Questo confronto con una lettrice è un approfondimento risultante dall’articolo
«Abbigliamento
fra casa e chiesa» e dal tema di discussione «Abbigliamento
fra casa e chiesa? Parliamone». Qui Irene Bitassi pensa a voce alta, offrendo quale donna
matura e credente spunti interessanti di riflessione riguardo al panorama
controverso dell’etica del corpo e dell’abbigliamento e alle esperienze da lei
maturare al riguardo. Ella mi ha scritto che questo «è un argomento,
su cui sto riflettendo in questo periodo. T’invio perciò alcuni miei dubbi e
considerazioni». Tutto ciò diventa occasione per un’analisi e una riflessione ulteriore da parte
di Nicola Martella.
L’intenzione non è quella di voler dire una parola conclusiva su tale tema, ma
di offrire stimoli di riflessione e spunti di confronto. Il fine ultimo è certo
che di mettere le nostre membra a disposizione non come strumenti d’ingiustizia,
d’iniquità e di peccato, ma come strumenti di giustizia (Rm 6,13). Il corpo è
l’unico luogo in cui (e con cui) possiamo trasgredire noi o far peccare gli
altri (Rm 6,6.12; 14,20s), oppure glorificare e servire Dio (Rm 12,1s; 1 Cor
6,19s).
Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella,
Sessualità e contesti, Sesso & Affini 1 (Punto°A°Croce, Roma 1998), gli articoli: «Il pudore», pp.
224-233; «Decoro e decenza», pp. 234-242; «Il problema della nudità», pp.
243-246; «La religione dell’apparenza», pp. 247-253; «L’abbigliamento», pp.
254-265; «Provocazione e seduzione», pp. 266-272. |
1. Considerazioni
{Irene Bitassi}
▲
Ho seguito con
molto interesse il dibattito sugli abiti. Può sembrare un problema superficiale,
ma tutti sappiamo che con il nostro abbigliamento non ci copriamo solo dal
freddo, ma mandiamo anche dei messaggi agli altri e in qualche modo anche
il nostro aspetto è una parte di noi, riflette parzialmente il nostro carattere.
Però, secondo me, bisogna stare attenti a interpretare bene ciò che trasmette,
a non leggere con pregiudizi comodi ciò che viene detto. Una donna vestita con
più modestia rispetto a un’altra non necessariamente è più pura o più casta.
Potrebbe essere vero il contrario. Potrebbe sentirsi più debole nell’opporsi
all’eventuale corte di qualcuno e perciò vestirsi in modo da attirare meno
l’attenzione. Potrebbe essere di natura tendenzialmente più maliziosa, quindi
comprendere meglio che un uomo malizioso potrebbe guardarla con desiderio. La
donna vestita in maniera meno modesta potrebbe semplicemente essere meno
preoccupata del suo aspetto esteriore e quindi acquistare senza farsi troppi
problemi ciò che trova in commercio.
Quando Adamo e Eva erano perfetti, erano
nudi!
Insomma, prima di tutto non bisognerebbe fare facili equazioni per giudicare gli
altri, ma porsi il problema in rapporto a sé stesse con onestà, avendo il
coraggio di dirsi quello che si è, quello che si vorrebbe essere e quello che si
sta dicendo agli altri (consapevolmente od inconsapevolmente) con il proprio
abbigliamento.
Secondo me, come ogni aspetto della vita cristiana, anche l’ingiunzione di
vestirsi con modestia deve essere capita e maturata, perché non sia un
obbligo legalista. Vestirsi con modestia non va inteso come una rinuncia, un
dovere, un atto d’umiltà o un sacrificio. A mio avviso, vestirsi con modestia è
«sano egoismo», è avere amore verso sé stesse.
Un paio d’anni fa, ero in compagnia di conoscenti non credenti e indossavo un
vestito cucito da me. V’assicuro che era molto meno scollato della maggior parte
degli abiti che s’acquistano, tuttavia, quando mi sono chinata per raccogliere
un oggetto caduto a terra, non ha coperto abbastanza. Un mio conoscente che era
lì vicino, con cui normalmente ho un rapporto di rispetto, ha buttato
un’occhiata a tutto ciò che poteva. È stata un’esperienza umiliante, perché
in un attimo sono passata da essere una persona, che quest’uomo trattava come
sua pari, a essere un potenziale oggetto per il suo piacere. Tuttavia, ho visto
che non c’era da parte di questa persona «premeditazione»: gli è semplicemente
capitato lo sguardo lì in quel momento. Stando attenta a evitare nuovi
incidenti, i nostri rapporti sono rimasti quelli di prima.
Questo episodio (che pure sembra tutto sommato abbastanza insignificante) mi ha
fatto molto riflettere. Non sono più giovanissima e non ho un fisico da
fotomodella, quindi non pensavo che un uomo (che non ha mai dimostrato nessun
interesse per me) potesse decidere di «dare un’occhiata», soprattutto
considerando che non mancano certo le occasioni di vedere belle donne seminude.
Evidentemente però ci sono dei meccanismi inconsci che finiscono per
prevalere comunque.
Ho riflettuto inoltre che, se un vestito assolutamente casto per gli standard
attuali, ha provocato questo problema, a maggior ragione ne creeranno di
maggiori gli abiti in commercio. Non potendo cambiare completamente il
guardaroba dall’oggi al domani per evidenti ragioni economiche, ho acquistato
con poca spesa alcune T-shirt molto accollate, lunghe sui fianchi e con le
maniche che scendono oltre l’ascella. Indossate sotto gli abiti normali coprono
in ogni movimento. Permettono di portare magliettine alla moda che spesso
presentano trasparenze varie, spacchi maliziosi e orli all’altezza
dell’ombelico. Le nuove gonne che ho cucito arrivano alla caviglia, in modo che
neanche se salgo in auto o se tira un colpo di vento possano alzarsi al di sopra
del polpaccio. Ammetto che arrangiarmi un po’ con il cucito mi ha aiutato,
perché è difficilissimo trovare gonne così lunghe.
Penso che il problema di molte credenti sia di riuscire a trovare un buon
compromesso tra vestirsi carine e non dover esporre all’aria ogni grazia. In
Italia, dove vanno di moda solo veline e letterine e uomini pubblici possono
impunemente definirsi «utilizzatori finali» d’una donna, il problema è doppio.
Personalmente ho trovato tante idee su siti americani, perché negli Stati Uniti
«dressing with modesty» sta diventando quasi una moda. Però ammetto d’essermi
beccata più d’un commento ironico sull’essere esageratamente vestita del tipo:
«Hai rubato i vestiti alla nonna?» (Fra l’altro gli spiritosi sono poco
informati: negli anni Cinquanta, quando mia nonna aveva la mia età, andavano di
moda gonne più corte e scollature più generose di quelle che porto io, ergo mia
nonna era vestita
meno di me!)
D’altra parte, ho sperimentato che vestirsi così permette d’avere una
maggiore libertà. Infatti, diminuisce il numero d’uomini che «ci provano».
Giro molto più sola e tranquilla di molte mie conoscenti «alla moda». Se devo
attraversare certe zone della città per recarmi al mercato, spesso mi metto
anche un foulard in testa. Ammetto che mi sento in colpa, perché posso essere
scambiata per musulmana e questo mi turba. Però ciò che mi turba di più è che
innegabilmente sono molto meno gli uomini che tentano un approccio:
com’è successo che, se una donna si veste in modo da evitare attenzioni
indesiderate, venga presa per musulmana e non per cristiana? È difficile
rispondere alle donne musulmane che difendono il loro abbigliamento, perché le
rende più tranquille e protette. Infatti non si può negare che abbiano delle
ragioni.
Senza passare da un’esagerazione all’altra, secondo me anche le cristiane
italiane dovrebbero riflettere su queste cose, come già stanno facendo le
americane.
Avendo una figlia di sette anni, mi pongo poi il problema di come proporre
un tipo diverso d’abbigliamento. L’imposizione esterna mi sembra solo un modo
legalista d’affrontare il problema sia a livello educativo da genitori
a figli, sia a livello di chiesa da anziani a credenti.
A m’avviso, se gli anziani si limitassero a ingiungere alle donne:
«Vestitevi con più modestia!», può anche darsi che ci sarebbero dei frutti, nel
senso che per obbedienza una parte delle credenti si vestirebbe così. Magari lo
farebbe persino nella propria vita privata e non solo la domenica al culto
davanti a tutti. Ma rischierebbe di rimanere un «sacrificio», non un atto di
libertà. Non potrebbero apprezzare il vero senso di quello che è stato
comandato. Forse la via da percorrere è quella di sollecitare un
onesto confronto, dove i versetti biblici vengano usati non come una
prigione, ma come un’indicazione stradale per vivere meglio (come per altro sono
tutti i comandamenti, se analizzati a fondo), dove chi non è convinta possa
esprimere liberamente dubbi e perplessità senza essere subito giudicata
superficiale (o, peggio, poco seria). Devo ammettere che sarebbe però ben triste
se questo tipo di dibattito dovesse essere sollecitato dagli anziani, mentre
sarebbe responsabilità delle donne stesse vigilare su questi argomenti.
Anche il problema educativo nei riguardi delle bambine sarebbe più semplice, se
le credenti in chiesa riuscissero a elaborare dei modelli adeguati per
conciliare moda e modestia.
Purtroppo temo che la paura di lasciarsi andare a facili pregiudizi o
d’apparire superficiali perché ci s’occupa di moda e non di cose spirituali
freni questa presa d’iniziativa da parte delle credenti. Eppure potremmo
scoprire che molte di noi sono infondo insoddisfatte dei modelli proposti dalla
moda!
Personalmente ero stufa di dover continuamente camminare come su una passerella,
perché la foggia stessa degli abiti alla moda ti costringono così, come in
una prigione dove il tuo corpo non ha la possibilità di muoversi in maniera
naturale. Ero stufa di patire freddo alle gambe perché le gonne lasciano
scoperto almeno il polpaccio (se non di più!) e l’unica cosa «accettabile» con
cui coprirla è una calza di nylon trasparente che non tiene caldo. E che dire
dei jeans troppo bassi, uniti a maglie troppo corte? Quello non ho mai avuto il
coraggio di sperimentarlo: chi potrebbe mai sentirsi bene con parte della
schiena e della pancia scoperte quando d’inverno ci sono 0°C? E perché una donna
è costretta a zoppicare costantemente per colpa di tacchi troppo alti? Perché ci
si sente in dovere di portare pantaloni super attillati anche nei giorni del
ciclo e poi si muore di preoccupazione che possano accadere incidenti
imbarazzanti? Perché si deve essere eternamente preoccupate della messa in piega
o del colore dei capelli? Perché non lavarli, pettinarli e legarli quei capelli
e basta, senza ansie, senza stress? Come donna, mi viene da chiedere: al di là
d’ogni problema morale, è davvero così che
vogliamo vestirci? Ci sentiamo davvero
bene nei nostri panni?
Non vorrei dare spazio a equivoci: a me piace curare il mio corpo, tengo
al mio aspetto fisico, sto attenta all’alimentazione, perché non voglio
ingrassare. Forse proprio perché tengo molto al mio aspetto fisico, mi preoccupo
tanto del problema dei vestiti. Insomma, non voglio invitare a fare le
sciattone. Tra la modellina e la sciattona ci possono essere delle varianti che
ci permettano di sentirci donne carine, ma anche naturali e rilassate?
Detto questo, però vorrei porre anche una riflessione che va in direzione
opposta e che mi viene da un’altra esperienza personale. Da diversi anni ormai,
pratico scherma giapponese e l’abbigliamento, sia per ragioni
tradizionali, sia per motivi pratici di protezione durante il combattimento,
prevede una divisa e un’armatura che lasciano scoperti solo i piedi nudi e la
nuca. Persino il viso s’intravede soltanto attraverso la grata di metallo
dell’elmo. Quando ho iniziato la pratica non riuscivo quasi a distinguere gli
uomini dalle donne sotto tutta quella stoffa e quel cuoio. Ora invece riesco a
farmi un’idea abbastanza precisa se una persona è bella o brutta, com’è fatto il
suo fisico e la forma del suo volto. Ho scoperto che se un abbigliamento copre
molto, il senso del pudore s’adegua e... anche la malizia. Un polpaccio che si
scopre per sbaglio durante un’azione può diventare molto più interessante di
quando è lasciato apposta scoperto sotto un paio di pantaloni corti. Perciò mi
chiedo: ma se ci si vestisse sempre tutti con modestia, non sarebbe poi sempre
uguale alla fine? Inizieremmo a saper «vedere» di più sotto un vestito più
lungo?
Il peccato è nell’abito o nei nostri occhi?
Un ultima considerazione più «filosofica»: qualsiasi occhiata al corpo umano è
sempre necessariamente maliziosa? Nasconde sempre un interesse sessuale? Oppure
esiste una forma di ammirazione innocente? Mi sono sorpresa qualche volta
a osservare i fianchi di donne giovani che avevano pantaloni aderenti, non
evidentemente per interesse equivoco, ma meditando come fossero pronte e
perfette per ospitare un figlio. Allo stesso modo, mi capita di vedere con
interesse il modo in cui l’avambraccio maschile riesce a esprimere forza nella
contrazione dei muscoli, ad ammirare come i tendini del polso sotto sforzo
assomiglino ai cavi che reggono i ponti moderni. È un piacere che è uguale ad
ammirare l’agilità d’un gatto che salta o la bellezza d’un paesaggio. Il corpo
umano è stato creato bello come tutto il resto e poteva essere ammirato nudo
prima del peccato. Ora noi siamo troppo corrotti per non vestirci, ma riusciamo
a intravvedere lo stesso la sua perfezione senza malizia?
Temo d’essermi contraddetta un po’ di volte in questo testo, ma sono riflessioni
che sto facendo in questo periodo non sempre in maniera coerente, però sarei
curiosa di sapere cosa ne pensate.
PS: Avendo citato un caso politico noto, non vorrei scatenare considerazioni che
non hanno niente da spartire con quest’argomento. Ho riportato quello solo
perché è famoso e penso che anche dalla parte avversa il problema esista.
Infatti, temo che sia un problema d’un clima piuttosto immorale che riguardi
tutto il nostro Paese: noi credenti dobbiamo
stare molto attenti a non farci deviare da questa mentalità. {6 novembre 2009}
2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}
▲
È fuori dubbio che
col nostro corpo e il nostro abbigliamento mandiamo dei messaggi agli altri,
volenti o nolenti. In ciò, le intenzioni possono essere una cosa (variano da
persona a persona), l’effetto reale può essere un altro. Come si sa, i segnali
vengono decodificati e interpretati, secondo un codice sia generale, sia
personale. È indubbio che in certe persone (ingenue, leggere, ecc.) l’ignoranza
sulla psicologia dell’abbigliamento può avere un certo ruolo, ed esse
mandano messaggi, che possono essere falsamente interpretati. Le persone furbe e
astute usano il loro corpo e il loro abbigliamento come richiami erotici,
strumenti di disturbo o armi psicologiche per raggiungere altri scopi. Bisogna
verificare tutto di caso in caso.
Faccio notare comunque che
Adamo e Eva
erano sì nudi, ma erano una coppia; inoltre, tutto ciò era prima della caduta e
la prima cosa che fecero dopo, fu di coprirsi (Gn 3,7). Essi erano usciti
dall’epoca dell’incosciente innocenza. Anche Dio diede loro un esempio
pedagogico, facendo loro dei vestiti (v. 21). Da lì in poi solo i bimbi, gli
incoscienti, gli stolti e i pervertiti non sentono il senso del pudore
pubblicamente.
L’ingiunzione a vestirsi con modestia
nasce dal fatto
che, all’interno della comunicazione verbale e non verbale, non tutto avviene a
livello della mente razionale e dei suoi filtri etici, ma esistono
meccanismi inconsci che seguono vie istintuali. Quindi, di là dalle
buone intenzioni,
ognuno può diventare oggetto di
concupiscenza e perciò una fonte di tentazione per gli altri, e questo
quanto più si espone il proprio corpo alla vista altrui. Dove ciò accade, non si
viene più presi sul serio come persone, ma la comunicazione avviene al livello
solo istintuale, venendo percepiti come oggetto del desiderio dagli uni e come
fonte di pericolo dagli altri.
Specialmente per un uomo, quantunque si sforzi di apprezzare
l’intelligenza e la cultura di una donna, con cui parla, se il corpo di tale
essere femminile parla più forte, il livello in salita del testosterone gli
impediranno presto di pensare solo con i filtri razionali. Gli uomini apprezzano
lo charme e l’eleganza che sottolineano la personalità; dopo un certo livello
però si instaurano meccanismi che passano dal solleticare l’intelligenza allo
stimolare l’eros.
Le
donne fanno bene a cercare e trovare un punto d’equilibrio, che evidenzi
l’intelligenza, il carattere e la bellezza femminili, senza che l’esposizione
delle loro «grazie» le faccia apparire provocanti o conturbanti. È fuor di
dubbio, come evidenzia la lettrice, che un abbigliamento sobrio e costumato
permetta alle donne maggiore protezione, libertà, tranquillità e
mobilità.
Le
mamme sono importanti nel comunicare alle figlie e ai figli tale etica del
corpo e dell’abbigliamento mano a mano che crescono. Specialmente le ragazze
guardano ad alcuni aspetti soltanto (essere carine, attraenti, trendy, ecc.) e
necessitano di mamme che comunichino loro il messaggio che esse danno vestendosi
in un modo o nell’altro. Al riguardo non bastano solo rimproveri o proibizioni,
ma ci vuole un lungo processo pedagogico, che deve iniziare abbastanza presto
sia in casa (genitori), sia in comunità (conduttori).
Nel nostro gruppo di discepolato, studiando insieme il libretto «Elementi
della fede: Dottrine fondamentali della fede cristiana», abbiamo avuto
proprio occasione per parlare dell’etica del corpo. In tale onesto confronto
abbiamo potuto maturare insieme il fatto che il nostro corpo parla di per sé e
l’esposizione delle proprie può portare imbarazzo e fraintendimenti; ad esempio
un credente non si distrae da te dopo un po’ perché non ti vuole bene e
non ama la tua compagnia, ma perché si sente imbarazzato.
L’etica del corpo e dell’abbigliamento dovrebbe essere oggetto di istruzione
biblica mediante predicazioni, dibattiti comunitari, riunioni di settore
nella chiesa (uomini, donne, giovani, discepolato), nelle cellule e in famiglia.
Ciò eviterebbe scelte secondo modelli radicali, in un modo (andare
secondo la moda) o nell’altro (uniformazione a un’uniforme di comunità). Chi
vuol piacere al Signore e aiutare il pari consentimento di uomini e di donne
timorati di Dio, cercando modelli adeguati, prenderà solo ciò che c’è di
buono al momento sul mercato, senza rendersi dipendente dagli schemi imposti dal
capriccio e dall’arbitrio dei «modaioli». Questi due brani biblici possono
orientare anche le nostre scelte in merito:
■ «Del rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli,
tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose
di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei
vostri pensieri» (Fil 4,8).
■ «Io vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i
vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; il che è il vostro
culto razionale. E non siate conformi a questo mondo, ma siate trasformati
mediante il rinnovamento del senno, affinché siate in grado di provare quale sia
la volontà di Dio: quella buona e gradita e perfetta» (Rm 12,1s).
Le prigioni
da cui liberarsi non sono solo quelle in cui gli stilisti mettono i corpi delle
persone, ma anche gli schemi mentali, che una cultura dominata dalla sensualità
pretende che venga trasmessa. I credenti devono spargere in torno a sé luce e il
buon profumo di Cristo (2 Cor 2,14). È difficile fare ciò con un abbigliamento
sensuale e provocante.
I credenti devono emanciparsi dai diktat delle mode, fatte da chi vuole
vendere e perciò deve proporre modelli apparentemente sempre nuovi, secondo cui
essere dichiarati trendy un anno e ridicoli un altro. Tutto ciò
rappresenta un vero martirio, oltre che fisico, anche mentale (insicurezza,
disagio, ansia, stress), come la lettrice ha ben descritto. Che dire alle donne?
Siate naturali, rilassate, femminili e con un’avvenenza intelligente, che vi fa
apprezzare come persone e donne.
Se tutti ci vestissimo con modestia, non troveremmo un motivo di provocazione lo
stesso?
Che cosa alimenta il peccato, l’abito
o i nostri sensi? Direi ambedue. Non bisogna viziare l’occhio proprio (cfr. Mt
5,28; 6,22s; 15,19; 2 Pt 2,14), poiché esso riempie il cuore di concupiscenza
(Gcm 1,14s). Neppure bisogna provocare l’occhio altrui con atteggiamenti e un
abbigliamento allettanti (Is 3,16; cfr. vv. 18ss; Pr 7,10s.21s). Anche per chi
vuol per restare casto, esiste una soglia, da cui in poi iniziano meccanismi
biologici e psicologici difficilmente governabili con la sola razionalità e a
cui si può solo fuggire, per non creare equivoci e mettersi in pericolo (cfr. 1
Tm 4,12; 5,2; 2 Tm 2,22). È chiaro che tali processi e l’imbarazzo della persona
devota vengono accelerati da atteggiamenti e dall’abbigliamento poco casti del
prossimo.
Si può ammirare la bellezza e l’eleganza altrui anche senza secondi fini,
tanto più se l’altra persona è vestita in modo costumato e non provocante.
Dubito che tale ammirazione innocente
sarà possibile a un uomo, laddove le «grazie» esposte da una donna incitano a
guardare una seconda o una terza volta. È chiaro che studiare il corpo umano dal
punto di vista anatomico e medico sia qualcosa di diverso dall’avere a che fare
con persone nella vita comune; si fa bene a non sopravvalutarsi però,
visto che gli ospedali sono altresì i luoghi, in cui avvengono frequentemente
fornicazioni e adulteri far personale medico e infermieristico. Il corpo non è
uno strumento neutrale. E ciò neppure per artisti, massaggiatori e
fisioterapisti.
Oltre alla cura di un’igiene mentale, c’è necessità di un’etica del corpo e
dell’abbigliamento!
►
Abbigliamento da spiaggia {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Etica_corpo_abbiglia_S&A.htm
09-11-2009; Aggiornamento: 12-12-2009 |