Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

Etica

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DIVORZIO E NUOVE NOZZE DI CREDENTI

 

 di Nicola Martella

 

 

1.  ENTRIAMO IN TEMA: Avendo scritto abbastanza sul tema «divorzio e nuove nozze», non intendevo ritornarci così presto. Tuttavia, la lettura degli articoli pubblicati fa sorgere domande nei lettori, a cui vale la pena rispondere. Quello che segue è uno di questi casi. Il divorzio di chiunque (credenti e non) e comunque accada (con giusta causa o meno), è sempre una sconfitta, una lacerazione e una tara, che segna tutta la vita. Esso è quindi una materia delicata sia per gli insegnanti di etica biblica, sia per i curatori d’anime. Quindi, in via generale, non si può essere a favore del divorzio; e anche laddove si riscontano le eccezioni, contemplate dalla Scrittura, si fa sempre bene ad affrontare ogni caso a se stante, senza leggerezza e senza disumanità.

 

 

2.  LE QUESTIONI: Caro Nicola, scrivo in merito al tema «Divorzio e nuove nozze», trattato sul tuo sito.

     ■ 1. Innanzitutto ti ringrazio per l’interessante articolo che hai scritto, indubbiamente si tratta di una tematica al quanto scottante e controversa ed è veramente difficile districarsi nei difficili passi che la trattano, almeno è così per me.

     ■ 2. Dopo aver letto l’articolo non riesco a comprendere in definitiva la tua posizione riguardo a credenti separati (divorziati) e alla loro possibilità di risposarsi (1 Cor 7,10). Da una parte, basandoti sulle parole di Paolo, affermi che una separazione per motivi, chiamiamoli d’incompatibilità, non avrebbe permesso nuove nozze. D’altro canto nelle conclusioni pastorali, porti un caso pratico di due giovani credenti, che dopo aver contratto matrimonio, decidono da lì a breve per un divorzio e, in questo caso, le domande retoriche, che poni, fanno pensare che saresti a favore di nuove nozze.

     ■ 3. A questo punto sono un po’ confuso sulla tua posizione in merito. Se sei a favore di nuove nozze anche per i credenti come interpreti 1 Corinzi 7,10-11, come ammonimento e non come ingiunzione?

     Ti ringrazio in anticipo, un caro saluto. {Simone Monaco; 12-03-2012}

 

 

3.  LE RISPOSTE: Seguo la numerazione data alle questioni di sopra. Mi preme ricordare ai lettori che ai fini di una corretta comprensione è utile e necessario leggere prima l’articolo sopra menzionato, l'articolo «Divorzio e seconde nozze» e il connesso tema di discussione. Ciò impedirà di presentare nuovamente questioni già affrontate e a cui è stata già data ampia risposta.

 

3.1.  LE PREOCCUPAZIONI: È vero che temi del genere dividono gli animi… e li surriscalda. Essi palesano pure a quale sistema d’interpretazione si aderisce: a quello dogmatico (basato sul consenso odierno di gruppo) o a quello storico-esegetico (basato sul contesto letterario e culturale di quando tali parole furono pronunciate). Chiaramente, prima di leggere quanto segue, bisogna leggere lo scritto sopra menzionato, per non capire fischi per fiaschi.

     Come già affermato, per motivi sia esegetici che pastorali, io sono in linea di massima contro il divorzio, tranne che per i casi, che la Scrittura lo prevede in modo chiaro. Il problema è che molte persone, che scrivono di queste cose, affrontano le questioni in modo dogmatico, a priori, secondo il consenso dottrinale di parte, spesso non conoscendo o trascurando il mondo biblico reale, la sua storia e la sua cultura, in cui certe cose furono dette e come esse poi vennero vissute e praticate.

 

3.2.  DOMANDE E CASI RIPORTATI: Le domande, accluse all’articolo sopra menzionato, servivano per alimentare la discussione e per aprire la mente a situazioni concrete, per così evitare facili scorciatoie, sia liberali, sia massimaliste. Quando uno credenti si separava dall’altro, l’apostolo affermò che egli non doveva risposarsi, ma o rimanere in tale stato o riconciliarsi col coniuge abbandonato (1 Cor 7,10s; certo fintantoché ciò era possibile nella cultura d’allora). Approfondirò tale questione sotto all’ultimo punto.

     I casi da me riportati (sono perlopiù situazioni reali) parlano dell’azione unilaterale di uno dei due coniugi credenti, il quale arbitrariamente abbandona l’altro coniuge per i motivi più differenti: ▪ 1. Scopre di non amare veramente il coniuge; ▪ 2. Si infiamma per un’altra persona; ▪ 3. Abbandona il coniuge per presunta incompatibilità. A ciò si aggiunga il caso di un neo-credente, che viene abbandonata dal coniuge non-credente, proprio perché il primo si è convertito a Cristo.

     Che si dovranno fare come conduttori di chiesa, i parenti credenti e i cristiani biblici in tali casi? Le risposte dipenderanno dal fatto se si nutre una visione del matrimonio di tipo sacramentale (suggerito dal consenso dogmatico odierno), oppure se il matrimonio è considerato un contratto sociale dinanzi a Dio e agli uomini (Mal 2,14), come suggeriscono l’analisi esegetica della Bibbia e la prassi culturale dell’AT e del NT.

     Normalmente era la donna a essere mandata via. Ripudiare la moglie nel contesto sociale d’allora (e in molte parti del mondo oggi), significava abbandonarla alla miseria e all’indigenza. Ella perdeva ogni sostegno, sicurezza e anche i figli. La famiglia d’origine spesso non accettava una loro parente ripudiata dal marito, per non incorrere nel disonore sociale. Il ripudio significava togliere ogni protezione a tale donna e abbandonarla spesso al disprezzo e agli abusi di tutti. Si trattava di «una donna abbandonata e afflitta nel suo spirito, come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata» (Is 54,6).

     Chi ripudiava la moglie, era un perfido e fedifrago (Mal 2,14), paragonabile a un omicida. Il «libello di ripudio» (Dt 24,1.3; cfr. Is 50,1; Gr 3,8 «lettera di divorzio») serviva proprio da protezione per una donna contro l’arbitrio di un tale marito, attestando la cessazione di tale rapporto e aprendole la possibilità di contrarre un nuovo rapporto matrimoniale. Esso le permetteva di «trovare riposo in casa d’un marito» (cfr. Rt 1,9), come allora si diceva, quindi protezione, tranquillità e scampo da una sicura vita infelice (cfr. Rt 3,1), se non da una morte certa. Si noti che ai soli sacerdoti era proibito prendere «una donna ripudiata dal suo marito» (Lv 21,7; Ez 44,22), quindi non agli altri Israeliti. Nel caso descritto in Deuteronomio 24,1ss il peccato non era rappresentato dal fatto che la donna si risposasse sulla base della lettera di divorzio, che il marito le aveva dato, ma di ritornare a sposarsi col primo marito, dopo essere stata coniugata con altri (v. 4; abominio).

     La vita è da sempre piena di arbitrio e di tragedie, e Dio nella Legge cercò di porvi un freno con precetti giusti, i quali non punivano le vittime, ma gli eventuali carnefici. Oggigiorno, sulla base di un certo consenso dogmatico, che prescinde dalle situazioni reali descritte dalla Scrittura, vittime e carnefici sono trattati allo stesso modo (massimalismo), oppure si aprono porte e portoni all’arbitrio soggettivo (liberalismo). Se non si tengono presenti questi fattori, si banalizzano le asserzioni della Bibbia, che parlava in situazioni concrete e molto pesanti dell’esistenza, e si riduce il tutto a sterili diktat della convenzione dogmatica o liberale, o massimalista.

 

3.3.  RITORNIAMO A 1 CORINZI 7,10-11: A tale brano ho già accennato sopra. Si trattava di uno dei diversi casi affrontati dall’apostolo in questo capitolo. Era un caso di separazione fra credenti, e cioè di una parte dall’altra (certo può essere anche consensuale, in certi casi). Ed era a quest’ultima, a cui l’apostolo si rivolgeva, non alla parte abbandonata. Nelle coppie di credenti la parte, che abbandonava o ripudiava il coniuge, aveva due sole possibilità legittime: o rimanere senza sposarsi o riconciliarsi col coniuge. L’apostolo non affrontò la questione, che cosa dovesse fare la parte lesa; probabilmente ciò era già regolato dal diritto, che permetteva alla parte ripudiata di ricostruirsi una vita (cfr. Dt 24,1ss) nel caso, in cui il suo coniuge non aveva nessuna intenzione di riconciliarsi o addirittura aveva contratto già un altro legame.

     Chi non si atteneva al patto matrimoniale e abbandonava il coniuge, senza giusta causa, era da ritenere al pari di un incredulo. Quali fossero i sentimenti dell’apostolo in casi simili, fu mostrato, per altre situazioni, in questo verso: «Che se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore dell’incredulo» (1 Tm 5,8). Anche oggigiorno ci sono «credenti», che non sono mai diventati nuove creature, ma sono solo degli aderenti a convinzioni cristiane. Che, quando la parte incredula si separava dalla parte credente, quest’ultima non era più sotto il «giogo della schiavitù reciproca», vincolo che il matrimonio liberamente creava (e crea), ed era, quindi, libera, lo attestò esplicitamente l’apostolo (1 Cor 7,15); certamente alcuni intenderanno oggi tale libertà come libertà dal coniuge, ma nel contesto culturale d’allora era anche libertà di risposarsi (cfr. Dt 24,1ss). Il patto matrimoniale, che nel caso normale doveva cessare con la morte di uno dei due coniugi (Rm 7,3; 1 Cor 7,39), era messo fuori uso dall’arbitrio di uno dei due coniugi, che ripudiava o abbandonava l’altro. Anche la valutazione di quest’ultimo punto dipenderà dal fatto se si aderisce a un consenso dogmatico di parte o se si analizza il senso reale di tali parole nel contesto culturale e religioso del cristianesimo d’allora.

 

Per l’ulteriore approfondimento si rimanda nella pagina «Etica» alla rubrica «Matrimonio: Divorzio», dove ci sono numerosi scritti sul tema.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Divorzio_nozze_credenti_Avv.htm

22-03-2012; Aggiornamento:

 

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