1. ENTRIAMO IN TEMA: Sul
soggetto del divorzio e delle seconde nozze ho avuto modo di confrontarmi sia
sul piano dell’interpretazione biblica, sia sul piano pastorale (è un problema
ricorrente), sia nel confronto delle idee e nelle discussioni delle diverse
opinioni. Inoltre negli ultimi tempi diversi credenti mi hanno scritto,
narrandomi la loro storia, la loro tribolazione di persone abbandonate dal
coniuge, che si trova oramai in altri legami, e, dopo tanti anni d'attesa, le
loro speranze di ricostruirsi una vita in quanto seguaci di Cristo. La
loro domanda è spesso la seguente: Che cosa afferma la Parola di Dio riguardo a
nuove nozze, nel caso in cui uno dei coniugi ha abbandonato l'altro, ha
rifiutato ogni possibilità di riconciliazione, ma per di più ha divorziato e
vive oramai da tanti anni con un'altra persona?
Premetto subito che io credo nell’indissolubilità del patto matrimoniale e che
non bisogna mettere fine a esso per arbitrio o per capriccio. Altra cosa è però
quando non ci troviamo dinanzi a un caso generale o normale (p.es.
dissenso, contrasti fra coniugi), ma a casi di fornicazione o addirittura di
adulterio.
Nel mio libro
Tenerezza e fedeltà, Sesso & Affini 2 (Punto°A°Croce, Roma 1998),
parlo della concezione biblica del matrimonio e del divorzio: «La relazione
sessuale durevole», pp. 100-108; «Matrimonio e Bibbia», pp. 109-117; «L’alta
monogamia», pp. 118-120; «Matrimonio e patto», pp. 121-129; «Inizio ed essenza
del matrimonio», pp. 130-137; «Divorzio e seconde nozze», pp. 138-151.
Sulla concezione del matrimonio nella Bibbia nel suo contesto culturale, si veda
pure in
Generi e ruoli 1 (Punto°A°Croce, Roma 1996), gli articoli: «Il
matrimonio nell’Antico Testamento», pp. 116-150 (pp. 143s Ripudio e divorzio);
«Il matrimonio nel Nuovo Testamento», pp. 151-164 (pp. 153s Ripudio e divorzio).
Da anni ho preparato uno studio specifico sui testi dell’AT e del NT, in cui
mostro con l’esegesi contestuale e con le lingue originali quale sia l’etica
biblica su divorzio e seconde nozze. Esso aprirebbe a molti gli occhi sulla
verità biblica che va di là dalle convenzioni sia integraliste sia liberali.
Purtroppo non posso permettermene la pubblicazione. In ogni modo, qui di seguito
affronterò alcuni aspetti di tale studio.
Inoltre sul sito «Fede controcorrente» io e altri abbiamo già scritto in merito
e ci siamo confrontati sull’argomento in vari temi di discussione (vedi in fondo
alla pagina per i link).
2. LA TRATTAZIONE BIBLICA:
Al riguardo si tengano presenti i seguenti aspetti della questione.
2.1. LA CONCEZIONE DEL MATRIMONIO: Se si ha una concezione
sacramentale
del matrimonio, tipica delle denominazioni a conduzione clericale, si arriverà
chiaramente a conclusioni prevedibili. La concezione sacramentale dà al clero di
riferimento l’arbitrio di sciogliere ciò che principalmente è indissolubile; a
tale legge, per principio uguale per tutti, la curia nostrana dà dispensa a
coloro che sono «più uguali» degli altri, ossia a ricchi e potenti. Una
concezione sacramentale del matrimonio non si trova nella Bibbia.
Nella sacra Scrittura il matrimonio è un «patto», ossia un accordo
sociale stipulato dinanzi a Dio e basato sulla volontà di essere leale e fedele
verso il coniuge (cfr. Mal 2,14).
2.2. L’INSEGNAMENTO DELLA TORÀ: La Legge mosaica prevedeva che il
patto matrimoniale potesse essere sciolto anche in casi di infedeltà tali che
non configuravano ancora il reato di adulterio (Dt 24), per il quale c’era la
morte (Lv 20,10; Dt 22,22) al pari della fornicazione prematrimoniale (Dt
22,13ss.20s.23s). Anche al tempo del NT questa era la convinzione di Gesù e
degli apostoli.
Una donna promessa sposa e che aveva rapporti prematrimoniali consensuali
con un altro uomo, non veniva semplicemente ripudiata, ma messa a morte (Dt
22,23s). Lo stesso accadeva per una donna che entrava nel matrimonio e il cui
marito scopriva che ella non era più vergine (Dt 22,13ss.20s).
In Dt 24,1 la locuzione «nudità di una parola / cosa» si riferiva a una moglie
con un
linguaggio o atteggiamenti licenziosi, sebbene tutto ciò non arrivasse alla
prostituzione o all’adulterio.
2.3. L’INSEGNAMENTO DI CRISTO: Gesù concordava con Dt 24 e con i
limiti ivi descritti, usando addirittura la stessa terminologia; `ërewat
dābār «nudità di una cosa / parola» in Dt 24,1 (come in Dt 23,15 ebr. [=
Riv. v. 14]) corrisponde a parentòs lògou porneías «a eccezione della
parola di fornicazione (o lussuria)» di Mt 5,32 e a mè epì porneía
«se non a causa di fornicazione (o lussuria)» di Mt 19,9. Si noti che
l’espressione di Mt 5,32 si riferisce direttamente a Dt 24,1, ossia a quella
parola di fornicazione o lussuria!
Gesù non poteva riferirsi ai rapporti prematrimoniali di Dt 22, poiché in
tali casi c’era poco da mandar via: l’esecuzione della condanna capitale,
rendeva il coniuge di fatto socialmente libero. A ciò si dovette il fatto che
Giuseppe, quando fu messo dinanzi all’evidenza di un gravidanza di Maria, la
volle lasciare di nascosto alfine di evitarle la pubblica infamia e una
probabile tragica morte (Mt 1,19).
In corrispondenza a Dt 24, in Mt 5,32 e 19,9 si intendeva il significato
generico di «lussuria, scostumatezza morale, atteggiamenti licenziosi»,
senza però che si arrivasse a rapporti illeciti. Come abbiamo visto, la stessa
locuzione di Dt 24,1 fu riportata da Gesù in Mt 5,32 come logos porneias
«parola / cosa di fornicazione» e si riferiva a quella parola della
Legge. Alcuni manoscritti riportano la stessa locuzione anche in Mt 19,9, dove
logos porneias fu abbreviato tecnicamente perlopiù come porneia. Il
campo semantico di porneia era vasto e andava da lussuria a fornicazione
e a prostituzione, designando anche i rapporti illeciti (p.es. fra
consanguinei). Nel contesto deve trattarsi particolarmente di lussuria verbale
od ostentata, altrimenti Gesù avrebbe parlato direttamente di adulterio, per il
quale nel giudaismo del tempo c’era la morte per lapidazione (cfr. Gv 8), come
pure nel caso di prostituzione.
2.4. L’INSEGNAMENTO DI PAOLO
2.4.1. IL CASO NORMALE: Dapprima bisogna considerare il caso normale di ogni
legge, per poi valutare le eccezioni. Per rendere l’idea dell’originale,
traduciamo letteralmente aner con «uomo» e ghyné con «donna»,
intendendo nel contesto un uomo e una donna sposati.
■ Romani 7,2: «Infatti la donna maritata è legata [dédetai] mediante
la legge all’uomo, fintantoché egli vive; ma se l’uomo morisse, ella è liberata
dalla legge dell’uomo». Come si vede nell’originale il verbo «legare» non
compare per nulla alla fine della frase (qui molte Bibbie recitano in italiano:
«ella è sciolta dalla legge che la lega al marito»), ma solo all’inizio
d’essa. Per onestà bisogna evidenziare che il tema di Rm 7 non è quello di
separazione e ripudio, ma quello della legge mosaica, per la quale viene preso
come illustrazione il caso normale del rapporto fra un marito e una
moglie.
■ 1 Cor 7,39: «Una donna è vincolata
[dédetai] per tutto il tempo che vive il suo uomo; ma, se l’uomo si
addormentasse [= morisse], ella è libera di maritarsi a chi vuole, solo [sia]
nel Signore». Si noti che anche qui Paolo ricordò il caso normale (le altre
eccezioni le aveva discusse all’inizio del capitolo), per significare: ▪ 1) La
donna che si sposa, sappia quello che gli aspetta (vv. 34.36ss); ▪ 2) Quella che
non si sposa, può consacrarsi meglio al (servizio del) Signore (vv. 35.40).
2.4.2. LA REGOLAMENTAZIONE: Ogni legge che si rispetti, accanto al caso
normale, contiene le debite eccezioni, per essere giusta. Gesù stesso previde,
in conformità con Dt 24, un’importante eccezione. In 1 Corinzi 7 l’apostolo
Paolo
affrontò in particolare i seguenti
aspetti.
■ Il principio generale: Una persona credente è vincolata al proprio
coniuge per tutto il tempo che quest’ultimo vive. Inoltre bisogna maritarsi nel
Signore (v. 39). Questo aspetto lo abbiamo considerato nel punto precedente.
■ Il matrimonio fra credenti (vv. 10s). Qui una separazione è possibile,
ma i coniugi non devono contrarre un altro vincolo matrimoniale né avere
rapporti sessuali con un’altra persona. Chiaramente qui venne trattato il caso
normale (separazione per motivi caratteriali, umani, ecc.); si noti che Paolo
non affrontò qui la questione dell’indecenza morale (porneia) e
dell’adulterio, poiché tale evenienza era scontata.
■ Il matrimonio misto (vv. 12-16). A differenza della prassi ingiunta ai
tempi dell’AT, Paolo consigliò di non separarsi dal coniuge non credente, a meno
che l’iniziativa non partisse da quest’ultimo.
■ Il matrimonio di divorziati prima della conversione (vv. 17ss.24.27s).
In tali casi, chi era già sciolto da donna, non peccava risposandosi.
Qui di seguito approfondiremo gli ultimi tre aspetti.
2.4.3. MATRIMONIO FRA CREDENTI (1 Cor 7,10s)
■ Il tenore del brano: Paolo rispose qui solo alle domande che gli furono
fatte, senza trattare tutti i casi. Egli affermò che due coniugi credenti non
avrebbero dovuto separarsi per alcun motivo. Abbiamo visto che l’apostolo non
affrontò qui la questione dell’indecenza morale (porneia) e
dell’adulterio, infatti ciò risultava già chiaro dall’insegnamento di Gesù, il
quale non differiva da quello della legge mosaica. Perciò Paolo si concentrò
sugli altri casi, in cui due credenti decidevano di separarsi, senza specificare
quali; tuttavia, poiché egli parlò di riconciliarsi (v. 11) presumiamo si
trattasse di incompatibilità sopravvenuta, motivi caratteriali, convivenza
difficile, l’ennesimo litigio, eccetera. In un matrimonio sbilanciato, può
accadere che uno dei coniugi eserciti delle continue prevaricazioni verso
l’altro e che ciò porti la parte vessata a separarsi dal consorte. Paolo affermò
che in tale caso una separazione era possibile, ma previde qui solo due
possibilità:
▪ 1) I coniugi dovevano rimanere in tale
stato, senza risposarsi; ▪ 2) Essi
potevano riconciliarsi col coniuge.
■
Approfondimenti: È interessante notare che Paolo non contemplò qui
l’eventualità creatasi nel caso che uno dei due coniugi contrasse un altro
vincolo matrimoniale (a quel tempo matrimonio e divorzio rientravano nel diritto
privato delle persone dinanzi alle loro famiglie e per il ripudio bastava una
«autocertificazione»). Contrarre un altro vincolo matrimoniale mentre si era
ancora sposati, sebbene separati, avrebbe messo di per sé fine al vincolo
matrimoniale, al pari della fornicazione, trattandosi di adulterio. Inoltre
riprendersi il coniuge, dopo il ripudio e successive nozze di quest’ultimo,
avrebbe significato un abominio morale (Dt 24,4).
Come abbiamo visto, Paolo affrontò qui solo le questioni che gli furono poste;
il resto era chiaro dall’insegnamento di Gesù e della legge mosaica. La norma
ricordata da Gesù in caso di fornicazione si applicava anche in questi casi;
come abbiamo visto, Gesù non parlò di adulterio, per il quale allora c’era la
pena di morte, ma già della «parola (o fatto) di fornicazione» come causa del
divorzio.
Una riconciliazione era possibile quando il problema di base era rimosso (p.es.
prevaricazione, vessazione). Altrimenti si applicava la parola di Gesù di Mt
18,15-20; quando tutti i tentativi risultavano vani, si può dire con Gesù: «E
se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, sia per lui come il pagano e il
pubblicano» (v. 17). Chiaramente i tentativi di riappacificazione dovevano
accadere fintantoché l’altro coniuge non contraeva un altro vincolo (anche
allora c’erano credenti carnali o disubbidienti). Anche in quest’ultimo caso il
vincolo matrimoniale sarebbe stato infranto.
2.4.4. MATRIMONIO MISTO (1 Cor 7,12-16): Quanto a 1 Corinzi 7 è importante
avere una giusta traduzione del testo greco; in italiano la Nuova Riveduta non
lo rende bene, ma lo fa meglio ad esempio la traduzione della C.E.I. Ecco
dapprima il testo di 1 Cor 7,15a:
Però, se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o
la sorella non sono obbligati a continuare a stare insieme; ma Dio ci ha
chiamati a vivere in pace (NR) |
|
Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il
fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati
alla pace! (C.E.I.) |
In 1 Cor 7,15 ricorrono i verbi chōrizesthō (imp. pass) «si separi!» e
ou dedoulōsthai (negazione + perf. pass.) «non è legato in modo
schiavistico», ossia al coniuge non credente. Che cosa significava questa
formulazione (probabilmente giuridica) a quel tempo? Una volta accertata la fine
di un patto matrimoniale per volontà dell’altro coniuge (il non credente ne
avrebbe iniziato subito un altro) o a causa di un atteggiamento o di una
condotta di fornicazione, la prassi (statale, ecclesiale) di allora permetteva
di iniziarne un altro? Qual era, ad esempio, la prassi del giudaismo storico, da
cui è nato la prima chiesa?
Bisogna tener presente che cosa significasse in quella cultura «non è più
schiavizzato» unitamente a «si separi pure!» (7,15). Nell’AT i
matrimoni misti erano da sciogliere; Paolo consigliò al coniuge credente di
rimanere legato al coniuge non credente che acconsentiva a rimanere insieme. Il
matrimonio era visto come un giogo che metteva i due coniugi (= aggiogati
insieme) sotto gli stessi vincoli, sotto la stessa volontaria schiavitù; se uno
se ne sottraeva col divorzio, con la fornicazione o con l’adulterio, il patto
era infranto e l’altro era libero. E ciò valeva specialmente per un coniuge non
credente, il quale in genere non aveva scrupoli di coscienza a contrarre
un’altra relazione.
2.4.4. MATRIMONIO DI DIVORZIATI PRIMA DELLA CONVERSIONE (1 Cor
7,17ss.24.27s): Abbiamo visto che in tali casi, chi era già sciolto da donna,
non peccava risposandosi. Ecco poi il testo di 1 Cor 7,27b-28:
Sei
legato a una moglie? Non cercare di sciogliertene. Non sei legato a una
moglie? Non cercar moglie. 28Se però prendi moglie, non pecchi; e se
una vergine si sposa, non pecca; ma tali persone avranno tribolazione nella
carne e io vorrei risparmiarvela. (NR) |
|
Ti
trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna?
Non andare a cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la
giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni
nella carne, e io vorrei risparmiarvele. (C.E.I.). |
Anche qui la traduzione italiana della C.E.I. rende meglio il testo greco
rispetto alla Nuova Riveduta.
La dichiarazione: «Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però
prendi moglie non pecchi», significava: Sei divorziato (ossia al momento
della conversione), non risposarti, ma se ti risposi, non pecchi. «Sciolto»
significava qui essere «separato / divorziato» al momento della conversione. Ciò
è evidente nel parallelismo del v. 27a: «Sei tu legato a una moglie? Non
cercare d’esserne sciolto», che significava: Sei sposato (ossia al momento
della conversione), non cercare di divorziare.
3. ASPETTI CONCLUSIVI:
C’erano due tipi di divorzio: quello con una «giusta causa» (Dt 24,1; Mt 5,32;
19,9) e quello senza.
3.1. SENZA GIUSTA CAUSA: Il divorzio senza «giusta causa» era
quando si mandava via la moglie legittima per sposarne un’altra (spesso
straniera o più giovane). Per questo caso specifico soltanto, si legge
letteralmente: «Infatti, io odio il licenziamento, dice l’Eterno, il Dio
d’Israele, allo stesso modo come uno copre la sua veste di ingiustizia, dice
l’Eterno degli eserciti. Badate dunque a voi stessi per lo spirito vostro e non
agite infedelmente!» (Mal 2,16). Il divorzio senza «giusta causa» produceva
sempre adulterio e in questo caso la Legge non prevedeva il perdono, ma la morte
degli adulteri. Gesù estese la relazione adulterina a tutte le relazioni in cui
c’era una separazione senza «giusta causa».
Come detto, un’eccezione fu prevista da Paolo quando la parte non credente si
separava da quella credente (1 Cor 7,15). Per chi si convertiva, avendo già alle
sue spalle un divorzio («Sei tu sciolto da moglie?»), l’apostolo previde
un nuovo matrimonio (1 Cor 7,27s), certamente «nel Signore».
3.2. CON GIUSTA CAUSA: In caso di adulterio non c’era molto da
discutere in quella cultura, poiché gli adulteri facevano una brutta fine, sia
che fossero credenti, sia che non lo fossero. Se già parole o atteggiamenti
fornicatori permettevano un divorzio con giusta causa, quanto più un adulterio!
A quel tempo, nessuno poteva impedire a un vedovo o a una vedova di risposarsi;
si diventava vedovi anche in caso di adulterio per lapidazione pubblica del
coniuge fedifrago (Lv 20,10; Dt 22,22; Gv 8). Oggigiorno, non essendo più sotto
la legge teocratica d’Israele, non è permesso a nessuno di mettere a morte un
adultero; poiché però il principio rimane anche nel nuovo patto, si può parlare
in tali casi di una «vedovanza morale». Un coniuge abbandona l’altro e convive
con una terza persona, rifiutando il perdono e la riconciliazione. Dopo il
procedimento suggerito da Gesù, il coniuge fedifrago può essere considerato come
«il pagano e il pubblicano» (Mt 18,17) e la comunità nella veste dei suoi
conduttori possono legare sulla terra tali cose verso il fedifrago ed esse «saranno
legate nel cielo» (v. 18), potranno altresì sciogliere sulla terra tali cose
verso la parte lesa ed esse «saranno sciolte nel cielo». Infatti è
ingiusto punire la parte lesa due volte: perché abbandonato e perché gli si
impedisce di ricostruirsi una vita.
3.3. SPUNTI PASTORALI: Le chiese devono porsi il problema creatosi
dal fatto che uno dei due coniugi credenti si separa dall’altro senza un vero
motivo oggettivamente rilevante o perché lo abbandona per seguire l’impulso di
una nuova passione amorosa, ad esempio verso un collega di lavoro.
■ Immaginiamoci due giovani credenti, di nostra conoscenza, che si sposino.
Sembrano felici e speranzosi. Dopo soli sei mesi, però, uno dei due si
separa dal coniuge e reclama il divorzio, affermando di aver finalmente
capito di non amare veramente l’altro. In che cosa ha fallito qui la
pastorale prematrimoniale? (forse non c’è stata? oppure è stata superficiale o
inadeguata?). Se, dopo la separazione, tutti gli sforzi di intervenire e di
aiutare non ottengono un risultato e si arriva realmente a un divorzio, che cosa
bisognerà consigliare a tale giovane (anche vista la giovane età) che faccia per
il resto della sua vita? È giusto punirlo due volte: per le scelte arbitrarie
del coniuge e per la proibizione ecclesiale di contrarre un nuovo legame?
■ Immaginiamoci due giovani credenti che si sposano. Un giorno, quando
lui ha circa 26 anni, la moglie l’abbandona per andare a convivere con un
collega di lavoro. Anche qui tutti gli interventi pastorali non riescono a
risolvere il problema. Che faranno i conduttori di chiesa nei confronti di tale
giovane che è la parte lesa? La giovane donna adultera era veramente una figlia
di Dio? (non tutti i «credenti» sono anche «generati da Dio»). Si punirà tale
giovane, già leso da una moglie fedifraga, ancora una volta, impedendogli di
risposarsi?
■ Immaginiamoci una coppia di credenti sposati da 25 anni. Un giorno lei
lo abbandona e tutti i tentativi di lui di riportarla a casa falliscono, anzi
lei vuole il divorzio. Un giorno, dopo ormai cinque anni di separazione, viene a
sapere che lei da almeno sei anni aveva un altro uomo. Allora acconsente
finalmente al divorzio. Passa altro tempo e lui s’innamora. Come decideranno i
conduttori di chiesa nel suo caso?
■ Immaginiamoci il caso di un giovane che si accosta all’Evangelo e la
moglie lo minaccia di lasciarlo se lui si converte. E così accade. La moglie va
a convivere con un altro e poi divorzia. Tale giovane cammina fedele col Signore
e s’impegna nella chiesa. Dopo tanti anni conosce una ragazza e s’innamorano
insieme. Hanno sbagliato i conduttori e la chiesa a rallegrarsi con loro per il
loro desiderio di sposarsi?
Questi non sono esempi di fantasia, ma sono casi concreti che fanno parte
insieme ad altri della triste realtà di un mondo imperfetto. Matrimoni si
rompono prima che le persone si convertano. Addirittura c’è chi viene
abbandonato dal coniuge proprio nel momento in cui si converte e cambia vita in
meglio.
In 1 Cor 7 Paolo rispose alle domande che i diversi gruppi gli posero nella loro
situazione concreta; non trattò quindi sistematicamente tutti i casi possibili.
Bisogna stare attenti a tutte le radicalizzazioni, sia a quelle liberali,
sia a quelle integraliste. In un modo o nell’altro ci si può rendere colpevoli
delle decisioni ecclesiali prese nei confronti delle persone che stanno nel
problema.
Nei casi reali non si tratta di casistiche ma di persone concrete con le
loro problematiche e tragedie. Essi non hanno bisogno di «cerotti consolatori»,
ma di
concrete vie d’uscita da situazioni piene di tribolazione.
A chi sta in uno scottante problema non bisogna neppure prospettare facili
«uscite d’emergenza», altrimenti si fa render colpevoli tali persone e se
stessi. In ogni modo, non ci si può lavare le mani. Bisogna calarsi fino in
fondo nel problema del credente che è stato abbandonato dal coniuge, il quale
vive ormai altri «amori» e non ha nessuna intenzione di tornare indietro. A chi
arde e non riesce a contenersi (cfr. 1 Cor 7,9) non si può semplicemente
suggerire di pregare di più; nella maggior parte dei casi non funziona. Bisogna
cercare vie praticabili e piene di buon senso. E qui nei casi concreti, per non
avere un cuore troppo stretto o per non prendere lucciole per lanterne, ci vuole
tutto il discernimento biblico e tutta la sapienza di Dio.
►
Divorzio e nuove nozze di credenti {Nicola Martella} (D)
►
Divorzio e nuove nozze? Parliamone {Nicola Martella} (T)
►
Un servitore del Signore aspira a risposarsi {Nicola Martella} (A)
Per l’ulteriore approfondimento si rimanda nella pagina «Etica» alla rubrica «Matrimonio:
Divorzio», dove ci sono numerosi scritti sul tema.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Divorzio_nuove_nozze_GeR.htm
31-07-2008; Aggiornamento: 22-03-2012
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