Caro fratello,
desideravo un tuo parere sul seguente brano 1 Cor 7,10-11: «Ai coniugi poi
ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito (e se si
fosse separata, rimanga senza risposarsi o si riconcili con il marito) e che il
marito non mandi via la moglie».
L’apostolo Paolo al v. 10 fa notare che l’indissolubilità del matrimonio è un
principio assoluto al quale è prevista la sola eccezione: la separazione in caso
di adulterio perché in questo caso il patto matrimoniale in realtà è già stato
infranto. In ogni caso, ricorda ancora Paolo al v. 11, in armonia con il
principio enunciato, si può giungere alla separazione, mentre l’eventualità di
un nuovo matrimonio non viene presa nemmeno in considerazione appunto perché
Paolo considera il patto matrimoniale indissolubile. {Gianfranco Rosa} |
Per mettere a
fuoco la problematica generale, rimandiamo ai seguenti contributi:
►
Divorzio 1: Atto estremo per uscire da un labirinto? {Nicola Martella}
►
Divorzio 2: Interrogativi e tesi a confronto {Nicola Martella}
►
Divorzio e nuove nozze in Luca 16,18 {Argentino Quintavalle}
In 1 Corinzi 7 Paolo affrontò
diversi aspetti del problema «separazione, divorzio (o ripudio) e seconde
nozze», ma non tutta la questione. Egli non trattò tutti gli aspetti e
non procedette in modo sistematico, ma si limitò a rispondere alle domande dei
suoi interlocutori. Questi ultimi appartenevano a diverse sensibilità
culturali e religiose, che andavano dai credenti «materialisti» (nulla ci può
più contaminare) a quelli «spiritualisti» (tutto ci può contaminare). Sul tema
in questione molti aspetti erano già conosciuti, perché evidenti nella Legge
mosaica, nell’insegnamento di Gesù o in quello apostolico, che Paolo aveva
trasmesso ai Corinzi. In particolare affrontò i seguenti aspetti:
■ Il
principio generale: Una persona credente è vincolata al proprio coniuge per
tutto il tempo che quest’ultimo. Inoltre bisogna maritarsi nel Signore (v. 39).
■ Il
matrimonio fra credenti (vv. 10s)
■ Il
matrimonio misto (vv. 12-16)
■ Il
matrimonio di divorziati prima della conversione (vv. 17ss.24.27s).
Qui di seguito
ci dedichiamo al solo
matrimonio fra credenti. Due coniugi credenti non dovrebbero separarsi
per alcun motivo (vv. 10s). Può accadere che le prevaricazioni continue
dell’uno verso l’altro portino la parte, che subisce le vessazioni, a separarsi
dal coniuge, che nel caso normale è la moglie. Può anche succedere che una parte
scopra, col tempo, incompatibilità di carattere tali che, in tale stato
di continuo conflitto, ritenga di non riuscire più a stare sotto lo stesso tetto
col coniuge. Paolo prevede, nel caso normale, solo
due sole possibilità del credente, che abbandona il coniuge: ▪ 1.
rimanere senza risposarsi; ▪ 2. riconciliarsi col coniuge.
Certamente la norma, ricordata da Gesù in caso di fornicazione, si
applica anche in questi casi; Gesù non parlò solo di adulterio, per il quale
allora c’era la pena di morte, ma già della «parola (o fatto) di fornicazione»,
riferendosi a Dt 24,1. Una riconciliazione è possibile, fintantoché il problema
di base venga rimosso (p.es. prevaricazione, vessazione) e fintantoché l’altro
coniuge non contrae un altro vincolo (ci sono anche credenti carnali o
disubbidienti).
Anche in quest’ultimo caso il vincolo matrimoniale sarebbe infranto. La risposta
in tali casi sarà differente da chiesa a chiesa. Gli uni daranno licenza
all’altro coniuge di risposarsi. Gli altri faranno riferimento al principio
generale, non riconoscendo eccezioni, e impediranno un nuovo matrimonio.
Ora seguono alcuni spunti pastorali, su cui conviene riflettere. Penso
che le chiese debbano porsi il problema, in cui uno dei due coniugi credenti si
separa dall’altro senza un vero motivo oggettivamente rilevante o perché
lo abbandona per seguire l’impulso di un
nuovo «amore», ad esempio verso un collega di lavoro.
Immaginiamoci il seguente caso, in cui due giovani credenti si sposano.
Dopo soli sei mesi uno dei due si separa dal coniuge e vuole il divorzio perché
afferma di aver capito di non amare veramente l’altro. In che cosa ha
fallito qui la pastorale prematrimoniale? (non c'è stata? oppure è stata
superficiale o inadeguata?). Se, dopo la separazione, tutti gli sforzi di
intervenire e di aiutare non ottengono un risultato e si addiviene realmente a
un divorzio, che cosa bisognerà consigliare a tale giovane (anche vista la
giovane età) che faccia per il resto della sua vita? Questo è un caso vero.
Immaginiamoci un altro caso, in cui due giovani credenti che si sposano.
Un giorno, quando lui ha circa 26 anni, la moglie lo abbandona per andare a
convivere con un collega di lavoro. Anche qui tutti gli interventi pastorali non
servono a risolvere il problema. Che faranno i conduttori di chiesa nei
confronti di tale giovane, che è la parte lesa? La giovane donna adultera era
veramente una figlia di Dio? (non tutti i «credenti» sono anche «generati da
Dio»). Si punirà tale giovane, già leso da una moglie fedifraga, ancora una
volta, impedendogli di risposarsi? Anche questo è un caso vero.
Come detto,
questi non sono esempi di fantasia, ma fanno parte insieme ad altri della triste
realtà di un mondo imperfetto. Matrimoni si rompono prima che qualcuno si
converta. Addirittura c’è chi viene abbandonato dal coniuge proprio nel momento
in cui si converte e cambia vita in meglio.
In
1 Corinzi 7 Paolo rispose alle domande, che i diversi gruppi gli posero
nella loro situazione concreta; non trattò quindi tutti i casi immaginabili.
Bisogna stare attenti a tutte le radicalizzazioni, sia a quelle liberali,
sia a quelle legalistiche. In un modo o nell’altro ci si può rendere
colpevoli delle decisioni ecclesiali prese nei confronti delle persone, che
stanno nel problema.
Nei casi reali non si tratta di casistiche, ma di persone concrete con le
loro problematiche e tragedie. Essi non hanno bisogno di «cerotti consolatori»,
ma di concrete vie d’uscita da situazioni piene di tribolazione. A chi sta in
uno scottante problema non bisogna neppure prospettare facili «uscite
d’emergenza», altrimenti si fa render colpevoli tali persone e se stessi. In
ogni modo, non ci si può lavare le mani. Bisogna calarsi fino in fondo nel
problema del credente, che è stato abbandonato dal coniuge, il quale oramai vive
altri «amori» e non ha nessuna intenzione di tornare indietro. A chi arde e non
riesce a contenersi (cfr. 1 Cor 7,9) non si può semplicemente dire di pregare di
più; nella maggior parte dei casi non funziona. Bisogna cercare vie praticabili
e piene di buon senso. E qui nei casi concreti, per non avere un cuore troppo
stretto o per non prendere lucciole per lanterne, ci vuole tutto il
discernimento biblico e tutta la sapienza di Dio.
Per l’approfondimento della tematica, consiglio di leggere nel mio libro
Tenerezza e fedeltà,
(Punto°A°Croce, Roma 1998), l'articolo «Divorzio e seconde
nozze», pp. 138-151; a ciò si aggiungano gli articoli connessi sul matrimonio.
►
Divorzio e nuove nozze di credenti {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Divorzio_2nozze_S&A.htm
27-03-2007; Aggiornamento: 22-03-2012 |