveva 1 Cor 11,27s, ma che, di fatto, non fa più parte del suo contesto immediato.

     In ultima analisi quindi, un legame c’è tra 1 Cor 11,27s e testi come Mt 5,23s, Mt 18,15ss o 1a Giovanni e vari altri, e questo riguarda appunto i rapporti che devono intercorrere nella comunità del Signore, i quali non vanno presi sottogamba, perché la loro degenerazione può compromettere non solo la «cena del Signore», ma il senso di tutte le «opere» della nostra devozione, a cominciare dalle nostre preghiere, le quali pure possono essere snaturate e ridotte a qualcosa di magico (Mt 6,7) ed essere impedite dalla mancanza di perdono (Mt 6,12.14s).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Indegni_Cena2_Avv.htm

05-04-2008; Aggiornamento:

 

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