1.
L’ANALISI BIBLICA: Qui, nel Salmo 4,1,
il contrasto è fra ciò che è stretto e ciò che è largo. Il termine ebraico
ṣar
indica qualcosa di stretto (Pr 23,27 pozzo
stretto) o, com’è scritto, «un luogo
stretto, dove non c’era modo di volgersi né a destra né a sinistra»
(Nu 22,26). Chi ha una «forza ristretta» nel giorno
dell’avversità (Pr 24,10), è rimasto senza risorse e sarà preda dello
scoraggiamento. In ebraico dire «[è] stretto per me» (ṣar lî),
significava «sono messo alle strette; sono in distretta», ossia «sono
nell’angoscia (sventura, pericolo, ecc.)»
(nella mia d. [= Sal 18,6; cfr. Sal 66,14; 102,2 dì
della mia d.]; Dt 4,30 nella tua d.; 2 Sm 22,7 Is 25,4
nella sua d. [cfr. 2 Cr 15,4]; Is 26,16
nella loro d. [cfr. Sal 106,44; Os 5,15]). Distretta è sinonimo di
angosce (Sal 107,6.13.19.28; Gb 15,24 + paura),
di tribolazione (Sal 119,143),
di amarezza (Gb 7,11), di angustia (Gb
36,16), del giorno di battaglia e guerra (Gb
38,23). Tale termine indica, perciò, il
pericolo, l’angoscia e la
sventura (Sal 4,1; 32,7). Si parla
letteralmente della «distretta di spirito» (ṣar rûaḥ; Gb 7,11
it. angoscia).
Il termine ebraico rāḥab significa «rendere
largo, ampio; allargare, ampliare» (p.es. Is 54,2 casa; Is 57,8 letto; Es 34,24
regno; Dt 12,20 confini); significa pure «dare (nuovo) spazio» (Gn 26,22 per
prosperare). Trarre fuori al largo significava liberare (Sal 18,19; cfr.
Dt 33,20). L’espressione «Tu hai allargato la via
ai miei passi» (Sal 18,36),
significava «Tu mi hai dato stabilità,
spianandomi la via».
Similmente al Salmo 4,1 ci
si esprime in
Giobbe 36,16: «Allora Egli avrebbe condotto pure
te dal morso della distretta in un luogo ampio senza restrizione, e
l’allestimento della tua tavola sarebbe piena di grasso [= cibi succulenti]».
In questa opera Tobias Michael illustrava l’uscita di
un uomo dalla distretta, che era costituito allora dal muro di Berlino, il quale
separava i tedeschi dell’est da quelli dell'ovest, e l’entrata nel largo
della libertà, dove non bisognava più temere per la propria incolumità e dove
ognuno poteva scegliere il proprio destino. |
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2. UNA
MIA PARTICOLARE ESPERIENZA: Negli ultimi mesi, mia moglie e io eravamo
stati molto sotto pressione per vari problemi. Sembrava come se il nemico avesse
mobilitato molte schiere contro di noi e contro la chiesa locale, specialmente
mostrandosi come Calunniatore (gr. diábolos). Abbiamo avuto spesso il
cuore pesante, abbiamo pianto dinanzi al Signore. A me sono tornati i frequenti
mal di testa e mia moglie si è fatta tante notti in bianco. Eppure siamo stati
presenti agli incontri di chiesa e alle cellule bibliche e abbiamo esplicato i
nostri doveri ministeriali.
Poi venne quel mercoledì; io e mia moglie avevamo la nostra cellula di
discepolato. Eravamo alquanto scossi. Eppure quei credenti, giovani nella fede,
aspettavano che li ammaestrassi; non mi potevo trarre indietro. Con la mia
«distretta di spirito» e il cuore piangente aprimmo la Parola al brano indicato
dal libretto di studio: 2 Cronache 20,1-30. Ecco i fatti in breve. I
nemici di Giosafat, re di Giuda, si erano coalizzati contro di lui e stavano per
attaccarlo (vv. 1s). Egli, sebbene nella paura,
cercò la faccia del Signore, convocò un’assemblea solenne, lo pregò e lo adorò
(vv. 3-13). Dio gli mandò un proclamatore e gli fece dire: «questa
non è battaglia vostra, ma di Dio»
(vv. 15), Egli promise loro liberazione e aggiunse: «l’Eterno
sarà con voi» (v. 17). Ci fu
adorazione (vv. 18s). Il giorno dopo Giosafat ingiunse al popolo di credere alle
promesse di Dio (v. 20). Invece di mettere davanti all’esercito i soldati più
forti, mise i cantori, che cantavano all’Eterno canti
di gioia e di lode (v. 22). Quando arrivarono, il problema l’aveva risolto Dio
stesso: gli avversari si erano uccisi fra loro e avevano lasciato sul terreno
una grande quantità di bottino (vv. 22-25). Essi chiamarono quel luogo «Valle di
Benedizione», e lì benedissero l’Eterno (v. 26). Tornarono a Gerusalemme allo
stesso modo, ma liberi dai loro nemici, pieni di ricchezze e ricolmi
d’allegrezza (vv. 27s).
Riflettemmo insieme che il
nostro attuale nemico non è fatto di uomini, come al tempo di Giosafat. È
scritto: «Infatti, la nostra lotta non è contro sangue e carne, ma contro i
principati, contro le potestà, contro i dominatori universali di questa
oscurità, contro le [forze] spirituali della malvagità nei [luoghi]
sopraccelesti» (Ef 6,12). Giosafat (= l’Eterno giudica) e il popolo di Giuda
sono un’immagine di Cristo e dell’assemblea del nuovo patto. Come
Dio combatté per il suo popolo, così fece anche Gesù sulla croce per noi.
È scritto che Cristo, «avendo spogliato i principati e le potestà ne
ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce»
(Col 2,15). Con la sua opera avvenne il riscatto, «affinché, mediante
la morte, distruggesse colui che aveva l’impero della morte, cioè il
Calunniatore [gr. diábolos], e liberasse tutti
quelli che per il timore della morte erano per tutta la vita soggetti a
schiavitù» (Eb 2,15s).
Ero così commosso, che tale
commozione toccò anche gli altri cuori. Chiaramente, come ho già detto, il
nemico comune era il Calunniatore (o diavolo) e
le sue potenze malefiche (Ef 6,11ss). Invitai ognuno degli astanti ad applicare
tale brano alle nostre vite e a cercare almeno una promessa nella Bibbia per la
loro vita attuale. Ci fu tanta edificazione e consolazione.
Quel giovedì sera io e mia
moglie ci recammo come sempre anche alla nostra cellula di studio biblico. Il
brano di studio era
Efesini 3,20s. Anche lì il Signore ci parlò potentemente. Paolo scrisse
che Dio «può fare oltre le cose, smisuratamente più di quelle che
chiediamo o pensiamo» (v. 20). Leggemmo come brano correlato 2 Corinzi 3,18,
in cui è espresso che noi, mentre contempliamo
«la gloria del Signore, a viso scoperto, come in uno specchio
[= rame levigato, quindi non chiaro], siamo trasformati in quella medesima
immagine, di gloria in gloria, così come da parte del Signore, dello
Spirito». Ecco la soluzione: guardare al Signore glorioso e non ai
problemi! Inoltre, leggemmo pure 2 Cor 4,6, dove si parla di far «brillare la
luce della conoscenza della gloria di Dio, che rifulge nel volto di Gesù Cristo».
Ecco la soluzione: guardare al volto di Gesù e farsi irradiare dalla
luce, che Egli riflette!
Quella mattina avevo anche preparato un messaggio dal titolo «La croce quale
unico mezzo di guarigione». In essa considerai anche
Filippesi 3, in cui scrivevo di Paolo e del suo lungo curriculum etnico,
religioso, devozionale, carrieristico e così via (Fil 3,4ss). Quando poi Paolo
incontro Cristo, le cose che sul bilancio stavano prima tra i guadagni o
vantaggi (kérdos),
dovette spostarle sulla colonna delle perdite o dei danni (zēmía;
v. 7). Di fronte alla eccellenza della
conoscenza di Cristo Gesù, tutto si svalutò improvvisamente, e tutti i
suoi passati pregi divennero carta straccia, come quando arriva l’inflazione.
Con i nuovi occhi reputò tutti quei investimenti falliti come tanta
spazzatura (v. 8).
Quella sera, rientrato a
casa alle 22 dallo studio biblico, sebbene molto stanco, mi ero rimesso a
lavorare. Dopo un po’ sentii la lode salirmi nel cuore, unita a una pace e a una
consolazione inaudite, che mi superavano (Fil 4,7). Mi misi ad adorare il
Signore e sentivo una gioia nel cuore; esso mi sobbalzava nel petto come vitelli
da stalla, che vengono liberati per la prima volta nei prati; si realizzò per me
Malachia 4,2: «Per voi che temete il mio nome si leverà il sole
della giustizia, e la guarigione
sarà nelle sue ali; e voi uscirete e salterete, come vitelli di stalla».
Riconobbi nuovamente che in Cristo «sono nascosti tutti i tesori della
sapienza e della conoscenza» (Col 2,3). Abbiamo tutto pienamente in Lui (Col
2,10). In Lui siamo «benedetti di ogni benedizione spirituale nei
luoghi sopraccelesti» (Ef 1,3). Dinanzi alla «eccellenza
della conoscenza di Cristo Gesù», tutto diventava
una voce debitoria (danno) e tanta spazzatura (Fil 3,8).
Non so, pur avendo molti problemi personali ed altri intorno a me, che dovevo
ancora affrontare, era come se fossi stato immediatamente guarito.
Sentivo una gioia e una consolazione, che bruciava tutto in me e che mi
faceva vedere le cose dalla prospettiva della croce e del trono di Dio. Mi
rimisi a lavorare. Quando poi, tardissimo, andai a letto stanco morto,
ricominciò a scoppiarmi dentro la lode, il cuore si rimise a danzare di gioia e
di consolazione; per ore e ore non riuscivo a prendere sonno. La mattina dopo,
pur essendo annebbiato di mente, mi sentivo ancora guarito, pieno di gioia e di
consolazione. Mi ripetevo un canto, che è tratto da
Nehemia 8,10: «La gioia dell’Eterno è la vostra forza»
(cfr. Fil 3,1 «Rallegratevi nel Signore»; 4,4).
Ero disposto a fare tutta la
volontà di Dio, qualunque cosa avvenisse. Sapevo che il diavolo sarebbe venuto
al contrattacco, ma ero consapevole che il Signore mi aveva guarito. Ero
disposto ad affrontare tutti i problemi, che si presentassero, permettendo al
Signore di agire. Mi ero arreso a Lui. Sapevo che qualsiasi cosa potesse
arrivare, nulla mi avrebbe tolto più la sua gioia, la sua pace e la sua
consolazione.
Sebbene il mio cuore fosse
triste per la mia pochezza, le mie miserie e i problemi intorno a me, mi bastava
guardare al Signore, per sentire nuovamente tale gioia e consolazione. Adorando
Dio, volevo che il mio cuore continuasse a sobbalzare d’allegrezza nel Signore e
che potessi far trasparire da tutti i pori tale gioia nel Signore.
Vedendo la mia insufficienza
di peccatore e la sufficienza del Signore, volevo dire a ognuno dei fratelli:
«Mi scuso con te, se non ti ho manifestato quell’amore, quell’attenzione, quella
cura e quella stima, che tu necessitavi. Ti amo nel Signore. Il mio
cuore, oggi, salta troppo di gioia e di consolazione, perché esso possa essere
sfiorato da altro. Esponiamoci insieme alla luce, che rifugge dal volto
di Gesù, adoriamolo insieme ora, intercediamo qui l’uno per l’altro e
sperimentiamo insieme la
guarigione del Signore!».
Esposto alla luce di tale
guarigione divina, volevo dire ad altri: «Scusami, se ho fallito nei tuoi
riguardi. Non sempre sono stato quello, che avrei dovuto essere e voluto essere.
Faccio mie le parole di Davide: “Sono stato concepito nel peccato”
(Sal 51,5). Mi associo alla confessione di Paolo: “Cristo Gesù è
venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo”
(1 Tm 1,15; cfr. 1 Cor 15,8ss). Vieni, esponiamoci insieme alla grazia del
Signore!».
{Testo scritto il 10-04-2015; corrisponde a
quanto ho esposto a voce nel mio sermone del 12-04}
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Distret_larg_EnB.htm
22-04-2015; Aggiornamento: |