1. ENTRIAMO IN TEMA: La seguente trattazione si innesta sull’articolo «Piano
personale e istituzionale dei conduttori: Disciplina e abuso di potere nella chiesa» e sul
tema di discussione derivato.
La fonte di ogni arbitrio è certamente il cuore dell’uomo, che si tratti
di missionari fondatori o di conduttori di chiesa. La cosa peggiore è la
carnalità rivestita di apparente spiritualità, per così portare meglio avanti le
proprie ambizioni.
Per tali motivi, ci sono certamente casi in cui i missionari diventano
essi stessi fonte di rischio e di problemi per le chiese fondate. In altri casi,
la situazione è diametralmente opposta, diventando essi vittime di persone che,
una volta diventati conduttori, usano la loro posizione di potere per
soggiogare o allontanare i missionari fondatori.
Chiaramente le variabili sono tante. Il nostro intento è di rendere consapevoli
della problematica. Ciò permetterà di prepararsi a tempo alla transizione
fra l’epoca gestita dal missionario (fase di edificazione) e quella gestita poi
dai conduttori (fase di stabilizzazione).
Anche la vita di una chiesa locale ha varie stagioni; di ciò devono
essere consapevoli tutte le parti coinvolte in una chiesa locale. Ciò, che non
dovrà mai mancare, è la stima e la gratitudine della chiesa locale
verso coloro che hanno investito parte della loro vita e delle loro risorse per
fondare l’opera locale.
Come nei rapporti naturali di una famiglia, così anche nella chiesa locale si
possono sviluppare varie patologie nei rapporti fra missionari fondatori
e nuovi conduttori di chiesa. È certamente brutto che una comunità resti
prematuramente orfana dei «genitori». Lo è anche quando questi ultimi vengono
messi da parte, togliendo loro ogni voce in capitolo nella chiesa da loro
fondata. Chiaramente qualcosa di patogeno c’è anche laddove i genitori
pretendano che i figli, oramai adulti, debbano continuare a sottostare alla loro
patria potestà. Neppure l’opera di Dio necessita di figli ingrati e di padri
padroni.
2. MISSIONARI CHE SONO FONTE DI PROBLEMI
■ 2.1.
Ho conosciuto missionari fondatori di chiese che, per rimanere i primi della
classe a lunga scadenza, hanno tenuto i credenti, in qualche modo, come
bambini nella fede e dipendenti da loro stessi. La loro paura era evidentemente
che un giorno la chiesa potesse fare a meno di loro e altri li scavalcassero. In
tal modo, hanno appeso al chiodo il loro mandato di missionario fondatore
di chiese e hanno rivestito i panni di conduttore unico a tempo indeterminato,
spesso fino alla pensione. Invece di essere allenatori di collaboratori, che
presto lo avrebbero affiancato e avrebbero preso un giorno il suo posto, si sono
trasformati in addomesticatori, che hanno fatto dipendere tutto da loro.
■ 2.2.
Ho conosciuto missionari con un spiccato dono di evangelista che, dopo
aver sparato tutta la polvere di conoscenza, che avevano, erano dinanzi a
un’alternativa: alimentare la chiesa sempre con le stesse cose, magari con
l’aiuto di simbolismi e allegorie, oppure pensare oltre. Dato il carisma di tali
missionari, essi tenevano spesso le chiese in un continuo «stress
evangelistico», trascurando la cura pastorale e l’addestramento.
A qualcuno di loro, che mi ha chiesto un consiglio, ho detto che aveva due
alternative. La prima era tenere tutti in tale «tensione evangelistica»
quale sua mira principale, lasciandoli però bambini nella fede e nella
conoscenza. In tal caso, prima o poi, quando sarebbe emerso qualcuno con un dono
d’insegnamento, lui lo avrebbe visto come un avversario; e lui stesso, per
mantenere la leadership, avrebbe rovinato l’opera, da lui iniziata.
Gli dissi che l’altra alternativa è che lui, considerando il suo carisma di
evangelista e vedendo il suo tempo concluso, pensasse come Barnaba nei confronti
di Saulo, chiamando un insegnante della Parola ad aiutarlo; oppure che lui
preparasse dei collaboratori o li facesse preparare in corsi biblici
connessi a scuole bibliche e a seminari. Aggiunsi che allora lui si sarebbe
potuto dedicare all’opera di evangelizzazione connessa alla chiesa fondata o
avrebbe potuto fondare un’altra opera un po’ più in là, magari con l’aiuto
dell’attuale chiesa.
■ 2.3.
Un altro caso è quello di un missionario che riconosce sì conduttori locali, ma
che rimane in loco come una specie di «super-conduttore», una sorta di «conduttore-missionario».
Di là della sua buona volontà, la tendenza sarà sempre quella di trattate i
nuovi conduttori come i suoi «diaconi». Volenti o nolenti, egli vorrà avere
sempre l’ultima parola e l’opzione di cambiare le decisioni prese. A ciò si
associa anche l’eventualità che la famiglia di tale «conduttore-missionario»,
avendo partecipato alla fondazione della comunità, prenda per scontato la
propria ingerenza in pressoché tutte le decisioni ecclesiali. In tal caso i
conflitti sono prevedibili e anche l’eventualità che, a lungo andare, i rapporti
fra missionario e conduttori si logoreranno e che tale chiesa locale si
spaccherà.
3. CONDUTTORI CHE ACCENTRANO OGNI POTERE:
I casi, che trattiamo qui, riguardano l’opposto di quelli del punto precedente.
Chiaramente sono soltanto alcuni, visto che gli scenari possono avere molte
variabili.
■ 3.1.
Nel giorno, in cui un missionario fondatore fa riconoscere conduttori locali,
ha due possibilità. La prima, di cui abbiamo parlato sopra, è quella di rimanere
sul posto come una specie di «conduttore senior» (spesso con poteri
speciali), con tutti i rischi connessi. L’altra alternativa è di ritirarsi dal
ruolo attivo di guida della comunità, per rimanere per un certo tempo in essa
come figura paterna e consigliere. Qui s’innescano imprevedibili
meccanismi. Ad esempio, come è successo a diversi missionari di mia conoscenza,
quest’ultimi vengono messi completamente da parte, da un giorno all’altro, da
neo-conduttori pieni di orgoglio e ingratitudine e desiderosi d’imporre
finalmente alla comunità la propria «linea» e di dimostrare le proprie
capacità, senza qualcuno che ostacoli i loro intenti.
■ 3.2.
Un caso particolare lo abbiamo trattato nell’articolo «Travaglio
d’un missionario per conduttori con abuso di potere», scritto come
esperienza personale. Tale caso riguarda le ambizioni e le prevaricazioni di
conduttori di una chiesa esistente verso un missionario, che sta fondando
una chiesa in una zona limitrofe. Ecco in sintesi le questioni. Tale missionario
ha descritto come sia stato oggetto di una «dialettica malata», viste le
mire e le ambizioni di conduttori di chiesa, con cui ha collaborato per una
certa parte. Essi pretendevano che il missionario si sottomettesse a loro e che
essi dovessero avere la guida anche dell’opera missionaria, iniziata da lui
autonomamente a circa 20 chilometri dalla loro chiesa locale. Il conflitto e il
travaglio erano perciò programmati.
Vista la sua amara esperienza, questo missionario ha confrontato tali conduttori
con
Diotrefe, a causa del primato, che quest’ultimo cercava di avere, e
dell’arbitrio, che esercitava nella chiesa locale (3 Gv 1,8s). Gli «accentratori
di potere» non hanno in genere una «visione organica» dell’opera di Dio ma, come
detto, nutrono una «dialettica malata». In genere, s’innestano in un’opera già
fondata da altri e, dopo avere esautorato questi ultimi, cercano di mantenere il
proprio primato e di estenderlo a spese d’altri, in questo caso portando
tribolazione nella vita di un missionario, dedito a un’opera di fondazione
autonoma. La cosa triste è quando tali manovre della carne vengano
presentate con indebite spiritualizzazioni e con singolari interpretazioni.
4. ASPETTI CONCLUSIVI: Come
abbiamo accennato sopra, un aspetto importante, da non trascurare, è la
cosiddetta transizione, ossia il tempo necessario al missionario per
passare la conduzione della chiesa in mano a credenti locali. Allora si
presentano vari scenari patogeni, di cui presento i seguenti.
■
Transizione inesistente: Il missionario, dopo aver profuso molte energie nel
fondare la comunità, lascia il campo abbastanza improvvisamente per sopravvenute
difficoltà (personali, familiari, economiche, ecc.). Egli non ha avuto ancora il
tempo per preparare in modo adeguato i futuri conduttori. Quelli, che lui elegge
in fretta e furia, si sentono impreparati per tale compito e forse anche gli
altri non sono pronti a riconoscerli come guide della chiesa. I conflitti sono
immaginabili.
■
Transizione troppo breve: I collaboratori fanno continuamente pressione sul
missionario perché possano diventare conduttori, sebbene egli non li veda ancora
pronti e vorrebbe fare ancora un certo cammino insieme a loro per portarli a
maggiore maturità. La pressione si fa così alta, che alla fine cede. Come è
successo in casi a me conosciuti, tali neo-conduttori hanno poi messo il
missionario da parte, esautorandolo di ogni ministero e d’ogni onore e
praticamente emarginandolo. Gli scenari possibili sono immaginabili.
■
Transizione troppo lunga: Di ciò ne abbiamo parlato sopra. Il missionario
rimane praticamente il conduttore unico della chiesa locale, poiché i suoi
collaboratori, comunque li si chiami (responsabili, anziani, ecc.), rispondono a
lui. Qualunque cosa facciano o organizzino tali collaboratori, essi sperimentano
che il «missionario-conduttore» potrà far valere il suo veto. Già qui ci si può
rendere conto che nel tempo si accumula abbastanza magma dentro il vulcano, che
pare quieto, e, quando esploderà, farà abbastanza danno.
In casi particolari, a me conosciuti, è successo che i missionari di due
distinte chiese libere sono stati conduttori indiscussi fino alla fine, quando
sono andati in pensione. Un anno prima di ciò, hanno cercato di creare una
conduzione collegiale fra i loro collaboratori. Tali missionari avevano
trasmesso con loro esempio una conduzione monocratica, che era entrata nello
stile di vita della comunità; e finché essi rimasero in loco, funsero come da
coperchio su una pentola a pressione. Dopo la loro partenza, però, è successo
che tali neo-conduttori erano del tutto impreparati a prendere decisioni
collegiali, conoscendo solo la conduzione monocratica. Perciò, per prima cosa
nacque un’aspra contesa per stabilire chi dovesse essere il «pastore» e quali
gli «anziani». Il risultato fu la spaccatura di ognuna di tali due distinte
chiese in vari gruppi, a danno dell’opera.
Le fonti di
conflitto fra missionari fondatori e conduttori hanno tante cause, come
abbiamo visto. Abbiamo anche ribadito che la causa principale è il cuore
dell’uomo, laddove si fa dominare dalla carnalità, sebbene poi venga
rivestita di presunta «spiritualità». Un altro motivo è il fatto che non c’è
stata finora una riflessione accurata su tali temi e alcuni, missionari o
conduttori che siano, non sanno come trattare tali questioni in modo organico;
allora la questione viene trattata come una coperta, che ognuno cerca di tirare
dalla sua parte. L’intento di tutti questi scritti è proprio il tentativo di
creare una giusta consapevolezza nel merito.
Alla fine di questa trattazione, mi preme ribadire ancora una volta che nessuno,
sia egli missionario o conduttore, è al di sopra d’ogni critica e
giudizio. L’istanza, a cui bisogna rendere conto, è diversa: il conduttore dovrà
rendere conto alla chiesa locale, in cui ministra; il missionario fondatore
dovrà rendere conto alla chiesa e/o alla missione mandanti. Gli addebiti
fatti non possono essere basati su presunte intenzioni, sul carattere di una
persona, sull’assunto che in fondo ognuno è peccatore né su presunti sentimenti
reattivi (risentimenti, ecc.), ma su fatti concreti, oggettivi e accertabili.
►
Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori? Parliamone {N. Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Dinam-patog_miss-cond_MT_AT.htm
10-11-2010; Aggiornamento: 12-11-2010 |