Tonino Mele interviene qui nel dibattito «Indegni
per la Cena del Signore 1»,
intercorso fra Antonio Angeloro e Nicola Martella, e rispetto all'analisi
testuale già fatta cerca di portare altri punti di vista all'attenzione. È
certamente un arricchimento per la discussione di 1 Cor 11 e del tema in
questione. {Nicola Martella} |
Vorrei intervenire
sull’argomento riguardo al «prendere indegnamente la cena del Signore». Inutile
dire che condivido il fatto che spesso alcuni facciano un uso strumentale della
cena del Signore, snaturando così il suo vero significato. Anch’io credo che sia
un uso «indegno» quello d’accostare 1 Cor 11,27s con Mt 5,23s, nel modo che
solitamente si fa. Questo è il problema in cui quasi inconsapevolmente incorre
chi fa una certa lettura della Bibbia, dove s’affiancano testi senza tener
sufficientemente conto dei contesti in cui sono inseriti, dando estrema
attenzione alle analogie senza tener sufficientemente conto delle differenze. Ed
è così che un testo come quello di 1 Cor 11,27s, nato per incoraggiare («esamini
sé stesso e così mangi») la partecipazione, alla cui base deve stare il
giusto atteggiamento e comportamento, diventa uno strumento disciplinare, per
fustigare e impedire tale partecipazione. Del resto, se l’intento dell’apostolo
Paolo è quello d’incoraggiare una partecipazione responsabile, d’altro canto non
si può dire che è anche suo intento quello di vietare la partecipazione
irresponsabile di qualcuno. Una tal conclusione fraintende, a mio avviso il
punto centrale di questo brano.
Nel brano, la contrapposizione non si gioca tra il partecipare o meno alla cena
del Signore, ma tra l’essere o non essere cena del Signore quel particolare
evento che si consumava nella chiesa di Corinto. Poco prima infatti, l’apostolo
aveva detto: «Quello che fate non è mangiare la cena del Signore» (v.
20). Proprio perché tale cena non era qualcosa di sacrale, avente valore in sé
tale da prescindere dall’atteggiamento dei partecipanti, in discussione non era
tanto la partecipazione individuale, ma l’evento stesso nella sua totalità, il
modo in cui la chiesa s’accostava alla «tavola del Signore», l’atteggiamento e
il comportamento che una componente della chiesa aveva verso i più poveri (v.
22), l’egoismo e il «disprezzo» latente e «umiliante» presente in
questo comportamento (v. 22), «le divisioni» (v. 18), ecc. Tutto questo
vanificava il vero significato della «cena del Signore» e quello che si
«celebrava» non era più la cena del Signore, ma il proprio egoismo e il proprio
istinto d’abbuffarsi e «ubriacarsi» (v. 21). Va da sé che parlare di
divieto alla partecipazione in questo caso non aveva senso, perché il problema
era molto più radicale.
Alla luce di tale contesto è evidente che il v. 28 — «Ora ciascuno esamini sé
stesso» — va preso in un senso meno individualistico e psicologico di quello
che siamo soliti prenderlo. Non significa fare un’autoanalisi alla ricerca di
peccati consci o inconsci, che sappiamo solo noi e forse neppure tanto bene,
visto che talvolta ci s’astiene dalla cena del Signore per un senso di colpa
indefinito. Qui c’era una situazione degenerata molto evidente che non toccava
la coscienza di qualcuno, ma i comportamenti e le abitudini d’una fascia della
chiesa, che probabilmente creava una situazione di disagio e di sfascio in tutta
la chiesa. Il problema era così generalizzato che quel «ciascuno esamini»
va inteso per più d’uno se non per tutta la chiesa, e quell’esamini, non
va inteso in senso psicologico, per la ricerca di qualcosa di più o meno
indefinito, ma va inteso in modo molto più pratico di quello che siamo soliti
pensare. È come se Paolo dicesse «esaminate se quello che vi sto dicendo è
giusto e iniziate ad avere un atteggiamento e un comportamento più consono a una
chiesa». L’esame in realtà è già stato fatto da Paolo e ora, tutto al più lui
chiede di valutarne la legittimità e adeguarvisi.
Da quanto detto sin qui che nell’ipotesi negativa, è evidente che, più che
vietare la partecipazione irresponsabile di qualcuno, Paolo avrebbe consigliato
che per un certo tempo tutta la chiesa s’astenesse dal fare qualcosa che aveva
di fatto perso tutto il suo valore. Ma egli, di fatto non fa neppure questo e
finalizza tutto il suo discorso all’incoraggiamento.
Per quel che ci riguarda, io credo che sia questo l’atteggiamento che deve
caratterizzare anche noi oggi. Non usare la cena del Signore come strumento
disciplinare, ma sottolineare comunque evidenti comportamenti che sono in
contrasto con il senso vero della cena. Se tali comportamenti rientrano nella
sfera della disciplina biblica, allora va da sé che anche la partecipazione alla
cena ne sarà interessata (penso a Mt 18,15ss). Altrimenti però bisogna puntare a
che la persona si corregga, far capire il vero significato della cena e mostrare
l’incongruenza tra essa e il comportamento in questione. E questo possono farlo
gli altri fratelli se la persona non ci arriva da sola.
Ma prima di concludere, vorrei sottolineare che tra questi comportamenti che
«tradiscono» il vero senso della cena del Signore, non c’è solo l’idolatria, ma
anche l’atteggiamento che abbiamo verso gli altri partecipanti alla «tavola del
Signore», ossia gli altri invitati. È in questo contesto che nasce 1 Cor 11,27s,
come abbiamo visto più su. Un esame attento del brano (vv. 17-34) mostra come
molti elementi siano finalizzati a mostrare non solo il legame che deve esistere
col «Signore della cena», ma anche con gli altri «invitati alla cena», cioè i
nostri fratelli. A partire dal nome «cena del Signore», che troviamo solo
qui nella Scrittura e che Paolo usa proprio per mostrare che non è la nostra
cena, non siamo noi che decidiamo chi invitare, ma è il Signore, per cui,
partecipare degnamente a tale cena vuol dire rispettare, non «disprezzare»
e non «umiliare» i suoi invitati. Anche il resoconto storico dell’ultima
cena (vv. 23-26) ha elementi in tal senso. Anzitutto il richiamo al tradimento
di Giuda — «nella notte in cui fu tradito» (v. 23) — solo qui nella
Scrittura troviamo un richiamo di questo tipo; e, visto il contesto, non è così
irrealistico pensare a un’identificazione tra quel tradimento e quello che
s’attuava nella chiesa di Corinto, dove si tradiva il vero senso della cena del
Signore, «mangiando e bevendo indegnamente», come del resto fece Giuda.
Anche le parole «che è dato per voi» (v. 24), che solitamente prendiamo
in senso teologico, forse andrebbero prese di più, visto il contesto, come un
forte richiamo alla donazione e al sacrificio di sé a favore dei fratelli, cosa
che a Corinto mancava proprio. Persino le parole «prese del pane, e dopo aver
reso grazie» (v. 24), nonostante la loro consuetudine, erano un forte
richiamo, sempre visto il contesto, a un uso migliore del cibo, di quella che
Paolo chiama forse provocatoriamente la «propria cena» (v. 21), ma che in
realtà è qualcosa per cui dobbiamo rendere grazie a Dio. Questi sono alcuni
degli elementi che suffragano il dato di fatto principale, ossia che il contesto
qui in esame riguarda anzitutto i rapporti interpersonali nella chiesa. È questo
che Paolo aveva soprattutto in mente come dimostrano anche i versi finali: «Dunque,
fratelli miei... aspettatevi gli uni gli altri» (v. 33), legando a ciò il «giudizio»
di Dio (v. 34). Dare sufficiente attenzione a questo fatto, credo implichi anche
qui, se non mi sfugge qualcosa, il fatto di non mischiare i contesti, ad esempio
con 1 Cor 10,14-22, che probabilmente Paolo aveva ancora in mente mentre
scriveva 1 Cor 11,27s, ma che, di fatto, non fa più parte del suo contesto
immediato.
In ultima analisi quindi, un legame c’è tra 1 Cor 11,27s e testi come Mt 5,23s,
Mt 18,15ss o 1a Giovanni e vari altri, e questo riguarda appunto i
rapporti che devono intercorrere nella comunità del Signore, i quali non vanno
presi sottogamba, perché la loro degenerazione può compromettere non solo la
«cena del Signore», ma il senso di tutte le «opere» della nostra devozione, a
cominciare dalle nostre preghiere, le quali pure possono essere snaturate e
ridotte a qualcosa di magico (Mt 6,7) ed essere impedite dalla mancanza di
perdono (Mt 6,12.14s).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Indegni_Cena2_Avv.htm
05-04-2008; Aggiornamento:
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